Cassazione Penale, Sez. 4, 13 marzo 2023, n. 10398 - Infortunio mortale con il macchinario per la selezione dei rifiuti solidi urbani. Costituzione di parte civile da parte dell'Anmil


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 17/03/2022 del TRIBUNALE di POTENZA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAVICH GIUSEPPE;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa ODELLO LUCIA, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale al risarcimento del danno, con rigetto nel resto.

Fatto


1. Il Tribunale di Potenza, in data 17 marzo 2022, ha condannato A.A. alla pena ritenuta di giustizia, e alle connesse statuizioni civili, in relazione al delitto di omicidio colposo, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso il (Omissis) e a lei ascritto nella qualità di datore di lavoro della vittima, in danno di B.B., dipendente della Ageco Srl , società operante nello smaltimento e nella selezione dei rifiuti, di cui il B.B. era dipendente.

Alla A.A. è addebitato di avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario (vaglio rotante VR1880-1700) per la selezione dei rifiuti solidi urbani, risultato non idoneo sotto il profilo della sicurezza, perchè privo di protezioni che impedissero l'accesso al macchinario in funzione o di dispositivi di sicurezza che ne bloccassero il funzionamento in seguito all'accesso all'area ove era posizionato il macchinario. Nei momenti immediatamente precedenti l'accaduto, il B.B., secondo quanto ricostruito in dibattimento, si trovava nella cabina di selezione al piano rialzato dell'impianto, assieme a un altro collega. Accadeva che il lavoratore si introduceva nell'area ove era posizionato il vaglio rotante aprendo una via d'accesso presente nella grata, costituita da una porta (o cancello), che è risultata non assicurata da un lucchetto o da un sistema che ne impedisse l'apertura, essendo dotata solo di un semplice chiavistello; a seguito dell'ingresso del B.B. nell'area ove il vaglio era in funzione, costui veniva agganciato e risucchiato dalle ruote del vaglio e riportava, in conseguenza di ciò, gravi lesioni da schiacciamento che ne determinavano il decesso.

Il Tribunale, nell'affermare la penale responsabilità della A.A. nella sua qualità datoriale, ha ravvisato la violazione di regole cautelari, anche di matrice Eurounitaria (Direttiva macchine 2006/42), non avendo la prevenuta adeguatamente provveduto ad impedire ai lavoratori l'accesso all'area del macchinario attraverso un cancello realizzato nella grata, mediante la semplice apertura di un chiavistello e senza che tale accesso azionasse un dispositivo di interblocco; il Tribunale ha inoltre escluso la sussistenza di profili di abnormità nella condotta della vittima, il cui comportamento, sebbene imprudente, non poteva dirsi estraneo alle mansioni cui il lavoratore era assegnato. Pertanto è stata ritenuta la responsabilità della A.A. per aver messo a disposizione del personale un macchinario sprovvisto di dispositivi che ne consentissero l'impiego in sicurezza, condotta da cui dipendeva il verificarsi dell'incidente.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre per saltum la A.A., ex art. 569 c.p.p., articolando quattro motivi di doglianza.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge: oggetto di lagnanza è, in primo luogo, il fatto che il Tribunale non abbia considerato che il rischio connesso al macchinario aveva regolarmente formato oggetto di valutazione nel DVR, che vietava espressamente l'accesso dei lavoratori all'area adiacente il macchinario; al riguardo la ricorrente, richiamando alcune deposizioni testimoniali, afferma che furono impartite le necessarie istruzioni al personale in ordine al fatto che non si poteva accedere dal cancello apposto sulla grata. In relazione a ciò, la deducente contesta che sia stata violata una regola cautelare e lamenta che sia stata ravvisata la responsabilità datoriale in relazione a situazioni di pericolo che esulano dalla normale operatività del macchinario; nel fascicolo tecnico dell'impianto il rischio meccanico di contatto era riferito unicamente alla manutenzione del macchinario: elemento rilevante, atteso che dall'addebito per cui vi è stata condanna il costruttore del macchinario (l'imputato C.C.) è stato assolto e che, secondo il consulente della ditta fornitrice, non vi era necessità di apporre un lucchetto, nè di prevedere un sistema di interblocco dello sportello, che è necessario solo nelle aree destinate normalmente alle lavorazioni, e non in quella ove avvenne il sinistro. Non vi è prova, poi, del fatto che la ditta Ageco avesse acquistato i lucchetti per gli sportelli della grata di protezione, diversamente da quanto sostenuto in sentenza.

2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al comportamento della vittima, di cui è stata erroneamente esclusa l'eccentricità rispetto alle mansioni espletate: la decisione del B.B. di accedere all'area sarebbe intervenuta non per disposizioni superiori o in relazione a un'incombenza lavorativa, ma senza una ragione plausibile; essa deve considerarsi dunque abnorme e idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta attribuita all'imputato e l'evento lesivo.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge con riguardo all'indebita subordinazione della sospensione condizionale all'integrale risarcimento del danno in mancanza di una previa quantificazione dello stesso.

2.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al difetto di legittimazione dell'A.N.M.I.L. (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro), la quale non risulta avere un chiaro e specifico interesse pregiudicato dal reato, comunque rientrante nei propri scopi istituzionali: evidenzia la deducente che la Ageco non è una pubblica amministrazione o un ente, e che l'asserito discredito ricevuto dal reato e il pregiudizio all'immagine e alla reputazione, cui l'A.N.M.I.L. si era richiamata nel costituirsi parte civile, non hanno formato oggetto di alcuna argomentazione da parte del Tribunale.

Diritto


1. Il primo motivo di ricorso è infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza.

Alla A.A. è stato addebitato non tanto di avere omesso di fornire ai dipendenti le istruzioni sul divieto di accesso al macchinario ove avvenne l'incidente, quanto di non avere impedito che i dipendenti potessero avvicinarsi a un macchinario sprovvisto di dispositivi di protezione. Sotto tale profilo occorre rammentare che tra le disposizioni cautelari che si assumono violate, come si ricava anche dall'enunciato imputativo, vi sono il D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 70 e 71. Quest'ultima disposizione, in particolare, fa obbligo al datore di lavoro - o al suo delegato alla sicurezza - di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Sez. 4, n. 4549 del 29/01/2013); va ricordato altresì che, in base all'allegato 5^, parte prima, punto 6.1 - relativo ai requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro che devono essere messe a disposizione dei lavoratori a norma dell'art. 71 cit. -, "Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione". Il fatto che il rischio connesso al macchinario fosse stato previsto nel DVR non fa che comprovare la consapevolezza dell'imputata dell'esistenza del rischio stesso; mentre la circostanza che di tale rischio fosse stata data informazione ai lavoratori non è sufficiente a sollevare la datrice di lavoro dalle responsabilità per omissione derivanti dalla mancata predisposizione di sistemi di sicurezza che impedissero l'accesso al macchinario pericoloso in movimento. E' di tutta evidenza che nella specie è stata violata la regola cautelare prevenzionistica che, ove osservata, avrebbe scongiurato l'infortunio; senza contare che, secondo quanto osservato dal Tribunale, in prossimità del macchinario non vi erano neppure segnali di pericolo (che la Ageco, su invito dell'Ispettorato del Lavoro, ha apposto solo dopo il verificarsi dell'incidente: pag. 10 sentenza impugnata).

2. E' poi palesemente privo di pregio l'asserto, sostenuto dal ricorrente nel secondo motivo di doglianza, circa la presunta abnormità del comportamento della persona offesa. Ed invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, sicchè la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che è interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perchè "eccezionale" ma perchè eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri). In tale quadro, il Tribunale ha precisato che il B.B. entrò nell'area del macchinario presumibilmente per rimuovere rifiuti che vi si erano accumulati (sul luogo dell'incidente fu trovata una scopa) ed era consuetudine, riferita dagli altri operai, che al termine del turno giornaliero i rifiuti caduti a terra si raccogliessero con delle scope (pag. 13 sentenza impugnata); ciò rende evidente che, sia pure attivandosi in assenza di ordini in tal senso, la condotta della vittima non poteva dirsi estranea alle sue mansioni lavorative.

3. E' infondato il motivo in cui si contesta l'ammissibilità della costituzione di parte civile dell'ANMIL. Va premesso che la legittimazione a costituirsi parte civile dell'ente esponenziale è legata al fatto che la pretesa civilistica dell'ente nell'ambito del giudizio penale sia correlata alla compromissione di un proprio specifico interesse e di una propria finalità statutaria: il necessario riferimento della legittimazione dell'ente a una situazione storica determinata, contenuto nella nota pronunzia a Sezioni Unite Espenhahn e altri - vicenda Thyssenkrupp: sentenza n. 38343 del 24/04/2014 -, costituisce un richiamo narrativo alla risposta della sentenza d'appello in allora impugnata a talune obiezioni difensive in ordine alla legittimazione a costituirsi parte civile di un ente rappresentativo di interessi collettivi; nel percorso motivazionale della suddetta pronunzia apicale (pp. 193 e ss.) si dà atto di uno sviluppo progressivamente estensivo della giurisprudenza di legittimità, attraverso il quale viene chiarito che "esistono organismi che hanno fatto di un determinato interesse l'oggetto principale della propria esistenza, sicchè esso è diventato elemento interno e costitutivo del sodalizio e come tale ha assunto una consistenza di diritto di soggettivo. Lo sviluppo della giurisprudenza ha ritenuto la tutelabilità degli interessi collettivi senza che sia necessaria l'esistenza di una norma di protezione, essendo sufficiente la diretta assunzione da parte dell'ente dell'interesse in questione, che ne ha fatto oggetto della propria attività, diventando lo scopo specifico dell'associazione", di tal che, in plurime decisioni della Corte di legittimità, "la legittimazione alla costituzione di parte civile è stata ritenuta sulla base della considerazione che l'ente, per il proprio sviluppo storico, per l'attività concretamente svolta e la posizione assunta avesse fatto proprio, in un determinato contesto storico, quale fine primario quello della tutela di interessi coincidenti con quello leso dallo specifico reato considerato, derivando da tale immedesimazione una posizione di diritto soggettivo che lo legittima a chiedere il risarcimento dei danni ad esso derivati". Occorre, in sostanza, che l'ente sia istituzionalmente e statutariamente portatore di finalità di tutela di interessi collettivi corrispondenti a quelli lesi dai delitti oggetto di imputazione.

Di qui la conclusione in base alla quale è ammissibile la costituzione di parte civile di un'associazione (anche non riconosciuta) che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito per effetto del reato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità o identità dell'ente (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit., Rv. 261110).

Nella specie, quindi, deve ritenersi che l'ANMIL, in relazione ai propri scopi associativi (tra i quali si riportano a mero titolo di esempio, nello statuto dell'Associazione, il perseguimento di "scopi di rappresentanza, assistenza morale e materiale delle vittime di infortunio sul lavoro o malattia professionale e loro familiari, e dei lavoratori esposti ai rischi professionali come singoli e come categoria", così come il "pieno riconoscimento del diritto alla previdenza ed assistenza sanitaria e sociale ed alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro"), fosse legittimata a costituirsi parte civile iure proprio in relazione al danno costituito dalla perdita di credibilità dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali.

4. E', invece, fondato il terzo motivo di ricorso. Poichè la liquidazione del risarcimento delle parti civili costituite è stata demandata alla separata sede civile, risulta indeterminata la prestazione alla quale è stata subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena, prestazione costituita dall'integrale risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. Sul punto la giurisprudenza è chiara nell'affermare il principio in base al quale la condizione del risarcimento del danno o dell'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, cui può essere subordinata la sospensione della pena, non può mai avere contenuto generico o indeterminato, incombendo sul giudice l'obbligo di provvedere a quantificare l'entità dell'importo dovuto alla persona offesa e specificare quale somma il condannato è tenuto a pagare per liberarsi del vincolo dell'adempimento (principio affermato da Sez. 2, Sentenza n. 1656 del 06/03/1998, Fontana, Rv. 211918; in termini analoghi, in materia di patteggiamento, vds. Sez. 5, Sentenza n. 35753 del 09/06/2015, B., Rv. 265868).

5. Pertanto la sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte d'appello di Potenza ex art. 569 c.p.p., comma 4, limitatamente alla questione concernente la subordinazione della sospensione condizionale della pena al previo risarcimento delle parti civili, per nuovo giudizio sul punto. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente la subordinazione della sospensione condizionale della pena al previo risarcimento delle parti civili e rinvia alla Corte d'appello di Potenza per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2023