Cassazione Penale, Sez. 4, 22 dicembre 2022, n. 48654 - Caduta durante un intervento di riparazione del tubo dell'acqua presente sulla superficie esterna di copertura di un capannone. Obbligo di valutazione del rischio e di vigilanza


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: SERRAO EUGENIA
Data Udienza: 06/12/2022
 

Fatto




1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale, il 17/02/2021, il Tribunale di Torre Annunziata aveva dichiarato P.V. responsabile del reato di cui all'art.590, commi 1 e 2, cod. pen. perché in qualità di datore di lavoro, quale titolare dell'impresa Tecnoimpianti di P.V., per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché nella violazione della disposizione antinfortunistica di cui all'art. 28 d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, segnatamente nell'omettere nel DVR di valutare il rischio relativo all'esecuzione dei lavori in quota o su coperture di edifici o capannoni industriali e nell'omettere di prevedere l'utilizzo, per l'esecuzione di tali lavori, di attrezzature come ponteggi e trabattelli, aveva cagionato al dipendente P.G., impiegato nell'esecuzione di un intervento di riparazione di un tubo dell'acqua presente sulla superficie esterna di copertura del capannone sede della A.R. Industrie Alimentari s.r.l., lesioni personali tali da renderlo incapace di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni. Il lavoratore, muovendosi sulla copertura del capannone, aveva calpestato un lucernario in plexiglas, che si era sfondato facendolo precipitare da un'altezza di circa 6 metri. Fatto commesso in Sant'Antonio Abate il 30 giugno 2014.

2.P.V. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) mancanza e contraddittorietà della motivazione rispetto alla ritenuta consapevolezza in capo all'imputato dell'intervento in quota nonché inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui tener conto nell'applicazione della legge penale. Con tale motivo la difesa deduce l'impossibilità per il datore di lavoro di prefigurarsi l'iniziativa del dipendente di farsi elevare, con mezzi di fortuna, sul solaio di copertura di un capannone per controllare una tubazione danneggiata. La consapevolezza del datore di lavoro circa il fatto che la riparazione dovesse eseguirsi sul tetto del capannone era stata desunta dal tribunale da una lettera di incarico, apparentemente controfirmata per conoscenza dall'imputato e datata 14 giugno 2014. Tale missiva è stata considerata dalla Corte territoriale generica rispetto allo specifico intervento da eseguire sul capannone ma, ciononostante e sebbene fosse assente qualsivoglia contratto di appalto dei lavori che accennasse a interventi in quota, la Corte ha ritenuto provato che il lavoro in quota fosse previsto perché oggetto del contratto di appalto dei lavori. La difesa allega il sospetto che la firma della lettera del 14 giugno 2014 sia apocrifa o che sia stata fatta firmare capziosamente all'imputato. Sotto altro profilo, secondo la Corte territoriale é emerso che la sostituzione del tubo posizionato sul capannone fosse stata oggetto di discussione e di contrattazione tra le parti, cos] da non potersi ritenere che il responsabile della sicurezza della societé committente non ne avesse parlato anche con |’imputato, titolare della ditta e unico responsabile dei lavori. Si tratta, secondo la difesa, di approccio congetturale laddove nulla esclude che il lavoratore, incaricato dal geom. T. di una riparazione non ben precisata ma all'apparenza semplice, abbia finanche ritenuto superfluo interessarne il titolare della ditta individuale, come lo stesso infortunato ha a più riprese dichiarato. I fatti vengono ricostruiti nel ricorso sostenendo che il carrellista della A.R., A.D., fosse stato incaricato da Vincenzo T. di accompagnare il lavoratore al capannone senza che il datore di lavoro ne fosse informato. Né il lavoratore era stato informato dal geom. T. dei rischi dell'intervento, tra i quali la circostanza che si sarebbe trattato di calpestare anche una tettoia in plexiglas. La Corte territoriale ha ritenuto non veritiere le dichiarazioni rese dal T., ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero per eventuali contestazioni di falsa testimonianza e concorso nel reato.
Tuttavia, questo avrebbe comportato la valutazione di inattendibilità di tale teste anche nella parte in cui ha asserito che i dettagli della riparazione fossero stati ampiamente concordati con il titolare della Tecnoimpianti. Erronea é la qualifica rinvenibile nella sentenza, che attribuisce al geom. T. il ruolo di responsabile della sicurezza della società committente, posto che il consulente contabile e tributario dell'azienda ha escluso tale qualifica, mentre l'amrninistratore delegato della A.R. ha dichiarato di aver nominato come responsabile della sicurezza tale V.PA.. L’incarico di svolgere la riparazione del tubo sulla copertura del capannone, si assume, é stato conferito dai geom. T. la stessa mattina in cui i fratelli si erano recati presso la sede dell'azienda, senza che vi fosse il tempo di informarne il fratello P.V., che si era nei frattempo recato negli uffici amministrativi. E stata depositata documentazione idonea a dimostrare che le riparazioni eseguite dalla Tecnoimpianti presso la A.R. Industrie Alimentari non contemplassero lavori in quota ma riguarclassero il montaggio dei condizionatori, la manutenzione dei bagni, la sostituzione di tubazioni, Vassemblaggio di un serbatoio di accumulo, ecc. Lo stesso infortunato ha confermato che le direttive impartitegli erano di astenersi da lavori non programmati dalla stessa Tecnoimpianti. L’ispettore del lavoro ha dichiarato che il documento di valutazione dei rischi della Tecnoimpianti era esaustivo per l'attività di termoidraulica e di impiantistica, cosi essendo stata riscontrata l'inadeguatezza del DVR a posteriori. Il geom. T. non era il responsabile per la sicurezza della A.R., ma un intermediario commerciale incaricato di mettere in contatto l'azienda con le ditte appaltatrici per gli interventi di manutenzione; l'intera struttura organizzativa dell'A.R. Industrie Alimentari si sarebbe dovuta ritenere coinvolta nelle violazioni delle norme antinfortunistiche per le attività svolte in azienda, anche sotto il profilo della violazione degli obblighi di cooperazione e coordinamento relativi al rischio interferenziale. La società committente non può andare esente da responsabilità in quanto l'operaio infortunatosi è stato fuorviato perchè non informato del rischio specifico relativo all'area di lavoro di pertinenza del committente; secondo la difesa, la violazione dell'art. 28 attribuita all'imputato si sarebbe dovuta ascrivere al committente. Nel ricorso si assume, altresì, che la condotta del lavoratore sia da configurare come abnorme in quanto al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, il quale mai avrebbe potuto immaginare le macroscopiche lacune dell'organizzazione aziendale del committente in materia di sicurezza. Secondo la difesa, l'imprevedibilità di un incidente di lavoro dipende non solo dall'eccentricità e dall'abnormità del comportamento del dipendente, ma anche da fattori ulteriori, come le molteplici criticità nella prevenzione degli infortuni dell'azienda committente, idonee a influire sulla corretta percezione da parte del datore di lavoro del rischio di infortunio. Neppure sotto il profilo della colpa generica si sarebbe potuto ravvisare l'elemento soggettivo del reato, posto che la combinazione di negligenza e imprudenza attribuibile al committente ha precluso all'imputato di prefigurarsi che il fratello fosse issato con mezzi improvvisati su un tetto costellato di lucernari plastici senza alcun presidio.
b) il diniego dell'applicazione della speciale causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto è stato fondato sulla consapevolezza da parte del datore di lavoro dei rischi della lavorazione in quota, trascurando l'episodicità della violazione e la marginalità di qualsivoglia mancanza dell'imputato rispetto alle falle nella gestione della sicurezza sul lavoro da ascrivere al committente. La difesa insiste per l'accoglimento del motivo di appello con cui, in subordine, aveva chiesto mitigarsi la pena.
c) insussistenza e indeterminatezza del danno lamentato dalla parte civile, trattandosi di un ente rappresentativo sindacale al quale l'operaio non è mai stato iscritto e la cui legittimazione a costituirsi parte civile è stata riconosciuta sebbene l'ente non avesse dimostrato la qualità di danneggiato dal reato. L'ente costituito parte civile è la Federazione Italiana Lavoratori del Legno e Affini (FILLEA) mentre l'impresa dell'imputato si occupa di termoidraulica e impianti. Si sono chiesti l'estromissione della parte civile e l'annullamento delle statuizioni civili.
3. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale su istanza della difesa, sono comparse le parti, che hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
 


Diritto





l. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. La Corte territoriale ha ripercorso l'iter motivazionale della sentenza di primo grado, evidenziando che le dichiarazioni dei testi ascoltati in dibattimento e le risultanze dei documenti acquisiti agli atti fossero state illustrate in maniera analitica dal giudice di primo grado e che le emergenze processuali avessero dimostrato che la società committente aveva appaltato in base alla lettera del 14 giugno 2014, firmata di pugno dall'imputato in qualità di titolare della ditta appaltatrice, lavori di controllo e manutenzione di tubature esistenti presso il capannone della A.R. Industrie Alimentari s.r.l.
1.2. Si deduce che si tratti di documento apocrifo o la cui firma sia stata carpita all'imputato, ma la deduzione risulta, in quanto aspecifica e perplessa, oltre che inammissibile in quanto non devoluta al giudice di appello, inidonea a contrastare il valore probatorio del documento, liberamente apprezzabile dal giudice di merito.
1.3. La circostanza che il 30 giugno 2014 i fratelli P. fossero giunti presso il luogo in cui si dovevano svolgere lavori, unita al fatto che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che la sostituzione del tubo che gocciolava, posizionato sul capannone, fosse stata oggetto di discussione e di contrattazione tra le parti, come affermato sia dalla stessa parte offesa che dai testimoni A. e T., sono stati ritenuti idonei a dimostrare che, anche ove si fosse condivisa la prospettazione difensiva circa la genericità dell'incarico contenuto nella lettera del 14 giugno 2014, l'imputato fosse consapevole della natura del lavoro da eseguire. Giova rimarcare che l'inattendibilità della deposizione del teste T., ritenuta dalla Corte territoriale idonea a fondare l'ipotesi del reato di falsa testimonianza, non vale a scardinare il costrutto motivazionale posto a base della sentenza, essendo evidente che la circostanza che l'oggetto del lavoro fosse stato oggetto di contrattazione è stata ritenuta provata sulla base di ulteriori emergenze istruttorie non specificamente contestate.
1.4. La Corte ha anche autonomamente esaminato le emergenze istruttorie (pagg. 6-7), desumendone la prova che il datore di lavoro fosse a conoscenza del lavoro da eseguire in quota, per cui avrebbe dovuto prevedere nel DVR la predisposizione di un ponteggio o di un trabattello idonei a far lavorare in sicurezza il dipendente; secondo la Corte, l'imputato avrebbe comunque dovuto vigilare sul lavoro del proprio dipendente in modo da assicurarsi che tutto si svolgesse in sicurezza.
2. Le deduzioni sviluppate dalla difesa nel primo motivo di ricorso si fondano precipuamente sulla riproduzione di passi della prova testimoniale acquisita nel corso del dibattimento al fine di avvalorarne una diversa valutazione, non consentita nella fase di legittimità a fronte di una motivazione fornita dal giudice di merito, peraltro conforme a quella di primo grado, esente da manifesta illogicità e contenente una compiuta replica ad analoghe deduzioni difensive già sviluppate con l'atto di appello.
2.1. Per quanto concerne eventuali profili di responsabilità del committente ovvero l'asserita imprevedibilità della condotta del lavoratore, va osservato che nel caso in esame, sulla base delle violazioni accertate a carico dell'imputato in qualità di datore di lavoro dell'infortunato, né le responsabilità del committente nè l'assenza di presìdi antinfortunistici nell'ambiente di lavoro sarebbero stati idonei a tenere indenne P.V. dalla responsabilità per il reato ascrittogli.
2.2. Correttamente i giudici di merito hanno, infatti, considerato sussistente la duplice violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di valutazione del rischio e dell'obbligo di vigilanza; obblighi che non vengono meno per il semplice fatto che le lavorazioni si svolgano in ambiente messo a disposizione dal committente, qualora il rischio da prevenire inerisca non tanto alla conformazione dell'ambiente di lavoro quanto piuttosto alla specifica lavorazione commissionata all'appaltatore. In ogni caso, i doveri relativi alla sicurezza dei lavoratori gravanti sul committente non elidono la posizione di garanzia comunque riconducibile al datore di lavoro, quale primo destinatario della stessa nei confronti dei propri dipendenti, essendo egli tenuto in quanto tale a verificare la sicurezza dei lavori affidati (Sez. 4, n.10544 del 25/01/2018, Scibilia, Rv. 272240 - 01, principio affermato in un caso di subappalto).

3. Quanto al vizio di contraddittorietà della motivazione, occorre ricordare che esso è interno al percorso giustificativo della decisione e ricorre quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine a uno stesso fatto o a un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice, conducenti ad esiti diversi, siano state poste a base del suo convincimento (Sez. 5, n.19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105); deve, dunque, escludersi che il vizio di contraddittorietà della motivazione possa avere come termini di raffronto la sentenza e i dati istruttori sulla base della loro asserita erronea interpretazione.

4. Il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità in quanto in esso si suggerisce di valorizzare elementi asseritamente trascurati dal giudice di merito, sulla base della diversa ricostruzione dei fatti proposta con il primo motivo, senza individuare lo specifico vizio che giustificherebbe l'annullamento di tale capo della decisione.

5. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, in primo luogo, contesta genericamente la titolarità in capo alla F.I.L.L.E.A. (Federazione italiana dei lavoratori di legno, dell'edilizia, delle industrie affini ed estrattive) - CGIL della qualità di danneggiato dal reato senza confrontarsi con la motivazione espressa dalla Corte territoriale a pag.10 a proposito dei fini statutari di tale associazione in relazione alla materia degli infortuni sul lavoro (Sez. U, n.38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261110 - 01); in secondo luogo, il motivo è aspecifico nella parte in cui si chiede la revoca delle statuizioni civili senza indicare le ragioni di fatto e di diritto a sostegno di tale richiesta.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen., nonché alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile F.I.L.L.E.A. - CGIL Regione Campania, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Fillea­ CGIL Regione Campania, che liquida in complessivi euro 3000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso il giorno 6 dicembre 2022