Cassazione Penale, Sez. 4, 29 dicembre 2022, n. 49413 - Infortunio mortale nell'ambito dei lavori di pulizia dei finestroni del corridoio durante il recupero della spazzola lavavetro finita sul lucernaio


 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: ANTEZZA FABIO Data Udienza: 23/11/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Napoli, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha confermato la responsabilità di A.T., amministratrice di «M.R.T. Metalli s.r.l.», e di E.T., legale rappresentante di «Metalli del sud s.r.l.», in merito al decesso di A.C., socio-lavoratore nonché accomandante di «Euroservices s.a.s. di DF. Ciro & c.», cagionato con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (ex artt. 113 e 589, commi primo e secondo, cod. pen.). Ne è seguita altresì la conferma della condanna degli imputati, in solido, al risarcimento dei danni (con provvisionale) in favore delle costituite parti civili (OMISSIS, INAIL e CGIL).
1.1. I giudici di merito, in ipotesi di c.d. «doppia conforme», circa la situazione di contesto caratterizzante il sinistro, hanno chiarito che l'evento si è verificato nel mentre A.C. espletava la propria attività lavorativa in qualità di socio-lavoratore della «Euroservices s.a.s.», appaltatrice dalla «M.R.T. Metalli s.r.l.» del servizio di pulizia del secondo piano dell'immobile di proprietà di «Metalli del sud s.r.l.», ove erano ubicati locali locati a terzi a uso ufficio. Trattasi in particolare dell'attività di pulizia avente a oggetto (anche) le vetrate del corridoio del detto secondo piano che la società proprietaria («Metalli del sud s.r.l.», con legale rappresentante l'imputato E.T.), nella disponibilità dell'immobile, assicurava ai locatari per il tramite di un contratto d'appalto concluso tra la «M.R.T. Metalli s.r.l.» (amministrata dall'imputata A.T.), locataria di uno degli uffici cui si accedeva tramite il detto corridoio, e la «Euroservices s.a.s.».
In particolare, il lavoratore, tramite una porta non chiusa a chiave e non sovrastata da alcuna segnaletica, accede al solaio di copertura al fine di recuperare la spazzola lavavetro finita sul lucernaio, costituente copertura del sottostante capannone, durante l'attività di pulizia dei finestroni del corridoio dell'immobile. A causa del cedimento di una delle lastre di copertura in vetroresina, però, A.C. cade nel vuoto da un'altezza di circa tredici metri, decedendo a causa di arresto cardiaco quale conseguenza di un gravissimo shock traumatico per lesioni cranico-encefaliche e di importanti distretti ossei.

2. Avverso la sentenza d'appello gli imputati, tramite il comune difensore, hanno proposto un congiunto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.)
2.1. Con i motivi primo e terzo si deducono la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, in quanto caratterizzata da mero rinvio per relationem a quella di primo grado, ovvero vizi motivazionali quanto all'accertata dinamica del sinistro. Il ricorrente lamenta in particolare che il detto accertamento sarebbe fondato sul ragionamento logico-giuridico del giudice di primo grado, argomentato in forza degli acquisiti e valutati plurimi elementi probatori nonché condiviso da quello d'appello, e non il risultato di un accertamento tecnico né il frutto della valutazione di dichiarazioni rese da soggetti presenti nei luoghi al momento dei fatti. Ne conseguirebbe quindi l'assenza di spiegazione scientifica della presenza del lavoratore sul lucernaio finalizzata al recupero di un utensile utilizzato nell'attività lavorativa, ritenuta dal giudice rientrante nella prestazione di servizi appaltata.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce l'errore nel quale sarebbe incorsa la Corte d'appello, al pari del giudice di primo grado, nell'escludere l'interruzione del nesso eziologico tra le condotte degli imputati e l'evento, nonostante la descritta imprevedibile condotta posta in essere dal lavoratore, sostanziatasi nel camminare sul lucernaio in vetroresina, tenuta al di fuori della propria attività lavorativa. La Corte territoriale, infine, per la quarta censura, avrebbe erroneamente argomentato la responsabilità degli imputati in ragione di una sorta di rischio interferenziale laddove, invece, l'appalto in esecuzione avrebbe avuto a oggetto non attività inerente ai cicli produttivi delle società proprietaria dell'immobile e committente dei lavori.

3. Hanno depositato conclusioni, ex art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, la Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, nel senso dell'inammissibilità del ricorso congiunto, nonché le difese delle parti civili (ad eccezione della CGIL), anch'esse in termini di inammissibilità, e degli imputati nel senso dell'accoglimento delle censure.

 

Diritto

 



1. Il ricorso, i cui motivi sono suscettibili di trattazione congiunta, è inammissibile.

2. Con iter logico-giuridico esente da censure in questa sede, in quanto supportato da motivazione coerente e non manifestamente illogica, i giudici di merito, peraltro in ipotesi di c.d. «doppia conforme», circa la situazione di contesto caratterizzante il sinistro, hanno chiarito che l'evento si è verificato nel mentre A.C. espletava la propria attività lavorativa in qualità di socio-lavoratore della «Euroservices s.a.s.», appaltatrice dalla «M.R.T. Metalli s.r.l.» del servizio di pulizia del secondo piano dell'immobile di proprietà di «Metalli del sud s.r.l.», ove erano ubicati locali locati a terzi a uso ufficio. Trattasi in particolare dell'attività di pulizia avente a oggetto (anche) le vetrate del corridoio del detto secondo piano che la società proprietaria («Metalli del sud s.r.l.», con legale rappresentante l'imputato E.T.), nella disponibilità dell'immobile, assicurava ai locatari per il tramite di un contratto d'appalto concluso tra la «M.R.T. Metalli s.r.l.» (amministrata dall'imputata A.T.), locataria di uno degli uffici cui si accedeva tramite il detto corridoio, e la «Euroservices s.a.s.».
2.1. In particolare, circa la dinamica del sinistro, il lavoratore, tramite una porta non chiusa a chiave e non sovrastata da alcuna segnaletica, accede al solaio di copertura al fine di recuperare la spazzola lavavetro finita sul lucernaio (copertura del sottostante capannone) durante l'attività di pulizia dei finestroni del corridoio dell'immobile. A causa del cedimento di una delle lastre di copertura in vetroresina, però, A.C. cade nel vuoto da un'altezza di circa tredici metri, decedendo a causa di arresto cardiaco quale conseguenza di un gravissimo shock traumatico per lesioni cranico-encefaliche e di importanti distretti ossei.
2.2. Accertata la mancanza di serratura atta a consentire la chiusura della porta d'accesso al solaio di copertura, di idonea segnalazione di pericolo e di divieto d'accesso ai soggetti non autorizzati, quali idonei e previsti presidi di sicurezza attuati solo all'esito del sinistro mortale, la Corte territoriale ha infine confermato il giudizio di responsabilità di entrambi gli imputati, nelle evidenziate qualità, escludendo la pur prospettata interruzione del nesso eziologico tra evento e condotte colpose del proprietario dell'immobile e della società appaltante.

3. Orbene, il ricorrente, con i motivi primo, terzo e quarto, non si confronta con l'esplicitata motivazione della sentenza impugnata, laddove ne predica la totale assenza ovvero la contraddittorietà in ordine all'accertata dinamica del sinistro, e non coglie la ratio decidendi, che, dunque, non sindaca, fondante non sulla mancata gestione di un rischio interferenziale bensì sulla responsabilità del proprietario oltre che del committente/appaltatore. Gli altri profili di cui alle censure, come emerge dal raffronto con le censure d'appello riportate in maniera specifica nella sentenza impugnata, oltre ad essere fondati esclusivamente su doglianze che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte territoriale (pag. 29-30), dovendosi quindi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710), si risolvono in motivi diversi da quelli prospettabili in sede di legittimità. Essi sono infatti costituiti da doglianze in fatto, con le quali si prospettano anche erronee valutazioni di natura probatoria del giudice di merito, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584, e, tra le più recenti, Sez. 7, n. 9378 del 09/02/2022, Galperti, in motivazione; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, in ordine ai motivi d'appello ma sulla base di principi rilevanti anche al ricorso per cassazione).

4. Manifestamente infondato si mostra invece il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce l'errore della Corte territoriale per aver escluso la prospettata interruzione del nesso eziologico nonostante l'inserimento nella seriazione causale, a detta dei ricorrenti, della condotta «abnorme» della stessa persona offesa, che si sarebbe sostanziata nel camminare sul lucernaio in vetroresina e al di fuori della propria attività lavorativa, da espletarsi invece all'interno dell'immobile.
4.1. La Corte territoriale, infatti, con motivazione esente dai denunciati vizi, ha fatto buon governo dei principi inerenti alla materia che ci occupa, già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità e in questa sede ulteriormente ribaditi.
4.1.1. In merito, la più recente giurisprudenza alla quale il Collegio intende dare continuità, suggerisce di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, ponendosi i due concetti su piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; si vedano altresì per la successiva applicazione e elaborazione del principio, ex plurimis: Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. massimata; Sez. 4, n. 41343 del 15/09/2022, Nardiello, non massimata).
4.1.2. Ne è conseguita dunque la necessità di individuare l'«area di rischio» oggetto di gestione al fine di accertarne l'eventuale eccentricità rispetto a essa del rischio attivato dalla condotta del lavoratore inseritasi nella seriazione causale, con la precisazione che è dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta in particolare definita l'«area di rischio», altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria.
Ben si comprende, quindi, come il connettersi dell'evento verificatosi a un rischio esorbitante da quell'area escluda ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo) tale «area di rischio» (Sez. 4, n. 15124 del 313/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv . 269603, in motivazione).
4.1.3. Ai fini di cui innanzi è stato infine chiarito da Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero (non massimata), con articolata argomentazione culminata nel principio di diritto di seguito riportato, che le principali disposizioni di cui al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (in particolare artt. 6, 15, 18, comma 1, lett. c), 28, commi 1 e 2, e 29, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008) consentono di argomentare nel senso per cui «La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento se tale da determinare un "rischio eccentrico" in quanto esorbitante dall"'area di rischio" governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite)» [negli stessi termini, Sez. 4, n. 41343 del 2022, Nardiello, cit., non massimata, che fa proprio l'iter argomentativo della citata Sez. 4, n. 30814 del 2022, Lo Nero].
4.2. Orbene, la Corte territoriale si è attenuta al principio da ultimo richiamato, che in questa sede si ribadisce, la cui rilevanza invece il ricorrente sostanzialmente vorrebbe negare in maniera assertiva.
È stata difatti esclusa nella specie l'interruzione del nesso eziologico anche in considerazione del rischio in concreto determinatosi in ragione della concreta attività svolta e delle condizioni di contesto della relativa esecuzione, consistente proprio nel lavaggio dei finestroni del corridoio nel corso del quale il lavoratore si è determinato a recuperare l'utensile, quanto in considerazione dei presidi di sicurezza non attuati in un contesto caratterizzato dalla sostanziale prassi lavorativa di accedere al solaio al fine di recuperare strumenti da lavoro ivi caduti ovvero per eseguire, dall'esterno, il lavaggio di alcuni finestroni.

5. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso congiunto consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186).
Segue altresì la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile INAIL, per questo giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge, e non anche in favore delle altre parti civili resistenti (Omissis), non avendo le relative conclusioni depositate nel loro interesse, in forza dell'estrema genericità, fornito alcun contributo utile alla dialettica processuale diretto a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile (sul punto si vedano, con riferimento a fattispecie sostanzialmente sovrapponibile alla presente, Sez. 4, n. 41343 del 15/09/2022, Nardelli, non massimata, oltre che: Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 3, n. 27978 del 24/03/2021, G., Rv. 281713; Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, Tamborrino, Rv. 278834; Sez. 5, n. 30743 del 26/03/2019, Loconsole Rv. 277152; Sez. U, n. 5466 del 28/01/04, Gallo, Rv. 226716; si vedano altresì, sempre con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità ma dal Ministero resistente in materia di riparazione per ingiusta detenzione, Sez. 15/09/2022, n. 41351, Budrini, non massimata, e Sez. 4, n. 41352 del 15/09/2022, Pepe, non massimata; nonché, con argomentazioni che, mutatis mutandis, rilevano anche nella presente fattispecie, Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, RV. 222264).




P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna altresì i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile INAIL, per questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge. Nulla sulle spese per le parti civili Omissis.
Così deciso il 23 novembre 2022