Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2023, n. 13040 - Lavoratore investito nel piazzale della ditta di trasporti. Mancanza di idonea segnalazione delle vie di circolazione


 

REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
 SEZIONE QUARTA PENALE
 
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 Dott. BRUNO M.Rosario - Presidente -
 
 Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -
 
 Dott. RICCI A.L.A. - rel. Consigliere -
 
 Dott. CIRESE Marina - Consigliere -
 
 Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -
 
 ha pronunciato la seguente:
 
 ORDINANZA


 
 sul ricorso proposto da:
 
 A.A., nato a (Omissis);
 
 avverso la sentenza del 24/01/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
 
 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
 udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;
 
 lette le conclusioni del pg LUCA TAMPIERI che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
 

Fatto

 


 1. La Corte d'appello di Napoli con sentenza del 24 gennaio 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli di condanna alla pena di mesi 8 di reclusione nei confronti di A.A., nella qualità di titolare dell'omonima ditta di autotrasporti e datore di lavoro, in ordine al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni del dipendente la B.B., commesso in (Omissis).
 
 1.2. I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. Il (Omissis), il dipendente C.C., all'interno del piazzale della ditta di autotrasporti, alla guida di un'autogru aveva agganciato il container alloggiato sul cassone del camion guidato da La B.B., appena rientrato in sede, per trasferirlo nell'area stoccaggio: iniziata la manovra di marcia indietro, aveva investito La B.B., nel frattempo disceso dal camion e in transito proprio dietro al mezzo in questione; La B.B., era rimasto schiacciato sotto la ruota posteriore destra ed era deceduto sul colpo.
 
 1.3 L'addebito di colpa nei confronti dell'imputato è stato individuato nella violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro ed in particolare del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 63 n. 1, art. 64 lett. a), art. 68 lett. b), 162 all. IV 1.4. e 1.8, per non aver predisposto, nel piazzale della ditta, adeguata segnaletica verticale e orizzontale, nè altre misure o dispositivi idonei a garantire il transito e il movimento in sicurezza di mezzi e persone.
 
 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando un unico articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla affermazione della responsabilità penale dell'imputato. Il difensore in maniera generica lamenta che la sentenza della Corte di Appello si sarebbe limitata a ribadire il percorso argomentativo della sentenza di primo grado senza adeguato confronto con le censure fatte valere con i motivi di appello. I giudici di merito non avrebbero tenuto in debito conto le dichiarazioni del teste D.D., secondo il quale le dimensioni del piazzale consentivano in ogni caso l'effettuazione di tutte le manovre in condizioni di sicurezza e la visibilità dei mezzi e delle aree di stoccaggio, e le dichiarazioni dell'autista della gru, secondo il quale, anche dopo la predisposizione delle segnaletiche orizzontali e verticali, a seguito dell'infortunio, le modalità delle operazioni di scarico e carico dei containers degli automezzi tramite carrello elevatore erano rimaste immutate. I giudici, inoltre, non avrebbero considerato che era stato lo stesso Consulente Tecnico del Pubblico Ministero a segnalare la condotta colposa della vittima, la quale era scesa dal mezzo condotto ed aveva attraversato il raggio di azione del carrello elevatore in manovra di retromarcia: tale condotta colposa, in quanto imprevista ed imprevedibile, avrebbe interrotto il nesso di causa fra la violazione della regola cautelare imputata al datore di lavoro e l'evento. Nel caso di specie le norme di sicurezza violate attenevano alla circolazione dei veicoli ed alle distanze tra i veicoli ed eventuali altri mezzi o persone: l'autista del camion e il carrellista non potevano essere considerati pedoni ed in ogni caso la vittima era stata formata e gli era stata impartita la disposizione di non lasciare la cabina dell'automezzo durante le operazioni di carico e scarico.
 
 2. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Luca Tampieri, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
 
 3. Il difensore della parte civile D.Rosa, in data 10 febbraio 2023 ha depositato una memoria con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.


 
Diritto


 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
 
 2. Si deve premettere nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purchè la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218). Per converso il ricorso per cassazione deve contenere la precisa prospettazione. delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica e non può limitarsi a un generico dissenso critico sulla risposta fornita dal giudice di appello alle questioni sollevate con il gravame. Quando intende censurare la valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame, il ricorrente ha l'onere di specificare il contenuto dell'impugnazione e di indicare i punti della motivazione censurati e le ragioni della censura al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853). Non è consentita inoltre - pena l'inammissibilità del ricorso per difetto di specificità - la censura generica relativa a una presunta carenza o illogicità della motivazione (sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970). Sono, inoltre, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
 
 3. Il motivo è manifestamente infondato.
 
 Nel caso in esame la Corte di Appello, in replica ai motivi di impugnazione, ha richiamato la ricostruzione dell'incidente così come operata dal primo giudice e sulla base di tale ricostruzione ha ritenuto che dovesse essere confermata la affermazione della responsabilità dell'imputato sulla base dei seguenti rilievi:
 
 - sia la vittima sia il conducente dell'autogru al momento dell'incidente erano intenti allo svolgimento di attività lavorative nell'ambito della organizzazione del datore di lavoro, tali essendo sia il trasporto con il camion del container presso la sede, sia l'espletamento delle successive manovre di scarico del medesimo container;
 
 - A.A., nella qualità di datore di lavoro e dunque titolare di una posizione di garanzia rispetto ai rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, non aveva adottato misure organizzative idonee a prevenire lo specifico rischio di interferenze tra le attrezzature in movimento e i dipendenti a piedi: la osservazione contenuta nel documento di valutazione del rischi secondo cui "le dimensioni delle vie di circolazione sono tali da non costituire pericolo" appariva insufficiente; solo la apposizione di idonea segnalazione delle vie di circolazione nel piazzale con strisce continue di colore ben visibile e segnaletica verticale che tenesse conto delle distanze di sicurezza necessarie tra i veicoli in circolazione ed i pedoni avrebbe evitato che i lavoratori a piedi si potessero trovare nella zona di attività di attrezzature in movimento;
 
 - l'investimento del pedone doveva, dunque, essere ritenuto conseguenza della omessa adozione delle su esposte misure cautelari, che, se osservate, avrebbero evitato l'interferenza fra il carrello in movimento e il camionista a piedi;
 
 - il comportamento di La B.B., che non aveva rispettato il divieto di scendere dal camion durante le operazioni di carico e scarico, non aveva interrotto il nesso di causalità, in quanto la vittima aveva agito nello svolgimento della mansione attribuitagli e la sua condotta si collocava all'interno dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso che il garante era chiamato a governare, sicchè non poteva essere considerata abnorme.
 
 3.1. Il percorso argomentativo adottato dalla Corte è coerente con i dati di fatto riportati e rispettoso dei principi individuati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del nesso causale. I giudici hanno adeguatamente vagliato il tema della causalità della colpa intesa come introduzione da parte del soggetto agente del fattore di rischio poi concretizzatosi con l'evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio (Sez 4. n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv273870; Sez. 4, n. 17000 del 05/04/2016, Scalise, Rv.266645). Hanno, infatti, osservato che nel caso di specie l'obbligo di predisporre la segnaletica volta a delimitare le zone per il transito dei pedoni da quelle per il transito dei mezzi era funzionale ad evitare eventi quale quello verificatosi, ovvero gli urti e le collisioni fra mezzi e lavoratori, anche a fronte di eventuali condotte imprudenti delle persone addette all'area. La condotta del lavoratore deceduto - hanno proseguito i giudici- non poteva essere considerata abnorme e non poteva, dunque, avere rilievo ai fini della interruzione del nesso di causa, in quanto al datore di lavoro era stato rimproverato di non avere adottato le necessarie misure prevenzionistiche che avrebbero impedito qualsivoglia interferenza fra i conducenti dell'autogru ed eventuali pedoni (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 23925301). Anche sotto tale profilo la decisione è conforme alla giurisprudenza di legittimità. Pur dandosi atto che a seguito dell'introduzione del D.Lgs. n. 626 del 1994 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). In ogni caso "perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201). Nel caso di specie la condotta del lavoratore deceduto era stata posta in essere nell'ambito delle mansioni affidate e non aveva, comunque, attivato un rischio eccentrico, posto che le regole precauzionali che il datore di lavoro avrebbe dovuto osservare erano volte appunto a governare i rischi collegati anche ad eventuali imprudenze.
 
 A fronte di tale motivazione, il ricorso si limita a reiterare le stesse censure già dedotte in appello, senza intaccare in maniera puntuale e con critica ragionata gli argomenti utilizzati.
 
 4.All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non ver Sas se in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
 
 L'imputato deve essere condannato inoltre al pagamento, in favore dell'Erario, delle spese sostenute per questo grado di giudizio dalla parte civile costituita De Simone Rosa, ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Come statuito dalle Sezioni Unite (Ordinanza n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760), in questo caso, compete alla Corte di cassazione, ai sensi D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 541 c.p.p. e art. 110, pronunciare condanna generica al pagamento, in favore dell'Erario, delle spese relative al giudizio di legittimità, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi del citato D.P.R., artt. 82 e 83.
 

P.Q.M.


 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese di costituzione nel presente giudizio di legittimità della parte civile De Simone Rosa, ammessa al patrocinio a spese dello stato nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Appello di Napoli con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
 
 Conclusione
 Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2023.
 
 Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2023