Cassazione Civile, Sez. 6, 02 marzo 2023, n. 6341 - Malattia professionale da esposizione ad amianto e domanda di rendita. Ricorso inammissibile


 

 

Presidente: LEONE MARGHERITA MARIA Relatore: MARCHESE GABRIELLA
Data pubblicazione: 02/03/2023
 

Rilevato che
la Corte d'appello di Palermo ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato, per intervenuta prescrizione, la domanda della odierna ricorrente volta a conseguire la rendita quale coniuge superstite di E.L., deceduto per malattia professionale contratta a seguito di esposizione ad amianto;
per quanto qui maggiormente interessa, la Corte di appello ha attribuito, come già il Tribunale, rilievo a due atti: la domanda amministrativa presentata nel 2005 e il provvedimento di rigetto dell’INAIL del 2006. In base all’interpretazione congiunta di entrambi i documenti, la Corte di merito è giunta alla conclusione che con detta domanda il coniuge superstite avesse richiesto la rendita oggetto di causa. L’esame degli atti consentiva anche l’accertamento della consapevolezza, da parte del familiare superstite, a tale data, del nesso causale tra la patologia di origine professionale del dante causa e la morte, posta a base della statuizione di intervenuta prescrizione dell’azione, proposta con ricorso del 2017;
avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione la ricorrente in epigrafe, con due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’INAIL;
la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380 bis cod.proc.civ., è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.

Considerato che
con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. - è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art.112 T.U. nr.  1124 del 1965, per avere la Corte di appello ritenuto che l’istanza del 2005 fosse diretta ad ottenere la costituzione di una rendita quale familiare superstite del lavoratore deceduto per fatti ricollegabili a una matrice professionale e per avere tratto, in base al medesimo atto, il convincimento di sussistenza della consapevolezza, da parte del congiunto, del nesso di causalità tra la patologia denunciata e la morte del coniuge;
con il secondo motivo - ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Le questioni di cui al primo motivo sono sostanzialmente riproposte in termini di vizio di motivazione;
osserva il Collegio che tutte le censure, anche quelle sub specie di violazione di legge, sono in realtà dirette ad una rivalutazione degli accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito di cui la ricorrente intende fornire una diversa lettura e valutazione;
l'interpretazione della domanda amministrativa del 17.1.2005 e del provvedimento di rigetto da parte dell’INAIL del 20 febbraio 2006
-ai fini della ritenuta riferibilità del secondo alla domanda di costituzione della rendita in qualità di familiare superstite- così come l’accertamento della conseguita consapevolezza, da parte del coniuge superstite, del nesso causale tra la patologia di origine professionale del dante causa e la morte -che è alla base della statuizione di intervenuta prescrizione- costituiscono infatti un apprezzamento (o giudizio) di fatto, censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti del vizio ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. ovvero, ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.(ex aliis, Cass. ord. nr. 10333 del 2018, Cass. nr. 17991 del 2018, Cass. ord. nr. 20718 del 2018) con la specifica denuncia di violazione delle norme di ermeneutica contrattuale;
nella specie, tuttavia, da un lato, la denuncia del vizio ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. è impedita da una pronuncia cd. «doppia conforme», ai sensi e per gli effetti dell’art. 348 ter cod.proc.civ., ratione temporis applicabile, dall’altro, non è chiarito specificamente in che modo e termini l’operata valutazione dei giudici di merito sia in contrasto con le regole di ermeneutica contrattuale, ed in particolare quali siano i precetti interpretativi violati. A tale ultimo riguardo, è anche il caso di osservare che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data dal giudice sia l'unica possibile, o la migliore in astratto (Cass. nr. 569 del 2022), sicché le censure che, come nella specie, si limitano a fornire una diversa lettura dei fatti e degli atti di causa si arrestano ad un rilievo di inammissibilità;
in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma pari all'importo del contributo unificato, ove versato.
 

P.Q.M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.800,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 24 novembre 2022