- Coordinatore per la Sicurezza
- Infortunio sul Lavoro
Dell'infortunio sono stati chiamati a rispondere anche il datore di lavoro dell'operaio infortunato ed il responsabile dei lavori per conto dell'impresa committente, i quali hanno definito le rispettive posizioni patteggiando la pena.
Condannato in primo e secondo grado, il coordinatore propone ricorso in Cassazione - Respinto.
La Corte afferma che: "al coordinatore la legge attribuisce il compito di assicurare che nei cantieri in cui operano più imprese, sia assicurato un efficace coordinamento, indispensabile per controbilanciare il rischio aggiuntivo per la sicurezza rappresentato dalla compresenza di più imprese e del relativo personale.
Al coordinatore per la progettazione viene, anzitutto attribuito dalla legge (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 528 del 1999) il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che "contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e le conseguenti procedure, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori" (art. 12 del predetto D.Lgs., che alla lett. l) che richiama "le misure generali di protezione da adottare contro il rischio di caduta dall'alto").
b) di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere;
c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute,
d) di vigilare sul rispetto del piano stesso, di segnalarne al committente o al responsabile dei lavori eventuali violazioni, di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni (art. 5 del predetto D.Lgs.).
Al coordinatore per l'esecuzione dei lavori è, quindi, assegnato, dalle norme sopra richiamate, non solo il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, ma anche quello di vigilare sulla corretta osservanza, da parte delle stesse, delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori.
La normativa dettata in materia di sicurezza sul lavoro attribuisce, dunque, al coordinatore per le fasi di progettazione e di esecuzione dei lavori una specifica posizione di garanzia, che non si sovrappone, bensì si aggiunge a quella assegnata ad altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, e ne individua gli obblighi nei termini sopra delineati.
Orbene, l'imputato non ha adempiuto ai compiti che il ruolo ricoperto gli assegnava..."
"Non v'è dubbio che proprio a causa dell'assenza di quei presidi di sicurezza il lavoratore è precipitato al suolo, oltre che a causa dei mancati interventi organizzativi, di controllo e di vigilanza da parte dell'imputato, che in nessun modo è intervenuto per contrastare la richiamata consuetudine dei lavoratori di spostarsi lungo il tetto del capannone e le pericolose modalità di esecuzione dei lavori, che prevedevano la presenza di insidiose aperture sul tetto; vere e proprie trappole che ponevano in costante pericolo chiunque si trovasse a transitare in quei luoghi."
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
Dott. LICARI Carlo - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) B.P.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2153/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del 21/01/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FOTI Giacomo;
Udito il Procuratore Generale in persona della Dott.sa DE SANDRO Anna Maria che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
1- Con sentenza del Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, del 27 marzo 2006, B.P.A. è stato ritenuto colpevole del delitto di lesioni colpose gravi commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di S.A..
Secondo l'accusa, condivisa dal tribunale, l'imputato - quale coordinatore, per le fasi di progettazione e di esecuzione dei lavori di rifacimento del tetto di un capannone industriale, appaltati dall'"I. s.p.a." di P.D. a "La Nuova T.E. s.r.l.", di cui il S. era dipendente -, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonchè nella violazione della L. n. 494 del 1996, art. 4 e art. 5, comma 1 della stessa, aveva cagionato lesioni personali gravi al lavoratore S.A..
Dell'infortunio sono stati chiamati a rispondere anche il datore di lavoro dell'operaio infortunato ed il responsabile dei lavori per conto dell'impresa committente, i quali hanno definito le rispettive posizioni patteggiando la pena.
Nel ricostruire le modalità dell'incidente, secondo la versione dei fatti fornita dalla parte offesa, il giudice del merito ha ricordato che il giorno dell'infortunio erano presenti in cantiere 4 persone, di cui tre, tra cui lo stesso S., lavoravano sulla prima campata, il quarto, che poi era il datore di lavoro, Sa. F., sulla terza.
Ha ricordato, ancora, lo stesso giudice, che risultavano a disposizione dei lavoratori solo due cinture di sicurezza, dunque, in numero insufficiente per tutti gli addetti al cantiere; tali cinture, peraltro, non potevano essere utilizzate per tutta l'area di cantiere, non essendo possibile lavorare rimanendo costantemente agganciati poichè solo parte della superficie era munita dei punti di aggancio dei dispositivi anticaduta.
E' stata, poi, richiamata la testimonianza dell'ispettore dell'ASL M., intervenuto sul posto, il quale aveva sostenuto che il cantiere era fonte di pericolo per i lavoratori a causa dell'inosservanza di varie misure antinfortunistiche.
Alla stregua di tali emergenze processuali il tribunale ha, dunque, affermato la responsabilità dell'imputato per il delitto contestatogli.
Su appello da questi proposto, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 21 gennaio 2008, ha confermato la decisione del primo giudice, tuttavia concedendo il beneficio della non menzione della condanna.
2- Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, il S., che deduce:
1) Violazione degli artt. 40, 41 e 43 c.p. e vizio di motivazione in ordine al rapporto di causalità, al concorso di cause ed all'accertamento della colpa.
Accertato che l'infortunio non si è verificato durante lo svolgimento dell'attività lavorativa, nel corso della quale il S. non era esposto a rischio per la presenza, oltre che della cintura di sicurezza, correttamente utilizzata, anche della rete anticaduta posta sotto la zona di lavoro dell'operaio e dei suoi colleghi, nessun rilievo causale hanno, secondo il ricorrente, le precarie condizioni generali del cantiere e l'insufficienza delle misure di sicurezza, delle quali il S. era stato, comunque, dotato.
2) Violazione degli artt. 40, 41 e 43 c.p., in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.
3) Travisamento del fatto e vizio di motivazione laddove, contrariamente a quanto emerso in atti, il giudice del gravame ha sostenuto che non erano stati predisposti mezzi di tutela collettivi, mentre era emerso chiaramente che la rete protettiva era stata posta sotto la copertura a tutela dei luoghi ove si svolgevano le lavorazioni, come, peraltro, è stato sostenuto in sentenza dallo stesso giudice del gravame.
Conclude, quindi, il ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
3- Il ricorso è infondato.
Rileva, anzitutto, la Corte che il B., come emerge dalla lettura dello stesso capo di imputazione, e come è da tutti ammesso, ricopriva il ruolo di coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori di rifacimento del tetto del capannone industriale di proprietà dell'"I. spa".
Al coordinatore per la progettazione viene, anzitutto attribuito dalla legge (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 528 del 1999) il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che "contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e le conseguenti procedure, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata dei lavori, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori" (art. 12 del predetto D.Lgs., che alla lett. l) che richiama "le misure generali di protezione da adottare contro il rischio di caduta dall'alto").
Al coordinatore per l'esecuzione dei lavori è affidato, tra l'altro, il compito:
La normativa dettata in materia di sicurezza sul lavoro attribuisce, dunque, al coordinatore per le fasi di progettazione e di esecuzione dei lavori una specifica posizione di garanzia, che non si sovrappone, bensì si aggiunge a quella assegnata ad altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, e ne individua gli obblighi nei termini sopra delineati.
Orbene, l'imputato non ha adempiuto ai compiti che il ruolo ricoperto gli assegnava poichè, secondo quanto accertato dai giudici del merito, anche attraverso la testimonianza dell'ispettore dell'ASL M., intervenuto sul luogo dell'infortunio, egli:
A fronte di così pesanti omissioni, neanche contestate, il ricorrente, continua a sostenere, nel vano tentativo di eludere le proprie responsabilità, che l'infortunio non è avvenuto durante lo svolgimento dell'attività lavorativa assegnata al S. - fase nella quale costui non era esposto a rischi di sorta, essendo stato fornito della cintura di sicurezza, correttamente utilizzata, ed in vista della presenza della rete anticaduta posta al di sotto del luogo di lavoro - bensì al di fuori dell'attività lavorativa, donde l'irrilevanza causale delle precarie condizioni di sicurezza del cantiere.
E non v'è dubbio che proprio a causa dell'assenza di quei presidi di sicurezza il lavoratore è precipitato al suolo, oltre che a causa dei mancati interventi organizzativi, di controllo e di vigilanza da parte dell'imputato, che in nessun modo è intervenuto per contrastare la richiamata consuetudine dei lavoratori di spostarsi lungo il tetto del capannone e le pericolose modalità di esecuzione dei lavori, che prevedevano la presenza di insidiose aperture sul tetto; vere e proprie trappole che ponevano in costante pericolo chiunque si trovasse a transitare in quei luoghi.
Consuetudini e modalità di lavoro di cui l'imputato, la cui presenza in cantiere è stata accertata almeno in un paio di occasioni, certamente era al corrente, o avrebbe dovuto esserlo, in ragione dei compiti di controllo e di vigilanza affidatigli dalla legge.
Chiaramente infondate, poi, alla luce di quanto sopra esposto, sono le censure relative all'interpretazione, da parte dei giudici del merito, del D.L. n. 494 del 1996, art. 5.
Altre considerazioni ed argomentazioni del ricorrente, attinenti alla valutazione delle prove acquisite ed al loro rilievo ai fini della decisione, non possono trovare ingresso nella sede di legittimità, in vista del congruo e coerente esame effettuato dai giudici del merito su ognuno dei punti posti in discussione.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010