Cassazione Penale, Sez. 4, 14 aprile 2023, n. 15791 - Infortunio con un preparatore automatico del latte: mancata installazione di un sistema di segregazione della coclea 


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SERRAO Eugenia - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 29/11/2021 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CIRESE MARINA;

lette le conclusioni del P.G..

 

Fatto

 


1. Con sentenza in data 29.11.2021 la Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Treviso in data 11.6.2020 aveva ritenuto A.A. (quale datore di lavoro) e B.B. (quale fabbricante della macchina) colpevoli del reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3 perchè, per negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 70, mettendo a disposizione dei lavoratori una macchina non conforme alle specifiche disposizioni, causavano lesioni personali gravi al lavoratore dipendente C.C., ed applicate ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, li aveva condannati alla pena di Euro 300,00 di multa ciascuno. Con pena sospesa e non menzione per il solo B.B..

2. Il fatto, come ricostruito dalle sentenze di merito, è il seguente:

in data (Omissis) verso le ore 19 C.C., lavoratore dipendente dell'azienda agricola Barcon Srl (che si occupava di allevamento di bovini), mentre, unitamente a due colleghi, D.D. e E.E., stava pulendo un preparatore automatico per latte (che si pulisce azionando un comando presente sul pannello di controllo cosicchè la coclea girando in senso contrario a quello usuale rimuove automaticamente le aderenze residue) ed al fine di velocizzare l'operazione di svuotamento delle tramogge, aveva inserito più volte il braccio nella tramoggia ed era entrato in contatto con la coclea in movimento che gli aveva quindi reciso il secondo dito della mano sinistra con conseguente malattia giudicata guaribile in oltre quaranta giorni.

La dinamica dell'infortunio, come riferita dalla persona offesa, trovava riscontro nelle deposizioni dei colleghi D.D. e E.E.; il primo anzi riferiva di aver a sua volta in altra occasione inserito la mano nella macchina seppure tenendosi a debita distanza.

Uno degli ispettori Spisal intervenuti evidenziava che il macchinario non era conforme ai requisiti di sicurezza previsti in quanto non presentava un adeguato sistema di segregazione della coclea e come tale era agevolmente raggiungibile dai lavoratori e che dopo l'incidente l'imputato aveva ottemperato alla prescrizione di apporre sulla sommità di ogni tramoggia una grata metallica fissa.

Il giudice di primo grado, malgrado il riconoscimento del contributo colposo del lavoratore, ha ritenuto comunque la responsabilità concorrente del produttore del macchinario nonchè del datore di lavoro per avere messo a disposizione del proprio dipendente una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza per la mancanza nell'impianto preparatore del latte di un dispositivo atto ad impedire l'accesso alle zone pericolose, essendo irrilevante che lo stesso riportasse la marchiatura CE e che fosse stato prodotto da un soggetto di riconosciuta competenza tecnica.

La Corte d'appello ha confermato la condanna sull'assunto che la condotta del lavoratore, seppure imprudente ed impropria, è stata svolta nell'ambito delle proprie mansioni e doveva ritenersi prevedibile, sia per l'installazione del sistema di segregazione necessario per rendere l'impianto conforme ai requisiti di sicurezza, sia per le istruzioni impartite ai lavoratori.

La colpa del datore di lavoro si sostanziava altresì nel non aver vigilato al fine di evitare l'instaurazione di prassi operative contra legem.

2. Avverso detta pronuncia l'imputato A.A., a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

Con il primo deduce ex art. 606 c.p.p., lett. b) la violazione dell'art. 4243 c.p. sulla responsabilità colposa laddove la sentenza ha ritenuto accertata la prevedibilità dell'evento.

Sostiene che al fine di valutare la sussistenza del nesso di causa tra la condotta del lavoratore e l'infortunio e per rifuggire dal rischio di una responsabilità oggettiva può essere considerato abnorme ai fini causali non solo il comportamento posto in essere del tutto autonomamente ed in un ambito estraneo alle mansioni affidate ma anche quello che rientri nelle mansioni proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente lontano dalle ipotizzabili e quindi imprudenti scelte del lavoratore.

Nella specie, il macchinario non prevedeva l'intervento dell'uomo, era in atto la fase di pulizia attivata mediante comando e la macchina stava funzionando regolarmente. Il C.C. aveva deciso autonomamente di inserire la mano sinistra nella vasca di carico nella consapevolezza che si trattaykdi una manovra vietata, trattandosi quindi di un contatto non accidentale bensì volontario.

Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico in capo all'imputato A.A. nonchè la mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) nel punto in cui la sentenza ha ricavato la prevedibilità dell'evento dalla successiva installazione del sistema di segregazione della coclea.

Sostiene che la Corte territoriale ha ritenuto provato l'elemento psicologico, attesa la successiva installazione del sistema di segregazione necessario per rendere l'impianto conforme ai requisiti di sicurezza che avrebbe avuto lo scopo di impedire la condotta quale effettivamente accaduta.

Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico in capo all'imputato nonchè la mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) nel punto in cui la responsabilità datoriale è stata ritenuta integrata dalla culpa in vigilando, per aver tollerato l'instaurazione di una prassi operativa pericolosa.

Assume che la sentenza impugnata è viziata per l'illogico richiamo alla tolleranza da parte del datore di lavoro di comportamenti imprudenti dei lavoratori senza che peraltro l'istruttoria abbia accertato che tale condotta fosse abituale nel C.C. e comunque diffusa anche fra gli altri dipendenti.

3. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Diritto


1.Il ricorso è nel suo complesso infondato.

I primi due motivi, da scrutinarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro.

Il Collegio ribadisce il principio più volte affermato da questa Sezione Quarta (ex multis, la sentenza n. 3787 del 17/10/2014, dep. 2015, Bonelli, Rv. 261946, in motivazione; la n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321), secondo cui non esclude la responsabilità del datore di lavoro il comportamento imprudente (o negligente) del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente. Invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza od imperizia, sicchè la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che è interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è "interruttivo" non perchè "eccezionale" ma perchè eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn; in tempi recenti, tra le altre, Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).

Nella specie, facendo corretta applicazione degli anzidetti principi, la sentenza impugnata ha escluso che la condotta sopravvenuta del lavoratore possa essere considerata abnorme, eccezionale, eccentrica ed esorbitante e causa da sola sufficiente ad interrompere il processo causale, e ciò in considerazione della inidoneità delle misure di sicurezza adottate, ovvero della mancata installazione di un sistema di segregazione della coclea adottato solo dopo l'infortunio.

Viene altresì in rilievo la normativa introdotta con D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, cosiddetta "Direttiva macchine", che ha disciplinato i presìdi antinfortunistici concernenti le macchine e i componenti di sicurezza immessi sul mercato (denominata Regolamento per l'attuazione delle Direttive 89/392 CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine) (vedi sul tema Sez. 4, n. 46434 del 28.9.2018, n. m.).

Tali norme traggono origine dalla cosiddetta Direttiva macchine 89/392, la cui base giuridica è costituita dall'art. 100 del Trattato CE (ora sostituito dall'art. 114 del Trattato sul funzionamento dell'unione Europea - TFUE), che consente all'Unione di adottare misure volte al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri al fine di assicurare l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno.

Detta Direttiva nella originaria versione è stata modificata da successive Direttive (Direttiva 91/368/CEE5, che hanno ampliato il campo d'applicazione della Direttiva macchine alle attrezzature intercambiabili, alle macchine mobili e alle macchine per il sollevamento di cose. Sono state aggiunte le parti 3, 4 e 5 all'allegato I; Direttiva 93/44/CEE6, che ha esteso il campo di applicazione della Direttiva macchine ai componenti di sicurezza ed alle macchine per il sollevamento e/o lo spostamento di persone. E' stata aggiunta la parte 6 all'allegato I; Direttiva 93/68/CEE7, che ha introdotto disposizioni armonizzate relative alla marcatura CE). La Direttiva originaria e le sue successive modifiche sono state codificate, ossia unificate in un unico atto normativo, con la Direttiva 98/37/CEE, a sua volta lievemente modificata con l'esclusione dei dispositivi medici (Direttiva 98/79/CE), ed è rimasta in vigore fino al 29 dicembre 2009. L'intera normativa è stata riformata mediante rifusione in una nuova Direttiva, la n. 2006/42/CE, attuata nell'ordinamento italiano mediante D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, in vigore dal 6 marzo 2010.

Mentre la normativa previgente era improntata prevalentemente alla libera circolazione nel mercato interno di presidii antinfortunistici "nella ricerca di un ambiente di lavoro più sicuro", la nuova normativa ha aperto una diversa prospettiva, al duplice scopo di consentire la libera circolazione delle macchine nel mercato interno e, al contempo, di garantire un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza, non solo dei lavoratori ma anche dei consumatori (Considerando III), ampliando altresì la responsabilità del produttore all'omessa previsione di presidi antinfortunistici atti ad ovviare all'uso scorretto della macchina da parte dell'utilizzatore.

Dal raccordo di tale normativa con il sistema prevenzionistico già in vigore, si è desunta un'anticipazione della tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso delle macchine, parti di macchine o apparecchi in genere, coinvolgendosi nella responsabilità per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza tutti gli operatori ai quali siano imputabili dette attività. Si è, in sostanza, introdotto un "minimum tecnologico obbligato comune" (Sez. 3, n. 37408 del 24/06/2005, Guerinoni, n. m.) che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l'obbligo di controllo della regolarità della macchina o del pezzo prima che gli stessi vengano messi a disposizione del lavoratore; d'altro canto, si è attribuito tale obbligo a soggetti individuati come "costruttori in senso giuridico" del macchinario quando, ad esempio, pur risultando il macchinario composto di pezzi prodotti da altre ditte, l'obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di ottenere la certificazione necessaria per immetterlo sul mercato spettasse ad una impresa in particolare, in ipotesi incaricata di assemblare tutte le componenti (Sez. 4, n. 4923 del 15/12/2009, dep. 4/02/2010, Bonfiglioli, n. m).

La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che le disposizioni che hanno dato attuazione alle "Direttive macchine" dell'Unione Europea, pur indicando le prescrizioni di sicurezza necessarie per ottenere il certificato di conformità e il marchio CE richiesti per immettere il prodotto nel mercato, non escludono ulteriori profili in cui si possa sostanziare il complessivo dovere di garanzia di coloro che pongono in uso il macchinario nei confronti dei lavoratori, che sono i diretti utilizzatori delle macchine stesse, non potendo costituire motivo di esonero della responsabilità del costruttore quello di aver ottenuto la certificazione e di aver rispettato le prescrizioni a tal fine necessarie.

Ne deriva, pertanto, che in tema di dotazione dei macchinari è necessario progettare e costruire gli elementi mobili delle macchine in modo da evitare il possibile contatto con gli arti dei lavoratori o, qualora ciò non sia possibile, il datore di lavoro deve prevedere dei ripari o dei dispositivi di protezione funzionali al tipo di rischio non rilevando, al fine di escludere la responsabilità del produttore e del datore di lavoro, la circostanza che i macchinari siano dotati della certificazione di conformità CE. In applicazione di tali principi, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che il A.A. quale datore di lavoro, pur in presenza della conformità del macchinario agli standard CE, fosse esentato dall'obbligo di accertare la corrispondenza ai requisiti di legge del macchinario per come assemblato ed utilizzato.

3. Il terzo motivo è del pari infondato.

E' noto che, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori (per tutte Sez. 4, Sentenza n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv. 278608) e che il formarsi di tali prassi, conosciute o conoscibili da parte dello stesso datore di lavoro, determina la responsabilità dello stesso per gli incidenti eventualmente occorsi ai lavoratori in dipendenza di esse.

Sul punto la Corte territoriale ha evidenziato che la condotta del C.C., sia pure in esecuzione di una prassi illegittima, non fosse isolata ma fosse stata adottata anche da altri dipendenti nè comunque la circostanza che il datore di lavoro non ne fosse a conoscenza era stata adombrata nei precedenti gradi di merito di talchè l'argomento oggi ventilato dalla difesa oltre ad attenere ad un profilo di merito non valutabile in questa sede non ha costituito oggetto del giudizio.

In conclusione il ricorso va rigettato. Segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2023