Cassazione Civile, Sez. Lav., Ordinanza 28 aprile 2023 n. 11248 - Sopravvenuta inidoneità fisica della lavoratrice all'espletamento delle mansioni di fisioterapista. Licenziamento





 


REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE



SEZIONE LAVORO




Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:



Dott. ESPISITO Lucia - Presidente



Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere



Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere



Dott. CASO Francesco Giuseppe - rel. Consigliere



Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere



ha pronunciato la seguente:



ORDINANZA
 




sul ricorso 28709-2018 proposto da:



(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), dai quali è rappresentata e difesa;



- ricorrente -



contro



l'(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'Avv. (OMISSIS), dal quale è rappresentata e difesa;



- controricorrente -



avverso la sentenza n. 870-2018 della Corte di Appello di ROMA, depositata il 28.3.2018, R.G. n. 3448/2016;



udita la relazione della causa svolta nell'adunanza camerale del 12.1.2023 dal Consigliere Dott. Francesco Giuseppe L. CASO.



 

Fatto





1. Con sentenza n. 9783-2012, la Corte d'appello di Roma confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede, con cui era stata accolta la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti dell'(OMISSIS), intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole dall'associazione convenuta, per giustificato motivo oggettivo, stante la sopravvenuta inidoneità fisica della lavoratrice all'espletamento delle sue mansioni di fisioterapista, accertata ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 5, e la condanna al risarcimento del danno nella misura della retribuzione globale di fatto maturata dal dì del licenziamento sino all'effettiva reintegra.



2. Con sentenza n. 9915-2016, depositata il 13.5.2016, questa Corte Suprema accoglieva l'unico motivo del ricorso per cassazione che l'(OMISSIS) aveva proposto contro tale decisione (con il quale, per quanto d'interesse, era denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articoli 18 e 1218 c.c. solo dal punto di vista della determinazione degli effetti risarcitori conseguenti all'illegittimità del licenziamento), cassava quindi la sentenza impugnata e rinviava alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, affinchè, nel riesaminare la questione, provvedesse attenendosi al principio di diritto richiamato nella motivazione.



3. Riassunto dalla (OMISSIS) il procedimento innanzi al giudice di rinvio designato, con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata nel resto, condannava (OMISSIS) al pagamento, in favore della (OMISSIS), di un'indennità commisurata a cinque retribuzioni globali di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; compensava per 1-3 le spese processuali dell'intero giudizio e condannava l'(OMISSIS) al pagamento dei residui 2-3, come liquidati, distintamente, per i due gradi precedenti, per il giudizio di cassazione e per il giudizio di rinvio, oltre spese forfetarie al 15%, I.V.A. e C.A.P.



4. Per quanto qui interessa, la Corte di rinvio, premessa l'intera motivazione in diritto della sentenza che aveva cassato quella della stessa Corte territoriale, riteneva che sussistessero "i presupposti per la limitazione risarcitoria, avendo l'(OMISSIS) fornito prova che l'inadempimento è conseguito ad impossibilità della prestazione ad essa non imputabile perchè il recesso dal rapporto di lavoro venne intimato sulla scorta del giudizio di inidoneità fisica della (OMISSIS) allo svolgimento dell'attività lavorativa formulato da struttura sanitaria pubblica ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 5, comma 3". Considerava, inoltre, che l'(OMISSIS) avesse offerto prova sufficiente sull'impossibilità di assegnare la (OMISSIS), all'epoca del licenziamento, a mansioni proprie della qualifica o inferiori. Concludeva, perciò, che l'associazione datrice di lavoro dovesse essere condannata al pagamento, in favore della (OMISSIS), di un'indennità commisurata a 5 retribuzioni globali di fatto, oltre accessori e contributi previdenziali ed assistenziali.



5. Avverso tale decisione, la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.



6. L'intimata ha resistito con controricorso.



 

Diritto





1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia: "Violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18 e dell'articolo 1218 c.c. per avere le Corte di Appello ritenuto l'inadempimento del datore non imputabile allo stesso sulla base del giudizio espresso dalla struttura sanitaria pubblica (articolo 360, comma 1 n. 3, c.p.c.)"; nonchè "Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio relativo alla sussistenza dell'inadempimento imputabile al datore (articolo 360, comma 1 n. 5, c.p.c.)".



2. Con il secondo motivo, denuncia: "Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1218 c.c. in relazione all'articolo 2697 c.c. e degli articoli 115, 116 e 416 c.p.c. (articolo 360, comma 1 n. 3, c.p.c.) per avere la Corte di Appello ritenuto provata l'impossibilità del datore di adibire la propria dipendente ad altre mansioni".



3. Il primo motivo di ricorso è infondato con riferimento alla dedotta violazione delle indicate norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)



3.1. La Corte di rinvio ha anzitutto premesso le considerazioni svolte nella sentenza n. 9915-2016 di questa Corte per accogliere l'unico motivo del ricorso dell'(OMISSIS) in relazione al "vizio di violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, nella versione di testo applicabile ratione temporis".



3.2. Indi, la stessa Corte, nel giungere alla conclusione che l'associazione datrice di lavoro aveva fornito prova che l'inadempimento è conseguito ad impossibilità della prestazione ad essa non imputabile, aveva considerato che l'inidoneità fisica della (OMISSIS) allo svolgimento dell'attività lavorativa: "non è stata infatti dichiarata dal medico aziendale, ma direttamente da struttura sanitaria pubblica certificante ("Dipartimento di medicina legale dell'ASL di (OMISSIS)) e reso peraltro sia in prima istanza sia a seguito di ricorso della lavoratrice.



La (OMISSIS) pertanto, non poteva non tener conto dell'autorità e posizione di terzietà della struttura pubblica e non avrebbe potuto certamente disattendere le valutazioni e così adibire la (OMISSIS) alle mansioni cui (secondo la Asl) ella era inidonea, se non prestandosi evidentemente al grave rischio della responsabilità per danno alla salute".



3.3. Rileva, allora, il Collegio che il giudice di rinvio ha così operato la specifica valutazione ex articolo 1218 c.c. che era stata praticamente omessa nella decisione in precedenza annullata da questa Corte con la sentenza n. 9915-2016, in conformità ai principi di diritto ivi espressi.



3.4. E, diversamente da quanto pare sostenere l'impugnante (alle pagg. 8-9 del ricorso), nel peculiare caso di specie, in tale valutazione si doveva ovviamente prescindere dal rilievo che l'accertamento sanitario del Dipartimento di medicina legale dell'ASL (OMISSIS) al successivo vaglio giudiziale (a seguito di C.Testo Unico ripetuta in secondo grado, confermativa di quella espletata in primo grado) era poi risultato oggettivamente infondato (con conseguente giudicato interno circa la tutela reale riconosciuta alla lavoratrice),



3.5. Sostiene ancora la ricorrente che la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure di cui all'articolo 5 dello Statuto dei lavoratori non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia pervenire a diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica d'ufficio disposta nel giudizio di merito.



Ma - in disparte il rilievo che neppure è qui dedotta la violazione o la falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 5 -, ciò è fuori discussione. La ricorrente, però, neppure indica se, prima del controllo giurisdizionale di cui s'è detto, la datrice di lavoro avesse avuto motivo di dubitare del ridetto accertamento sanitario di qualificata struttura pubblica.



3.6. Come si è premesso, la ricorrente, nell'ambito del primo motivo, fa valere anche il mezzo di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ma in realtà neppure deduce l'omesso esame di un fatto (principale o secondario) decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti.



La ricorrente, piuttosto, assume che "l'idoneità allo svolgimento di mansioni diverse rispetto a quelle in precedenza assegnate" sarebbe stata "non analizzata all'interno della specifica motivazione offerta", laddove pure tale aspetto era stato senz'altro considerato dal giudice di rinvio.



3.7. Infine mette conto aggiungere che la Corte territoriale aveva richiamato taluni precedenti di legittimità ritenuti espressivi di una limitazione della responsabilità risarcitoria datoriale a cinque mensilità in ipotesi analoghe a quella di cui è causa (cfr. le decisioni menzionate a pag. 5 della sua sentenza).



4. Parimenti infondato è il secondo motivo, nel quale, premessi taluni cenni a quello che aveva considerato il giudice di rinvio circa l'obbligo datoriale di ricollocare altrimenti la lavoratrice, assume che si sarebbe "in presenza di un'erronea applicazione dei principi dell'onere della prova e di non contestazione".



4.1. Sennonchè, la Corte distrettuale ha tenuto ben presente in proposito che è "necessario che il datore di lavoro provi l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o anche inferiori", ma ha ritenuto "che la (OMISSIS) abbia offerto prova sufficiente sull'impossibilità di assegnare la (OMISSIS), all'epoca del licenziamento a mansioni proprie della qualifica o anche inferiori".



4.2. è di tutta evidenza, perciò, che con tale apprezzamento delle risultanze processuali la Corte territoriale non ha realizzato alcuna surrettizia inversione dell'onere della prova incombente nella specie sulla resistente; bensì ha valorizzato le allegazioni di quest'ultima, non come tali, ma in uno con prove di natura documentale, e perchè giudicate "del tutto specifiche" e non poste di discussione dall'attrice nella prima occasione difensiva utile in primo grado.



Infatti, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, la violazione del precetto di cui all'articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del "nuovo" articolo 360 c.p.c., n. 5).(così, ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 29/05/2018, n. 13395)



4.3. Nè la ricorrente può ammissibilmente prospettare una violazione del principio di non contestazione sul rilievo che l'articolo 115 c.p.c. novellato è applicabile solo ai giudizi incardinati dopo l'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, mentre il giudizio che ci occupa era iniziato nell'anno 2002.



Infatti, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata "pacifica" tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica. (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 04/04/2022, n. 10761; n. 24062/2017). Il che non è riscontrabile in parte qua rispetto al secondo motivo di ricorso.



5. La ricorrente, pertanto, in quanto soccombente, dev'essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.



 

P.Q.M.
 




La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.A. come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.