Cassazione Penale, Sez. 4, 20 gennaio 2023, n. 2308 - Mancanza di adeguato sistema di segnalazione della parete vetrata posta all'ingresso dell'esercizio commerciale


 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: RICCI ANNA LUISA ANGELA
Data Udienza: 16/12/2022
 

 

Fatto
 



1. La Corte d'Appello di Milano in data 16 febbraio 2022 ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano di condanna di M.B.C. alla pena di mesi uno di reclusione (con il beneficio della sospensione condizionale) in ordine al delitto cui all'art. 590 cod. pen. in relazione all'art. 63 all. IV punto 1.3.6 del D.Lvo 9 aprile 2008 n. 81 commesso in Milano il 12 settembre 2014.
Il processo ha ad oggetto un infortunio descritto nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. C.P., uscendo dal negozio "Shawn di M.B.C. snc" gestito dall'imputata, aveva impattato con il volto sulla parte chiusa delle vetrina sulla quale non vi era indicazione alcuna della presenza del vetro, ed aveva così riportato la frattura del setto nasale.
All'imputata sono stati contestati, quali addebiti di colpa, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione della normativa di prevenzione infortuni sul lavoro, per aver omesso di attuare un adeguato sistema di segnalazione della parete vetrata posta all'ingresso dell'esercizio commerciale.
2. L'imputata ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha osservato essere maturato il termine massimo di prescrizione pari ad anni 7 e mesi 6.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell'art. 546 cod. proc. pen. per avere la Corte di Appello motivato per relationem in ordine ai profili evidenziati con l'impugnazione. Il difensore lamenta che la Corte di Appello avrebbe operato un mero richiamo ai passaggi della sentenza di primo grado e non avrebbe adeguatamente replicato:
- al rilievo per cui era anomalo che nessuno si fosse accorto dell'incidente e che la persona offesa non si fosse immediatamente rivolta alla proprietaria del negozio;
-al rilievo per cui nel referto del Pronto Soccorso nella modalità lesiva era stata sbarrata la voce "altro".
2.3. Con il terzo motivo ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta plausibilità della ricostruzione della parte civile. Secondo il ricorrente la Corte non aveva spiegato come avesse potuto l'imputata non accorgersi dell'incidente e più in generale non aveva adeguatamente motivato in merito alla credibilità della versione della parte civile e della teste L.. Inoltre il difensore rileva che il Servizio Prevenzione della Asl nel corso del sopralluogo effettuato il 16 giugno 2015 non aveva riscontrato irregolarità, ovvero la violazione dell'art. 63 del d.Lgs 81/2008 e che l'affermazione della Corte di Appello per cui la vetrina il giorno dell'infortunio non era protetta dall'interno e quindi segnalata con tavolino e manichini non teneva conto delle dichiarazioni dei testi della difesa (B. e F.).
2.4. Con il quarto motivo ha dedotto la violazione di legge ed in particolare dell'art. 133 cod. pen. in relazione al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il difensore lamenta che la Corte nella individuazione della pena non avrebbe tenuto in debito conto tutti i parametri indicati nell'art. 133 cod. pen. e avrebbe negato, senza adeguata motivazione le circostanze di cui all'art. 62 bis cod. pen.

3. Il procuratore generale nella persona del sostituto Pasquale Serrao D'Aquino ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

4. In data 30 novembre 2022 la difesa dell'imputata ha depositato memoria con cui ha insistito per accoglimento motivi ricorso, eccependo in via preliminare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

5. In data 5 dicembre 2022 il difenso1·e della parte civile ha depositato conclusioni con cui ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità.

 

Diritto




1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo con cui si eccepisce l'intervenuta prescrizione è manifestamente infondato. Alla data della sentenza di secondo grado, 16 febbraio 2022, il termine massimo di prescrizione pari ad anni 7 e mesi 6 decorrenti dal 12 settembre 2014 non era ancora spirato.
Non può che richiamarsi il principio per cui può condurre alla dichiarazione di prescrizione, anche d'ufficio ai sensi dell'art. 609, comma 2, cod. proc. pen, solo il ricorso idoneo a instaurare un valido rapporto di impugnazione, vale a dire non affetto da inammissibilità (Sez. U n. 21 del 11 novembre 1994, dep.11 febbraio 1995, Cresci; Sez. U n. 11493 del 3 novembre 1998, Verga; Sez. U n. 23428 del 22 giugno 2005, Bracale; Sez U n. 12602 del 17.12.2015, dep. 25.3.2016, Ricci). La declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza degli ulteriori motivi, su cui ci si soffermerà infra, preclude la dichiarazione della prescrizione maturata successivamente alla sentenza di appello.

3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati.
3.1 Al fine di meglio perimetrare i confini del giudizio di legittimità devono essere ribaditi alcuni principi che rilevano in relazione alle doglianze oggetto del ricorso.
3.2. Nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218). Quanto alla natura del ricorso in cassazione, si è affermato che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo e altri Rv. 254584). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 261:i482).
3.3. L'obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari può ritenersi assolto "per relationem", mediante il mero rinvio ad altri atti del procedimento, quando questi abbiano un contenuto essenzialmente descrittivo o ricostruttivo della realtà oggetto di condivisione ma non anche quando si faccia rinvio a documenti complessi e contenenti aspetti valutativi, soprattutto se la decisione riformi o modifichi precedenti decisioni assunte dallo stesso organo o da altro organo giudiziario (Sez. 5 n. 24460 del 08/02/2019, Foffo, Rv. 276770; Sez. 6, n. 46080 del 29/10/2015, Talbi Nejib, Rv. 265338). Più nel dettaglio si è sostenuto che la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare,. sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (Sez. 6 n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839).
3.4. Ciò premesso il secondo ed il terzo motivo, inerenti il difetto di motivazione della sentenza della Corte di Appello in ordine alla affermazione della penale responsabilità, sia in relazione all'utilizzo della tecnica della motivazione per relationem, sia in relazione alla omessa autonoma considerazione delle censure fatte valere con l'atto di impugnazione, sono manifestamente infondati.
3.5. La Corte di Appello in conformità ai principi sopra richiamati ha operato un richiamo alle argomentazioni svolte dal primo giudice in ordine alla ricostruzione del fatto, ma ha poi preso in esame le singole doglianze replicando ad ognuna di esse con motivazione congrua, coerente con i dati di fatto riportati e non illogica. La Corte ha, infatti, rilevato che:
- l'attendibilità della parte civile non poteva essere revocata in dubbio, in quanto la sua deposizione era stata riscontrata dalla teste L.;
- il comportamento della parte civile dopo l'incidente, lungi dal poter essere considerato anomalo, valeva semmai a confermare la sua versione: la donna, non appena aveva avvertito dolore, si era recata ala Pronto Soccorso ove le era stata diagnosticata la frattura scomposta dell'osso nasale destro e quattro giorni dopo il fatto aveva inviato una raccomandata A.R. all'indirizzo dell'esercizio commerciale con descrizione dell'infortunio e richiesta di conoscere il nominativo della compagnia di assicurazioni. Il fatto che nel referto del Pronto Soccorso fosse stata sbarrata la casella "altro" a proposito della indicazione della modalità lesiva si spiegava con l'assenza, fra le tipologie di cause predeterminate nel programma informatico di compilazione del referto, della causa specifica verificatasi;
- la tesi per cui C.P. e L. si fossero accordate per addossare all'imputata, che nemmeno conoscevano, la responsabilità di un incidente avvenuto altrove, oltre che priva di riscontri, era inverosimile;
- il mancato riconoscimento da parte della persona offesa di M.B.C. come persona presente in negozio quel giorno poteva essere spiegato con il fatto che l'imputata era effettivamente assente e si fosse fatta sostituire da qualcuno; nessun rilievo poteva essere attribuito all'accertamento per cui B. non aveva commesse alle sue dipendenze, giacché poteva essersi trattato di una sostituzione momentanea.
- le fotografie in atti valevano a dimostrare che davanti alla vetrina non vi erano né tavolino, né manichino che impedissero ai clienti di urtare contro il vetro nell'uscita, mentre il sopralluogo della Asl era stato effettuato per verificare, a distanza di nove mesi rispetto ai fatti, l'adempimento della prescrizione impartita a seguito dell'infortunio e i testi a difesa, una delle quali non indifferente in quanto sorella dell'imputata, si erano limitate a riferire la situazione da loro di solito percepita e non anche quella effettiva del giorno dell'incidente.
3.6. La Corte di appello, dunque, si è soffermata su ogni singola censura mossa con l'atto di impugnazione e con argomentazione esaustiva e logica l'ha disattesa nel modo indicato. Di contro, la ricorrente ha riproposto gli stessi motivi già dedotti, senza confrontarsi con il percorso argomentativo del giudice di appello e ha sollecitato la Corte di legittimità ad una inammissibile lettura alternativa del compendio probatorio.
4. Il quarto motivo con cui si censura la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. o richiama alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).
Così pure, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decsivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell'll/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691). Peraltro il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
La Corte di Appello ha fatto buon governo di tali principi ed ha ritenuto che la pena di un mese di reclusione fosse addirittura troppo mite, se rapportata al grado della colpa e all'assenza di segnali di resipiscenza, e che non fossero riconoscibili le circostanze attenuanti generiche, in assenza di elementi da valorizzare ai fini di una ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio, al di là della mera incensuratezza, per espresso dettato normativo insufficiente.

6. Alla dichiarazioni di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché la condanna alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile C.P. che appare congruo liquidare in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile C.P.che liquida in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.