- Datore di Lavoro
- Infortunio sul Lavoro
- Lavoratore
Responsabilità del titolare dell'impresa edile E., della morte di B.A., caduto dalla copertura dello stabilimento dell'impresa Z. & F., ove si era recato per la posa di onduline trasparenti a circa otto metri di altezza.
Ricorso in Cassazione - Respinto.
La Corte afferma che: "la sentenza di condanna si fonda sull'accertamento in fatto (compiutamente e logicamente motivato) secondo il quale al momento dell'infortunio il lavoratore era senza cintura di sicurezza e secondo il quale, al di là del presidio personale non erano stati apprestati nè sottopalchi (anche mobili) di sicurezza, ne passatoie per la distribuzione del peso corporeo del lavoratore sopra il tetto, nè altri presidi sistemici. La motivazione analizza attentamente la localizzazione del punto di sfondamento, la localizzazione della diversa giacitura della cintura sganciata, il senso dei percorsi di lavoro e dei percorsi di fatto tracciati, il significato delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato, sicchè il procedimento cognitivo del giudice di merito è esente da congetture, incoerenze, paralogismi e costituisce una compiuta ricostruzione della vicenda di fatto in nessun modo replicabile dal giudice di legittimità. La sentenza afferma che se fossero stati predisposti ponteggi di sicurezza sottostanti ai punti di lavoro, l'evento mortale non si sarebbe verificato con ciò rendendo evidente che l'eventuale osservanza delle menzionate cautele antinfortunistiche avrebbe impedito il verificarsi dell'infortunio mortale."
E ancora: "Sulle caratteristiche del controllo che il datore di lavoro è tenuto ad esercitare, basta ribadire che si tratta di un ordinario controllo iscritto nei poteri datoriali di cui all'art. 2094 c.c. oltretutto assistito da un congruente potere disciplinare con il relativo apparato di sanzioni che rivestono esse pure carattere dissuasivo e preventivo rispetto a talora prospettati comportamenti abnormi dei lavoratori. "
La posizione di garanzia del datore di lavoro costruita attraverso le previsioni degli artt. 2094 e 2087 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 9, D.P.R. 19 marzo 1956, n. 302, tutti in combinato con l'art. 589 c.p., "non è cancellata o limitata dalla previsione di altre obbligazioni di sicurezza variamente poste a carico di altri protagonisti o comprimari della vicenda produttiva e dei rapporti che intorno ad essa a vario titolo ruotano."
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
Dott. ZECCA Gaetanino - rel. Consigliere
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) L.S. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2322/2005 CORTE APPELLO di TORINO, del 12/10/2007;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/12/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ZECCA Gaetanino;
Letti gli atti;
Sentito il Procuratore Generale Dott. S.G. che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Sentita, per la parte civile, l'Avvocato Moretti Sandra che si riporta alle sue conclusioni e alla nota spese;
Sentito per il ricorrente l'Avvocato Merluzzi Fabrizio che insiste per l'accoglimento del ricorso.
La Corte di Appello di Torino con sua sentenza del 12/10/2007, pronunziando su appello del Procuratore della Repubblica e della parte civile, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado ha ritenuto L.S. responsabile del delitto di omicidio colposo aggravato a lui addebitato ed esclusa la contestata recidiva per il delitto colposo addebitato, lo ha condannato alla pena di mesi sette di reclusione nonchè alla rifusione dei danni cagionati dal reato da liquidarsi in separato giudizio salva una provvisionale di Euro 100.000,00 e le spese di giudizio.
Il L. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza appena sopra menzionata e ne ha domandato l'annullamento.
Il ricorso è stato deciso all'udienza pubblica del giorno 23/12/2009 dopo il compimento degli incombenti previsti dal codice di rito.
Il provvedimento impugnato ha ritenuto il L. responsabile del reato a lui addebitato.
Secondo il capo di imputazione il L. era stato chiamato a rispondere nella sua qualità di titolare dell'impresa edile E., della morte di B.A., caduto dalla copertura dello stabilimento dell'impresa Z. & F., ove si era recato per la posa di onduline trasparenti a circa otto metri di altezza. La colpa addebitata era individuata dal capo di imputazione come negligenza, imperizia e imprudenza nonchè violazione di specifiche norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 2087 c.c., D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16 per non aver adottato in lavori ad altezza superiore ai due metri adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali atti a eliminare i pericoli di caduta; D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70 per aver disposto o quantomeno permesso che il dipendente eseguisse lavori su un tetto senza previo accertamento della tenuta di quel tetto rispetto al peso corporeo dell'operaio; D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10 per aver disposto o quantomeno permesso lo svolgimento di lavoro su un tetto in assenza di idonee cinture di sicurezza.
L'imputato L. propone ricorso per cassazione contro la sentenza di condanna e denunzia:
1) erronea applicazione dell'art. 40 c.p. e art. 192 c.p.p. avendo ignorato la sentenza la inesigibilità del controllo datoriale su comportamenti abnormi del lavoratore e avendo la motivazione censurata dato spazio ad una sorta di responsabilità oggettiva in punto di colpe specifiche addebitate. La motivazione impugnata avrebbe ancora dato spazio ad una obbligazione di controllo continuo e costante incompatibile con la capacità e la libertà di un lavoratore adulto anch'egli responsabile della sua sicurezza dopo il 1994.
Il ricorso ritiene errata l'applicazione del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 10 e 70 per avere la sentenza impugnata ritenuto necessaria la esistenza di ponteggi e impalcati di protezione al di sotto del tetto e oppone una distinzione tra lavori all'esterno e al di sotto del tetto che escluderebbe la necessità di impalcati e ponteggi per il caso di lavori sopra il tetto.
La valutazione delle prove sarebbe errata perchè costituita dalla valutazione di tre fotografie che sovvertirebbero il rapporto tra apprestamenti di sicurezza nel luogo di lavoro e assenza di apprestamenti nel luogo di precipitazione (indicato in ricorso come diverso dal luogo di lavoro).
Ogni obbligazione di sicurezza sarebbe stata assolta con la dotazione di cinture di sicurezza e di tavole.
La motivazione avrebbe sostituito con sue congetture e argomenti meramente ipotetici la rappresentazione oggettiva dei fatti in punto di visibilità del lavoratore, in punto di effettivo utilizzo della cintura di sicurezza, in punto di inesistenza di presidi per la sicurezza del luogo di lavoro.
In linea di principio la distinzione tra lavori sopra il tetto e sotto il tetto non è da sola idonea a determinare quali presidi siano necessari posto che in ogni caso di possibile precipitazione per inesistenza di solai sottotetto a distanza dalla copertura non superiore a mt. 2 anche i lavori sulla faccia esterna del tetto richiedono ogni cautela antiprecipitazione verso l'interno in una alle cautele perimetrali.
Si aggiunga che la distinzione sopra e sotto il tetto è scorretta perchè ogni intervento sul tetto ne coinvolge la portanza e la idoneità a sostenere pesi, a riparo contro la legge di gravità che sia per i lavori sopra che per i lavori sotto comporta rischio di caduta eguale verso il basso.(D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70).
Prima di procedere all'esecuzione di lavori su lucernari, tetti coperture, e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego, Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire l'incolumità delle persone addette, disponendo a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di cinture di sicurezza. Il perno della tutela del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70 è dato dalla necessità di garantire l'incolumità delle persone e le modulazioni dei mezzi per nulla alternative ma invece cumulative tra loro si misurano invece in rapporto alle diverse tipologie di luogo di intervento lavorativo descritte dalla norma.
Osserva poi, questa Corte che la sentenza di condanna si fonda sull'accertamento in fatto (compiutamente e logicamente motivato) secondo il quale al momento dell'infortunio il lavoratore era senza cintura di sicurezza e secondo il quale, al di là del presidio personale non erano stati apprestati nè sottopalchi (anche mobili) di sicurezza, ne passatoie per la distribuzione del peso corporeo del lavoratore sopra il tetto, nè altri presidi sistemici.
La motivazione analizza attentamente la localizzazione del punto di sfondamento, la localizzazione della diversa giacitura della cintura sganciata, il senso dei percorsi di lavoro e dei percorsi di fatto tracciati, il significato delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato, sicchè il procedimento cognitivo del giudice di merito è esente da congetture, incoerenze, paralogismi e costituisce una compiuta ricostruzione della vicenda di fatto in nessun modo replicabile dal giudice di legittimità.
La sentenza afferma che se fossero stati predisposti ponteggi di sicurezza sottostanti ai punti di lavoro, l'evento mortale non si sarebbe verificato con ciò rendendo evidente che l'eventuale osservanza delle menzionate cautele antinfortunistiche avrebbe impedito il verificarsi dell'infortunio mortale. Il ricorso ipotizza una differenziazione di tutele e di regolazioni sul punto della diversità di presidi per lavori in quota sopra i tetti e per lavori egualmente in quota ma sotto i tetti, ma una cosi fatta diversificazione non ha riscontro alcuno nella lettera della legge, nel sistema di tutela antinfortunistica che privilegia le misure strutturali rispetto ai presidi personali, nella identica unitaria funzione di prevenzione, nella volontà della legge di evitare tutti i rischi di caduta dall'alto.
Il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10, applicabile ratione temporis, detta regole generali per i lavori sui tetti e per i lavori che comunque espongono a cadute dall'alto, il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70 ha riguardo alle cautele e alle verifiche da compiere prima dei lavori sui tetti (all'esterno dei tetti secondo il linguaggio del ricorrente) e contempla la necessità nel caso in cui la superficie di calpestio non abbia resistenza adeguata al peso degli operai che vi lavorano o vi transitano e al peso dei materiali di impiego di utilizzare - seconda dei casi - tavole sopra le orditure, sottopalchi e cinture di sicurezza.
La verifica dell'avvenuto sfondamento costituisce motivazione circa la insufficiente resistenza del tetto a reggere il peso del lavoratore morto per precipitazione conseguente allo sfondamento. Alla omissione dell'impiego di queste misure è dettagliatamente dedicata la motivazione impugnata. In conclusione il D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 10 e 70 sono stati applicati bene a proposito.
Sulle caratteristiche del controllo che il datore di lavoro è tenuto ad esercitare, basta ribadire che si tratta di un ordinario controllo iscritto nei poteri datoriali di cui all'art. 2094 c.c. oltretutto assistito da un congruente potere disciplinare con il relativo apparato di sanzioni che rivestono esse pure carattere dissuasivo e preventivo rispetto a talora prospettati comportamenti abnormi dei lavoratori.
La posizione di garanzia del datore di lavoro costruita attraverso le previsioni degli artt. 2094 e 2087 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 9, D.P.R. 19 marzo 1956, n. 302, art. 77, comma 1 (ndr: ?) applicabile ratione temporis, tutti in combinato con l'art. 589 c.p., non è cancellata o limitata dalla previsione di altre obbligazioni di sicurezza variamente poste a carico di altri protagonisti o comprimari della vicenda produttiva e dei rapporti che intorno ad essa a vario titolo ruotano. La sentenza impugnata ha dunque correttamente applicato l'art. 40 c.p..
La sentenza ha adeguatamente motivato sulla compresenza del datore di lavoro sul luogo dell'infortunio e sul mancato esercizio di un potere di direzione risultante dalle stesse dichiarazioni dell'imputato.
La motivazione impugnata è ben motivata in punto di colpa omissiva specifica, in punto di prova controfattuale, in punto di quantificazione della pena e infine in punto di determinazione della provvisionale.
Il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio dalla parte civile M.T. B. in proprio e quale esercente la potestà dei genitori sui figli minori B.L., B.O., B.J. secondo il dettaglio riportato in dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite e liquida le stesse in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 23 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010