Cassazione Penale, Sez. 4, 30 marzo 2023, n. 13290 - Omissione di ogni forma di riorganizzazione lavorativa nel tempo necessario a porre in essere le barriere di protezione che impedissero ai lavoratori di avvicinarsi ai macchinari in movimento 


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 16/03/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SERRAO EUGENIA;

udito il Sostituto Procuratore generale Dott.ssa PASSAFIUME SABRINA, che ha concluso per l'inammissibilità;

udito il difensore Avv. LANCELLOTTI ROBERTO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto

 


1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale, in data 14 ottobre 2020, il Tribunale di Brescia aveva dichiarato A.A. responsabile del delitto di cui all'art. 590 c.p., commi 1 e 3, in relazione all'art. 583 c.p. perchè, in qualità di procuratore speciale della ditta Camcasting Srl con sede legale e unità produttiva a (Omissis), datore di lavoro dell'infortunato, per colpa aveva cagionato a B.B. lesioni personali gravi.

2. Il fatto è stato così ricostruito: il giorno (Omissis) B.B., dipendente da oltre 14 anni della Camcasting Srl , lavorava ad una macchina conchigliatrice all'interno dello stabilimento di (Omissis), che opera nel campo della fusione dell'alluminio in conchiglia e finitura dei pezzi ottenuti dopo tale operazione; all'interno dello stabilimento erano predisposte diverse isole di fusione, in cui operavano le macchine conchigliatrici; B.B. era addetto ad una conchigliatrice di tipo automatico, in cui il prelievo del pezzo lavorato viene effettuato da una pinza robotizzata; nel corso dell'attività lavorativa l'operaio si era accorto che uno dei bulloni della pinza si era allentato (fenomeno frequente in ragione delle vibrazioni e sollecitazioni a cui è sottoposta la macchina) e, senza fermare la lavorazione, era salito sullo stampo per serrare la vite; lo stampo si era aperto, essendo giunto al termine del ciclo, facendo perdere l'equilibrio al lavoratore, che era caduto ed era rimasto incastrato con il piede sinistro tra la parte posteriore dello stampo e l'incastellatura della macchina.

3. Il percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado ha preso avvio dal dato, pacifico, che nel febbraio 2015, a seguito di una verifica ispettiva, erano state segnalate una serie di problematiche di sicurezza relative alle isole di fusione; in particolare, dal fatto che gli ispettori dell'ATS avevano constatato l'omessa segregazione degli organi in movimento delle macchine conchigliatrici, dunque il rischio di contatto accidentale tra questi ultimi e parti del corpo degli operatori, dando all'impresa termine sino al 31 dicembre 2015 per adeguare le macchine.

3.1. Il giudice ha, quindi, accertato che il rimedio previsto dall'impresa, ossia l'installazione di un recinto grigliato di protezione attorno all'impianto dotato di cancello di accesso collegato a microinterruttori in modo da impedire l'avvicinamento del personale alle conchigliatrici durante il loro funzionamento, non fosse stato ancora compiutamente approntato in quanto nel novembre 2015 erano stati montati i grigliati di protezione ma non erano collegati i dispositivi elettrici di interblocco; che, durante il tempo necessario all'adeguamento delle macchine, il datore di lavoro aveva ritenuto sufficiente un'opera di sensibilizzazione dei preposti e delle intere maestranze volta a sollecitare la loro massima attenzione durante l'utilizzo degli impianti; ma che tale iniziativa non aveva scongiurato gli infortuni, tanto che pochi giorni prima dell'incidente occorso al B.B., ossia il (Omissis), un altro dipendente addetto alla fusione aveva subito un infortunio dovuto a un contatto accidentale della mano con gli organi in movimento di una conchigliatrice; che l'impresa si era, quindi, limitata a rinforzare il precedente monito e aveva distribuito ai lavoratori disposizioni scritte in cui era indicato di "prestare molta attenzione agli organi in movimento delle conchigliatrici" e di "mantenersi in particolare ad adeguata distanza di sicurezza durante le fasi di apertura e chiusura stampo"; che tali disposizioni erano state ribadite a voce nel corso di una riunione tenutasi successivamente all'incidente occorso il (Omissis).

3.2. Era emersa dall'istruttoria la prassi per gli addetti alle conchigliatrici di provvedere personalmente alle attività di piccola manutenzione, fra le quali rientrava l'avvitamento dei bulloni presenti sulle macchine in caso di allentamento.

3.3. A fronte della contestazione di colpa specifica presente nel capo di imputazione, consistente nell'inosservanza del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. f), per avere il datore di lavoro omesso di esercitare la necessaria sorveglianza finalizzata al rispetto, da parte dei lavoratori, delle norme di sicurezza e delle disposizioni aziendali, il tribunale ha individuato profili di colpa diversi da quelli indicati nel capo di imputazione, ritenendo che i preposti non potessero garantire una sorveglianza continua, così che le sole misure prescrittive, peraltro generiche, date ai lavoratori erano del tutto inadeguate a neutralizzare o anche solo a mitigare il rischio.

3.4. Secondo il tribunale, la tempestiva installazione della protezione fisica e automatica avrebbe certamente impedito al lavoratore di accedere alla zona di lavorazione con la macchina accesa e lo stampo in movimento, per cui la norma violata era stata individuata nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 70.

3.5. Il tribunale aveva evidenziato, quali ulteriori profili di colpa connessi alle misure organizzative e prescrittive adottate, l'assenza di indicazioni precise in ordine alle attività manutentive di piccolo calibro e la mancanza, con riferimento al periodo transitorio particolarmente delicato in cui si era verificato l'infortunio, di un espresso divieto di svolgere qualsiasi attività di manutenzione sulle conchigliatrici o nei loro pressi. La condotta del lavoratore, per quanto particolarmente imprudente, era in linea con una pacifica prassi aziendale svolta nel corso delle mansioni a lui affidate.

4. La Corte territoriale ha ritenuto superfluo assumere nuove prove in ordine all'impossibilità di disporre il fermo preventivo dei macchinari, in ordine al tempo necessario all'adeguamento degli stessi e in merito alle circostanze dell'incidente del (Omissis) al fine di delineare la diversità dei fatti accaduti in quell'occasione. In merito alla dedotta mancanza di correlazione tra la pronuncia e il profilo di colpa addebitato all'imputato nel capo di imputazione, i giudici di appello hanno escluso la sussistenza di un'ipotesi in cui fosse necessaria una contestazione suppletiva. L'ulteriore profilo di colpa ravvisato dal giudice di primo grado, consistente nel non aver adottato procedure di tutela dei lavoratori diverse dal mero monito, individuate nell'attuazione di regolamentazioni e prassi più cogenti per i lavoratori e nell'aumento della sorveglianza sugli stessi o, in alternativa, nella previsione di un fermo delle macchine fino alla loro completa messa in sicurezza, si è ritenuto che traesse origine dagli atti processuali e dall'istruttoria espletata.

4.1. In particolare, la Corte ha evidenziato come non fosse stata attuata alcuna modifica sostanziale delle prassi aziendali funzionali a limitare il pericolo di contatto tra gli organi in movimento e i lavoratori, posto che il datore di lavoro si era limitato ad ammonire gli operai in modo generico, richiamando la loro attenzione sulla necessità di operare con cautela e distribuendo un foglio scritto in cui era riportata tale indicazione. L'ulteriore profilo di colpa individuato dal giudice era, dunque, la carenza dei presidi di sicurezza intertemporali, consistenti nell'adozione di regole cogenti che impedissero ai lavoratori di avvicinarsi ai macchinari in movimento con correlata sorveglianza o nel fermo dei macchinari pericolosi nel caso si ritenesse impossibile adottare prassi alternative.

4.2. La censura inerente all'assenza di indicazioni precise in ordine alle attività manutentive di piccolo calibro, lasciate per prassi aziendale agli operai, e l'omessa adozione di un chiaro divieto al lavoratore di svolgere qualsiasi attività di manutenzione sulle conchigliatrici e nei loro pressi, quantomeno nel periodo transitorio fino all'adeguamento della macchina, trovava, secondo il giudice di appello, la sua base probatoria nello stesso dispiegarsi degli eventi emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, sui quali le parti avevano interloquito ampiamente così da indurre a ritenere che l'ulteriore profilo di colpa si ponesse in rapporto di contiguità logica con quello contestato nell'imputazione in quanto entrambi inerenti alla mancata valutazione e adozione di misure organizzative specifiche per garantire ai lavoratori la tutela da rischi di contatto con gli organi in movimento.

4.3. La Corte territoriale ha ritenuto superflue le nuove prove di cui la difesa aveva chiesto l'acquisizione in quanto prive di novità, inerenti al profilo incontestato dell'essersi l'impresa attivata per creare le idonee protezioni ai macchinari piuttosto che, come contestato, al non aver previsto presidi efficaci nella fase intermedia prima del definitivo adeguamento. Nulla avrebbe aggiunto, secondo i giudici di appello, approfondire le circostanze dell'infortunio avvenuto il (Omissis), trattandosi di episodio del tutto secondario rispetto al fatto in contestazione, da considerare alla stregua di mero ulteriore "campanello di allarme". Anche la circostanza che il fermo preventivo dei macchinari fosse operazione antieconomica, che avrebbe comportato la sospensione dell'intera attività produttiva, non escludeva il profilo di colpa individuata dal primo giudice, a fronte della prevalente importanza della sicurezza del luogo di lavoro rispetto al profitto di impresa.

4.4. La Corte territoriale ha ribadito che ciò che si imputava al datore di lavoro fosse l'aver omesso ogni forma di riorganizzazione lavorativa nel tempo necessario a porre in essere le barriere di protezione; in particolare, a fronte di un rischio conclamato, i meri richiami verbali dovevano ritenersi del tutto inidonei, inefficaci ad attenuare la situazione di pericolo in quanto non incidevano sulle procedure di lavoro seguite da operai ai quali, di fatto, era affidata la piccola manutenzione dei macchinari.

5. A.A. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per inosservanza degli artt. 521 e 522 c.p.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. c), art. 6, par. 3 lett. a) e b) CEDU e art. 603 c.p.p., ex art. 606 c.p.p., lett. b). La difesa ritiene semplicistica e viziata da violazione di legge la motivazione addotta dalla Corte di appello, posto che l'asserita omessa indicazione relativa alle attività di piccolo calibro e la mancata indicazione di un chiaro divieto di svolgere attività di manutenzione sui macchinari, sebbene scaturite dalla istruttoria dibattimentale, non avrebbero potuto automaticamente determinare il convincimento che il tema fosse stato oggetto di precisa, dettagliata e appropriata indagine probatoria, considerato che si trattava di un profilo di colpa specifica già risolto e dato per assodato dalla contestazione incentrata su unico addebito di violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. f). Qualunque attività di manutenzione, si assume, era specificamente delegata ai manutentori incaricati, come peraltro emerso dall'istruttoria dibattimentale, in presenza del più ampio divieto per gli operatori di avvicinarsi agli organi in movimento senza prima arrestare la macchina conchigliatrice, inglobante il più ristretto divieto di svolgere attività di piccola manutenzione. Ove il pubblico ministero non avesse ritenuto superato tale profilo di colpa, avrebbe potuto procedere nei confronti dell'imputato con addebiti multipli o quantomeno alternativi, così da porre la difesa nella condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si sarebbe sviluppato il dibattito processuale. La difesa censura anche il rigetto delle richieste probatorie dedotte in appello, in quanto pronunciato in violazione dell'art. 603 c.p.p.. Si trattava di richieste finalizzate a dimostrare che il datore di lavoro aveva adottato presidi più che efficaci, data la loro cogenza assoluta, per la tutela dei lavoratori e a destituire di fondamento quel "campanello d'allarme" valorizzato dal primo giudice, nonchè l'affidamento riposto nella scelta dell'organo deputato alla tutela della salute dei lavoratori di non bloccare gli impianti produttivi anche a fronte della verificata impossibilità di adottare regole idonee a tutelare appieno gli operatori.

5.1. Con il secondo motivo/deduce violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b). La difesa ritiene che la motivazione offerta dalla Corte territoriale per negare l'abnormità della condotta del lavoratore sia frutto di un'errata applicazione dei criteri di valutazione delle prove riguardo alla collocazione dell'attività dell'infortunato nella categoria della piccola manutenzione e riguardo all'ossimoro logico dell'assenza di un divieto di effettuare detta attività in presenza del più ampio obbligo di rivolgersi ai manutentori per qualsivoglia malfunzionamento. Tale ragionamento è disancorato dalla realtà delle risultanze processuali, di cui fornisce una valutazione e una lettura errata. In particolare, i giudici di appello avrebbero travisato numerose circostanze fattuali, posto che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che il lavoratore, avvedutosi del fatto che la pinza del macchinario su cui operava era allentata, si era determinato in completa autonomia a non informare i manutentori addetti e remunerati per tale attività, nonostante le pressanti direttive aziendali, fattesi più pressanti a causa della pendenza dell'adeguamento dei macchinari; aveva aperto le gabbie di segregazione della macchina conchigliatrice senza arrestare l'organo in movimento, nonostante le direttive aziendali in tal senso; si era avvicinato al macchinario in movimento, nonostante l'espresso divieto di avvicinamento fornito un mese prima a tutti i dipendenti anche nel corso di una riunione appositamente tenuta; si era avvicinato alla porzione interna del macchinario salendo su quest'ultimo e portandosi all'altezza del suolo di circa 1,80 metri; aveva serrato la pinza mentre la macchina era in funzione. Secondo la difesa costituisce travisamento della prova qualificare tale operazione come di piccola manutenzione, o quantomeno valutare la prova del contesto in cui è avvenuto l'avvitamento in maniera parziale, considerando come attività di routine un'attività di manutenzione straordinaria che avrebbe certo richiesto l'intervento di un operaio manutentore specializzato. La Corte sarebbe incorsa in un errato utilizzo dei criteri di valutazione della prova sostenendo che agli atti vi fosse la prova che gli operai avrebbero svolto attività di manutenzione sui macchinari, mentre i dipendenti escussi hanno riferito di attenersi alle direttive aziendali e di notiziare il manutentore chiedendone l'intervento; la Corte ha, dunque, strumentalizzato le dichiarazioni rese dai testimoni e dall'infortunato inerenti a operazioni di puro avvitamento di bulloni o viti in condizioni concrete ben differenti da quelle in cui si è verificato l'infortunio, come confermato dal manutentore C.C.. I giudici hanno trascurato la circostanza, provata documentalmente e testimoniata da tutti i soggetti escussi, dell'esistenza di un obbligo noto a tutti i dipendenti di rivolgersi ai manutentori per qualsivoglia operazione da eseguire sui macchinari senza distinzione tra piccola, ordinaria o straordinaria manutenzione. Il ragionamento della Corte non tiene conto della nuova categoria di elaborazione giurisprudenziale che definisce "esorbitante o eccentrica" la condotta del lavoratore che, seppure rientrante nel segmento di lavoro del dipendente e strettamente connessa all'attività lavorativa, risulti imprevedibile in relazione alle caratteristiche di quanto demandato all'operaio, esercitata e intrapresa volontariamente per ragioni e motivazioni del tutto personali in aperto contrasto con le direttive aziendali.

5.2. Con il terzo motivo, deduce inosservanza o erronea applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53 in considerazione della pronuncia di illegittimità costituzionale n. 28/2022. Il giudice di primo grado aveva sostituito la pena detentiva inflitta, pari a mesi 1 e giorni 10 di reclusione, con la multa pari a Euro 10.000; successivamente la Corte Costituzionale, con sentenza 1 febbraio 2022, n. 28 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale parziale della L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2, con la conseguenza che il valore giornaliero non può essere inferiore a 75 Euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 c.p.. La Corte di appello, nel confermare la sentenza, non ha tenuto conto di tale pronuncia.

6. All'odierna udienza, svoltasi mediante trattazione orale, su istanza di parte ricorrente, le parti hanno concluso come indicato nell'intestazione.

 

Diritto


1. La prima questione posta dalla difesa impone di chiarire se integri violazione dell'art. 521 c.p.p. avere dichiarato la responsabilità dell'imputato per aver omesso ogni forma di riorganizzazione lavorativa volta a ridurre il rischio di contatto tra il lavoratore e gli organi in movimento delle macchine conchigliatrici in presenza di una prassi aziendale che affidava agli operai la piccola manutenzione dei macchinari, laddove nel capo di imputazione erano contestate la colpa generica e la colpa specifica di non aver provveduto ad esercitare la necessaria sorveglianza finalizzata al rispetto, da parte dei lavoratori, delle norme di sicurezza e delle disposizioni aziendali.

1.2. L'accusa, si assume, ha incentrato l'attenzione sul generale obbligo del datore di lavoro, desumibile dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. f), di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonchè delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro; tale impostazione accusatoria avrebbe dato, quindi, per risolto in senso affermativo tanto il quesito se occorresse del tempo per adeguare le macchine alla normativa antinfortunistica quanto il quesito se il datore di lavoro avesse fornito disposizioni aziendali idonee.

1.3. Osserva, in proposito, il Collegio che l'impostazione accusatoria lasciava impregiudicato ogni profilo di colpa generica, pur contestato; la varietà delle scelte organizzative che, nel dato contesto, il datore di lavoro avrebbe potuto efficacemente adottare si può, infatti, inquadrare nel generico obbligo di diligenza. Anche nella prospettiva difensiva, la condotta che il datore di lavoro avrebbe dovuto tenere immediatamente dopo che gli ispettori dell'ATS avevano segnalato l'omessa segregazione degli organi in movimento delle macchine conchigliatrici, ammettendo che per l'eliminazione del rischio fosse necessaria una complessa attività di adeguamento degli impianti in uso, non poteva essere individuata se non previo accertamento del contesto lavorativo proprio del caso concreto. Soccorrono, da un lato, il principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale "Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione sono stati contestati elementi "generici" e "specifici" di colpa, non sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa nel caso in cui il giudice abbia affermato la responsabilità dell'imputato per un'ipotesi di colpa diversa da quella specifica contestata; infatti, il riferimento alla colpa generica, anche se seguito dall'indicazione di un determinato, specifico profilo di colpa, evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata, sicchè questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell'evento di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla specifica norma che si assume violata" (Sez. 4, n. 27851 del 04/03/2004, Del Bono, Rv. 229071 - 01), da integrare con l'ulteriore criterio interpretativo che consente di escludere la violazione del principio invocato dalla difesa allorchè il fatto ritenuto in sentenza non presenti elementi di eterogeneità rispetto al fatto contestato (Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 - 01; Sez. 6, n. B1 del 06/11/2008, dep.2009, Zecca, Rv. 242368 - 01); dall'altro, il principio secondo il quale "Ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione" (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi, Rv. 257278 - 01).

1.4. Nel corso dell'istruttoria, i giudici di merito hanno accertato quale fosse stata la scelta antinfortunistica adottata dal datore di lavoro, nel tempo intercorrente tra la segnalazione del rischio e l'adeguamento dei macchinari alla normativa antinfortunistica e, in particolare, che, senza disporre il fermo delle macchine conchigliatrici, il A.A. avesse esercitato un'opera di sensibilizzazione dei preposti e delle maestranze volta a sollecitare la loro massima attenzione durante l'utilizzo degli impianti, anche mediante disposizioni scritte, ribadite a voce nel corso di una riunione tenutasi pochi giorni prima dell'infortunio.

1.5. I giudici hanno, però, anche accertato che le vibrazioni e sollecitazioni alle quali erano sottoposte le macchine conchigliatrici determinavano con frequenza l'allentamento dei bulloni e che fosse prassi costante per gli addetti a tali macchinari provvedere personalmente alle attività di avvitamento dei bulloni in caso di allentamento. Con riguardo a tale specifica prassi, emersa nel corso dell'istruttoria, il Tribunale ha accertato che nessuna informazione o indicazione specifica fosse stata data in merito ai parametri utili a distinguere le operazioni di manutenzione che i lavoratori potevano effettuare senza l'intervento del capoturno, e che non risultava un esplicito divieto di svolgere operazioni di manutenzione.

2. Il profilo di colpa posto a fondamento del giudizio di condanna in primo grado ha riguardato, quindi, la carenza di misure organizzative e prescrittive in quella che è stata definita come "fase transitoria", nelle more di adeguamento degli impianti alla normativa antinfortunistica. Sono state ritenute inidonee perchè troppo generiche le misure prescrittive date per iscritto, è stata ribadita la necessità di una tempestiva installazione delle griglie di protezione che impedissero al lavoratore di accedere alla lavorazione con la macchina accesa e lo stampo in movimento, a nulla rilevando che gli ispettori avessero concesso un termine ampio alla società per adeguare gli impianti e a nulla rilevando che l'installazione dei sistemi protettivi automatici fosse tecnicamente complessa. Il datore di lavoro descritto dal tribunale è un soggetto perfettamente consapevole della presenza di significativi pericoli di schiacciamento durante le fasi di chiusura e apertura dello stampo delle conchigliatrici e tuttavia non sufficientemente attento a scegliere le misure idonee a prevenire tale rischio: in primo luogo, la misura massima dell'istallazione di griglie con cancello dotato di autoblocco; secondariamente, l'adozione di indicazioni precise in ordine alle attività manutentive che per prassi erano affidate ai lavoratori, segnatamente l'espresso divieto di svolgerle; in ogni caso, la stessa possibilità di disporre il fermo degli impianti fino all'adeguamento alla normativa antinfortunistica.

3. La difesa avrebbe voluto provare l'impossibilità di disporre il fermo preventivo dei macchinari e il legittimo affidamento riposto dal datore di lavoro nella stessa scelta degli ispettori di non provvedere al fermo preventivo dell'attività produttiva; avrebbe voluto provare il tempo necessario all'adeguamento delle macchine alla normativa antinfortunistica, al fine di confutare l'addebito di omessa adozione della misura prevenzionistica massima; avrebbe voluto dimostrare che l'infortunio occorso il (Omissis) fosse diverso da quello oggetto del presente processo.

4. Ma, in applicazione dei principi sopra ricordati, il Collegio ritiene che sia dirimente focalizzare il giudizio di legittimità della pronuncia impugnata sul nucleo essenziale dell'accusa, ben evidenziato nella pronuncia della Corte territoriale, concernente il comportamento che il datore di lavoro, specificamente reso edotto dell'esistenza di un rischio da prevenire mediante adeguamento dell'impianto, avrebbe dovuto tenere nel tempo intercorrente tra la presa di coscienza dell'esistenza del rischio e il momento in cui l'attività di adeguamento si sarebbe potuta compiere. Occorre, in particolare, depurare il giudizio tanto dallo specifico obbligo di installare un sistema fisico e automatico di prevenzione dell'infortunio quanto dall'obbligo di fermare l'impianto, da ritenere estranei all'imputazione formulata che, come correttamente evidenziato nel ricorso dalla difesa, dava per scontato che occorresse tempo per la messa a norma dell'impianto.

4.1. Fatta tale premessa, risulta evidente che l'attività istruttoria svolta su impulso delle parti sia stata perfettamente coerente rispetto all'imputazione originaria e che legittima sia stata la scelta della Corte territoriale di non accedere all'integrazione istruttoria proposta dalla difesa, palesemente ultronea rispetto all'addebito sul quale si è concentrato il giudice di appello, segnatamente l'addebito di colpa a carico del datore di lavoro di non aver adottato, nelle more dell'adeguamento dell'impianto, procedure di tutela dei lavoratori diverse dal mero monito di prestare attenzione agli organi in movimento delle macchine conchigliatrici. Procedure individuate nell'attuazione di regolamentazioni e prassi più cogenti per i lavoratori e nell'aumento della sorveglianza sugli stessi.

4.2. Si tratta di un addebito che è consono al profilo di colpa sul quale l'imputato è stato messo in condizione di difendersi, sul quale l'attività ulteriore che la difesa ha allegato di aver interesse a svolgere in alcun modo avrebbe inciso. Altro è dimostrare l'impossibilità di disporre il fermo delle macchine fino alla loro completa messa in sicurezza o la complessità dell'attività di adeguamento dell'impianto, altro è dimostrare di aver adottato nelle more dell'adeguamento dei macchinari ogni misura volta a ridurre o eliminare il rischio segnalato.

4.3. Il contesto aziendale accertato nel corso dell'istruttoria, ossia la prassi di consentire agli operai di serrare i bulloni allentatisi a causa delle vibrazioni alle quali era sottoposta la macchina durante il funzionamento, è una circostanza di fatto, che nel secondo motivo di ricorso si chiede inammissibilmente di rivalutare, dalla quale i giudici hanno desunto un profilo di colpa generica connesso alle misure organizzative che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare. Nella sentenza impugnata si indica, quale profilo di colpa addebitabile al datore di lavoro, una "carenza dei presidi di sicurezza intertemporali", ulteriormente specificata in termini di omessa adozione di regole cogenti che impedissero ai lavoratori di avvicinarsi ai macchinari in movimento con correlata sorveglianza e nella omessa precisa indicazione in ordine al comportamento da tenere con riguardo alle attività manutentive di piccolo calibro. Si è specificato ulteriormente tale profilo di colpa nell'aver omesso il datore di lavoro "ogni forma di riorganizzazione lavorativa nel tempo necessario a porre in essere le necessarie barriere di protezione", ritenendosi inidonei i meri richiami verbali all'attenzione da parte degli operai in quanto non incidenti sulle procedure di lavoro in essere.

5. Per tali ragioni risulta infondato il primo motivo di ricorso che, allegando l'esistenza della prova che qualsiasi attività di manutenzione fosse stata specificamente delegata ai manutentori con ampio divieto per gli operai di avvicinarsi agli organi in movimento senza arrestare prima la macchina conchigliatrice, non si confronta con quanto indicato a pag. 4 della sentenza impugnata circa il contenuto delle disposizioni scritte fornite ai lavoratori, considerate generiche proprio in relazione alla prassi invalsa in azienda di consentire agli operai di provvedere personalmente all'avvitamento dei bulloni presenti sulle macchine in caso di allentamento.

6. Il secondo motivo di ricorso, con cui si allega che la prassi di serrare i bulloni allentati nulla avesse a che vedere con la condotta tenuta nel caso in esame dal lavoratore, tende a ottenere una diversa valutazione delle risultanze istruttorie a fronte di un'ampia, congrua e non manifestamente illogica argomentazione svolta dai giudici di merito in ordine alla insussistenza di profili di abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore infortunato che, per quanto particolarmente imprudente, era in linea con una pacifica prassi aziendale svolta nel corso delle mansioni a lui affidate.

7. Il terzo motivo di ricorso è fondato. Va il proposito precisato che il parametro di conversione utilizzato dal giudice di primo grado, che ha sostituito la pena detentiva di 40 giorni di reclusione con la pena pecuniaria della multa di Euro 10.000,00, avrebbe dovuto essere riesaminato alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte Cost. n. 28 del 12/01-01/02/2022, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2, "nella parte in cui prevede che "(i)l valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. e non può superare di dieci volte tale ammontare", anzichè "(i)l valore giornaliero non può essere inferiore a 75 Euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 c.p."". A ciò si è aggiunta la sopravvenuta modifica dei criteri di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ad opera del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 71, comma 1, lett. a), che ha sostituito il comma 1 della L. n. 689 del 1981, art. 53, nella parte che qui rileva, con il seguente: "Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell'art. 56-quater". Tale ultima disposizione è stata introdotta dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 71, comma 1, lett. d) e stabilisce che "Per determinare l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 Euro e superiore a 2.500 Euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato e del suo nucleo familiare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l'art. 133-ter c.p.". Tali sono, dunque, i criteri ai quali dovrà attenersi la Corte di appello, avendo le sopravvenute modifiche inciso in senso più favorevole sui criteri di determinazione della pena sostitutiva, con valutazione che spetta al giudice del rinvio in virtù della norma transitoria dettata dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 95, comma 1.

8. Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto limitatamente al criterio di conversione della pena e rigettato nel resto. A tale pronuncia consegue il rinvio alla Corte di appello di Brescia, previa declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità ai sensi dell'art. 624 c.p.p..

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sostituzione della pena detentiva L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 53 e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d'appello di Brescia.

Rigetta nel resto il ricorso.

Dichiara l'irrevocabilità della declaratoria di responsabilità.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2023.