Cassazione Penale, Sez. 4, 30 marzo 2023, n. 13288 - Assenza del dispositivo di ancoraggio idoneo a prevenire il pericolo di caduta dall'alto



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 08/06/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa MARINELLI FELICETTA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Udito il Difensore avv. ALLEVATO GIOVANNI del Foro di CROTONE per A.A., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Il Tribunale di Crotone in data 10/2/2021, unificati i reati dal vincolo della continuazione, condannava l'odierno ricorrente A.A. alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione, nonchè al risarcimento del danno subito dalla costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede e alla refusione alla stessa delle spese processuali, in quanto riconosciutolo colpevole:

a) del delitto di cui agli artt. 113 e 590 c.p. "perchè, in cooperazione tra loro, A.A., nella sua qualità di legale rappresentante della "ELETEC" Srl , alle cui dipendenze era stato assunto B.B. (persona offesa) e C.C., nella sua veste di committente, in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 115, norma che prescrive l'utilizzo di idonei sistemi di protezione, in assenza del dispositivo di ancoraggio idoneo a prevenire il pericolo di caduta dall'alto, e del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. g), norma che stabilisce che il lavoratore sia sottoposto a visita medica, determinavano la caduta dall'altezza di circa m. 3,00 di B.B. che si trovava sul soppalco in legno per effettuar lavori elettrici tecnologici, commissionati dalla società "Fantasylandia Sas di C.C. & C" presso il capannone di via (Omissis), quindi per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, ponendo in essere violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionavano a B.B. lesioni personali consistite in trauma cranico, ematoma epidurale front-parietale dx, ematoma cerebrale sx, fratt. temp-parietale destra estesa a mastoide omol.le, focolai cerebrali multipli - frattura scapola dx, frattura clavicola dx, frattura quinta costola dx" con prognosi di 28 giorni. In (Omissis).

b) art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 115 perchè, in concorso tra loro, A.A., nella sua qualità di legale rappresentante della "ELETEC Srl ", alle cui dipendenze erano stati assunti B.B. e D.D. e C.C., nella sua veste di committente, omettevano di adottare di idonei sistemi di protezione; in particolare, in assenza del dispositivo di ancoraggio idoneo a prevenire il pericolo di caduta dall'alto adibivano sia B.B. e D.D. allo svolgimento di lavori su di un soppalco in legno posto all'altezza di circa m. 3,00, lavori elettrici e tecnologici commissionati dalla società Fantasylandia Sas di C.C. & C., presso il capannone di via (Omissis)." In (Omissis).

Il coimputato C.C. veniva assolto in primo grado. per non aver commesso il fatto):

La Corte di Appello di Catanzaro, pronunciando l'8/6/2022 sull'appello proposto dall'odierno ricorrente, in parziale riforma della sentenza di primo grado appellata dall'imputato, dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.A. in ordine al reato di cui al capo b) della rubrica perchè estinto per maturata prescrizione e rideterminava la pena al medesimo inflitta in relazione al reato di cui al capo a), riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 590 c.p., comma 3, in mesi tre di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il A.A. deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 590, 40 e 41 c.p. e illogicità della motivazione del provvedimento impugnato laddove è stata esclusa l'abnormità del comportamento del lavoratore, inteso come fattore causale esclusivo nel determinismo dell'evento.

Il ricorrente ricorda di avere sempre sostenuto nel corso del processo che dal lavoratore fossero state svolte mansioni diverse rispetto a quelle che erano state a lui affidate, che la sua condotta era stata quindi anomala e imprevedibile e che il suo comportamento era stato comunque tale da attivare un rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di pericolo da governata dal garante.

L'impiego della semplice scala da parte del lavoratore sarebbe stata una sua iniziativa autonoma in quanto è accertato che il datore di lavoro odierno ricorrente, dopo aver effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento della lavorazione commissionata (asciugare il quadro elettrico) aveva indicato ai lavoratori, tra cui la persona offesa, di interrompere la fornitura elettrica per evitare scosse, quindi adempiendo a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia. Egli, pertanto, non potrebbe rispondere delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante di imprevedibilmente colposa del B.B., il quale, spontaneamente, in spregio delle direttive ricevute dal datore di lavoro, ovvero quella di asciugare solo il quadro elettrico, collocandosi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, si era portato all'interno del capannone - tra l'altro privo di illuminazione in quanto il quadro elettrico era staccato - per installare delle lampade di emergenza. E ad avvalorare il tutto si era evidenziato che la scala utilizzata non era stata messa a disposizione dalla Ditta A.A., ma si trattava di una scala che si trovava già all'interno del capannone della committenza.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte di illegittimità in materia di comportamento abnorme del lavoratore (in particolar modo le sentenze di questa Sez. 4 nn. 33976/2021, 5794/2021 e 27871/2019 per evidenziare che queste avallerebbero la tesi che, in un caso come quello posto in essere dal B.B., che decise autonomamente di salire sulla scala e di compiere una lavorazione diversa ed ulteriore rispetto a quella di cui era stato incaricato dal datore di lavoro, si sarebbe di fronte ad un caso in cui si è al di fuori dell'area di rischio governata dal garante odierno ricorrente.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla interpretazione ed applicazione degli artt. 40, 41, 43 c.p. e art. 590 c.p., comma 3 in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 37, comma 1.

Con un terzo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 590 c.p. e art. 41 c.p., comma 3 e al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19 nonchè inosservanza in relazione al profilo della mancata applicazione della legge penale del combinato disposto dell'art. 40 c.p. e art. 41 c.p., comma 2 sotto il profilo del mancato riconoscimento dell'insussistenza dell'elemento sia oggettivo che soggettivo del reato di lesioni personali colpose, alla luce dell'interruzione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento verificatosi, dovuta alla presenza di una condotta abnorme posta in essere dalla persona offesa.

Si evidenzia che la motivazione della sentenza di secondo grado avrebbe sottolineato che il comportamento tenuto dal lavoratore non è stato connotato da elementi di abnormità mentre dall'istruttoria dibattimentale sarebbe emerso il contrario.

L'unica causa dell'incidente - si ribadisce - non può essere che il comportamento della parte lesa B.B., del tutto imprevedibile e non ipotizzabile, che, violando gli obblighi impostigli, tenendo una condotta abnorme consistita nel recarsi all'interno del capannone privo di illuminazione per installare delle luci su ordine di una terza persona, ha costituito una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento.

Con un quarto motivo, anch'esso erroneamente indicato come terzo, si deducono violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all'omessa valutazione di controprove dichiarative decisive assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale, al parziale travisamento del fatto, alle incongruenze logiche all'incoerenza delle conclusioni rispetto ai dati probatori processuali raccolti. Si segnala anche la violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 1 non essendo stato dato conto del criterio adottato nella valutazione complessiva delle prove testimoniali assunte, ma non vagliate nell'istruttoria dibattimentale.

Anche con tale motivo, sotto diversi profili, si sottolinea che la Corte d'appello trascurando che la causa dell'infortunio è da imputare esclusivamente al comportamento negligente, avventato, imprudente e abnorme del lavoratore vittima dell'infortunio, avrebbe completamente ribaltato le risultanze oggettive del processo, con una motivazione parzialmente mancante, illogica e contraddittoria.

In alcuni casi sarebbero state operate delle incontrovertibili e gravi distorsioni del contenuto probatorio, in altri sarebbero stati accantonati fatti oggettivi e pacifici.

Vi sarebbe stato un evidente travisamento dei fatti e delle prove.

Il ricorrente precisa di non chiedere a questa Corte di legittimità una nuova verifica delle risultanze probatorie, ma di accertare l'avvenuto adempimento dell'obbligo di una corretta motivazione.

Sul punto viene ricordata la dinamica dell'incidente e si lamenta che la sentenza avrebbe omesso di valutare la controprova dichiarativa a favore dell'imputato derivante dalle testimonianze di D.D. e di E.E..

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

2. Le parti hanno concluso all'odierna pubblica udienza come riportato in epigrafe.

 

Diritto


1. I motivi sopra illustrati tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità. Peraltro, gli stessi si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. In premessa va rilevato, quanto alla denuncia di violazione dell'art. 192 c.p.p. di cui al quarto motivo di ricorso che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, poichè la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata" (così questa Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; in conformità v., già in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306; più recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni Spa , Rv. 278196).

Non va trascurato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).

Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.

3. I motivi proposti sono sotto tutti i profili possibili di censura di legittimità altro non sono che la riproposizioni della tesi già sostenuta dalla Difesa nel corso di tutti i gradi di merito secondo cui l'infortunio di cui all'imputazione sì sarebbe realizzato in ragione del comportamento abnorme del lavoratore che avrebbe realizzato un rischio eccentrico rispetto ai compiti affidatigli dal proprio datore di lavoro, operando quindi in un'area al di fuori della gestione del rischio da parte di quest'ultimo.

Secondo la tesi difensiva quel giorno al lavoratore infortunato era stato commissionato esclusivamente di asciugare il quadro elettrico e di staccare la fornitura onde evitare il pericolo di scosse e null'altro.

Si tratta tuttavia di una argomentazione che con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto è stata già confutata Dalla Corte territoriale (cfr. pag. 7 e 8 della sentenza impugnata).

Per la Corte territoriale totalmente disancorata dalla risultanze processuali è la principale doglianza secondo la quale l'infortunio per cui è processo non rappresenta "la concretizzazione del rischio ricadente nella sfera di garanzia" dell'odierno imputato, essendosi verificato nella esecuzione di compiti non connessi alle prestazioni lavorative che la parte civile il giorno dei fatti avrebbe dovuto svolgere presso il capannone della società committente.

Tale doglianza, infatti, per i giudici di appello sarebbe basata sull'illogico presupposto, del tutto smentito dalle pacifiche risultanze processuali, secondo il quale il giorno dei fatti l'unica attività lavorativa che B.B. e D.D. avrebbero dovuto eseguire consisteva soltanto nella operazione di asciugatura del quadro elettrico e, esulando completamente dall'oggetto del contratto di appalto stipulato dalla società Eliec con la committente "Fantsylandia" le diverse prestazioni di montaggio delle prese e delle lampadine che il B.B. stava svolgendo prima di precipitare nel vuoto da circa tre metri di altezza.

Secondo il logico argomentare della sentenza impugnata tale assunto, prima ancora di essere sconfessato dai testi escussi e dalla documentazione acquisita, è illogico e irragionevole, non potendo sostenersi che il giorno dei fatti i dipendenti Facciali e D.D., recatisi nel capannone della società "Fantasylandia" sin dalle ore 7,30 del mattino, dovessero eseguire soltanto le suddette operazioni di asciugatura del quadro elettrico, il svolgimento non richiede certamente una intera giornata lavorativa.

In ogni caso la sentenza impugnata evidenzia che la tesi difensiva è smentita "per tabulas" dagli atti acquisiti al fascicolo processuale dai quali si evince che la società Fantasylandia di C.C., nell'agosto dell'anno 2015, aveva commissionato alla ELETC il compito di eseguire tutti i lavori di adeguamento del sistema elettrico e di installazione del sistema di videosorveglianza, accettando un preventivo di spesa inoltrato alla committente in data 6 agosto 2015 e impegnandosi al pagamento del relativo prezzo.

Coerente appare allora il rilievo che è evidente come tali lavori, lungi dall'esaurirsi nello Spazio di una giornata, si sostanziassero nel compimento di diverse e complesse attività che, infatti, già da oltre due settimane erano in corso.

E altrettanto coerente è la conclusione cui giungono i giudici del gravame del merito che ciò dimostra in maniera certa che il giorno dell'incidente il B.B. e il D.D. non erano certamente impegnati in una occasionale prestazione di lavoro, che doveva risolversi solo ed esclusivamente nelle operazioni di asciugatura e distacco del quadro elettrico, ma, esaurite tali estemporanee operazioni (resesi necessarie per le abbondanti precipitazioni dei giorni precedenti) dovevano proseguire nel dare puntuale esecuzione ai lavori appaltati. E tali lavori, come riferito dallo stesso imputato A.A., nel corso dell'esame avvenuto all'udienza del 13.11.2019, comprendevano anche delle attività, quali ad esempio il montaggio delle lampade di emergenza, da svolgere in quota, ad una altezza oscillante tra 1,90 e 2,10 metri. Attività, dunque, identiche a quelle poste in essere il giorno del fatto.

Ciò - prosegue la sentenza impugnata - oltre ad essere stato riferito dallo stesso imputato, ha trovato conferma nelle puntuali e chiare dichiarazioni del titolare della società committente C.C. il quale ha precisato che, il giorno dell'incidente A.A., insieme agli operai B.B. e D.D., avrebbero dovuto provvedere ad asciugare il quadro elettrico, interessato da infiltrazioni di acqua per le abbondanti piogge di quei giorni e a montare circa venti lampade di emergenza in tutto il locale, compreso il soppalco, ad un'altezza di due e dieci (2,10 m) e due e novanta (2,90). E anche il collega di lavoro del B.B., D.D., nel rispondere alle domande del difensore della parte civile, ha sì riferito che la persona offesa, prima di cadere, stava facendo ciò che gli era stato chiesto dal E.E. ma ha aggiunto che tale specifica attività - di montaggio di lampadine a delle plafoniere che si trovavano nel soppalco - "rientrava certamente nelle mansioni normali e consuete di un elettricista".

Tali lavori, dunque, secondo la concorde valutazione dei giudici del merito, che a questa Corte appare immune dai denunciati vizi di legittimità-, con assoluta certezza rientravano nell'oggetto dell'appalto, con la conseguenza che la loro esecuzione non è stata "eccentricamente" pretesa dal E.E. ma è stata semplicemente da questi sollecitata, in adempimento di vincolanti obbligazioni contrattuali.

Per i giudici del merito, dunque, se, dunque, può ritenersi provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che, il giorno dei fatti, l'operai infortunato, una volta terminati gli urgenti e, questi sì, estemporanei lavori di asciugatura del quadro elettrico, è passata ad eseguire delle prestazioni del tutto conformi agli impegni negoziali assunti dalla società per conto della quale (a nero) lavorava, innegabile è l'assoluta infondatezza della tesi difensiva secondo la quale all'origine della vicenda per cui è processo non vi è la colpa dell'odierno imputato ma solo il "comportamento negligente, avventato, imprudente e abnorme" della stessa parte civile. Al contrario, si ripete, il B.B., nell'apprestarsi a montare delle lampade sul soppalco ubicato nel capannone, non ha tenuto una condotta "esorbitante", non connessa alle sue mansioni e del tutto estranea alle direttive ricevute ma ha semplicemente provveduto a dare immediata esecuzione a un compito che, a prescindere dal soggetto che formalmente lo ha impartito, rientrava con certezza tra le prestazioni contrattuali che egli, in qualità di elettricista dipendente (non assunto) della ELITEC, era tenuto a svolgere.

Con tale motivazione l'odierno ricorrente non si confronta criticamente, limitandosi a riproporre questioni, che peraltro sollecitano una rivisitazione in fatto non consentita in questa sede di legittimità e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

4. La sentenza impugnata si colloca correttamente nel solco della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che ha da tempo chiarito che il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).

Costante giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicchè la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590 c.p., comma 3, dell'imputato, legale rappresentante di una Sas , per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere). Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarsellì, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).

Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perchè il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. 2016, Zappala ed altro, Rv. 265942).

Di rilievo anche il recente dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anzichè utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato). Ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).

5. Con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, pertanto, la Corte catanzarese ha fatto discendere dalle sopra ricordate emergenze processuali la conferma dell'affermazione della penale responsabilità dell'odierno ricorrente, risultando dalle pacifiche risultanze dibattimentali che, nell'esecuzione dei predetti lavori, il B.B., privo di caschetto protettivo e di quei dispositivi di ancoraggio tesi a scongiurare i rischi di caduta, è precipitato da una altezza di circa tre metri (tale essendo quella del soppalco ove operava) e, rovinando al suolo, ha riportato le gravi lesioni traumatiche descritte nell'editto - di accusa e accertate dalla Dott.ssa Aquila Isabella, consulente medico legale del PM. Come ribadiscono entrambi i giudici di merito, la causa delle lesioni subite dal B.B., a prescindere dalla irrilevante questione del preciso punto dal quale il medesimo è caduto (dalla scala mentre saliva con gli attrezzi o dal soppalco mentre montava le lampade) certamente è da ravvisarsi nelle condotte colpose ascritte all'odierno imputato. E ciò in quanto quest'ultimo, con certezza, non ha provveduto, nonostante la pacifica posizione di garanzia di cui era titolare (essendo il titolare dell'impresa e, come attestato nel POS, anche "il responsabile del servizio di prevenzione e protezione) a realmente consegnare al B.B. dispositivi di sicurezza (caschetti di protezione, cinture, imbracature e dispostivi di ancoraggio) che avrebbero impedito, se correttamente indossati e utilizzati, il verificarsi delle gravi lesioni che quest'ultimo ha invece riportato.

In ultimo, va rilevato che la Corte territoriale si confronta criticamente con la circostanza dell'esistenza agli atti di un verbale - che reca la data del 21 settembre 2015 - nel quale si attesta la consegna di tutti i dispositivi antinfortunistici e che reca in calce la firma - che si è accertato essere autentica - del B.B.. Ma concorda con il giudice di primo grado che tale atto, alle luce delle complessive risultanze dibattimentali e delle effettive, plurime, oggettive "anomalie" che emergono dalla documentazione facente parte del POS (redatto in data 6 settembre 2015 e comprendente una serie di atti tra cui il citato verbale che risultano sottoscritti nei giorni successivi), non prova in alcun modo che, in concreto, tali dispositivi siano stati effettivamente consegnati. Ciò anche perchè, acclarato con certezza che i dispositivi in questione non sono stati utilizzati dal lavoratore, quest'ultimo, nel corso dell'esame, ha in maniera precisa, puntuale e ferma negato di averne mai ricevuto la consegna, precisando di essere stato dotato solo di guanti e di scarpe antinfortunistiche e di avere sempre utilizzato, per eseguire tutti i lavori in altezza, una scala fornita dalla ditta, detta " sveltina" che non veniva nè ancorata, nè sorretta da un altro operaio e sulla quale lui e i colleghi salivano portando con loro "trapani, avvitatori, borsa attrezzi etc.".

Tali dichiarazioni, secondo i giudici di appello, diversamente da quanto sostiene la difesa dell'odierno ricorrente, non possono essere tacciate di incredibilità solo perchè dagli accertamenti grafologici disposti dal tribunale è emersa l'autenticità della sottoscrizione apposta in calce al verbale di consegna dei dispositivi. Tenuto anche conto che, contrariamente a quanto dedotto, il B.B., invitato durante l'esame a prendere visione della documentazione esibitagli dal difensore dell'imputato, non ha mai perentoriamente negato di avere firmato gli stessi atti ma, al contrario, dopo avere affermato che la firma apposta sugli stessi "sembrava la sua", ha dichiarato di non avere sottoscritto "queste carte" per poi aggiungere "di non ricordare di averli firmate".

Con tali dichiarazioni, dunque, il B.B., secondo la concorde valutazione dei giudici del merito, piuttosto che negare in maniera perentoria la circostanza della formale sottoscrizione del verbale, ne ha disconosciuto il contenuto, ribadendo con assoluta precisione e chiarezza che, al di là delle formali apparenze documentali, nessuno strumento di sicurezza, da adoperare nei lavori in quota, è mai stato consegnato a lui e al collega D.D. e che l'utilizzo ditali strumenti non è mai stato loro imposto dal datore di lavoro.

Tali affermazioni - come rileva la sentenza impugnata - trovano integrale conferma nella deposizione del E.E. il quale, pur sostenendo che il A.A. "gli era sembrato un datore di lavoro attento alla sicurezza dei suoi dipendenti" (tanto che la mattina dell'incidente aveva provveduto lui stesso a staccare l'energia elettrica, prima dell'inizio dei lavori di asciugatura dei quadri), ha dichiarato che, nei precedenti dieci giorni di lavorazione, gli operai non avevano mai fatto uso di strumenti particolari e avevano utilizzato anche la scala presente nel capannone. E di tenore analogo sono state le dichiarazioni del D.D. che, nel riferire - secondo i giudici di appello in maniera "pilatesca" - che nell'esecuzione dei lavori si avvalevano degli strumenti di cui era dotato il furgone di lavoro ("la borsa degli attrezzi, il trapano, il tassellatore, l'avvitatore e una scala"), non ha mai fatto riferimento alle "imbracature e alle cinture" che avrebbero dovuto essere utilizzate per eseguire lavori in quota e ha aggiunto di non sapere neppure se la scala sulla quale il B.B. è salito il giorno dell'incidente fosse o meno "a norma".

La Corte territoriale, infine, evidenzia che un lavoratore completamente privo di adeguata formazione sui rischi di impresa, altra carenza da addebitare all'odierno ricorrente, qual era certamente il B.B., è naturalmente portato ad assumere in maniera più disinvolta e non avveduta comportamenti (quali ad esempio eseguire lavori in quota senza caschetto di protezione, utilizzando una scala non a norma e non ancorata al suolo) che mettono a rischio la sua incolumità. Ma questo, come in precedenza ricordato, non esime, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in alcun modo il garante.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2023