Cassazione Penale, Sez. 4, 20 dicembre 2022, n. 48263 - Sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno dei braccianti agricoli


 

 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 23/11/2022
 

Fatto


1. In data 6/8/2020 il P.M. di Milano disponeva il sequestro preventivo in via di urgenza di varie unità immobiliari site nel Comune di Cassina dè Pecchi, di beni mobili registrati e di rapporti bancari relativi all'azienda Società Agricola Cascina Pirola s. r. I., la cui attività prevalente è la produzione e la vendita di fragole la misura del sequestro preventivo in relazione al reato (capo 1) -per il quel erano indagati S.D.G., P.F.C.M., F.E. e C.G.R. - p. e p. dall'art. 81 cpv, 110 e 603 bis co. 1 n. 2, co. 2 e 4 n. 1 cod. pen. perché, in concorso tra di loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, S.D.G.  (socio unico) e P.F.C.M., quali di amministratori di diritto e di fatto della società agricola Cascina Pirola srl, F.E. quale addetto alla sorveglianza dei braccianti, C.G.R. quale addetta alle buste paga, utilizzavano, assumevano e comunque impiegavano manodopera sottoponendo i seguenti lavoratori
• omissis - alcuni dei quali (omissis) dormivano in container privi di riscaldamento e cucina, in pessime condizioni igieniche, dietro il corrispettivo di 100 euro mensili a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno, anche usando minaccia;
condizioni di sfruttamento e di approfittamento del loro stato di bisogno consistito:
• nel corrispondere a ciascun lavoratore una paga oraria netta di € 4,00, nonostante nel CCN fosse prevista una paga oraria di € 9,90 lordi (pari a un importo netto variabile tra€ 7,90 e € 8,30) senza corrispondere né le maggiorazioni previste dal CCN nella misura del 25%, 35% e 40% (rispettivamente per le prestazioni di lavoro straordinario, festivo e straordinario festivo)', né alcuna retribuzione durante il periodo di prova precedente all'assunzione;
• nell'imporre a ciascun lavoratore una prestazione di almeno 2 ore e mezzo di lavoro straordinario giornaliero, non retribuito, ma a volte anche di più, violando sistematicamente la normativa sull'orario di lavoro;
• nella violazione della normativa in materia di igiene e sicurezza del lavo­ ro, atteso che nell'azienda agricola non vi erano servizi igienici, lavabi, refettorio e luogo per riposare a disposizione dei lavoratori e che venivano fatti utilizzare prodotti fitosanitari a lavoratori non abilitati, non avendo frequentato i corsi professionali previsti dalla normativa di settore;
• nella sottoposizione dei lavoratori a metodi di sorveglianza e condizioni lavorative degradanti e finalizzati a monitorare la produttività, sia in termini qualitativi che quantitativi, mettendo dei biglietti con il loro nome e controllando a fine giornata il numero delle cassette raccolte, impedendo loro di parlare durante la prestazione lavorativa, di consultare il rispettivo telefono cellulare, di assentarsi dal posto di lavoro per bere l'acqua, e rivolgendo loro reiterate ingiurie quali "coglione, negro di merda, animale, africano di merda, maiale".
Con l'aggravante dell'aver commesso il fatto con la minaccia
a. di essere allontanati dall'azienda per un determinato periodo (un giorno/una settimana/un mese) a seconda degli errori commessi', come nel caso in cui fossero stati trovati ad utilizzare il proprio telefono cellulare, ovvero avessero parlato tra di loro durante l'orario di lavoro, ovvero avessero bevuto l'acqua alzandosi in piedi anziché rimanere accasciati sul proprio posto, ovvero si fossero rifiutati di eseguire un lavoro loro affidato, secondo le modalità meglio descritte nella conversazione telefonica avvenuta tra S.D.G. F.E. il 4/6/2020 prog. n. 55 (S.D.G.: "domani incominciamo a buttarli fuori uno alla volta anche quelli vecchi, comincia a buttarne uno, no? E vediamo gli altri.., il primo che rompe i coglioni va a casa, vediamo se gli altri non stanno attenti... questo deve essere l'atteggiamento perché con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro, tu devi fare il maschio dominante.., è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante.., è così.. io sono il maschio dominante!")",
b. di non essere più richiamati qualora non avessero raccolto "abbastanza fragole" (29/30 cassette a giornata lavorativa)", ovvero non avessero eseguito il lavoro a loro assegnato in tempi rapidi,
c. di non poter concludere la loro giornata lavorativa fino a quando non avessero terminato il compito a loro assegnato, quale la pulizia dei campi dalle erbacce;
d. di prendere e trattenere anche per un giorno intero il loro telefono cellulare nel caso fossero stati colti a metterlo in carica;
e. di costringerli a procedere nuovamente alla pulizia delle piante, senza alcuna retribuzione, qualora il controllo fatto a fine lavoro avesse dato esito negativo;
e con l'aggravante di aver reclutato un numero di lavoratori superiore a  tre.


In Cassina dè Pecchi in epoca anteriore (almeno dal 2018) e prossima alla data del sequestro eseguito in data 10/8/2020.
Nel medesimo procedimento nei confronti della SOCIETÀ AGRICOLA "CASCINA PIROLA" SRL si procedeva (capo 2) per l'illecito amministrativo di cui agli artt. 5 co 1 lett. a) e 25-quinquies lettera a) d.lgs. n. 231/2001 in relazione all'art. 603 bis co, I n. 2, co. 2 e 4 n. 1 c.p. perché non adottava adeguatamente ed efficacemente, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi o comunque non vigilava adeguatamente sull'osservanza di un ipotetico modello organizzativo predisposto al fine di prevenire la commissione di reati, rendendo possibile e comunque non impedendo che S.D.G.  e P.F.C.M., nella loro qualità di Amministratori, commettessero il reato di cui al capo 1).

In Milano e Cassina de' Pecchi accertato alla data del sequestro eseguito il 10.8.2020
 

Con provvedimento emesso del 20/8/2020, il G. I. P. convalidava il decreto emesso in via di urgenza dal P. M. ed emetteva il richiesto decreto di sequestro preventivo, a cui seguiva la nomina dell'amministratore giudiziario dott. Vincenzo Paturzo.

2. In data 12/2/2021, gli Avv. Vinicio NARDO, Fulvio SIMONI e Tommaso AUTRU RYOLO, difensori di fiducia di S.D.G. e di P.F.C.M., depositavano istanza di revoca del sequestro preventivo e di sostituzione dello stesso con il controllo giudiziario ex art. 3 L. n. 199/2016.
A fronte del parere negativo espresso dal Pubblico Ministero, il 15/2/2021, il G. I. P. revocava il sequestro preventivo e disponeva il controllo giudiziario ai sensi dell'art. 3 L. n. 199/2016 dell'azienda, nominando amministratore giudiziario il dott. Paturzo (già amministratore giudiziario dei beni in sequestro).
A seguito dell'appello proposto dal P.M. avverso detto provvedimento, il Tribunale del Riesame emetteva ordinanza in data 29/3/2021 con cui annulla­ va l'ordinanza del G. I. P. del 15/2/2021 e ripristinava - con riferimento appunto al reato di cui al capo 1 - il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321 co. 1 e 2 cod. proc. pen. del complesso aziendale facente capo alla Società Agricola Casci­ na Pirola s. r. 1., ripristinando quindi il sequestro già disposto con decreto del G.I.P. del 20/8/2020.
Avverso il provvedimento emesso dal Tribunale per il Riesame veniva quindi proposto ricorso per Cassazione dai difensori di S.D.G., P.F.C.M. Fabrizia Carolina e della Società Agricola Cascina Pirola.
Il P.M. non dava esecuzione a detto provvedimento di sequestro emesso dal Tribunale del Riesame ritenendo di dovere seguire le indicazioni di Sez. 3, n. 25052/2020 circa l'esecutività del provvedimento.

3. Nelle more della decisione del ricorso presentato davanti alla Corte di Cassazione, il P.M. presentava al GUP altra richiesta di emissione del decreto di sequestro preventivo, in cui evidenziava alcuni elementi di novità, richiesta accolta dal GUP con ordinanza del 31/7/2021 con cui disponeva «il sequestro preventivo del complesso aziendale facente capo alla Società Agricola Cascina Pirola S. r. 1., con sede in Milano, Via Marcona n. 6, e dei beni descritti nel provvedimento emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano in data 20/8/2020, ai ff. da 20 a 23, qui da intendere integralmente richiamati e trascritti».
Questo provvedimento era impugnato dalle difese davanti al Tribunale del Riesame che all'esito della udienza del 24/9/2021 ne disponeva l'annullamento per due ordini di motivi, che possono così sintetizzarsi.
a. Il provvedimento in data 31/7/2021 disponeva il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321 co. 1 e 2 cod. proc. pen. (e quindi anche ai fini di confisca) in relazione agli artt. 603 bis 2 c.p. e 19 D.Lgs. n. 231/2001, come emergeva chiaro anche dalla richiesta del P.M., ed era quindi emesso a tutta evidenza sia in relazione al reato di cui al capo 1 di incolpazione sia in relazione all'illecito amministrativo di cui al capo 2 di incolpazione, (incolpazione formulata dal P.M. all'atto dell'esercizio della azione penale), circostanza questa che lo differenziava dal provvedimento emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano in data 20/8/2020 e anche dal provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame in data 29/3/2021 con cui era ripristinato detto provvedimento e disposto - appunto con riferimento al reato di cui al capo 1 - il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321 co. 1 e 2 cod. proc. pen. del complesso aziendale facente capo alla Società Agricola Cascina Pirola s.r.l..
Il provvedimento di sequestro era annullato nella parte in cui disponeva il sequestro preventivo in relazione all'illecito amministrativo di cui al capo 2 di incolpazione ai sensi dell'art. 53 D.lgs. 23 1/01, in relazione all'art. 19 ed agli artt. 5, comma 1, lett. A), e 25 quinquies lettera A), del medesimo disposto normativo, per mancanza assoluta di motivazione circa gli elementi da cui desumere il nesso di derivazione dei beni sottoposti a sequestro dal reato da cui discende l'il­ lecito amministrativo di cui al capo 2, (e circa la indicazione di quale sia stata la entità del profitto del reato contestato al capo 1).
L'art. 19 del D.lgs. 231/01 prevede infatti la confisca esclusivamente dei beni che siano profitto del reato da cui discende l'illecito amministrativo, ma nes­ suna indicazione sul punto emerge né dalla richiesta del P.M. (che si limita ad indicare nella parte conclusiva della richiesta l'art. 19 D.lgs. n. 231/2001 tra le norme sottostanti e legittimanti la richiesta di sequestro) né dal decreto di sequestro oggetto della impugnazione.
b. Per quanto riguarda la parte del provvedimento con cui è stato disposto il sequestro ex art. 321 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo 1 di incolpazione il Tribunale rilevava che esso era una mera duplicazione del provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame ai sensi dell'art. 322 bis cod. proc. pen. in data 29.3. 2021, provvedimento da ritenersi del tutto valido ed efficace.
E questa Corte di Cassazione il 15/2/2022 e il 24/3/2022, con le sentenze di questa Sez. 4 n. 13321/2022 e 22168/2022 dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal P.G. contro tale ordinanza sul rilievo della sopravvenuta carenza di interesse della parte pubblica ricorrente a proporre il ricorso in esame, risultando nel frattempo acquisita agli atti la comunicazione dello stesso Ufficio del PM ricorrente in ordine all'intervenuta esecuzione, nell'ambito del medesimo procedimento, del provvedimento di sequestro preventivo sui beni aziendali del 29/3/2021. Veniva meno, dunque, definitivamente il secondo sequestro.

4. Nel frattempo questa Corte di Cassazione decideva i due ricorsi presen­ tati avverso il sequestro (il primo) ripristinato dal Tribunale del Riesame in data 29/3/2021 in accoglimento dell'appello del P.M.
Con la sentenza di questa Sez. 4 n. 40554 del 29/9/2021 rigettava il ricorso di S.D.G..
Con la sentenza di questa Sez. 4 n. 8545 del 2/3/2022 rigettava il ricorso proposto nell'interesse di P.F.C.M..
E dopo la prima sentenza, il 1/12/2021, a questo punto, come detto, il P.M. dava esecuzione all'ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame in data 29/3/2021, di talché allo stato è in vigore il provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame in data 29/3/2021 che ha disposto - con riferimento appunto al reato di cui al capo 1 - il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321 co. 1 e 2 cod. proc. pen. del complesso aziendale facente capo alla Società Agricola Casci­ na Pirola s.r.l., ripristinando quindi il sequestro già disposto con decreto del G.I.P. del 20/8/2020.

5. Il 15/12/2021 i difensori di S.D.G., di P.F.C.M. e della Società Agricola Cascina Pirola (imputata dell'illecito amministrativo) chiedevano al giudice della udienza preliminare la revoca del sequestro preventivo ex art. 321 co. 1 e 2 cod. proc. pen. del complesso aziendale facente capo alla società Agricola Cascina Pirola srl, evidenziando nell'articolata istanza: a. l'insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati con conseguente venir meno dei requisiti che legittimano il sequestro preventivo "impeditivo" ex art. 321 co. 1 cod. proc. pen.; b. l'insussistenza dei presupposti del sequestro preventivo ex art. 321 co. 2 cod. proc. pen., ossia la non confiscabilità e l'insussistenza di qualsiasi pericolo di dispersione del complesso aziendale, (richiamando i principi dettati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, tra cui Sez. 4 n. 13876 del 28.1.2020 che era stata menzionata e riportata anche nella decisione Sez. 4 n. 40554 del 29.9.2021, appunto relativa al caso che qui occupa).
Con ordinanza del 22/12/2021 l'istanza era respinta dal G.U.P., che faceva facendo riferimento al "recente giudicato cautelare" che aveva «consolidato il titolo ablativo, evidentemente attestando, in via definitiva, la sussistenza del presupposto legale di applicazione, consistente nel nesso di specifica, non occasionale e non mediata strumentalità tra il complesso aziendale oggetto di ablazione e la condotta illecita contestata dall'atto imputativo, così come la rispondenza della misura cautelare adottata ai principi di adeguatezza e proporzionalità (v. in tal senso, Sez. 4, n. 40554 del 29/9/2021, Rv. 282063).
Dall'altro lato sul rilievo che non emergono sopravvenienze deponenti per una cessazione delle esigenze strettamente impeditive connesse all'ablazione, le quali non si esauriscono nel pericolo di stretta reiterazione delle condotte conte­ state ma si estendono, ai sensi dell'art. 321, co. 1, cod. proc. pen., anche al pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato e, in questo senso, investono anche il profilo della gestione aziendale in vista delle garanzie del lavoratori per­ sone offese (vengono richiamate, proprio sotto questo profilo, le recenti relazioni dell'Amministratore giudiziario il quale, solo pochi mesi fa, ha anzi rappresentato una aggravamento della situazione aziendale, tanto da suscitare un nuovo titolo ablativo emesso, nelle more dell'impugnazione sul primo, il 31 luglio 2021, e successivamente annullato dal Riesame sul presupposto dell'eseguibilità del primo titolo anche in pendenza di impugnazione).
IL GUP ritiene quindi tuttora sussistente, in conformità con la recentissima sentenza di Cassazione che ha reso definitivo il titolo ablativo, il requisito legale di mantenimento dello stesso, consistente nella confisca obbligatoria prevista dall'art. 603bis. co 2. cod. pen. , valutata anche in relazione alla sussistenza, e persistenza, dell'esigenza cautelare tipicamente impeditiva nel senso dianzi chiarito.

6. Con atto depositato il 31/12/2021, la difesa dell'odierno ricorrente ha proposto appello avverso l'ordinanza del G.U.P. del 22/12/2021, per omessa motivazione in ordine a tutti i motivi fondanti l'istanza di revoca, asserendo che non erano mai stati oggetto di esplicita o implicita deduzione i profili relativi alla sussistenza del nesso di strumentalità e alla rispondenza della misura ai principi di proporzionalità e di adeguatezza, sicché nessun giudicato cautelare si sarebbe consolidato sul punto.
All'udienza del 28/2/2022, fissata per la discussione dell'appello avverso l'ordinanza del G.U.P. del 22/12/2021, la difesa ha depositato il provvedimento con cui il G.I.P. ha disposto il nulla osta all'adozione del modello organizzativo da parte della società e la copia delle raccomandate inviate a tutte le persone offese contenenti l'offerta per il risarcimento del danno, a ulteriore riprova del venir meno del periculum in mora, oltre alla relazione a firma del Prof. Andreaggi e alle dichiarazioni scritte acquisite ex art. 391 bis, c.p.p., da Michele Scrinsi, a sostegno dell'inconfiscabilità del complesso aziendale - o quantomeno di una serie di beni specificatamente individuati - per insussistenza del nesso di strumentalità (che vengono allegate al ricorso).
Con l'ordinanza n. 447 /21 RG TRS del 28/2/2022, il Tribunale del Riesame ha rigettato l'appello della difesa e confermato il provvedimento emesso in data 22/12/2021 dal G.U.P., nello specifico ritenendo sussistente un giudicato cautelare quanto al periculum in mora con riferimento al sequestro operato ai sensi dell'art. 321, co. 1, c.p.p., fondandolo sulle ordinanze del Tribunale del Rie­ same del 29/32021 e del G.U.P. del 31/7/2021, rispetto alle quali nessun elemento indicato dalla difesa deporrebbe per una cessazione delle esigenze impeditive connesse all'ablazione.
Quanto ai beni in vinculis, il Tribunale, dopo aver ribadito che, secondo la conforme giurisprudenza di legittimità, l'azienda è passibile di confisca qualora venga accertata la sussistenza del "nesso di specifica, non occasionale e non mediata strumentalità tra il bene e la condotta criminosa, da valutare anche verificando la rispondenza della misura cautelare adottata ai principi di adeguatezza e proporzionalità rispetto alla finalità della stessa" (Cass. n. 17763/2018), ha elencato gli elementi che deporrebbero per la sussistenza di tale nesso con riferimento ai singoli beni aziendali indicati dalla difesa come certamente impassibili di confisca, omettendo ogni motivazione quanto ai restanti beni in sequestro.
Nello specifico: 1. i campi non lavorati in realtà sarebbero campi a riposo, che potrebbero essere coltivati negli anni successivi; 2. i fabbricati e le vecchie cascine si troverebbero sui terreni oggetto di coltivazione e, pertanto, non sussisterebbe alcun interesse al dissequestro o possibilità di dissequestro; 3. l'impianto fotovoltaico costituirebbe il tetto di cinque serre, nelle quali si svolgeva l'attività produttiva; 4. le ape-car sarebbero state notoriamente utilizzate per la vendi­ ta al dettaglio dei prodotti dell'azienda agricola.
I crediti derivanti dal ricorso al TAR Lombardia e connessi all'indennità di asservimento riconosciuta alla Società Agricola Cascina Pirola S.r.l. per il passaggio di un metanodotto SNAM al di sotto dei terreni aziendali, invece, non sarebbero mai stati oggetto di sequestro.
La proporzionalità e l'adeguatezza della misura cautelare, infine, deriverebbe automaticamente dalla dimostrata sussistenza del nesso di strumentalità.
Ricorre P.F.C.M., a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.:
Con un primo motivo la ricorrente lamenta nullità dell'ordinanza impugnata ai sensi degli artt. 325 co. 1 e 125 co. 3 cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora con riferimento al sequestro operato ai sensi dell'art. 321 co. 2 cod. proc. pen.
La ricorrente ricorda che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, in materia di misure cautelari, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato alla violazione di specifiche norme di legge ovvero alla mancanza, anche sotto forma di manifesta illogicità, della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, tale per cui la motivazione risulti meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice o le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura.
È altresì noto che, recentemente, le SS.UU. della Corte di Cassazione, con sentenza n. 36959/2021, hanno enunciato il principio secondo cui, anche nel caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, è necessario valutare la sussistenza del "periculum in mora", da riportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, con la sola eccezione delle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato. E ciò, se non altro, in ragione del fatto che la confisca è una misura ablativa la cui applicazione è consentita solo in caso di condanna definitiva o di applicazione della pena ex art. 444, cod. proc. pen.
Ritenere sufficiente la riconducibilità del bene tra le categorie di cose oggettivamente suscettibili di confisca (così la motivazione che sostiene la misura finale) per giustificare il sequestro ai sensi dell'art. 321, co. 2, cod. proc. pen., eliminerebbe ogni differenza tra la fase cautelare e quella del giudizio, finendo per anticipare la misura definitiva in una fase in cui non sussistono ancora i presupposti applicativi, ma solo gravi indizi di colpevolezza.
Ad avviso della Corte, peraltro, solo una motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora potrebbe assicurare la necessaria "coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un'indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantivi, quali il diritto di proprietà o di libera iniziativa economica, e la trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, vessatorio".
Il provvedimento genetico con cui è stata applicata la misura cautelare ex art. 321, co. 2, cod. proc. pen., pertanto, avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali è stato necessario disporre, fin da subito e senza attendere l'esito del giudizio di merito, il sequestro preventivo dell'intero complesso aziendale ai fini di una eventuale futura confisca: motivazione totalmente omessa.
Peraltro, secondo la ricorrente nessuno dei provvedimenti intervenuti successivamente ha mai sanato tale carenza, neppure l'ordinanza impugnata, con la quale il Tribunale del Riesame ha ritenuto di "motivare" esclusivamente in ordine alla sussistenza del "periculum" inteso quale requisito essenziale per l'applicazione del sequestro impeditivo ex art. 321 co. 1 cod. proc. pen" (pag. 6), senza fare alcun accenno al periculum in mora quale elemento necessario ai fini dell'applicazione del sequestro ex art. 321, co. 2, cod. proc. pen., così come delineato delle Sezioni Unite.
Con un secondo motivo si lamenta nullità dell'ordinanza impugnata i sensi degli artt. 325 co. 1 e 125 co. 3 cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora con riferimento al sequestro opera­ to ai sensi dell'art. 321 co. 1 cod. proc. pen.
Secondo la ricorrente, oltretutto, la motivazione del G.U.P., prima, e del Tribunale del Riesame, dopo, circa la permanenza del periculum in mora in ordine al sequestro operato ex art. 321, co. 1, cod. proc. pen., è da ritenersi mera­ mente apparente, se non del tutto assente, non essendo stati in alcun modo valutati gli elementi di novità indicati dalla difesa.
Viene premesso che il richiamato decreto di sequestro del 31/7/2021 non può in alcun modo ritenersi idoneo a consolidare un giudicato cautelare, trattandosi di un provvedimento che è stato annullato dal Tribunale del Riesame con ordinanza del 24/9/2021, sicché non può produrre alcun effetto.
A ogni modo, viene evidenziato che gli elementi posti dal G.U.P. a fondamento della sussistenza di un periculum in mora idoneo a giustificare un secondo decreto di sequestro (le dimissioni dell'Amministratore delegato dell'epoca e l'assenta prossimità dell'insolvenza dell'azienda) sono stati comunque presi in considerazione dal Tribunale del Riesame, che li ha ritenuti inidonei a determinare "l'aggravamento del periculum inteso come elemento essenziale del sequestro impeditivo, ossia il pericolo di reiterazione o aggravamento del delitto di caporalato o di altri [ ... ], né incidono sulla eventuale confiscabilità dei beni e quindi non riguardano il sequestro disposto ex art. 321, co. 2, cod. proc. pen." (pag. 12).
Sicché, se l'asserito giudicato cautelare in ordine alla sussistenza del periculum in mora sussiste, è certamente fermo all'ordinanza del Tribunale del Riesame del 29/3/2021.
Ebbene, a distanza di quasi un anno dall'emissione del provvedimento richiamato dal Tribunale del Riesame a fondamento del giudicato cautelare, non si comprende davvero come possa essere stata ritenuta "del tutto corretta" (pag. 76) un'argomentazione che si limiti a dichiarare che non "emergono sopravvenienze deponenti per una cessazione delle esigenze strettamente impeditive connesse all'ablazione" (pag. 2), senza neppure prendere minimamente in considerazione i plurimi elementi forniti dalla difesa.
Per la ricorrente non è veramente dato comprendere per quale ragione le dimissioni dello S.D.G. dal ruolo di consigliere di amministrazione, il totale mutamento della governance aziendale, il periodo di vigenza del controllo giudiziario, durante il quale non sono mai stati segnalati episodi o circostanze di sfruttamento dei lavoratori, i plurimi finanziamenti soci effettuati dallo S.D.G. e dalla P.F.C.M. per garantire la continuità aziendale, anche a beneficio dei lavoratori, l'offerta reale di risarcimento mandata a tutte le persone offese e la predisposizione di un modello di organizzazione finalizzato alla prevenzione dei reati non siano elementi idonei che depongano per una cessazione delle esigenze.
L'omessa motivazione sul punto sarebbe lapalissiana.
Con un terzo motivo si lamenta nullità dell'ordinanza impugnata ai sensi degli artt. 325 co. 1 e 125 co. 3 per motivazione apparente (violazione ex art. 125 co. 3 cod. proc. pen.) con riferimento alla sussistenza del nesso di strumentalità.
Altrettanto evidente sarebbe per il difensore ricorrente la manifesta illogicità della motivazione fornita dal Tribunale del Riesame circa la sussistenza del nesso di strumentalità tra i beni aziendali e il reato di caporalato contestato, tale da tradursi in una motivazione del tutto apparente.
Invero, ci si duole che il tribunale del riesame dapprima, richiamando la sentenza 17663/2018 di questa Corte, evidenzi la necessità di accertare, ai fini del sequestro delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, la sussistenza di un "nesso di specifica, non occasionale e non mediata strumen­ talità tra il bene e la condotta criminosa, da valutare anche verificando la rispondenza della misura cautelare adottata ai principi di adeguatezza e proporzionalità rispetto alla finalità della stessa", indi, nel momento della motivazione riguardo alla vicenda concreta, non fornisca neppure una ragione comprensibile del moti­ vo per cui i beni in vinculis abbiano costituito o avrebbero dovuto costituire una condicio sine qua non del reato o quantomeno facilitato la commissione dello stesso.
Con motivi di appello, la Difesa ricorda che aveva rilevato che, con la pronuncia n. 13876/2020, questa Corte di legittimità aveva già affermato come non potesse qualificarsi illogica l'affermazione del giudice di merito che aveva escluso la confiscabilità dell'intero complesso aziendale sul presupposto che lo stesso non fosse stato costituito allo scopo di commettere il reato, quanto per migliorarne la produttività.
Nell'atto di impugnazione -si ricorda ancora in ricorso- si erano inoltre formulate tutta una serie di censure rispetto alla ritenuta confiscabilità dell'azienda, evidenziando come sia i lavori preparatori della legge che aveva introdotto la norma incriminatrice che la comparazione con quanto previsto per altri delitti (in particolare con l'art. 476bis cod. pen.) escludesse di ritenere i terreni e in generale tutta l'azienda come "cosa che era servita a commettere" il reato, quanto piuttosto l'oggetto" del reato o comunque il "luogo" in cui la condotta sarebbe stata posta in essere.
Allo stesso modo, era stata posta la differenza tra il tema della confiscabilità dovuta alla strumentalità delle "res" e quello diverso della c.d. "confisca allargata", che effettivamente può colpire tutti i beni aziendali nella ipotesi, del tutto assente nella fattispecie, in cui non si dimostri la liceità della loro provenienza
Sul punto, la motivazione del Tribunale per la ricorrente può certamente qualificarsi come apparente nella parte in cui il nesso di strumentalità viene individuato dai giudici territoriali solo sulla scorta del fatto che i lavoratori avrebbero coltivato o comunque lavorato in tutta l'azienda.
Tale affermazione, basata esclusivamente sulle dichiarazioni dell'Amministratore Giudiziario, risulterebbe inidonea a sostenere l'affermazione del tribunale del riesame, tenuto conto che, in primo luogo, la situazione descritta dal Dott. Paturzo è riferibile a un momento ovviamente successivo alla presunta data di commissione del reato, spingendosi addirittura a apparire come una mera previsione rispetto al futuro utilizzo dei campi, e, in secondo luogo, perché il fatto che i dipendenti lavorassero in tutta l'azienda non significa certamente che tutti i beni aziendali costituiscano cose servite a commettere il reato.
Sul punto, a solo scopo esemplificativo, viene evidenziato che il Dott. Paturzo (e pedissequamente il tribunale) indicano tra i beni utilizzati dai lavoratori gli uffici amministrativi, la reception (luoghi del tutto estranei al reato) e addirittura i servizi igienici e gli spogliatoi, che vennero ultimati proprio in epoca successiva alla presunta commissione del reato per garantire il rispetto delle norme igieniche e di sicurezza sul lavoro.
Quanto ai campi non lavorati, il tribunale si limita ad affermare che potrebbero essere coltivati negli anni futuri o che potrebbero esserlo stati in passato.
Tuttavia, per il ricorrente non si può fondare la sussistenza di una connessione specifica, non occasionale e non mediata tra la condotta concretamente contestata e il bene in sequestro sulla base illazioni o di possibilità future. Il bene, per essere oggetto di sequestro, difatti, deve essere stato effettivamente utilizzato per commettere il reato ovvero allo stesso destinato, benché poi non utilizzato.
Ci si duole, perciò, che il tribunale non spieghi affatto se e in che modo i campi non lavorati siano stati effettivamente utilizzati per commettere il reato di caporalato o se fossero stati a questo effettivamente destinati. Altrettanto può dirsi -prosegue il ricorso- con riferimento ai fabbricati e alle vecchie cascine, rispetto alle quali il Tribunale si limita a rilevare che, trovandosi sui terreni oggetto di coltivazione e trattandosi di vecchie cascine, non sussisterebbe alcun interesse al dissequestro o possibilità di dissequestro.
Ancora una volta, non sarebbe dato comprendere se e in che modo i fabbricati e le vecchie cascine siano stati effettivamente utilizzati per commettere il reato caporalato o se fossero stati effettivamente a questo destinati.
E ancora, il nesso di strumentalità relativo all'impianto fotovoltaico si baserebbe unicamente sulla circostanza che lo stesso costituirebbe il tetto di cinque serre, nelle quali si svolgeva solo in parte l'attività produttiva, tra l'altro diversa da quella nei campi oggetto di contestazione del reato.

Ebbene, in che modo il fotovoltaico sia stato usato/destinato alla commissione del reato e perché la condotta criminosa contestata possa ritenersi quantomeno agevolata dalla sussistenza del fotovoltaico non è dato comprenderlo.
Il ricorrente, in proposito, invita a considerare che il fotovoltaico è un impianto elettrico che non ha un'intrinseca finalità di copertura delle serre e che, conseguentemente, avrebbe potuto (e comunque potrebbe) essere tranquillamente posizionato altrove. Del resto, qualora si fosse trovato in altro luogo, nulla sarebbe mutato quanto alla condotta criminosa contestata agli imputati, dal momento che non è mai stato oggetto di intervento da parte delle persone offese, a riprova della totale estraneità del fotovoltaico rispetto alla commissione del reato di caporalato; estraneità peraltro già riconosciuta dal giudice che ha emesso il decreto genetico nel recentissimo provvedimento del 28/2/2022.
Il G.I.P., infatti, ha espressamente affermato che l'attività di produzione dell'energia solare e i suoi proventi sono del tutto estranei alla contestata attività del caporalato, proprio sul presupposto implicito che il fotovoltaico non poteva essere definito "cosa servita per commettere il reato".
La diversa decisione del tribunale dimostrerebbe in modo eclatante che i giudici non hanno affrontato il tema centrale posto con i motivi di appello e che la motivazione sulla confiscabilità della intera azienda è solo apparente e apodittica.
E, ancora, anche per le ape-car la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe è solo apparente, atteso che, a fronte della dimostrazione da parte della difesa del mancato utilizzo delle stesse quantomeno a far data dal 2018, il Tribunale si è limitato ad affermare che il loro utilizzo è "circostanza notoria, anche per il battage pubblicitario connesso" (pag. 10).
Tuttavia, nell'utilizzo/destinazione delle ape-car per la commissione del reato di caporalato di notorio francamente non c'è nulla.
In conclusione, apparirebbe evidente per il ricorrente che il tribunale del riesame non ha fornito nessuna motivazione in merito alla sussistenza del nesso di strumentalità tra il complesso aziendale ovvero tra i singoli beni oggetto di sequestro e il reato di caporalato.
Con un quarto motivo si lamenta nullità dell'ordinanza impugnata ai sensi degli artt. 325 co. 1 e 125 co. 3 cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine alla proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare.
Tale omessa motivazione, secondo il ricorrente, desta ancora maggiore allarme, se solo si consideri che dalla asserita dimostrata sussistenza del nesso di strumentalità, o addirittura dal mero collegamento o connessione con la sola attività dell'azienda (pagg. 9 e 10) il tribunale del riesame fa discendere automa­ ticamente la proporzionalità e l'adeguatezza della misura cautelare.
La presunta confiscabilità del bene -ci si duole- deve essere necessariamente parametrata ai principi di proporzionalità e adeguatezza.
Si rammenta in ricorso che sia la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, sia la Corte EDU, oltre alle direttive europee, hanno ritenuto che il sacrificio del diritto di proprietà (e di libera iniziativa economica) non debba essere eccessivo, dovendo ricercarsi una soluzione alternativa al provvedimento ablatorio.
La norma che dispone la confisca, inoltre, deve indicare espressamente, in modo chiaro e in termini ragionevoli ciò che si ritiene passibile di ablazione, senza fare ricorso a interpretazioni estensive e in "malam partem".
Ovviamente, per il ricorrente, tali considerazioni vanno estese anche alla fase cautelare finalizzata alla confisca.
Anche sul punto, ci si duole che il tribunale del riesame abbia totalmente omesso di fornire qualsivoglia motivazione, limitandosi ad affermare che il sequestro sarebbe rispondente ai principi di adeguatezza e proporzione senza indicare, nonostante la specifica censura difensiva anche in relazione alla sproporzione tra il valore della confisca e il presunto ingiusto profitto, alcun argomento a sostegno di tale affermazione apodittica.
Sarebbe, perciò, evidente l'apparenza della motivazione dell'ordinanza impugnata, fondata su argomentazioni di puro genere e su asserzioni apodittiche e prive di efficacia dimostrativa.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l'ordinanza impugnata,con tutte le conseguenze di legge.

9. In data 5/10/2022 il PG presso questa Corte ha depositato memoria con cui chiede il rigetto dei ricorsi.
E in data 16/11/2022 è stata depositata memoria a firma dell'Avv. Tommaso Autru Ryolo con la quale si insiste nei motivi del ricorso chiedendone l'accoglimento.
 

Diritto


1. I motivi sopra illustrati sono fondati, nei limiti che si andranno di segui­ to ad esplicitare, per cui l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano in funzione di giudice del riesame.

2. Ed invero, prima di ogni altra considerazione, alla luce di quanto articolatamente specificato in premessa, va individuato il perimetro dell'odierna decisione.
Il sindacato di legittimità cui questa Corte è chiamata, come analiticamente illustrato sub 5 e sub 6. della premessa in fatto, riguarda il provvedimento con cui il Tribunale del Riesame di Milano in data 28/2/2022, ha rigettato l'appello ex art. 322-bis proposto dall'odierno ricorrente avverso l'ordinanza con cui il GIP di Milano il 22/12/2021 aveva a sua volta rigettato la richiesta di revoca del sequestro preventivo ex art. 321 co. 1 e 2 cod. proc. pen. del complesso aziendale facente capo alla società Agricola Cascina Pirola srl, avanzata il 15/12/2021, congiuntamente, dai difensori di  S.D.G. ,  P.F.C.M. e dal difensore e procuratore speciale della Società Agricola Cascina Pirola s.r.l.
I richiedenti avevano evidenziato nell'articolata istanza: a. l'insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati con conseguente venir meno dei requisiti che legittimano il sequestro preventivo "impeditivo" ex art. 321 co. 1 cod. proc. pen.; b. l'insussistenza dei presupposti del sequestro preventivo ex art. 321 co. 2 cod. proc. pen., ossia la non confiscabilità e l'insussistenza di qualsiasi pericolo di dispersione del complesso aziendale, (richiamando i principi dettati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, tra cui Sez. 4 n. 13876 del 28.1.2020 che era stata menzionata e riportata anche nella decisione Sez. 4 n. 40554 del 29.9.2021, appunto relativa al caso che qui occupa).
Orbene, va subito chiarito che, a fronte di quella, l'unico giudicato cautelare formatosi, come meglio spiegato in premessa sub 4. era quello determinato­ sia seguito delle sentenze di questa Sez. 4 n. 40554 del 29/9/2021 cha ha rigettato il ricorso di S.D.G. e Sez. 4 n. 8545 del 2/3/2022 che ha rigettato il ricorso proposto nell'interesse di P.F.C.M.­ relativo al sequestro (il primo) ripristinato dal Tribunale del Riesame in data 29/3/2021 in accoglimento dell'appello del P.M.
Nessun giudicato cautelare può dirsi formato, invece -ed in tal senso erra il provvedimento impugnato a pag. 7 - in relazione al c.d. secondo sequestro, ovvero a quello del 31/7/2021.
Non va trascurato, peraltro, che la vicenda processuale che ha interessato la stessa ordinanza del 29/3/2021 del tribunale del riesame sul primo sequestro -come si evince anche dalle sentenze 40554/2021 e 8545/2022 di questa Corte di legittimità ha riguardato in particolar modo la compatibilità tra controllo giudiziario ex art. 3 I. 199/2016 e sequestro preventivo in relazione ad un'ipotesi di reato come quella in contestazione.
Fondatamente, pertanto, il ricorrente evidenzia che mai in sede di legittimità è stato affrontato il tema del nesso di pertinenzialità con i beni poi sequestrati.

3. Chiarito tale primo e fondamentale aspetto, va ricordato, in punto di diritto che l'art. 325 cod. proc. pen. prevede contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito, tuttavia, come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. Un. n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296).
E' stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l"'iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (così Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quan­ to prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative).
Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a manca­ re un elemento essenziale dell'atto.

4. Orbene, nel caso in esame, tale onere motivazionale, su molti punti di cui fondatamente si duole il ricorrente, non risulta adempiuto, in maniera così grave da integrare la denunciata violazione di legge.
Va evidenziato che lo scarno provvedimento di rigetto del Gip del 22/12/2021, ictu oculi non risponde agli elementi prospettati dai ricorrenti nella loro istanza congiunta di dissequestro del 15/12/2021, soprattutto per quanto concerne le novità in termini di nuova organizzazione societaria in rapporto con il pericu/um in mora, sia quanto al sequestro di cui al primo che a quello di cui al secondo comma dell'art. 321 cod. proc. pen., che di proporzionalità del sequestro.

Tuttavia, a fronte delle analitiche deduzioni di cui all'appello del 31/12/2021, sempre presentato congiuntamente da tutti i difensori interessati, ben avrebbe potuto essere il tribunale del riesame a compensare tale deficit motivazionale. Ciò in quanto nel giudizio d'appello avverso provvedimenti cautelari reali, disciplinato dall'art. 322-bis cod. proc. pen., l'impugnazione innanzi al tribunale ha effetto devolutivo e attribuisce al giudice del gravame piena cognizione, potendo essere posto rimedio sia alla insufficienza, sia alla mancanza di motivazione. (Sez. 3, n. 58451 del 13/11/2018, Romito, Rv. 275566).
Tuttavia, tale integrazione motivazionale non c'è stata.
In primo luogo, in punto di periculum in mora in riferimento al sequestro finalizzato alla confisca.
Come ricorda anche la ricorrente, recentemente, le SS.UU. di questa Corte, con sentenza n. 36959 del 24/6/2021, Ellade Rv. 281848, hanno enunciato il principio secondo cui, anche nel caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, è necessario valutare la sussistenza del "periculum in mora", da riportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, con la sola eccezione delle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato (le Sezioni Unite ebbero a pronunciarsi in relazione ad una fattispecie relativa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato e chiarirono che l'onere di motivazione può ritenersi assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato). E ciò, se non altro, in ragione del fatto che la confisca è una misura ablativa la cui applicazione è consentita solo in caso di condanna definitiva o di applicazione della pena ex art. 444, cod. proc. pen.
Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito che il provvedi­ mento di sequestro preventivo di cui all'art. 321, co. 2-bis, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca (nel caso esaminato in un procedimento relativo a delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), deve contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare - nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura reale - alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio con sentenza, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca, atteso che la necessità di detta motivazione opera, con la sola eccezione delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, sia con riguardo alla confisca obbligatoria che a quella facoltativa così come di proprietà o di valore, e senza che possa rilevare la natura, mobiliare o immobiliare, dei beni in sequestro (Sez. 6, n. 32582 del 05/07/2022, Guarrera, Rv. 283619).
Ritenere sufficiente la riconducibilità del bene tra le categorie di cose oggettivamente suscettibili di confisca (così la motivazione che sostiene la misura finale) per giustificare il sequestro ai sensi dell'art. 321, co. 2, cod. proc. pen., eliminerebbe ogni differenza tra la fase cautelare e quella del giudizio, finendo per anticipare la misura definitiva in una fase in cui non sussistono ancora i presupposti applicativi, ma solo gravi indizi di colpevolezza.
Ebbene, nel caso in esame tale motivazione manca perché -come fondatamente lamenta il ricorrente- il tribunale milanese ha ritenuto di "motivare" esclusivamente in ordine alla sussistenza del "periculum" inteso quale requisito essenziale per l'applicazione del sequestro impeditivo ex art. 321 co. 1 cod. proc. pen" (pag. 6), senza fare alcun accenno al periculum in mora quale elemento necessario ai fini dell'applicazione del sequestro ex art. 321, co. 2, cod. proc. pen., così come delineato delle Sezioni Unite.

5. Va aggiunto, peraltro, che anche la motivazione rispetto all'art. 321 co. 1 cod. proc. pen. sconta profonde lacune in quanto, essendo, come detto, l'unico giudicato cautelare con cui confrontarsi quello di cui al ripristino del sequestro preventivo operato dal Gip il 29/3/2021, l'ordinanza impugnata non si confronta con tutti gli elementi nuovi sopravvenuti nella compagine societaria che potrebbero avere influenzato il pericolo di reiterazione criminosa. Ivi compresa l'attività svolta in sede di controllo giudiziario e i finanziamenti ricevuti.
Assente è anche una motivazione che risponda alle obiezioni difensive in punto di proporzionalità dell'operato sequestro, tema non meno rilevante con cui il giudice del rinvio sarà chiamato a confrontarsi (cfr., in motivazione, la già richiamata Sez. Un., n. 36959 del 24/6/2021, Ellade, Rv. 281848, relativa ad un caso di sequestro preventivo di cui all'art. 321, co. 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 cod. pen.).
Come ricordato da questa Sez. 4 n. 13741 del 10/3/2022, Giordano, si va ormai definitivamente consolidando il condivisibile principio che, in tema di sequestro preventivo impeditivo, il principio di proporzionalità impone al giudice cautelare di motivare sull'impossibilità di fronteggiare il pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di altri reati ricorrendo a misure cautelari meno invasive oppure limitando l'oggetto del sequestro o il vincolo posto dallo stesso in termini tali da ridurne l'incidenza sui diritti del destinatario della misura reale (vedasi la recentissima Sez. 5, n. 17586 del 22/03/2021, Onorati, Rv. 281104 relativa ad una bancarotta fraudolenta per distrazione, in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo dei complessi aziendali della società fallita, ancora nella disponibilità di fatto degli imputati, motivato dalla necessità di impedire ulteriori condotte di disposizione o dispersione).
Del tema della proporzionalità, concetto centrale del costituzionalismo contemporaneo, si è più volte occupato il giudice delle leggi, che ha definito il test di proporzionalità, utilizzato da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell'Unione e degli Stati membri, come volto a "valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi" (così Corte cost., sent. n. 1 del 2014).
In ordine al rapporto tra lo strumento scelto dal legislatore e le finalità da perseguire, nel linguaggio della Consulta tale categoria di valutazioni ha avuto ad oggetto sia la congruità e l'adeguatezza del mezzo rispetto al fine, sia l'idoneità e la necessità della soluzione adottata. Così, ad esempio, in talune occasioni i giudici delle leggi fanno espresso riferimento al "test di ragionevolezza in ordine alla congruità tra mezzi e fini" (così Corte cast. sentenze nn. 267/2016 e 10/2015); in altri casi parlano, invece, di "adeguato rapporto tra mezzi e fini" (Corte cast.
n. 169/2017); talvolta, infine, pongono in risalto l'esigenza che l'intervento legislativo sia "strettamente necessario alla tutela di quell'interesse" (Corte cast. n. 20/2017).
Con riferimento agli effetti, in concreto, delle disposizioni legislative impugnate, la Corte costituzionale, in altri termini, sempre più spesso, opera un'analisi costi-benefici, finalizzata a verificare che i sacrifici imposti ai diritti ed agli interessi coinvolti non risultino eccessivi rispetto all'obiettivo perseguito ed ai vantaggi ad esso connessi.
In tale perimetro, il test di proporzionalità assume una valenza "di sistema", valenza riconosciuta anche dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che, infatti, sottopone a detto scrutinio anche i provvedimenti applicativi di un sequestro, non solo quando lo stesso riveste natura di misura cautelare.
Come ricorda Sez. 5 n. 17586/21, superando un risalente indirizzo che escludeva l'applicabilità del principio di proporzionalità alle misure cautelari reali (Sez. 3, n. 16818 del 16/01/2007, Rosato, Rv. 236490), la giurisprudenza di legittimità si è attestata sul consolidato principio di diritto secondo cui i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità - dettati dall'art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali - sono applicabili anche al sequestro preventivo, dovendo il giudice motivare adeguatamente sull'impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva (cfr. Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, Konovalov, Rv. 261509, in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un intero "dominio" internet, in ragione della motivata impossibilità tecnica di oscurare il singolo file lesi­ vo del diritto d'autore; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013, Caru­ so, Rv. 254712; Sez. 3, n. 12500 del 15/12/2011, dep. 2012, Sartori, Rv. 252223; Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, Magnano, Rv. 246103; nonché, in te­ ma di sequestro finalizzato alla confisca diretta, Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Frontino, Rv. 276979).
Come si è anticipato, il test di proporzionalità è necessario per ogni tipo di sequestro, ma, naturalmente, i termini rispetto ai quali deve essere svolto il relativo scrutinio variano a seconda della natura e della funzione del tipo di sequestro in questione.
Dunque, costituisce ormai ius receptum che: 1. rispetto al sequestro probatorio, il principio di proporzionalità esige la ponderazione tra il contenuto del provvedimento ablativo e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini (Sez. 6, n. 9989 del 19/01/2018, Lilla, Rv. 272538, in una fattispecie in cui è stato ritenuto illegittimo - in relazione al reato di rivelazione di segreto d'ufficio per il quale si procedeva - il sequestro indiscriminato di supporti telefonici e informatici a un giornalista, alla sua convivente ed alla sua ex moglie); 2. con riferimento al sequestro conservativo, la valutazione di proporzionalità va, invece, operata tra il valore dei beni sequestrati e i crediti del richiedente (Sez. 5, n. 19903 del 17/04/2009, Ciotta, Rv. 243944). 3. rispetto al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il test di proporzionalità chiama in causa il rapporto tra profitto del reato e quantum sottoposto a vincolo cautelare (Sez. 3, n. 39091 del 23/04/2013, Cianfrone, Rv. 257284). 4. infine, nel caso di sequestro preventivo c.d. impeditivo, "il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato ricorrendo ad altri e meno in­ vasivi strumenti cautelari ovvero modulando quello disposto - qualora ciò sia possibile - in maniera tale da non compromettere la funzionalità del bene sotto­ posto a vincolo anche oltre le effettive necessità dettate dall'esigenza cautelare che si intende arginare" (così Sez. 5, n. 8382 del 2013, Caruso, cit.), di talché è necessario verificare: "a) se l'aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato possono essere evitati senza privare l'avente diritto della disponibilità della cosa; b) se il sequestro preventivo è sufficiente a garantire tale risultato; c) se tale risultato può essere conseguito con misure meno invasive" (Sez. 3, n. 12500 del 2011, dep. 2012, Sartori, cit.).
Ancora di recente è stato ribadito che, in caso di sequestro preventivo dell'intero compendio aziendale, i principi di adeguatezza e proporzionalità impongono al giudice della cautela di verificare il valore preponderante, o quanto meno il significativo rilievo, dell'utilizzo strumentale della impresa alla consumazione dei reati per cui è stata richiesta la misura, rispetto alla operatività lecita della impresa stessa, onde evitare che il vincolo coercitivo determini una esasperata compressione dei diritti di proprietà e di libertà di iniziativa economica privata (Sez. 6, 13166 del 02/03/2022, Martinis Rv. 283139 in un caso in cui la Corte ha annullato con rinvio la pronuncia reiettiva dell'appello cautelare, affinché il tribunale riscontrasse le deduzioni difensive di assoluta marginalità delle commesse propiziate dalle condotte corruttive rispetto al fatturato lecito d'impresa, in quanto di valore pari al 5% di esso).
Ciò vale sia per il sequestro preventivo impeditivo di cui all'art. 321 co. 1 che per quello finalizzato alla confisca di cui all'art. 321 co. 2 cod. proc. pen.
Nello stesso solco si colloca anche la pronuncia che ha affermato il principio -che va qui ribadito- secondo cui, in tema di sequestro preventivo cd. impeditivo, il principio di proporzionalità impone al giudice cautelare di motivare sull'impossibilità di fronteggiare il pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di altri reati ricorrendo a misure cautelari meno invasive oppure limitando l'oggetto del sequestro o il vincolo posto dallo stesso in termini tali da ridurne l'incidenza sui diritti del destinatario della misura reale. (Sez. 5, n. 17586 del 22/3/2021, Onorati, Rv. 281104 in un caso di di bancarotta fraudolenta per distrazione, in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo dei complessi aziendali della società fallita, ancora nella disponibilità di fatto degli imputati, motivato dalla necessità di impedire ulteriori condotte di disposizione o dispersione).
Del resto, già in precedenza si era condivisibilmente affermato che i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche al sequestro preventivo ed impongono al giudice di motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva, al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata (Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Frontino, Rv. 276979, fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione con cui il tribunale aveva rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di un intero complesso immobiliare destinato a centro commerciale, per quanto i lavori che si assumevano eseguiti per effetto di condotte truffaldine riguardassero soltanto una parte di esso).
Assorbito dalla fondatezza delle viste doglianze è pertanto il tema del nesso di strumentalità, che occupa il terzo motivo di ricorso, che andrà rivalutato dal giudice, nel contesto di un sequestro che - se ricorrenti i presupposti del periculum- andrà improntato ai sopra ricordati criteri di adeguatezza e proporzionalità.
 

P.Q.M.
 

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano in funzione di giudice del riesame.
Così deciso in Roma il 23 novembre 2022