Cassazione Penale, Sez. 4, 14 aprile 2023, n. 15830 - Lavori di potatura di una siepe e messa disposizione di una scala non idonea


 

Nota a cura di Raffaele Guariniello, in ISL, 6/2023, pag. 335 "Potatura di siepi e antieconomicità dei mezzi preventivi"


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. RICCI Anna L. A. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 28/03/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa RICCI ANNA LUISA ANGELA;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI LUCA, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.


Fatto


1. La Corte d'Appello di Ancona con sentenza del 28 marzo 2022, in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Fermo, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A. in ordine al reato di cui all'art. 590 c.p. in danno di B.B., commesso in (Omissis), per essere il reato estinto per prescrizione ed ha confermato le statuizioni civili.

Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro descritto nelle sentenze di merito nel modo seguente.

B.B.2 , dipendente della impresa individuale "New Green Spa ce di A.A.", il (Omissis), mentre era intento ad effettuare lavori di potatura di una siepe in piedi su una scala, era caduto al suolo ed aveva riportato lesioni personali consistite nella frattura scomposta del perone e del malleolo tibiale, giudicate guaribili in giorni 157.

Quale addebito di colpa nei confronti di A.A. era stata individuata la violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 71, comma 6 e art. 113, commi 6 e 7 per aver consentito l'utilizzo di una attrezzatura (scala) non adeguata al lavoro da svolgere, in quanto priva di piano di appoggio per i piedi e posta con apertura parallela alla siepe.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato a mezzo di difensore, formulando un unico articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa specifica e del nesso di causa fra la condotta colposa e l'evento. Il difensore rileva che il lavoro cui era addetto B.B., ovvero la potatura di una siepe più bassa di due metri, era molto semplice e del tipo che sovente chiunque può svolgere, anche solo come hobby personale nel proprio giardino, utilizzando una scala come quella usata nel caso in esame. Ciò premesso, la Corte avrebbe adottato una motivazione viziata da illogicità nei seguenti passaggi:

- in replica alla censura per cui la scala in esame era in libera vendita, aveva rilevato che, ciò nondimeno, era comunque inidonea rispetto alla modalità di lavoro concreta secondo quanto riferito dal Tecnico Spresal, ma non aveva tenuto conto che quest'ultimo non aveva assistito all'infortunio, tanto che ne aveva fornito una ricostruzione contrastante con quella della persona offesa.

- in replica alla censura per cui l'altezza dell'ultimo piolo della scala era inferiore a due metri ed era stata misurata dal tecnico Spresal in 180, cm, aveva assunto che la potatura doveva essere effettuata ad una quota abbondantemente superiore ai due metri, calcolando che all'altezza della scala avrebbe dovuto essere aggiunta quella del lavoratore infortunato, secondo un principio errato, in quanto ciò che aveva rilievo era l'altezza dal suolo della base sulla quale poggiava il lavoratore;

- in replica alla censura per cui il datore di lavoro aveva adottato la cautela di fare lavorare insieme due operatori e l'infortunio si era verificato solo perchè, cadute le forbici, B.B. aveva chiesto al collega di raccorglierle, aveva rilevato che l'adozione di tale cautela non escludeva la inidoneità della scala allo svolgimento del lavoro in condizioni di sicurezza ed ergonomicità.

La Corte, inoltre, non aveva motivato in ordine al nesso di causa fra le violazioni addebitate e l'evento, in quanto non aveva considerato che la caduta era avvenuta solo perchè B.B. aveva chiesto di raccogliere le forbici al collega, il quale in tal modo aveva tolto le mani dalla scala: il ragionamento controfattuale avrebbe imposto, invece, di considerare che, laddove il collega non avesse allentato la presa della scala, quest'ultima non si sarebbe mossa e, pertanto, il lavoratore non sarebbe caduto, sicchè l'infortunio si era verificato solo per l'atteggiamento imprudente dello stesso lavoratore che aveva chiesto al collega di raccogliere le forbici.

Il difensore osserva ancora che il tipo di scala, che secondo i giudici avrebbe dovuto essere utilizzata, era molto ingombrante e del tutto inusuale per il tipo di lavorazione che era in corso, tanto che veniva utilizzata solo nei cimiteri per raggiungere i loculi posti in alto.

Infine il difensore sostiene che nel caso di specie la scala adottata era conforme a tutti i requisiti di sicurezza e che la previsione per cui la scala doveva essere tenuta dal secondo operaio era sufficiente ai fini della salvaguardia rispetto al rischio caduta.

Da ultimo il difensore chiede che nella valutazione delle statuizioni civili la Corte di legittimità tenga conto del concorso di colpa della persona offesa.

3. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto Dott. Tampieri Luca, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

4. Il difensore della Parte civile Inail ha presentato una memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

5. Il difensore dell'imputato ha presentato una memoria con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

 

 Diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. La Corte di Appello in coerenza con la sentenza di primo grado ha confermato, sia pure solo a fini civili, l'affermazione della responsabilità penale dell'imputato in relazione all'infortunio occorso al lavoratore dipendente, ravvisando, sulla base della deposizione del tecnico Spresal, la condotta colposa nella messa disposizione, per la effettuazione di lavori di potatura di una siepe posta ad altezza dal suolo, di una attrezzatura non idonea: in particolare la scala dalla quale il lavoratore era caduto era inidonea a prevenire il rischio caduta, in quanto non era provvista di piano di appoggio per i piedi ed era stata posta in parallelo alla siepe con conseguente necessità che il lavoratore, in torsione verso un fianco, dovesse aumentare la precarietà dei suoi appoggi, ruotando i piedi parallelamente ai pioli. L'inadeguatezza della attrezzatura messa a disposizione del lavoratore aveva influito causalmente rispetto all'evento caduta, che si era verificato in quanto il lavoratore, costretto ad una torsione innaturale aveva perso l'equilibrio.

3. Le censure del ricorrente, a fronte di tale ricostruzione, sono meramente reiterative delle doglianze già dedotte con i motivi di impugnazione e sono comunque manifestamente infondate.

3.1. In primis l'affermazione per cui la lavorazione cui era addetto il dipendente infortunatosi era del tipo di quelle che possono essere svolte anche in autonomia a titolo di hobby, è priva di qualsiasi pregio: pare superfluo a tal fine ricordare che la lavorazione in esame esponeva il lavoratore al rischio caduta poi concretizzatosi e che, di conseguenza, il datore di lavoro era, in ogni caso, tenuto all'adozione di tutte le cautele, anche sotto il profilo della messa disposizione delle attrezzature idonee, per prevenire tale rischio. Così come inconferente è l'affermazione, pure contenuta nel ricorso, per cui la scala, che secondo il tecnico Spresal, avrebbe dovuto essere adottata non era di norma utilizzata nei lavori di giardinaggio (ma solo nei cimiteri): a prescindere dalla assoluta genericità di tale assunto, quel che rileva è che il datore di lavoro, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei dipendenti, è tenuto ad adottare tutte le cautele che la tecnica mette a disposizione, sicchè le considerazioni relative alla antieconomicità del mezzo che avrebbe dovuto essere usato non hanno alcun rilievo.

3.2. Il percorso argomentativo adottato dalla Corte è coerente con i dati di fatto riportati e rispettoso dei principi individuati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del nesso causale. I giudici hanno adeguatamente vagliato il tema della causalità della colpa intesa come introduzione da parte del soggetto agente del fattore di rischio poi concretizzatosi con l'evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio (Sez. 4. n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv273870; Sez. 4, n. 17000 del 05/04/2016, Scalise, Rv.266645). Sotto tale profilo la Corte ha chiarito che la scala adottata non era conforme ai requisiti previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, dettati proprio per prevenire il rischio caduta e che la dinamica dell'infortunio valeva a dimostrare come, ai fini della sicurezza, non era sufficiente la cautela consistita nel prevedere la presenza di altro lavoratore. Il datore di lavoro, quindi, in quanto titolare della posizione di garante primario della sicurezza del lavoratore, doveva rispondere per non aver messo a disposizione attrezzature conformi alle previsione del T.U., secondo la migliore evoluzione della scienza tecnica.

3.3 La decisione dei giudici di merito è conforme alla giurisprudenza di legittimità anche nella parte in cui esclude che nella dinamica dell'infortunio abba avuto incidenza causale la condotta del lavoratore, consistita nel chiedere al collega di raccogliere le forbici e nel causare in tal modo la momentanea instabilità della scala. Il principio informatore della materia è quello per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). In ogni caso "perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201). Nel caso di specie la condotta del lavoratore era stata posta in essere nell'ambito delle mansioni affidate e non aveva, comunque, attivato un rischio eccentrico, posto che le regole precauzionali che il datore di lavoro avrebbe dovuto osservare erano volte appunto a governare i rischi collegati anche ad eventuali imprudenze.

4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non ver Sas se in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

Il ricorrente deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese in favore della parte civile Inail, che si si stima congruo liquidare in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Inail che liquida in complessivi Euro 3000,00 oltre accessori di legge.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2023