Cassazione Penale, Sez. 4, 05 gennaio 2023, n. 106 - Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: natura della confisca per equivalente ex art. 603-bis c.p..


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA

Data Udienza: 25/10/2022
 





Fatto

 



1. Con provvedimento del 27/4/2022, il Tribunale di Cuneo, decidendo ai sensi dell'art. 322-bis cod. proc. pen. sull'appello proposto da C.R. e dalla "Società Agricola Europoll s.r.l.", in persona del legale rapp.te P.E., avverso le ordinanze emesse dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cuneo in data 31/3/2022 e 12/4/2022, autorizzava la sostituzione dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro preventivo con l'unità immobiliare ad uso residenziale di proprietà di C.R. sita nel Comune di Caraglio, in atti meglio individuata, disponendo lo svincolo dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro preventivo disposto a fini di confisca ai sensi dell'art . 603-bis 2 cod. pen.; rigettava nel resto le richieste degli appellanti di revoca o riduzione del sequestro preventivo in corso.
2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione C.R.. La difesa del ricorrente articola i seguenti motivi di ricorso.
I) Erronea applicazione dell'art. 603-bis cod. pen.; motivazione meramente apparente in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Sulla questione riguardante la sussistenza del fumus del reato, devoluta al Tribunale del riesame con motivo di appello proposto in data 3/4/22, l'ordinanza impugnata ritiene che gli "elementi nuovi" prodotti dalla difesa non abbiano modificato il quadro precedentemente definito, dovendo stimarsi l'illecito arricchimento da parte degli indagati nella misura di euro 250.000, valore superiore a quello originariamente ipotizzato.
Tale argomentazione si fonderebbe su una non corretta interpretazione degli elementi costitutivi del reato contestato, alla luce dell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale fattispecie è caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori che abbia connotati di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione, resi manifesti da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione ad umilianti e degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (Sez.4, n. 49781/19).
Nel caso di specie non si individuerebbero i profili indicati, riguardando la condotta ascritta al ricorrente minime differenze retributive, ascrivibili ad un'erronea qualificazione delle ore di straordinario.
Sul punto, la valutazione del Tribunale del riesame sarebbe meramente apparente.
L'ordinanza impugnata si limita infatti a richiamare, quale dato da prendere in considerazione ai fini della valutazione delle differenze retributive, l'importo complessivo pagato dall'indagato, pari ad euro 250.000, per la regolarizzazione delle posizioni di tutti i lavoratori presenti in azienda con riferimento al periodo gennaio 2017-novembre 2021.
Tale somma non può costituire ex se indice di sfruttamento dei lavoratori, posto che essa indica un dato complessivo, che si riferisce alle differenze retributive e contributive riscontrate in riferimento a tutti i lavoratori dell'azienda (e non solo alle 14 persone offese), per un lungo periodo di tempo, da gennaio 2017 a novembre 2021.
Il dato da prendere in considerazione ai fini dell'accertamento del reato è la differenza retributiva e contributiva concernente i singoli lavoratori per ciascun anno di lavoro. Deve essere considerata e valorizzata la relazione dell'Amministratore giudiziario, il quale riferisce della regolarità contrattuale e retributiva di tutti i dipendenti, con l'unica eccezione delle ore di straordinario pagate come premi.
L'errore in cui incorre il Tribunale del riesame è evidente e conduce ad una non corretta applicazione della fattispecie in contestazione: si valorizza, ai fini dell'accertamento della condizione di sfruttamento dei lavoratori, l'illecito arricchimento (complessivo) dell'indagato e non, come sarebbe corretto, il pregiudizio singolarmente patito dai lavoratori.
Come emerge dalla documentazione allegata alle istanze di revoca ovvero riduzione del sequestro presentate al G.i.p. competente il 30/3/22 e l'8/4/22, l'importo lordo della differenza retributiva comprensiva della maggiorazione per le ore di straordinario è risultato, in media, pari a circa euro 3.000 annui per ciascun lavoratore.
La corretta valorizzazione di tale elemento probatorio conduce, contrariamente alla valutazione espressa dall'ordinanza impugnata, a ritenere non sussistente, allo stato, la condotta di reato contestata.
II) Erronea applicazione dell'art. 603-bis 2 cod. pen. in ordine alla determinazione del quantum confiscabile Il Tribunale del riesame quantifica il profitto del reato - originariamente indicato in "non meno di 110.00 euro" - in euro 250.000, ritenendo tale somma "pari alle differenze retributive a suo tempo non corrisposte, ma riconosciute come dovute dagli stessi appellanti, e quindi all'illecito arricchimento del datore dì lavoro" (pag. 9 ordinanza impugnata).
Conseguentemente, afferma il Tribunale, «allo stato delle indagini vi è, pertanto, corrispondenza tra il "profitto" del reato ipotizzato e il valore dei beni mobili registrati sottoposti a vincolo (euro 254.800,00, stando al prezzo "storico" di acquisto, risultante dal P.R.A.)» (pag. 9 ordinanza impugnata)
L'ordinanza impugnata ritiene irrilevante, ai fini del mantenimento del sequestro, l'intervenuto pagamento da parte dell'azienda, dopo l'esecuzione del sequestro preventivo, delle differenze retributive spettanti ai lavoratori che si presume essere stati sfruttati, per un totale di euro 250.000.
Tale argomentazione, del tutto infondata, renderebbe manifesta la violazione dell'art. 603-bis 2 cod. pen. e dei presupposti di applicabilità della confisca obbligatoria del profitto del reato nella forma per equivalente.
La confisca del profitto del reato ed il sequestro preventivo a questa finalizzato, secondo orientamento consolidato in sede di legittimità, «non può complessivamente eccedere nel "quantum" l'ammontare del profitto complessivo, non potendo avere un ambito più ampio di quello della successiva confisca» (Sez. 5, n. 19091/20).
In ogni fase procedimentale occorre pertanto "verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario: il sequestro non può, infatti, riguardare beni di valore eccedente il profitto del reato" (Sez. IV, 16/12/2015, n. 4567/15; Sez. 3, n. 39091/13).
In altri termini, in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, si impone l'esatto accertamento, allo stato degli atti, del profitto confiscabile (Sez. 3, n. 26450/16).
Ai fini della determinazione del profitto confiscabile non può prescindersi dal considerare i pagamenti e le restituzioni eventualmente operate dall'indagato nelle more del procedimento, tali da elidere o ridurre il profitto confiscabile.
Doveva essere considerato che la "Società Europoll s.r.l." ha provveduto a corrispondere a tutti i dipendenti le differenze retributive e contributive per complessivi € 250.000.
La giurisprudenza di legittimità con orientamento consolidato si è espressa nel senso di ritenere che, in tali casi, il sequestro debba necessariamente ridursi della parte corrispondente al profitto del reato restituito nelle more del procedimento, in quanto, evidentemente, la confisca, cui è finalizzata la misura cautelare, non potrebbe operare per la parte di profitto restituita "altrimenti determinandosi un'inammissibile duplicazione sanzionatoria" (Sez. 3, n. n. 8564/21)
Ciò è stato affermato in materia di reati tributari con riferimento al pagamento del debito tributario, anche parziale, ovvero alla riduzione di tale importo da patte dell' Amministrazione fiscale (ex multis, Sez. 3 n. 25992/21), ma anche in materia di riciclaggio.
Ne consegue che nessun pregio può riconoscersi all'argomento utilizzato dal Tribunale del riesame, secondo cui "tale principio deve, invero, ritenersi valido solo in materia di reati tributari, in cui viene in considerazione esclusivamente l'interesse dell'Amministrazione finanziaria, e non anche nel caso in esame in cui sono implicati gli interessi dei lavoratori, quelli degli enti previdenziali, assistenziali ed assicurativi e in generale l'interesse dello Stato alla correttezza del mercato del lavoro all'osservanza della normativa giuslavoristica" (pag. 10 dell'ordinanza impugnata).
Il Tribunale, come già l'ordinanza impugnata, equivocano sul concetto sanzionatorio della confisca per equivalente, equiparandola a tutti gli effetti ad una sanzione da aggiungersi alla pena edittale, prescindendo dalla restituzione del profitto.
In nessun caso la natura (quantomeno parzialmente) sanzionatoria può valere a elidere il necessario nesso intercorrente tra misura ablativa e profitto del reato, come invece erroneamente argomenta il Tribunale del riesame.
Ciò in quanto, come è stato recentemente ribadito in sede di legittimità, "al di là delle etichettature [ ..] emerge con chiarezza la funzione ripristinatoria della confisca di valore, che si risolve nell'apprensione di beni che non hanno alcun legame né immediato né pertinenziale con l'illecito, e che ha lo specifico fine di eliminare in capo all'autore del reato il valore corrispondente al profitto o al prezzo dell'illecito" (Sez. 2, n. 19645/21). In altri termini, dunque, non è consentito equiparare la misura «né alla sanzione principale, in quanto è assente la funzione repressiva tipica della pena, né alle sanzioni accessorie, non essendo riconoscibile la tipica funzione preventiva di tali sanzioni satellite. Si tratta infatti di misura "rigida" in quanto il quantum da confiscare non è sottoposto a valutazioni discrezionali, ma dipende solo dall'accertamento del profitto e del prezzo del reato» (Sez. 2, n. 19645/2021, cit.).
3. Motivazione meramente apparente in ordine al periculum in mora. Con pronuncia n. 36959 del 24/6/21 le Sezioni Unite hanno ritenuto che il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, cod.proc. pen. finalizzato alla confisca, sia questa facoltativa ovvero obbligatoria, debba contenere una concisa motivazione anche sul periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio.
L'ordinanza impugnata recherebbe una motivazione sul punto meramente apparente e, pertanto, redatta in violazione di legge.
3. Il P.G., con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

La difesa ha depositato, nei termini, apposita memoria, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso.





Diritto






1. Il ricorso deve essere parzialmente accolto nei termini di seguito precisati.
2. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda che occupa occorre fare una breve premessa sugli sviluppi processuali che hanno connotato l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo a carico del ricorrente.
In data 26/11/2021 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cuneo disponeva, nell'ambito del procedimento a carico di C.R., indagato in concorso con altri dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 603-bis, commi 1, nn. 1) e 2), 2 e 4, nn. 1) e 3), cod. pen., il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ai sensi dell'art. 603-bis 2 cod.pen., di numero 16 veicoli a motore intestati a C.R. e quattro autovetture intestate alla "Società Agricola Europol S.1·.I.", per un valore complessivo pari ad euro 254.800, stando al prezzo di acquisto.
Il profitto dell'ipotizzato reato era determinato, nella contestazione provvisoria, in "non meno di 110.000 euro".
In data 13 gennaio 2022, il C.R. avanzava istanza di dissequestro dei beni mobili registrati e di contestuale sottoposizione a vincolo di un bene immobile sito in Caraglio, del valore stimato di euro 145.600,00.
Detta istanza era respinta con provvedimento del 15/1/2022.
Con successiva richiesta depositata il 14/2/2022 il ricorrente chiedeva la sostituzione del sequestro sui veicoli con il vincolo sulla somma di euro 100 .00, 00, somma che la società avrebbe messo a disposizione con versamento su un libretto postale.
Anche detta istanza era respinta dal G.i.p., il quale, nell'ordinanza emessa il 16/2/2022, osservava come "il dissequestro dei beni sia possibile soltanto in cambio di utilità di equivalente valore".
Avverso tale ordinanza il C.R. e la "SOCIETA' AGRICOLA EUROPOLL S.R.L." proponevano appello innanzi al Tribunale del riesame in data 22/2/2022.
Il gravame era rigettato con provvedimento del 16/ 17 marzo 2022 sul rilievo dell'inammissibilità dei motivi, fondati su istanze non proposte avanti al Giudice a quo e sul rilievo che la somma offerta in sostituzione dei beni mobili registrati in sequestro era inferiore al valore complessivo di questi ultimi.
Il G.i.p. presso il Tribunale di Cuneo era investito da due ulteriori istanze provenienti dal C.R. - che provvedeva a rigettare con ordinanze del 30 marzo 2022 e del 12 aprile 2022 - afferenti ad una richiesta di revoca o riduzione del sequestro preventivo o, in subordine, alla sostituzione dei beni mobili registrati sottoposti a vincolo con l'unità immobiliare di cui si è detto sopra.
In seguito ad impugnazione dei due provvedimenti di rigetto da ultimo citati, il Tribunale del riesame, dopo avere riunito i procedimenti, in parziale accoglimento della domanda dell'appellante, disponeva, con la ordinanza per cui pende ricorso per cassazione, la sostituzione dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro preventivo con l'unità immobiliare ad uso residenziale di proprietà dell'indagato C.R., sita nel Comune di Caraglio, del valore di mercato attuale di euro 250.000.
3. Tutto ciò premesso, venendo al merito delle doglianze si osserva quanto segue.
Il primo motivo di ricorso, riguardante la ricorrenza del fumus commissi delcti in relazione alla fattispecie in esame, è infondato.
Il Tribunale ha osservato che il ricorrente non ha mai impugnato il decreto di sequestro preventivo con riferimento al fumus commissi delicti; pertanto, essendo rimasto incontestato alla data dell'esecuzione del sequestro, avvenuto in data 27/12/2022, il suddetto profilo, spettava al Tribunale verificare soltanto la permanenza di tale requisito nel periodo successivo e l'eventuale esistenza di elementi nuovi suscettibili di incidere su tale profilo. Ciò risponde ai principi stabiliti in questa sede (cfr. Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, Rv. 265555 - 01:"In tema di c.d. giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame concerne solo le questioni esplicitamente o implicitamente trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte; pertanto, detta preclusione opera allo stato degli atti, ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito").
L'analisi degli elementi nuovi, emersi medio tempore nella vicenda che occupa, ha indotto il Tribunale a ritenere, con argomentazioni logiche, che il quadro indiziario di riferimento fosse rimasto immutato con riferimento al fumus commissi delicti. Si è invero evidenziato come l'audizione delle persone offese in incidente probatorio avesse confermato la prestazione da parte dei dipendenti di un numero elevato di ore di straordinario, soltanto in parte retribuite in busta paga sotto la voce "premio". Si è ulteriormente posto in rilievo l'intervenuto pagamento, da parte del datore di lavoro, delle ore di lavoro straordinario prestate dai dipendenti, illo tempore non corrisposte, per un ammontare di euro 250.000 ed il deposito, in data 9 marzo 2022, della relazione redatta dal consulente del lavoro Claudio B., nominato dall'Amministratore giudiziario.
Quanto agli ulteriori elementi che connotano la fattispecie, il Tribunale ha posto in evidenza il fatto che gli indagati, come emerge dal contenuto di conversazioni intercettate nel corso delle indagini, avessero più volte minacciato i dipendenti, imponendo loro di adeguarsi al sistema instauratosi in azienda, così inducendo uno stato di soggezione e sudditanza.
Ciò è sufficiente, alla stregua di quanto compete in questa sede, per ritenere l'astratta ricorrenza della fattispecie ipotizzata, dovendo peraltro osservarsi come, ai fini dell'integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non deve essere inteso come una condizione di necessità tale da annientare in modo assoluto la libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitc1re la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose (Sez. 4 n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport, Rv. 281405).
In relazione al profilo del fumus, il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante. Sebbene la più recente giurisprudenza di legittimità sottolinei che il giudice non possa limitarsi a prendere semplicemente atto dell'astratta configurabilità della fat:tispecie di reato ipotizzata, è sufficiente, in questo ambito, che siano richiamate le risultanze processuali che rendano sostenibile l'imputazione, senza tuttavia che questo si traduca in un vaglio circa la specifica fondatezza dell'accusa.
Tali criteri sono stati soddisfatti in motivazione, avendo il Tribunale evidenziato, attraverso il richiamo alle risultanze in atti, la ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi atti alla configurazione del reato per cui si procede, peraltro ampiamente argomentati anche nell'originario provvedimento di sequestro.
La difesa, dal canto suo, reitera sul punto questioni già adeguatamente vagliate dal Tribunale del riesame, non suscettibili di rivelare aspetti di criticità nel ragionamento portato dai giudici di merito.
E' il caso di rammentare come, in tema di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge.
In tale nozione si devono ricomprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U, n.25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 - 01).
4. Merita, invece, approfondimento la questione riguardante il quantum del profitto determinato in motivazione, oggetto del secondo motivo di ricorso.
In proposito, il Tribunale del riesame ha affermato, sulla base degli elementi in suo possesso, in particolare alla luce della circostanza dell'avvenuto pagamento da parte del legale rappresentante dell'azienda, che l'ammontare delle differenze retributive dovute ai dipendenti, inizialmente stimate in "non meno di 110.000 euro" nella imputazione, si attesti intorno ad euro 250.000. Tale importo, si precisa in motivazione, sarebbe suscettibile di "ritocchi verso l'alto all'esito degli accertamenti ancora in corso da parte dell 'Ispettorato del Lavoro".
Ha quindi preso atto dell'intervenuta restituzione di una somma di pari importo in favore dei dipendenti, evidenziando, a pag. 10 dell'ordinanza, che " l'unico elemento di novità è rappresentato dall'intervenuto pagamento da parte della ditta, dopo l'esecuzione del decreto di sequestro preventivo, delle differenze retributive spettanti ai lavoratori che si presume essere stati sfruttati ".
In altro passaggio motivazionale, ha affermato che tale pagamento riguarda le "maggiorazioni per le ore di lavoro straordinarie prestate dai dipendenti qualificati come persone offese e dai restanti lavoratori interessati" (così pag. 8 della motivazione).
La motivazione sulla quantificazione del profitto locupletato dal datore di lavoro, stimata nella imputazione in "non meno di euro 110.000 euro" e portata dal Tribunale a 250.000 euro, si appalesa inadeguata.
Occorre sul punto svolgere le seguenti osservazioni.
Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, che invoca orientamenti che trovano applicazione in tema di reati tributari, non estensibili al caso in esame, il pagamento di tali somme non incide sul profitto confiscabile, elidendone la ragione d'essere.
In proposito deve essere qui ribadita la natura sanzionatoria della misura della confisca, ricavabile dal testo stesso della norma, che stabilisce un vincolo sui beni dell'indagato ove non sia possibile la confisca diretta.
Il tenore dell'art. 603-bis 2 cod. pen. impone, obbligatoriamente, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dall' articolo 603-bis, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, stabilendo che, ove ciò non risulti possibile, è disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prodotto, al prezzo o al profitto del reato. In ogni caso, la norma fa salvo il diritto delle persone offese a ottenere le restituzioni ed il risarcimento del danno.
La norma, dunque, prevede la confisca delle cose che servirono a commettere il reato e di quelle che ne costituiscono il prezzo, il prodotto ed il profitto; in aggiunta stabilisce espressamente la salvaguardia dei diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni ed al risarcimento.
Alla luce di tale interpretazione, discendente dal dato testuale della formulazione della norma, le somme erogate motu proprio dal ricorrente ai dipendenti devono intendersi avvenute a titolo di restituzione.
La circostanza, diversamente da quanto sostiene la difesa, lascia impregiudicata la necessità di provvedere al sequestro, a fini di confisca, delle cose che servirono a commettere il reato, di quelle che ne costituiscono il profitto, il prezzo e il prodotto o, in mancanza, dei beni nella disponibilità del ricorrente per un valore corrispondente.
Tutto ciò risponde all'intento del legislatore di reprimere più gravemente il fenomeno criminale sotteso alla fattispecie di cui si tratta, garantendo la ragione dello Stato e lasciando impregiudicato il diritto della persona offesa dal reato ad ottenere la restituzione di quanto dovuto, da determinarsi secondo normali criteri che attengono alla materia giuslavoristica, in aggiunta al risarcimento del danno.
Bisogna quindi tenere distinto l'aspetto delle restituzioni e del risarcimento da quello riguardante la confisca del profitto, la cui individuazione serve a comprendere ampiezza e limiti del sequestro preventivo, strumento attraverso il quale si assicura la confisca.
La determinazione della nozione di «profitto» confiscabile rappresenta un profilo che ha registrato non poche divergenze nella giurisprudenza di legittimità che si è occupata della sua definizione. E' sufficiente qui ricordare come, in base alla definizione ricavabile dal prevalente orientamento, il « profitto del reato » deve essere identificato con un «beneficio aggiunto di tipo patrimoniale», «pertinente al reato» secondo un rapporto «causa-effetto», nel senso che il profitto deve essere «una conseguenza economica immediata ricavata dal fatto di reato» (sulla nozione di profitto si vedano in motivazione Sez. U, n. 29951 del 24 maggio 2004, Curatela Fall. in proc. p. Focarelli; Sez. U, n. 266542 luglio 2008, Bonelli, dove si legge che il profitto del reato è "utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa"; Sez. U, n. 31617 del 26 giugno 2015, Lucci, Rv. 264436, così massimata:"II profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito").
Sulla base di tali principi può affermarsi che il profitto del reato non corrisponda soltanto alle differenze retributive non riconosciute ai lavoratori, ma sia una nozione più ampia, nella quale deve ricomprendersi ogni arricchimento o utilità patrimoniale conseguiti dall'indagato, che si pongano in rapporto di immediata e diretta derivazione causale con la condotta illecita contestata.
5. Ciò premesso, è indubbio che le somme non corrisposte ai lavoratori, che abbiano effettuato prestazioni lavorative in più, in condizioni di sfruttamento, debbano essere considerate ai fini della determinazione del profitto.
Nel presente caso, tuttavia, la contestazione aveva riguardato un certo numero di dipendenti ed il profitto era stato determinato in "non meno di 110.000 euro".
Il Tribunale, nel riconoscere che le somme corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti - pari ad euro 250.000 circa - sono da ritenersi "profitto" del reato, non ha chiarito come l'importo in più determinato, notevolmente superiore a quello indicato nella imputazione, si rapporti alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, elemento che connota il reato.
Soprattutto è insoddisfacente il passaggio motivazionale nel quale il Tribunale afferma come tali somme corrispondano ad ore di lavoro prestate non solo dalle persone offese, con ciò evidentemente riferendosi a quelle individuate nella imputazione, ma anche "dai restanti lavoratori interessati". Tale ultima espressione, infatti, non permette di comprendere se il Tribunale abbia inteso riferirsi ad ulteriori lavoratori sottopagati per i quali sia ipotizzabile la condizione di sfruttamento.
In conclusione, a fronte di una contestazione che riguarda un profitto stimato in "non meno di 110.000 euro", il Tribunale ha incrementato notevolmente la consistenza di tale importo, dando rilievo unicamente alle somme corrisposte dal datore di lavoro, senza tuttavia giustificare l'incremento sulla base del rapporto di derivazione causale dal reato e facendo vaghi riferimenti ai lavoratori "interessati".
I rilievi difensivi sul rispetto del principio di proporzionalità e sul periculum in mora sono assorbiti dalla decisione sul punto che ha formato oggetto di annullamento.
6. In ragione di quanto precede deve annullarsi l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Cuneo.
 




P.Q.M.
 



Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Cuneo.
Così deciso il 25 ottobre 2022