Tribunale Velletri, Sez. 1, 20 aprile 2023, n. 410 - Azione di Regresso


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI

sezione lavoro 1 grado

Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa Raffaella Falcione, quale Giudice del lavoro, all'udienza del 20/04/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente

SENTENZA AI SENSI DELL'ART.429 C.P.C.



nella causa civile di primo grado iscritta al n. 691/2022 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri e vertente tra

I.N.A.I.L., Istituto Nazionale Per L'assicurazione Contro Gli Infortuni Sul Lavoro, in personadel legale rappresentante pro tempore,

Ricorrente

Rappresentato e difeso dall'Avv.to Pierfrancesco Damasco

E

A.R.

Resistente - Contumace

OGGETTO: Azione di Regresso.

 

FattoDiritto


Con ricorso depositato in data 11.02.2022, ritualmente notificato, l'INAIL esperisce azione di regresso, ex artt. 10 e 11 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nei confronti di A.R., titolare della omonima azienda agricola individuale con sede legale in A., in relazione all'infortunio sul lavoro occorso a C.V.G., ex dipendente della convenuta con le mansioni di bracciante agricola.

L'Istituto attore deduce in particolare:

- Che il giorno 14 settembre 2011 la C. incaricata dalla datrice di procedere presso la sede della ditta, sita in Contrada C. Omissis del Comune di Artena al taglio e successiva spaccatura della legna, con utilizzo di una macchina spaccalegna movimentata da un trattore e composta da un pistone ed una troncatrice, subiva lo schiacciamento del I dito della mano destra, successivamente amputato, tra il tronco di legname e il pistone della sega sganciatosi dalla sede principale;

- Che al momento al momento dell'infortunio era presente la figlia della lavoratrice D.A.M.L.;

- Che la resistente datrice di lavoro rilasciava una dichiarazione falsa al Pronto Soccorso relativamente alla dinamica dell'infortunio e, solo successivamente all'evento, provvedeva a regolarizzare il rapporto di lavoro con la signora C.;

- Che come accettato dalla polizia giudiziaria incaricata delle indagini, l'infortunio si è verificato a causa della omessa formazione della lavoratrice sui rischi specifici della propria mansione e sui dispositivi di prevenzione protezione da adottare, nonché per ho messo per non avere fornito alla dipendente infortunata e dispositivi di protezione di prevenzione protezione individuale, in violazione degli articoli 36 comma 2, 37 comma 1, 18 comma 1 lett. d) e 55 comma 5 lett. c) e d) del D.Lgs. n. 81 del 2008;

- Che, pertanto, la ricorrente veniva imputata del reato previsto dagli artt. 590 comma 3 e 583 commi 1 e 2 c.p. per avere cagionato per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e in violazione delle norme sulla sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro di cui innanzi, lesioni personali gravi alla lavoratrice dipendente;

- Che, a seguito dell'infortunio, C.V.G. riportava lesioni temporanee e permanenti valutate dall'istituto nella misura del 20% quanto il danno biologico permanente e con 232 giorni di ITA ex art. 68 TU n. 1124/1965, liquidando all'assicurata ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000 i danni subiti sostenendo un onere complessivo di Euro 134.627,64, come indicato in dettaglio nella attestazione del 23.11.2020 a firma del Dirigente della sede INPS di Velletri;

- Che in data 21.03.2019 il Tribunale di Velletri Sezione Penale con la sentenza n. 776/2019 proscioglieva la A. da tutti i reati a lei ascritti per prescrizione;

- Che, avendo diritto alla rivalsa, ha diffidato la controparte di procedere al rimborso senza sortire alcun effetto.

Chiede, pertanto, previo accertamento incidentale della responsabilità civile e penale della convenuta, che A.R. sia condannata a pagare in suo favore la somma complessiva di Euro 134.627,64, oltre rivalutazione ed interessi compensativi di legge. Con vittoria di spese di lite. Allega documentazione.

A.R., benché ritualmente citata, non si costituiva in giudizio, per cui ne veniva dichiarata la contumacia.

La causa veniva istruita mediante la produzione documentale offerta dall'INAIL ritenuta sufficiente ai fini della decisione. All'odierna udienza, all'esito della discussione, il Tribunale la decideva sulle conclusioni rassegnate dal procuratore della parte ricorrente negli scritti difensivi e a verbale, dando lettura della sentenza con motivazione contestale, ai sensi dell'art. 429 c.p.c..

Va premesso che il presupposto per l'esperimento dell'azione di regresso da parte dell'INAIL è la sussistenza delle responsabilità penale del datore di lavoro (accertata nel corso di un processo penale o incidenter tantum nel corso di una controversia civile) in relazione al decesso del lavoratore, o alle lesioni da questi subite in occasione di un infortunio sul lavoro.

Così, infatti, recita l'art. 10 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124:

"L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.

Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.

Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile.

Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa.

Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo".

L'art. 11 prevede, infine, il diritto dell'INAIL di rivalersi nel termine di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che abbia accertato la responsabilità del datore di lavoro.

Ebbene, nel caso per cui è processo, a parere del giudicante, la responsabilità penale di A.R., quale titolare della omonima impresa agricola individuale e datrice di lavoro di C.V.G., può dirsi essere stata definitivamente accertata a seguito dell'emissione da parte della GIP del Tribunale di Velletri del Decreto Penale di condanna n. 992/2013 Reg. GIP, che a seguito dell'opposizione proposta dall'imputata, ha dato corso al processo 1454/2016 RG Trib. definito con la sentenza n. 778 del 21.03 2019.

Ed infatti, il materiale raccolto nella fase delle indagini preliminari in virtù del quale il GIP di Velletri ha emesso a carico della resistente Decreto Penale di Condanna, e prodotto dall'Istituto in allegato al ricorso introduttivo del presente giudizio (in particolare: la denuncia/querela sporta dalla lavoratrice infortunata; le informazioni testimoniali rese dalla figlia della signora C., D.A.M.L. alla Polizia Giudiziaria del Dipartimento Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro della A.R. G; la Relazione Ispettiva INAIL del 23.02.2012), è sufficiente e idoneo per valutare la posizione della resistente, sebbene definita in sede penale con sentenza che ha accertato l'intervenuta prescrizione dei reati a lei ascritti.

Con riferimento al problema di quale sia la valenza nel giudizio civile di ciò che scaturisce dal processo penale, secondo l'insegnamento più volte ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione (si veda da ultimo Cassa. Ord. 14648/20011), va osservato che, come affermato dai giudici di legittimità: "Ai sensi dell'art. 651 cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con esclusione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, tuttavia, vincolante con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l'individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile". Ancora, "Il giudice civile, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ancorché con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile; a tal fine, egli non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze della sola sentenza" (v. sentenza n. 22200/10).

Pertanto, benché nel giudizio penale l'INAIL non è stata parte, sulla base degli elementi di prova raccolti nel corso delle indagini preliminari svolte dalla PG, oltre che all'esito dell'indagine ispettiva condotta dall'INAIL, risulta evidente come le lesioni riportate dalla signora C. siano state la conseguenza della mancata formazione della stessa relativamente alla mansione assegnatale, in particolare l'omessa formazione e informazione sui rischi connessi all'utilizzo della macchina cd spaccalegna e quindi sulle modalità del suo corretto utilizzo, oltre che alla mancata consegna alla lavoratrice di idonei DPI.

Ne è ulteriore prova la circostanza che la lavoratrice il giorno dell'infortunio non risultava ancora formalmente assunta dall'impresa individuale della resistente, ed infatti dalla comunicazione UNILAV risulta che è stata regolarizzata lo stesso 14.09.2011, con decorrenza dal 20.08.2011, dopo l'accesso presso la sede della ditta della Guardia di Finanza della Tenenza di Colleferro. La datrice di lavoro, peraltro, in un primo momento, nel chiaro tentativo di sottrarsi alle sue responsabilità, ha reso false dichiarazioni sulla dinamica dell'infortunio.

Può dirsi, quindi, definitivamente accertato che il 14.09.2011 la lavoratrice si trovava all'interno del capannone/magazzino dell'impresa agricola di A.R. intenta al taglio di tronchi mediante l'utilizzo di una macchina taglialegna/spaccalegna. Nel corso dello svolgimento della predetta attività, il I dito della mano dx della C. rimaneva schiacciato tra il tronco di legname e il pistone della sega sganciatosi dalla sede principale.

A seguito dell'infortunio la lavoratrice riportava postumi permanenti consistiti in Esiti di amputazione totale del I dito della mano destra in relazione ai quali l'INAIL ha riconosciuto un danno biologico per la menomazione dell'integrità psicofisica pari al 20% della totale, oltre a 232 giorni di Inabilità Temporanea Assoluta.

Ne consegue la sussistenza in capo alla resistente, sia dell'elemento materiale del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 e delle relative contravvenzioni, sia di quello soggettivo della colpa.

In conclusione, ritiene questo giudicante, che il procedimento logico svolto nel procedimento penale sia del tutto corretto e condivisibile e consente di affermare, per gli stessi motivi sopra richiamati, proiettando tali valutazioni ai fini che qui interessano, la sussistenza del presupposto essenziale dell'azione di regresso intrapresa dall'Istituto ricorrente, e cioè l'avvenuta commissione di un reato da parte del datore di lavoro che ha il potere/dovere di direzione e sorveglianza del lavoro, per quello che rileva ai fini civilistici, ossia quale fatto costitutivo del diritto al regresso.

Già nel 1997 le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 3288) hanno affermato che l'interpretazione più corretta degli articoli 10 e 11 del T.U. - secondo la quale all'INAIL è attribuita l'azione di regresso nei confronti di tutti coloro i quali, nell'ambito del rapporto di lavoro o, più precisamente, nell'ambito del rischio tutelato, abbiano commesso fatti astrattamente configurabili come reati perseguibili d'ufficio dai quali sia derivato il danno - è "del tutto coerente con i fini generali di prevenzione che presiedono alla disciplina, non sottraendo i diretti responsabili del danno all'integrità o alla salute del lavoratore, all'azione di rivalsa dell'Istituto che, almeno per certi aspetti, ha efficacia monitoria persino maggiore dell'eventuale azione spiegata dall'interessato o dai suoi aventi causa, ed anzi costituendo una ulteriore remora alla inosservanza delle norme poste a prevenzione degli infortuni".

Più di recente la S.C. (sentenza n. 17486/2013) ha affermato che: "l'azione, esercitata dall'Inail nei confronti delle persone civilmente responsabili, per la rivalsa delle prestazioni erogate all'infortunato, nel caso di responsabilità penale accertata nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti alla direzione dell'azienda o alla sorveglianza dell'attività lavorativa configura- non già un'azione surrogatoria ex articolo 1916 c.c., che l'istituto può esercitare, facendo valere in sede ordinaria il diritto al risarcimento del danno spettante all'assicurato, contro il terzo responsabile dell'infortunio che sia esterno al rischio protetto dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro - bensì la speciale azione di regresso spettante (jure proprio) all'Istituto ai sensi degli articolo 10 ed 11 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell'infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all'attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, senza che a ciò sia di ostacolo la possibile affermazione della loro responsabilità solidale atteso che l'art. 2055 Ccconsente la diversità dei rispettivi titoli di responsabilità (contrattuale per il datore dilavoro ed extracontrattuale per gli altri). L'azione di regresso ha natura propria ed è indipendente rispetto alla copertura fornita dall'assicurazione obbligatoria" (nello stesso senso già Cass. n. 16141/2004).

Ciò chiarito in termini di fatto, occorre procedere alla quantificazione del diritto dedotto dall'istituto nel presente giudizio.

In tale operazione assume rilievo il profilo civilistico, nel senso che il datore di lavoro, o i soggetti da questi incaricati della direzione e sorveglianza del lavoro, risponde nei limiti della propria colpa civile (che coincide nei presupposti con quella penale) anche quando è chiamato in regresso, non potendo essere condannato in sede di regresso a una somma superiore al limite accertato della propria responsabilità civile (artt. 10 - 11 D.P.R. n. 1124 del 1965).

Sul punto va opportunamente evidenziato che la Corte di Cassazione in tema di prova della congruità dell'indennità corrisposta dall'lNAIL (al lavoratore, o ai superstiti) nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro, considerato che l'Istituto svolge la sua azione attraverso atti emanati a conclusione di procedimenti amministrativi, ha ritenuto che tali atti, in quanto attestati dal Direttore della sede erogatrice, siano assistiti dalla presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto in considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento.

Pertanto, benché com'è noto, la contumacia non equivale alla "non contestazione" delle allegazioni di controparte, in quanto l'art. 115 c.p.c. fa’ espresso riferimento alle parti costituite, in assenza di elementi specifici di segno contrario, deve ritenersi che la liquidazione delle prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge, e che il credito relativo alle medesime prestazioni erogate sia esattamente indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del Direttore della sede prodotto in giudizio (Cass. 15 ottobre 2007 n. 21540; Cass. 1 dicembre 1999 n. 13377).

Quanto all'importo chiesto in restituzione, dall'attestazione prodotta in atti a firma del Dirigente della sede INAIL di Velletri del 23.11.2020 risulta che l'Ente ha sostenuto oneri per la somma complessiva di Euro 133.663,62 di cui: Euro 4.703,51 a titolo di Inabilità Temporanea Assoluta; Euro 128.686,73 a titolo di indennizzo in rendita capitalizzata al 23.11.2020 ex D.Lgs. n. 38 del 2000; Euro 273,38 a titolo di rimborso spese.

Per quanto riguarda gli accessori del credito, a giudizio della scrivente si dovrà farli decorrere dal deposito della presente sentenza, dal formale atto di diffida del 17.05.2018 comunicata alla resistente in data 7.06.2018 (doc 2).

Ed invero, per la costante giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione (cfr. 3442/2001), il credito dell'INAIL per l'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro responsabile dell'infortunio patito dal lavoratore assicurato (art. 10 ed 11 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) è produttivo di interessi che sono, non già compensativi, bensì moratori, rinvenendo essi il loro fondamento giuridico nel ritardo col quale il datore di lavoro adempie la sua obbligazione consistente nella restituzione delle somme erogate dall'ente assicuratore per l'assistenza e l'indennizzo del proprio assicurato, oltre tali interessi moratori - che, in quanto tali, devono essere espressamente richiesti.

In definitiva, sussistono tutti i presupposti per l'esperimento dell'azione di regresso da parte dell'INAIL, con la conseguenza che A.R., in qualità di titolare della omonima impresa agricola individuale, deve essere condannate a rimborsare all'istituto attore la somma di Euro 133.663,62, oltre interessi legali dal 7.06.2018 al saldo.

Il ricorso è quindi fondato e merita di essere accolto.

Le spese di lite seguono il principio della soccombenza, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.


Il Giudice, definitivamente pronunciando,

1. Accoglie la domanda di regresso formulata dall'INAIL e, per l'effetto, condanna A.R. in qualità di titolare della omonima impresa agricola individuale, a corrispondere all'istituto attore la somma Euro complessiva di Euro 133.663,62, oltre interessi legali dal 7.06.2018 al saldo.

2. Condanna la resistente soccombente a rimborsare all'INAIL le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre oneri riflessi e spese generali se dovute.

Così deciso in Velletri, il 20 aprile 2023.

Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.