Cassazione Penale, Sez. 4, 30 marzo 2023, n. 13291 - Infortunio con il compattatore. Omessa informazione da parte del committente dei rischi derivanti dall'uso del macchinario 


 

 

 

Nota a cura di Soprani Pieguido, in Ambiente e Sicurezza, 7/2023, pp. 80-82 "Responsabilità del committente e dell’appaltatore"



 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 04/05/2022 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SERRAO EUGENIA;

letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi lette le memorie dei difensori, che hanno concluso per l'annullamento della sentenza.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza in epigrafe, ha parzialmente riformato, concedendo a B.B. il beneficio della non menzione, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Torino nei confronti di A.A. e di B.B. in relazione all'infortunio sul lavoro occorso in (Omissis) ai danni di C.C..

2. La complessa attività istruttoria svolta in primo grado ha consegnato la seguente descrizione del fatto: presso un punto vendita della catena "(Omissis)" sito in (Omissis) era in corso, nel (Omissis), l'allestimento in vista dell'imminente inaugurazione; il datore di lavoro delegato e procuratore speciale del legale rappresentante della Dimar Spa , società che gestiva il punto vendita, era A.A. in virtù di atto notarile del 14 febbraio 2012; la Dimar Spa aveva sottoscritto un contratto di appalto con la soc. coop. D.D. per inviare alcuni dipendenti di quest'ultima presso il magazzino al fine di affiancare la Dimar nei giorni precedenti e successivi all'apertura, avvenuta il (Omissis); legale rappresentante e datore di lavoro della D.D. era B.B., mentre responsabile del servizio di prevenzione e protezione e delegato D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ex art. 16 per la sicurezza, con atto del 10 febbraio 2014, era E.E.; in data 11 settembre 2015 era stato consegnato alla (Omissis) dalla Benassi Spa " presso il magazzino in questione, un compattatore di cartoni previa stipula di un contratto di fornitura di compattatore e di smaltimento della carta e cartoni raccolti in tali macchinari; all'utilizzo di tale macchinario erano autorizzati, e a tal fine formati, quattro dipendenti della Dimar Spa ; il compattatore è un macchinario che consente di ridurre il volume dei rifiuti di imballaggio comprimendoli e accumulandoli nella camera di compattazione; il carico avviene dalla tramoggia di alimentazione aperta nella parte alta e segregata, lateralmente, da protezioni fisse e, anteriormente, da una sponda fissa di altezza pari a m. 1,35 da terra, sopra la quale sono posti due cancelli grigliati; i cartoni vengono lanciati nel macchinario manualmente dall'esterno, sopra i cancelli grigliati; il macchinario può essere azionato manualmente con pulsanti comandati dall'operatore posti nella parte esterna oppure funzionare in modalità automatica con ciclo singolo o continuo eventualmente abbinato a una fotocellula che consente di avviare la macchina non appena la fotocellula rileva la presenza di materiale; tale ulteriore modalità di funzionamento è azionata con comando a chiave; il macchinario in questione era dotato: a) di dispositivo di interblocco, grazie al quale il funzionamento della pressa si interrompeva automaticamente non appena i cancelli venivano aperti;
b) di un sistema che, una volta richiusi i cancelli, non consentiva la ripartenza automatica del macchinario (possibile solo con un nuovo azionamento volontario dello stesso); c) di un segnale acustico della durata di cinque secondi che precedeva il funzionamento del macchinario; d) di cartellonistica di sicurezza, che vietava di accedere alla tramoggia di carico; e) di un manuale d'uso, che prevedeva che l'intervento di rimozione dell'ostacolo o l'asportazione del materiale che causava l'anomalia di funzionamento dovessero essere effettuati dopo aver posto fuori servizio la macchina, spegnendola dal quadro e staccando la presa di alimentazione elettrica; il macchinario era collocato nell'area carico-scarico separata dal magazzino e denominata "area esterna" nel DUVRI e non era stato sequestrato in quanto era risultato correttamente funzionante; al momento del fatto il macchinario era impostato in modalità ciclo continuo ed era attivata la fotocellula, per cui all'apertura dei cancelli l'azione del compattatore si sarebbe interrotta ma sarebbe ripresa dopo la chiusura dei cancelli senza ulteriore manovra; presso il compattatore non si trovava il manuale d'uso e il DUVRI e il DVR sottoscritti da A.A. non contemplavano la presenza del compattatore nè i rischi correlati e anzi, nel DUVRI si legge che "all'interno del magazzino non vengono utilizzate attrezzature che possono comportare rischi trasmissibili"; il DVR sottoscritto da B.B. per la D.D. non prevedeva alcunchè in relazione al compattatore, nè al lavoratore era stata data alcuna informazione o era stata somministrata formazione in relazione al macchinario; sebbene solo alcuni dipendenti di Dimar Spa fossero formalmente autorizzati a utilizzare il compattatore, anche altri soggetti lo utilizzavano e in quel frangente, nell'imminenza dell'inaugurazione del punto vendita, era accaduto sia che i dipendenti della D.D. dessero una mano a smaltire il cartone gettandolo nel compattatore sia che, in caso di inceppamento del meccanismo, intervenissero direttamente per risolvere il problema (pag.7 sentenza di primo grado); la D.D. aveva inviato un preposto (coordinatrice F.F.), che aveva effettuato un sopralluogo il 10 settembre 2015 e relazionato in ordine alle condizioni dei luoghi al fine di consentire a B.B. di valutare il DUVRI; il responsabile del servizio di prevenzione e protezione per conto della Dimar Spa , che aveva predisposto il DUVRI, aveva ritenuto che la presenza del compattatore non rappresentasse un rischio da valutare in quanto l'oggetto del contratto di appalto con D.D. (pulizia e sanificazione di vari reparti compreso il magazzino) non prevedeva l'uso del compattatore da parte dei dipendenti della società appaltatrice; l'infortunio si era verificato il giorno successivo all'inaugurazione del magazzino, quando il direttore aveva chiesto al C.C. di dare una mano per lo smaltimento del cartone; l'assistente del direttore del negozio aveva mostrato in precedenza al C.C. come fare in caso di inceppamento, per cui il lavoratore aveva preso la scala posta appositamente nei pressi del compattatore dal medesimo assistente, aveva provato a smuovere i cartoni con un bastone ma, non riuscendovi, aveva aperto uno dei cancelletti, come raccomandatogli dal direttore del negozio, ed era salito sui cartoni; secondo quanto dichiarato dalla persona offesa, la griglia si era improvvisamente chiusa, forse per il passaggio di un carrello, e il macchinario si era riavviato, cosicchè una gamba era rimasta incastrata nel meccanismo; nel DUVRI era vietato l'utilizzo di attrezzature di lavoro non di proprietà, salva la possibilità di usufruirne se autorizzati dalla committenza e al momento della redazione del documento non si erano rilevati particolari problemi in quanto si riteneva che le strumentazioni adoperate dagli addetti non determinassero trasmissione di rischi per eventuali soggetti terzi presenti nelle vicinanze.

3. A.A. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata con quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione, assumendo che l'impostazione secondo la quale il ricorrente sarebbe responsabile dell'infortunio per aver omesso la valutazione del rischio da uso del compattatore sarebbe errata, essendo tale obbligo proprio del datore di lavoro, tanto è vero che il ragionamento della Corte si basa sulla premessa che il A.A. non abbia valutato il rischio nel DVR, pur trattandosi di documento che egli non ha mai redatto in quanto non tenutovi per legge. La difesa sostiene che non è chiaro se sia stato compreso l'organigramma aziendale di Dimar Spa , posto che non si comprende come possa essere presente la valutazione del rischio nel DUVRI laddove questa manchi nel DVR, ossia come possa il datore di lavoro delegato valutare un rischio non valutato nei pochi giorni che hanno seguito l'inserimento di un nuovo macchinario in azienda. E' stata valorizzata la data del DUVRI, ottobre 2013, come elemento inferenziale a carico del ricorrente, non considerando che il compattatore era stato installato solo pochi giorni prima dell'infortunio, non consentendo tecnicamente l'eventuale aggiornamento della valutazione del rischio nel termine di 30 giorni previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28.

3.2. Con il secondo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26. La difesa sostiene che l'obbligo informativo gravante sul committente in base a tale norma riguarderebbe i rischi interferenziali esistenti solo nell'ambiente nel quale i lavoratori dell'impresa esecutrice sono destinati ad operare e non anche eventuali rischi presenti in aree non interessate dall'intervento, per cui il DUVRI redatto dal committente si sarebbe dovuto ritenere, al momento del sinistro, completo ed esaustivo, avendo l'azienda dato indicazione e gestito le attività di cooperazione per i rischi specifici nell'ambiente di lavoro pertinenti all'attività di pulizia a cura della ditta appaltatrice.

3.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova con riferimento al giudizio negativo della condotta eccentrica del lavoratore. Secondo la difesa,, la Corte torinese non si sarebbe confrontata con il tema posto con l'atto di appello, laddove si è ritenuto inconferente il tema della organizzazione aziendale e al contempo si è affermato che fosse in uso nel punto vendita la prassi di far accedere i lavoratori al compattatore senza che sia stata raggiunta la prova che il committente conoscesse tale prassi. I giudici di merito avrebbero violato l'art. 20 T.U. in quanto il comportamento della persona offesa ha assunto i caratteri dell'abnormità-eccentricità essendo stato posto fuori da qualsiasi controllo del ricorrente con una condotta contraria alle regole di comune prudenza, che richiedevano un'espressa autorizzazione per l'uso di attrezzature e la disponibilità di una pala a bordo macchina per gestire gli eventuali incagli di materiale.

3.4. Con il quarto motivo deduce carenza assoluta della motivazione in merito alla determinazione della pena, non comprendendosi le ragioni per le quali il coimputato non sia stato condannato alle spese del grado. L'affermazione dei giudici di appello secondo la quale l'imputato non sarebbe meritevole delle circostanze attenuanti generiche, non avendo mostrato segni di resipiscenza, a fronte di un reato omissivo colposo e del risarcimento del danno operato, induce a ritenere che l'assenza di pentimento coincida con la mera decisione di difendersi nel procedimento penale.

4. B.B. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata con i seguenti motivi:

- inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche con riguardo alla ritenuta violazione degli obblighi prevenzionistici di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 26, 36 e 37, nonchè contraddittorietà della motivazione sul punto. L'affermazione di responsabilità del ricorrente si fonda, secondo la difesa, su una lettura incompleta delle prove acquisite nel processo in quanto, posto che l'obbligo dell'individuazione del rischio interferenziale di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26 grava esclusivamente sul datore di lavoro committente, in mancanza delle condizioni di conoscenza di una situazione pregiudizievole non vi è per il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice alcuna possibilità di avere il governo del relativo rischio. La Corte di appello ha condiviso tale premessa ma non ne ha tratto le conseguenze dovute. L'impresa committente ha espressamente escluso la sussistenza nel punto vendita di un contatto rischioso. E la D.D. non si è limitata a prendere atto di quanto comunicato con il DUVRI ma ha effettuato un sopralluogo sul cantiere di lavoro, ove tuttavia il compattatore non era stato ancora installato. In mancanza di informazione da parte della Dimar Spa nel DUVRI, il personale della D.D. non avrebbe potuto diversamente avere contezza dell'esistenza del rischio relativo al macchinario in commento;

- contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato esonero da responsabilità di B.B. in forza di delega di funzioni antinfortunistiche. La pretesa genericità del DUVRI predisposto da Dimar Spa , firmato per ricezione da B.B., è stata posta a fondamento della ritenuta inoperatività della delega di funzioni conferita dal B.B. a E.E., in contrasto con il fatto che il DUVRI non contemplasse il rischio compattatore ma escludeva espressamente la presenza, nei luoghi in cui si svolgeva l'appalto, di macchinari che potessero costituire fonte di rischio per gli addetti della ditta appaltatrice. La stessa Corte non ha dubitato della validità e dell'efficacia della delega, ritenendola idonea ad estendere la posizione di garanzia in capo al delegato, e ha riconosciuto non porsi alcuna questione di ingerenza del B.B. nelle funzioni delegate a E.E., per cui si sarebbe dovuto concludere per l'operatività della delega fornita a E.E. con subentro del delegato nella posizione di garanzia del delegante ed esonero di quest'ultimo;

- contraddittorietà o illogicità della motivazione in relazione alla negata abnormità della condotta del lavoratore infortunato; inosservanza o erronea applicazione della legge penale in merito al requisito della causalità della colpa. La difesa ritiene che i giudici di merito non abbiano fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla Corte di legittimità in materia, ritenendo oltretutto credibile la testimonianza della persona offesa, severamente smentita da ulteriori prove emerse nel processo, segnatamente dal fatto che la prova testimoniale aveva dimostrato che le porte del compattatore erano chiuse e, ove fossero state aperte, sarebbe stata comunque necessaria un'azione umana volontaria di rimessa in moto del macchinario. Ulteriori incongruenze, si assume, riguardano la posizione della scala, asseritamente presente accanto al compattatore, in contrasto con la testimonianza di G.G., al quale il lavoratore avrebbe chiesto dove poter reperire una scala. La difesa riporta stralci dell'istruttoria al fine di ribadire l'esorbitanza del comportamento della persona offesa rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute dall'impresa di appartenenza, nonchè l'estraneità del comportamento attuato rispetto alle prassi aziendali di Dimar Spa , a fronte dell'adempimento delle prescrizioni antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.

5. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

6. Il difensore di A.A. ha depositato tempestiva memoria di replica, concludendo per l'annullamento della sentenza impugnata.

7. Il difensore di B.B. ha depositato tempestiva memoria di replica, insistendo per l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. A.A. è imputato del delitto di lesioni colpose in cooperazione con B.B., per aver agito come datore di lavoro delegato della Dimar Spa per il punto vendita ad insegna (Omissis), nonchè come committente dei lavori di pulizia che riguardavano tale punto vendita; per colpa generica nonchè per la violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26, comma 1, lett. a), il quale prescrive al committente di fornire agli appaltatori dettagliate informazioni sui rischi specifici che risultino nell'ambiente in cui essi siano destinati ad operare, e sulle misure di prevenzione e di sorveglianza adottate in relazione alla propria attività, avuto riguardo all'omessa informazione sui rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore durante i lavori di pulizia all'interno del punto vendita (Omissis) interessato dall'infortunio.

1.1. B.B. è imputato del delitto di lesioni colpose, in cooperazione con A.A., nella qualità di datore di lavoro della soc.coop. D.D. alle cui dipendenze lavorava l'infortunato, nonchè quale appaltatore dei lavori di pulizia, per colpa generica nonchè per violazione dell'art. 2087 c.c., che prescrive al datore di lavoro di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, risultino necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori, in modo da garantire la loro incolumità dai pericoli derivanti dallo svolgimento dell'attività lavorativa; del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 36, comma 2, lett. a), che prescrive al datore di lavoro di assicurare che ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione sui rischi specifici a cui risulta esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia, avuto riguardo all'omessa informazione sui rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore durante i lavori di pulizia all'interno del punto vendita interessato dall'infortunio; del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37, comma 1, lett. b), il quale prescrive al datore di lavoro di assicurare che ciascun lavoratore riceva un'adeguata e sufficiente formazione in materia di salute e di sicurezza, avuto riguardo ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristiche del settore o comparto di appartenenza dell'azienda, avuto riguardo all'omessa formazione sui rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore durante i lavori di pulizia all'interno del punto vendita interessato dall'infortunio.

1.2. Entrambi gli imputati sono accusati di aver violato il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2, lett. a), il quale prescrive al committente e all'appaltatore di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro che incidono sull'attività lavorativa appaltata, avuto riguardo all'omessa valutazione dei rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore di cui sopra.

1.3. Con tali condotte e omissioni trascurando, nelle rispettive qualità, di informare e di formare il lavoratore C.C. sui rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore, poichè la macchina non riusciva a comprimere i cartoni già conferiti, inducendo la vittima ad entrarvi, in modo da schiacciarli con i suoi piedi, che erano rimasti impigliati per effetto del riavvio degli organi motori dell'autocompattatore, cagionando al lavoratore lesioni guaribili in più di 40 giorni.

2. Con riguardo al ricorso proposto da A.A. si osserva che occorre individuare, esaminando le regole cautelari di riferimento, se l'evento occorso al lavoratore C.C. rientri nell'area di rischio delineata dalla legge in relazione alla posizione rivestita da tale imputato nell'ambito della struttura aziendale in cui si è verificato l'infortunio.

2.1. Nel caso in esame il contratto di appalto concluso tra la Dimar Spa e la soc. coop. D.D. deve, in particolare, essere qualificato come contratto di appalto in area interna ad un'unità produttiva, nella disponibilità dell'impresa committente, peraltro datrice di lavoro di dipendenti compresenti nel supermercato unitamente agli addetti alle pulizie della D.D.. Nella giurisprudenza antecedente il recepimento, nel nostro Paese, della Direttiva Europea 92/57/CEE ad opera del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 ad un'iniziale tendenza all'esonero del committente dalla responsabilità per gli infortuni occorsi al dipendente dell'appaltatore, si era sostituito il principio della responsabilità del committente sotto il duplice profilo dell'ingerenza e della fornitura dei mezzi per l'esecuzione dell'opera. In mancanza di una disposizione che disciplinasse la responsabilità per gli infortuni verificatisi in esecuzione di un contratto di appalto, gli interpreti avevano esaminato l'atteggiarsi del ruolo del committente rispetto a quello dell'appaltatore alla filigrana della disciplina civilistica, con particolare attenzione al requisito dell'autonomia dell'appaltatore, che costituisce elemento tipico del contratto di cui all'art. 1655 c.c.. Si comprende allora l'orientamento della giurisprudenza secondo il quale, per i lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza avrebbe dovuto gravare sul datore di lavoro, ossia l'appaltatore. La scelta della giurisprudenza di attribuire a quest'ultimo una responsabilità tendenzialmente esclusiva per le violazioni antinfortunistiche era, dunque, strettamente correlata alla effettiva autonomia propria dell'appaltatore, in quanto destinatario della gestione del rischio inerente all'esecuzione dell'opera e all'obbligo di organizzare il lavoro con propri mezzi e con personale da lui assunto (Sez. 4, n. 10468 del 01/10/1993, Lanzutti, Rv. 19546101).

2.2. L'obbligo di sicurezza poteva comunque gravare anche sul committente essenzialmente in due ipotesi (Sez. 3, n. 2329 del 20/01/1992, Stravato, Rv. 18917301): la prima, ove il committente non avesse scelto come appaltatore un soggetto dotato delle necessarie competenze tecniche (in questo caso, secondo la giurisprudenza, il committente poteva rispondere dell'infortunio sul lavoro a titolo di culpa in esigendo); la seconda, nell'ipotesi in cui il committente si fosse "ingerito" nei lavori svolti dall'appaltatore, non consentendo così a quest'ultimo la necessaria autonomia per lo svolgimento del proprio incarico (Sez. 4, n. 1659 del 11/10/1989, Mulas, Rv. 18323501; Sez. 4, n. 2502 del 17/12/1993, dep.1994, lanieri, Rv. 19773601).

2.3. L'interprete si è, poi, mostrato sensibile alle particolari problematiche prevenzionistiche insite nei cantieri nei quali più imprese si trovavano a lavorare, segnando tali situazioni il tramonto del principio di tendenziale irresponsabilità del committente (Sez. 4, n. 9416 del 02/05/1988, Catalano, Rv. 17922401) e indicandosi anche il committente quale garante per la sicurezza con specifica attenzione all'obbligo di destinare all'appaltatore un ambiente di lavoro sicuro (Sez. 3, n. 8134 del 24/04/1992, Togni, Rv. 19138701) e all'obbligo di informazione circa i rischi esistenti nell'ambiente di lavoro. Il fondamento giuridico di tali obblighi si rinveniva essenzialmente in due norme: una generale, come l'art. 2087 c.c. (Sez. 4, n. 5070 del 28/03/1995, Santoni, Rv. 20187101), e l'altra specifica, ossia il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 5 (sebbene dettata a tutela dei lavoratori autonomi, la sua portata precettiva veniva estesa anche agli appaltatori, evidenziando come la ratio della norma fosse quella di tutelare tutti i prestatori di lavoro estranei all'organizzazione aziendale dalle situazioni di pericolo relative allo specifico ambiente di lavoro e quindi anche i dipendenti dell'appaltatore).

2.4. Anticipate dalla giurisprudenza, tali regole vennero poi trasfuse nel D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7 (in vigore fino al 14 maggio 2008), che, limitatamente ai cantieri interni, contemplava cinque obblighi a carico del datore di lavoro-committente, tra i quali l'obbligo di fornire alle imprese appaltatrici dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui erano destinate ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività e l'obbligo di informazione per prevenire i rischi interferenziali (Sez. 4, n. 2800 del 15/12/1998, dep. 1999, Breccia, Rv. 21322601). Il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 poneva, però, due limiti alla responsabilità del committente: il primo, implicito, che ne sanciva la responsabilità nei soli casi in cui fosse anche datore di lavoro; il secondo, espresso, qualora l'infortunio fosse derivato dai rischi specifici delle attività delle singole imprese appaltatrici (area di rischio gestita dal committente era, dunque, esclusivamente quella inerente ai rischi comuni).

2.5. Con il D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 venne riconosciuta la specificità dei cantieri temporanei o mobili (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, comma 1, lett. a)). Il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, lett. b), a differenza della disciplina previgente, conteneva inoltre l'espressa definizione di committente, identificato nel "soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione" e prevedeva al successivo art. 3 gli obblighi specifici su tale soggetto gravanti. Per la prima volta il legislatore prendeva in esame la figura del committente tout court quale garante, non necessariamente associata al ruolo di datore di lavoro (Sez. 4, n. 10608 del 04/12/2012, dep. 2013, Bracci, Rv. 25528201). Alla posizione di garanzia del committente in quanto tale, la legge associava, quindi, alcuni obblighi di controllo dei documenti sulla sicurezza, l'importante obbligo di determinare la durata dei lavori o di fasi lavorative onde consentirne la pianificazione in condizioni di sicurezza, l'obbligo di designare il coordinatore per la progettazione ed il coordinatore per l'esecuzione (solo per i cc.dd. cantieri sopra-soglia elencati dall'art. 3, comma 3, come modificato dal D.Lgs. n. 528 del 1999).

2.6. La nuova disciplina avviava l'introduzione nell'ordinamento di uno "statuto" del committente, rispondente alla necessità di enucleare gli obblighi di protezione e di controllo gravanti su tale parte contrattuale sia in relazione alle dimensioni del cantiere, sia in relazione alle lavorazioni commissionate, sia in relazione al luogo di esecuzione dell'opera, sia infine alla presenza di una o più imprese appaltatrici. Nella giurisprudenza di legittimità la responsabilità del committente si è quindi più nettamente associata alla violazione di alcuni obblighi specifici, quali l'informazione sui rischi dell'ambiente di lavoro e la cooperazione nell'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008, Rappa, Rv. 24273501).

2.7. L'individuazione da parte del legislatore di questo ulteriore garante ha posto, poi, anche il problema di delimitarne l'area di rischio, al fine di evitare sovrapposizioni con altri garanti o, per altro verso, vuoti di tutela (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi, Rv. 26497401; Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio, Rv. 25267201). A fronte dell'affermazione di principio secondo cui il debito di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto d'appalto o di prestazione d'opera, grava in capo tanto al datore di lavoro quanto al committente, si è pertanto precisato che tale principio non trova sempre applicazione, non potendosi esigere dal committente "un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori"; per aversi responsabilità del committente, ha affermato la giurisprudenza di questa Sezione, "occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonchè alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo", restando egli esonerato con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (Sez. 4, n. 1511 del 28/11/2013, dep. 2014, Schiano Di Cola, Rv. 25908601; Sez.4, n. 15081 del 8/04/2010, Cusmano, in motivazione).

3. Senza indugiare oltre sull'argomento, deve a questo punto essere chiarito che, nel caso in esame, non è in rilievo l'autonoma posizione di garanzia che il ricorrente A.A. ha assunto quale primo responsabile dell'effettiva attuazione delle cautele funzionali alla gestione del rischio interferenziale. Come correttamente indicato dalla Corte di appello, nè il DVR nè il DUVRI sottoscritti da A.A. prevedevano la presenza e l'uso di un compattatore di cartoni (pag.9) e "ciò che rileva, in realtà, è che vi era un uso generalizzato e in alcun modo presidiato del press container che era riempito e fatto funzionare da tutti coloro che, a vario titolo, collaboravano alla frenetica attività di preparazione dell'imminente inaugurazione comprensiva dello sgombero e pulizia dei locali" (pag.14). Se lo sgombero dei locali fosse o meno preliminare alla pulizia, tale circostanza non avrebbe comunque escluso che l'evento occorso appartenesse all'area di rischio della quale il A.A. era gestore.

3.1 L'importanza di un puntuale assolvimento all'obbligo di redazione dei documenti di valutazione dei rischi (DVR e DUVRI) deriva dalla considerazione che sin dal 1994 perno della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori è divenuta la valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa. Le disposizioni che si occupano della valutazione dei rischi evidenziano la centralità dell'organizzazione del lavoro anche con riferimento al settore della prevenzione antinfortunistica. Ne consegue che anche l'attribuzione di responsabilità per il fatto colposo si è progressivamente collegata, oltre che alla mancata adozione di singole misure di prevenzione, alla mancata o inidonea "progettazione" della sicurezza del lavoro. La valutazione dei rischi è strumento primario di tutela dei lavoratori dal deficit organizzativo, posto che attraverso tale strumento è possibile prendere consapevolezza dei rischi presenti nella specifica realtà produttiva e le misure che valgono, in concreto, ad eliminare o, ove non possibile, a ridurre i rischi censiti.

3.2. Come insegna la giurisprudenza di legittimità, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, e ai fini che qui interessano il committente è anche datore di lavoro responsabile nei confronti di dipendenti e terzi gravitanti nell'area aziendale, ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 27583 del 13/04/2022, Cesaretti, in motivazione; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253).

3.3. I rischi implicati dalle attività la cui individuazione si deve pretendere dal datore di lavoro sono quelli riconoscibili in forza delle conoscenze poste a disposizione dalla scienza e dalla tecnica o da consolidate conoscenze esperienziali (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997 - 15). Ciò ha ben definite implicazioni sul piano probatorio, giacchè l'adempimento dell'obbligo di valutazione dei rischi ha quale termine di raffronto i rischi che al tempo erano riconoscibili. Se talvolta il raffronto non è operazione complessa o non è oggetto di contestazione nel processo, quando ciò non sia l'accertamento processuale deve necessariamente estendersi all'acquisizione di prove in merito allo stato della scienza, della tecnica e della esperienza al tempo della valutazione dei rischi (e, in virtù del dovere di aggiornamento, sino al tempo dell'evento), per identificare quali rischi fossero riconoscibili nel caso concreto (e quali misure fossero individuabili come atte a fronteggiarli).

3.4. Leggendo alla luce di tali considerazioni la decisione impugnata, un primo elemento da porre in evidenza è che la riconoscibilità del rischio, indicata dalla giurisprudenza quale criterio di valutazione della regola cautelare da individuare ex ante da parte del soggetto tenuto alla redazione del documento di valutazione dei rischi, è stata assunta dalla Corte territoriale quale criterio di attribuzione tanto dell'addebito di colpa al committente, quanto dell'addebito al datore di lavoro appaltatore che, secondo i giudici di merito, avrebbe dovuto riconoscere un rischio non valutato nei documenti di valutazione dei rischi redatti dal committente.

4. L'addebito di colpa specifica enucleato nelle sentenze di merito tanto a carico di A.A., in qualità di committente, quanto a carico di B.B., in qualità di datore di lavoro dell'impresa appaltatrice, è, infatti, la mancata valutazione dei rischi derivanti dalla possibilità che referenti della Dimar Spa autorizzassero l'uso, da parte dei dipendenti dell'appaltatrice, di macchinari nella disponibilità della committente. Il giudice di primo grado ha, non condivisibilmente, individuato in tale evenienza un rischio interferenziale, derivante dal contatto tra il personale della società committente e quello dell'appaltatore, che gli imputati avrebbero dovuto regolare e definire coordinandosi, conseguentemente formando e informando il lavoratore circa l'uso in sicurezza del compattatore. Ritiene il Collegio che sia invece esatto quanto evidenziato dalla Corte territoriale, che ha correttamente posto l'accento sul rischio direttamente derivante dall'utilizzo del compattatore anche da parte dei dipendenti della D.D., che davano una mano a smaltire il cartone; si tratta, infatti, più propriamente, dell'area di rischio che il datore di lavoro del punto vendita avrebbe dovuto diligentemente gestire sia nei confronti dei propri dipendenti sia nei confronti dei terzi che, a qualunque titolo, fossero venuti a contatto con il macchinario (giova rammentare che la normativa in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è stata in più occasioni ritenuta operante in relazione a tutte le forme di lavoro, anche nelle ipotesi in cui non sussistesse un formale rapporto di lavoro (Sez. 4, n. 17581 del 01/04/2010, Montrasio, Rv. 247093), fino ad ampliare l'ambito di esplicazione della posizione di garanzia a favore di terzi che frequentino le strutture aziendali (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248850)).

4.1. Con specifico riguardo alla presenza del compattatore al momento dell'inaugurazione, i giudici di merito hanno, poi, ritenuto tale circostanza prevedibile anche da parte dell'appaltatore, dato l'aumento enorme della quantità di scarti in cartone, con connessa probabilità che i dipendenti dell'appaltatrice coadiuvassero quelli della committente anche gettando materiale nel compattatore e intervenendo nell'ipotesi, non rara, di un suo inceppamento. Non si è esaminata la circostanza che il compattatore fosse stato consegnato alla Dimar Spa in data 11 settembre 2015, ossia il giorno dopo la data del 10 settembre 2015, quando una dipendente della D.D. aveva eseguito il sopralluogo funzionale alla sottoscrizione del DUVRI da parte del B.B..

4.2. Considerato che nel DUVRI era prevista la possibilità che dipendenti della Dimar Spa dessero disposizioni a dipendenti della D.D. sull'uso di macchinari del committente, peraltro non meglio specificati, i giudici hanno da ciò desunto che l'uso di un compattatore di rifiuti di carta e cartone, neppure eccentrico rispetto alle mansioni di pulizia degli ambienti di cui si occupava il lavoratore infortunato, avrebbe imposto a entrambi gli imputati di adottare le necessarie contromisure a tutela dei lavoratori, valutando e fronteggiando il rischio di un uso improprio di attrezzature del committente.

5. Sulla base della imputazione come sopra contestata, da confrontare con le risultanze istruttorie rappresentate e con il giudizio espresso nelle sentenze dei due gradi di merito, il Collegio ritiene che una precisazione s'imponga con riferimento alla gestione delle informazioni inerenti ai rischi presenti nell'ambiente di lavoro nella ipotesi di appalto endoaziendale. Tale ipotesi, come detto, disciplinata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 1, lett. b), si verifica allorchè il datore di lavoro affidi a terzi la realizzazione di un'attività che avviene nell'ambito della stessa azienda o unità produttiva, all'interno della quale, pertanto, saranno contemporaneamente presenti i lavoratori facenti capo al datore di lavoro committente e i lavoratori dell'appaltatore, oppure lavoratori autonomi.

5.1. In queste ipotesi, caratterizzate dal presupposto imprescindibile, in quanto previsto dalla legge, che il committente abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto, il primo anello della catena degli obblighi informativi, che giungeranno infine a rendere il lavoratore edotto e consapevole dei rischi ai quali va incontro nello svolgimento della sua attività lavorativa, è rappresentato dall'informazione che viene fornita dal committente all'appaltatore. Nel disegno del legislatore il committente, fino a quando non le abbia trasmesse all'appaltatore, è unico dominus e gestore delle informazioni inerenti ai rischi che sono presenti nell'azienda o unità produttiva, e non potrebbe essere altrimenti in una lettura costituzionalmente orientata della normativa alla luce del principio di colpevolezza.

5.2. Da tale osservazione deriva la considerazione che ogni obbligo informativo che la legge pone a carico dell'appaltatore, con riguardo ai rischi specifici dell'ambiente di lavoro di appannaggio del committente, non può che sorgere in seguito all'adempimento da parte del committente del primigenio dovere di informazione e nella misura in cui tale dovere sia stato assolto, fatti salvi i casi, da accertare in concreto, nei quali sia provata la riconoscibilità aliunde di tali rischi, senza peraltro che la legge preveda alcun obbligo per l'appaltatore di attivarsi in tal senso. In questo passaggio, o omesso passaggio, di informazioni essenziali per l'approntamento delle misure prevenzionistiche si annida una possibile linea di demarcazione tra l'area di rischio di pertinenza del committente e quella di pertinenza dell'appaltatore datore di lavoro. Se è vero che l'accettazione passiva di un DUVRI incompleto non esime il datore di lavoro dal verificarne criticamente l'idoneità ad attivare la coerente catena delle misure antinfortunistiche, è però anche vero che l'omessa valutazione di rischi insiti nell'ambiente di lavoro nella disponibilità del committente, non altrimenti riconoscibili, potrebbe ragionevolmente sfuggire anche al più attento controllo dell'appaltatore.

6. Un altro preliminare chiarimento attiene alla relazione esistente tra rischi specifici dell'ambiente di lavoro e rischi interferenziali, giacchè anche l'obbligo di cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi di infortunio sul lavoro incidenti sull'oggetto dell'appalto, previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2, lett. a), e l'obbligo di coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi, previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2, lett. b), presuppongono l'assolvimento, da parte del committente, del primigenio obbligo informativo di cui si è detto, al quale tale garante deve ottemperare mediante la corretta redazione del DUVRI, secondo quanto chiaramente enunciato dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 3, (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione, con specifico riferimento alla funzione di "statuto della sicurezza aziendale" del DVR, ovviamente estensibile al DUVRI; documenti da intendersi come "una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità cui ognuno dovrebbe poter accedere per acquisire le informazioni pertinenti").

6.1. Il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice, in altre parole, per poter adempiere nei confronti dei suoi dipendenti agli obblighi informativi, formativi e preventivi che riguardino rischi diversi da quelli specifici dell'attività oggetto di appalto, deve essere in condizione di conoscere preventivamente i rischi inerenti all'ambiente di lavoro "incidenti" sull'attività oggetto dell'appalto, ipotesi che ricorre se il rischio si attiva in ragione della relazione intercorrente tra ambiente e attività appaltata, ovvero "interferenti" con tale attività, ipotesi che ricorre se il rischio è generato dal contatto tra lavoratori dipendenti da diverse imprese.

6.2. Va, infine, chiarito che gli obblighi informativi inerenti ai rischi dell'ambiente di lavoro, siano essi incidenti sull'attività oggetto del contratto di appalto, siano essi interferenti con l'attività oggetto del contratto di appalto, non possono ritenersi definiti dall'oggetto del contratto di appalto ma si estendono oltre tale oggetto.

6.3. Il rischio interferenziale può, per altro profilo, essere eventualmente collegato ai rischi inerenti all'ambiente di lavoro, ma ne rappresenta un insieme più ampio, che determina un ampliamento dell'area di rischio originariamente gestita dal singolo datore di lavoro in relazione alla specifica attività svolta dai suoi dipendenti. In ogni caso, qualora l'informazione che concerne un rischio inerente all'ambiente di lavoro influisca sul processo valutativo del rischio inerente all'attività dei dipendenti dell'appaltatore, l'omessa trasmissione di tale informazione al datore di lavoro dell'impresa appaltatrice può risolversi nel correlato limite all'ampliamento dell'area di rischio della quale quest'ultimo è garante.

6.4. Errata in diritto è, pertanto, l'affermazione difensiva secondo la quale, nella redazione del DUVRI, il committente non fosse tenuto a valutare i rischi connessi all'ambiente di lavoro esulanti dalle attività oggetto del contratto di appalto, giacchè la legge impone di valutare tutti i rischi che possano comunque "incidere" sull'attività oggetto di appalto.

6.5. Applicando tale principio al caso concreto, si desume la piena legittimità dell'affermazione fatta dai giudici di appello a pag.14 laddove, dopo aver premesso che nel medesimo documento era stato previsto che i dipendenti della D.D. avrebbero potuto fare uso delle attrezzature non di proprietà se autorizzati dal committente (pag.3), hanno ritenuto che quest'ultimo fosse obbligato ad inserire nel DUVRI il rischio connesso all'uso del compattatore, trattandosi di rischio idoneo ad attingere anche i dipendenti dell'appaltatore in quanto generato dall'"uso generalizzato e in alcun modo presidiato del press container che era riempito e fatto funzionare da tutti coloro che, a vario titolo, collaboravano alla frenetica attività dell'imminente inaugurazione comprensiva dello sgombero e della pulizia dei locali".

7. Così delineato l'ambito della posizione di garanzia del committente e dell'appaltatore in caso di appalto endoaziendale con riguardo allo specifico obbligo informativo, si osserva che il primo motivo del ricorso di A.A. è infondato in quanto trascura l'argomento centrale sul quale si fonda l'affermazione di responsabilità di tale imputato, ossia l'omissione dell'obbligo di valutazione del rischio gravante sul datore di lavoro e l'omissione di un obbligo previsto dalla legge a carico del committente, consistente nel fornire all'impresa appaltatrice dettagliate informazioni sui rischi specifici presenti nell'ambiente e sulle misure di prevenzione e di sorveglianza adottate con specifico riferimento ai rischi connessi all'utilizzazione dell'autocompattatore. Con il presente motivo di ricorso la difesa ha genericamente riproposto alcune censure sottoposte al giudice di appello senza confrontarsi con la replica fornita a pag.14 della sentenza impugnata, ove è stata ritenuta generica la previsione di macchinari e assolutamente generica la forma dell'autorizzazione che ne avrebbe legittimato l'uso, rilevandosi altresì omessa l'indicazione di chi, all'interno della complessa struttura aziendale, avrebbe potuto e dovuto rilasciare detta autorizzazione, peraltro nella totale assenza di valutazione del rischio connesso. Il committente ha omesso di prevedere il canale informativo da attivare al fine di comunicare all'appaltatore che aveva autorizzato i suoi dipendenti all'uso di macchinari non di proprietà. La colpa del committente è stata individuata nella superficialità nel non prevedere il rischio connesso all'uso del compattatore, dunque in una omissione specificamente collegata a un obbligo prevenzionistico previsto per legge. La Corte di legittimità a Sezioni Unite (Sez. 1.1) n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, in motiv.) ha, in proposito, evidenziato l'esigenza di sottrarre la problematica dell'attribuzione della posizione di garanzia alla teoria dell'imputazione oggettiva dell'evento di derivazione condizionalistica, affermando che la posizione di garante coincide, in linea generale, con quella di soggetto gestore del rischio; si riconosce la sussistenza della posizione di garanzia sulla scorta dell'effettivo e concreto governo del rischio e delle finalità protettive che lo sorreggono. Secondo l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, l'operatività dell'art. 41 c.p., comma 2, è infatti circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo ed esorbitante rispetto a quello originario, rilevando infatti l'eccentricità e l'atipicità rispetto all'area di rischio attivata dalla prima condotta od omissione (Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Palmeri, Rv. 27623801; Sez. 4, n. 123 dell'11/12/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 27482901). Coerentemente con tali principi, il tema della causalità della condotta contestata a A.A. è stato significativamente sviluppato in correlazione all'ambito di operatività della posizione di garanzia dal medesimo ricoperta in quanto gli è stata rimproverata una condotta omissiva indicativa della piena pertinenza del rischio verificatosi agli obblighi di protezione e garanzia propri del committente-datore di lavoro nell'ambito di un appalto endoaziendale per rischi connessi all'ambiente di lavoro.

7.1. La manifesta infondatezza del secondo motivo del ricorso di A.A. può desumersi da quanto indicato ai parr.6.4 e 6.5.

7.2. Il terzo motivo di ricorso è infondato. E' sufficiente rilevare che, a fronte della totale omissione della valutazione del rischio da parte del garante, ogni argomentazione tendente a dimostrare che la condotta imprudente del lavoratore si sia posta quale unica causa dell'infortunio si scontra con il rilievo che l'omessa previsione del rischio ha comportato che l'attività lavorativa, per tale profilo, fosse totalmente priva di controllo, rappresentazione e preventiva gestione da parte del debitore di sicurezza.

7.3. Il quarto motivo del ricorso di A.A. è inammissibile. Premesso che la decisione inerente alla condanna dell'appellante al pagamento delle spese processuali quale conseguenza del rigetto dell'impugnazione non necessita di motivazione nè può confrontarsi con la posizione di altro imputato, avendo i due impugnanti presentato distinti atti di appello, si osserva anche che la valutazione svolta dai giudici di appello in merito alla determinazione della pena si salda con quella effettuata a pag.12 della sentenza di primo grado, che ha riconosciuto la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, valorizzando dunque in termini concretamente positivi la condotta susseguente al reato, dunque riconoscendo tale circostanza attenuante nel giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza. Difetta ogni confronto con tale decisione, che ha riconosciuto all'imputato la riduzione di pena in ragione del giudizio di prevalenza della citata attenuante nel bilanciamento tra circostanze eterogenee. Va inoltre ricordato che la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis c.p., che attribuisce al giudice di merito la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici, gli elementi che possono condurre ad attenuare la pena edittale, non gli impone, tuttavia, di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, nel caso in esame peraltro espressamente fornita con riferimento alla grave lacunosità del DUVRI a fronte dell'applicazione della sola pena pecuniaria nella misura di Euro 200.

8. Il primo motivo del ricorso di B.B., da considerarsi dirimente, è fondato.

8.1. In replica ad analogo motivo sviluppato nell'atto di gravame, la Corte territoriale ha ritenuto in colpa l'appaltatore per aver sottoscritto un DUVRI assolutamente generico nel p. 4, accettando "che i dipendenti della Vitale potessero utilizzare macchinari non di proprietà, senza che nulla fosse precisato in ordine al tipo di macchinari, alle condizioni di utilizzo, senza prevedere la necessità di valutare e impartire idonea formazione/informazione; senza che fosse precisamente indicato chi all'interno di Dimar, in che modo e con quali formalità avrebbe dovuto - in detta eventualità - rilasciare l'autorizzazione".

8.2. Tale motivazione è insufficiente, laddove fornisce una lettura parziale delle informazioni fornite all'appaltatore, trascurando che il committente aveva altresì espressamente escluso, proprio al p. 4, la sussistenza di rischi derivanti dall'utilizzo di macchinari. Il giudice di merito ha, in particolare, omesso di esaminare l'allegazione difensiva secondo la quale era provato che il macchinario compattatore non fosse stato ancora installato allorchè la D.D. aveva inviato una coordinatrice per effettuare un sopralluogo prima della sottoscrizione del DUVRI. 8.3. La motivazione è carente anche per avere ritenuto operante la posizione di garanzia del datore di lavoro appaltatore senza adeguatamente specificare a quali condizioni l'area di rischio di cui tale garante è gestore si estendesse, nel caso concreto, in ragione dell'obbligo di attivarsi per acquisire aliunde le informazioni non fornite dal committente in relazione ai rischi specifici inerenti all'ambiente di lavoro incidenti sull'attività oggetto dell'appalto.

9. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di B.B., con rinvio alla Corte di appello di Torino perchè riesamini la posizione di tale imputato alla luce dei criteri direttivi di cui sopra. Il ricorso proposto da A.A. deve, invece, essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p..

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.B. e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.

Rigetta il ricorso di A.A., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2023