Cassazione Penale, Sez. 4, 21 settembre 2022, n. 34937 - Sfruttamento del lavoro


 

Nota a cura di Tordini Cagli Silvia, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1/2023,II, pp. 199-206 "Note critiche in tema di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro"

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 


sul ricorso proposto da:

L.F., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 23/09/2020 della CORTE APPELLO di BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere UGO BELLINI;

esaminate le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa CASELLA Giuseppina, che ha concluso chiedendo pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso.
 

 

Fatto



1.La Corte di Appello di Brescia ha confermato la decisione del Tribunale di Mantova che aveva riconosciuto L.F. colpevole del reato di sfruttamento della manodopera per avere impiegato tredici operai extra comunitari presso un laboratorio tessile in (OMISSIS) gestito da ditta intestata a C.Y. sottoponendoli a condizione di sfruttamento lavorativo collegato al loro stato di bisogno, con retribuzione di gran lunga inferiore a quella fissata dai contratti collettivi del settore e con orario lavorativo di circa 8-9 ore giornaliere e a condizioni di alloggio degradanti e non conformi alle regole igieniche essenziali e lo aveva condannato alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed Euro 4.800 di multa con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti rispetto alla recidiva e alla circostanza aggravante di cui all'art. 603 bis comma 4 c.p. Disponeva la confisca diretta del profitto del reato di cui all'art. 603 bis c.p. pari alla somma di Euro 98.706,20 pari ai contributi assistenziali non versati o, in subordine, la confisca per equivalente ai danni dell'imputato.

2. Argomentava che alla stregua dell'istruttoria dibattimentale era risultata accertata la configurazione del reato contestato in ragione degli elementi raccolti in ordine alle condizioni economiche e normative del rapporto di lavoro instaurato con i dipendenti, della necessità di questi di accettare le suddette condizioni per provvedere alle loro elementari esigenze di vita fuori dal loro paese di origine (essenzialmente Cina e Pakistan), riconoscendo la reiterazione della condotta antidoverosa in ragione del periodo di impiego dei suddetti dipendenti. Nel riconoscere il giudizio di equivalenza tra circostanze di segno opposto e la misura della pena indicata dal primo giudice, evidenziava come la condotta illecita fosse stata realizzata ai danni di una pluralità di connazionali, per un periodo non modesto e che l'imputato aveva a suo carico un precedente specifico. Quanto alla misura di sicurezza della confisca del profitto del reato evidenziava che l'importo per cui era stata disposta la confisca era pari ai contributi evasi moltiplicati per il numero dei lavoratori con riferimento all'orario di lavoro svolto.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di L.F. articolando tre motivi di ricorso.

3.1 Con il primo motivo lamenta violazione di legge con riferimento all'art. 603 bis c.p., difetto di motivazione nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto sussistenti gli elementi oggettivo e soggettivo del reato di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, evidenziando che difettavano i presupposti di legge, in quanto non era stata dimostrata la reiterazione nella corresponsione di corrispettivi palesemente inferiori ai contratti di lavoro mentre, in relazione alle contestate inosservanze in materia di sicurezza e di igiene, le irregolarità riscontrate erano solo di carattere formale e non pregiudicavano i lavoratori in quanto persona; contestava poi che sussistesse la condizione di approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, i quali erano muniti di permesso di soggiorno oltre ad essere regolarmente assunti presso l'azienda tessile in questione. Affermava poi che non erano state provate condotte di prevaricazione verso i lavoratori e gli stessi ambienti di lavoro non presentavano profili di degrado se non una generale condizione di disordine, inosservanze che assumevano rilievo solo in sede amministrativa.

3.1.1 Riconosceva altresì un deficit motivazionale in relazione alla prova dell'elemento soggettivo, laddove il ricorrente si era limitato a gestire il lavoro quotidiano all'interno del laboratorio senza esercitare alcuna pressione nei confronti dei lavoratori.

3.2 Con una seconda articolazione deduce vizio motivazionale in ordine alla esclusione del giudizio di prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche, in ragione del comportamento processuale e degli altri elementi indicati dall'imputato.

3.3 Con una terza articolazione lamenta violazione di legge in relazione all'art. 603 bis comma 2 c.p. in relazione alla misura dell'importo per cui era stata disposta la confisca, laddove i dati a disposizione dell'autorità giudiziaria non avrebbero consentito di pervenire ad una corretta stima del profitto, profitto che comunque non era riferibile al ricorrente il quale non era titolare dell'azienda ma si occupava di seguire l'andamento del lavoro e di intrattenere i rapporti con i clienti.
 

Diritto



1.Il ricorso proposto da L.F. è totalmente privo di analisi censoria del provvedimento impugnato e deve essere dichiarato inammissibile. Invero, pur censurando la sentenza della Corte di Appello, non si confronta affatto con il provvedimento impugnato del quale non indica alcun passaggio o alcuna articolazione, omettendo ogni profilo di articolato dissenso, limitandosi a contestazioni generiche sulle ragioni della pronuncia di condanna e sul trattamento sanzionatorio. i motivi sopra richiamati sono inoltre manifestamente infondati, in quanto generici, privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione e in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul punto. La sentenza si presenta lineare e congrua, non presenta contraddizioni evidenti e pertanto non si presta ad essere sottoposta al sindacato di legittimità, a fronte di argomenti di impugnazione meramente ripropositivi di censure già sviluppate nel giudizio di appello e disattese con adeguata motivazione logico giuridica.

2. In particolare il giudice di appello ha dato motivato conto della ricorrenza di tutti i profili oggettivi del reato contestato riportando gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale con riferimento alla condizione di sfruttamento di tredici lavoratori nell'azienda tessile gestita dal ricorrente, all'applicazione di condizioni di lavoro palesemente inosservanti della disciplina di legge e di contratto in relazione al salario pattuito e corrisposto, alla durata dell'orario di lavoro, al regime del lavoro straordinario e festivo alle condizioni degli alloggi e degli ambienti di lavoro (sommarie informazioni assunte e relazioni socio sanitarie e materiale fotografico richiamati) e alla condizione di bisogno, comune a tutti i lavoratori impiegati, stante la necessità di acquisire le risorse minime indispensabili per sopravvivere in un altro continente.

2.1 Il giudice di appello ha poi fornito logico e non contraddittorio riscontro ai rilievi riproposti con il presente ricorso evidenziando come la condizione di sfruttamento non era limitata a un periodo temporale circoscritto e limitato ma, sulla base delle informazioni rese dagli stessi lavoratori, era in atto da alcuni mesi e che del tutto prive di riscontro erano risultate le giustificazioni del ricorrente in ordine ad una temporanea crisi di liquidità dell'azienda, la quale peraltro avrebbe richiesto differenti forme di tutela piuttosto che quella di gravare sulle condizioni di lavoro dei dipendenti.

3. Manifestamente infondato e privo di confronto con la motivazione della sentenza impugnata è altresì il motivo di ricorso con il quale si contesta il giudizio di equivalenza tra circostanze di segno opposto. Va rilevato in proposito che ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, ovvero al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alle circostanze aggravanti, come più volte ribadito da questa Corte, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così sez. 3, n. 23055 del 23.4.2013, Banic e altro, rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonchè al suo negativo comportamento processuale).

3.1 Nella specie il giudice distrettuale ha valorizzato il precedente specifico, entro il quinquennio, in cui era incorso il ricorrente, quale elemento esplicativo di reiterazione nel reato e di rafforzata capacità a delinquere, ai sensi dell'art. 133 comma 2 c.p..

4. Anche il terzo motivo di ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che, richiamando la pronuncia di primo grado ha evidenziato come la confisca del profitto del reato sia obbligatoria ai sensi dell'art. 603 2bis c.p., che il profitto del reato era stato calcolato in modo estremamente analitico sulla base dello stipendio medio di ciascun operaio in base a contratti nazionali (peraltro per un importo di Euro 7,02 Euro per ora), sulla base di annotazione di P.G. dettagliata e non sottoposta a censure, e che la confisca per equivalente era stata legittimamente disposta nei confronti del L.F. quale responsabile del reato di sfruttamento della manodopera e amministratore di fatto dell'azienda tessile.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
 

P.Q.M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2022