Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2023, n. 13032 - Infortunio con il frantumatore mobile


 

REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
 SEZIONE QUARTA PENALE
 
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
 

 Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
 
 Dott. BRUNO M.Rosaria - rel. Consigliere -
 
 Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -
 
 Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
 
 ha pronunciato la seguente:
 
 SENTENZA
 


 sui ricorsi proposti da:
 
 A.A., nato a (Omissis);
 
 B.B., nato a (Omissis);
 
 avverso la sentenza del 04/11/2021 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
 
 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
 
 udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;
 
 udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VALENTINA MANUALI; che ha concluso chiedendo:
 
 Il Proc. Gen. conclude per l'inarrinnissibilità del ricorso.
 
 udito il difensore: E' presente l'avvocato PERTOLDI GIANLUCA del foro di ROVIGO in difesa di A.A. e B.B. che riportandosi ai motivi del ricorso insiste per l'accoglimento.
 

FattoDiritto  


 1. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza emessa in data 4/11/2021, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Rovigo, ha dichiarato l'estinzione dei reati di cui ai capi A), B), C), D), E) ed L) della rubrica per. intervenuta prescrizione, rideterminando la pena inflitta a A.A. e B.B. in quella di mesi tre di reclusione ciascuno.
 
 Il Tribunale di Rovigo ha ritenuto A.A., legale rappresentante della "Cooperenergy Società Cooperativa a r.l. ", e B.B., dirigente di fatto (così riqualificata la sua posizione, originariamente indicata come quella di "preposto"), responsabili del reato di lesioni in danno del dipendente C.C. (capo M) della rubrica). Secondo la ricostruzione offerta dal primo giudice, i predetti, in cooperazione tra loro, per colpa generica e specifica, non avendo A.A., effettuato la valutazione dei rischi specifici a cui era esposto il lavoratore infortunato e non avendolo informato del pericolo di accedere agli organi in movimento del macchinario denominato frantumatore mobile; il B.B., consentendo al lavoratore, non adeguatamente formato, di accedere alle zone pericolose del macchinario, cagionavano al predetto lesioni consistite in "ematoma renale sinistro, contusione polmonare sinistra e frattura costale", con conseguente inabilità ad attendere alle normali occupazioni per un periodo superiore a giorni 40.
 
 Il C.C., durante un'operazione di sblocco dei rulli di alimentazione del frantumatore, veniva schiacciato dal rullo di avanzamento del macchinario che lo colpiva alla parte sinistra del corpo.
 
 I fatti, come ricostruiti dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, possono essere così riassunti.
 
Il giorno 13/11/2015, C.C., dipendente regolarmente assunto dalla ditta "Cooperenergy società cooperativa" con mansioni di pulizia degli Spazi interni all'azienda e di taglio delle piante presenti nelle zone esterne, si apprestava a calare alcune piante all'interno del macchinario in questione, appositamente progettato al fine di macinare il legname. Durante queste operazioni, il macchinario si inceppava più volte. La prima volta interveniva il collega dell'infortunato D.D., addetto alla macchina. Al secondo blocco del frantumatore, B.B., anch'egli presente in loco, comandava al C.C., di calarsi all'interno del macchinario al fine di rimuovere i pezzi di legno che impedivano al rullo di operare correttamente. All'atto di fuoriuscire dal macchinario, il coperchio (costituito da un rullo dotato di lamine appuntite) si chiudeva improvvisamente, bloccando il lavoratore nell'area compresa tra il predetto rullo e quello sottostante, cagionandogli le lesioni indicate sopra.
 
 La parte offesa rimaneva compressa per diversi minuti prima che il coperchio venisse risollevato.
 
 I fatti venivano così ricostruiti sulla base delle dichiarazioni resè dalla parte offesa ai tecnici dello S.P.I.S.A.L., i quali le reputavano compatibili con le modalità dell'infortunio, sia in ragione della corrispondenza tra le ferite presentate dalla parte offesa e la morfologia dei denti del rullo compressore, sia in virtù delle indicazioni contenute nel libretto d'uso della macchina. Ivi era infatti previsto che, in caso di blocco del macchinario, ove il coperchio fosse sollevato a motore spento e non assicurato tramite i due appositi fermi esistenti, potesse abbassarsi improvvisamente a causa della diminuzione di pressione del circuito aerodinamico del braccio elevatore.
 
 I tecnici S.P.I.S.A.L. constatavano, al momento del sopralluogo, che il coperchio del macchinario era mantenuto sospeso da una sola leva e non da due, come invece prescritto dal libretto d'istruzioni per evitare il pericolo di abbassamento del coperchio. Aggiungevano, infine, che non vi erano stati esiti letali solo perchè il funzionamento della macchina impediva l'abbassamento totale del rullo.
 
 I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, ritenevano che, se il datore di lavoro avesse ottemperato alla normativa in materia di sicurezza, rispettando le previsioni di cui alle norme contestate ai capi A), B), C), D), E), ed L) della rubrica, riferite al D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 18, comma 1, lett. a) ed e); art. 29, comma 1; art. 37, comma 1, lett. a); art. 71, comma 4, lett. a); D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19, comma 1, lett. b), predisponendo idonei mezzi di impiego in sicurezza del macchinario, unitamente all'opportuna valutazione dei rischi a ciò connessi, si sarebbe certamente scongiurato il verificarsi dell'infortunio.
 
 2. Avverso la sentenza di cui sopra hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del comune difensore di fiducia, A.A., e B.B., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, disp. att. c.p.p. comma 1.
 
 I) Manifesta illogicità e mancanza della motivazione della sentenza impugnata; travisamento della prova in relazione all' art. 192 c.p.p., comma 1 e 2; art. 530 c.p.p., comma 1 e 2. La Corte d'appello di Venezia avrebbe travisato le risultanze processuali, riportando in motivazione risultati probatori divergenti rispetto agli elementi emersi nella istruttoria.
 
 Pur riconoscendo che il controllo sulla logicità della motivazione demandato al Giudice di legittimità, di norma, deve limitarsi alla verifica della sussistenza di ipotesi di incoerenza evidente, ovvero di spessore tale da essere percepibile ictu oculi, tuttavia non può non rilevarsi come l'assenza di smagliature logiche nel testo del provvedimento impugnato sia riconducibile ad un fraintendimento delle risultanze processuali, che si è tradotto in un travisamento della prova, inteso come mancanza di motivazione.
 
 La motivazione posta a fondamento della decisione risulta omessa per aver i giudici di merito interpretato il contenuto delle prove in modo incontrovertibilmente divergente da quello reale.
 
 Ciò risulta di palmare evidenza a pag. 5 della motivazione, laddove il Giudice di seconde cure afferma che il contenuto del referto radiologico del 13/10/2015 ("rene sinistro circondato da ematoma più evidente posteriormente che sospinge ed anteriorizza il rene stesso"), costituisce la prova che le lesioni alla parte offesa sono conseguite ad uno schiacciamento e non invece ad una caduta, come sostenuto dalla tesi difensiva.
 
 Non si spiega la ragione per cui le lesioni refertate siano incompatibili con una caduta. L'affermazione del giudice di seconde cure risulta pertanto tautologica e, come tale, inidonea a fondare una prova apprezzabile con riguardo all'affermazione di responsabilità dei ricorrenti "oltre ogni ragionevole dubbio".
 
 E' mancato ogni approfondimento di tipo medico-scientifico, anche sotto il profilo causale, idoneo a confortare e chiarire perchè i danni fisici riportati debbano ritenersi incompatibili con la versione della caduta offerta dalla difesa degli imputati.
 
 Il semplice contenuto del referto radiologico non può valere ad escludere la prospettazione difensiva della caduta del dipendente. Sempre a pag. 5 della sentenza impugnata si legge che il teste E.E. ha evidenziato molto bene le ragioni per cui la parte offesa, pur essendo stata colpita da un coperchio del peso di diverse tonnellate, non è rimasta schiacciata in modo letale.
 
 Secondo l'apprezzamento della prova offerto dal giudice del merito, ciò è accaduto grazie al sistema idraulico di funzionamento del macchinario, che non faceva calare in modo completo il coperchio, lasciando uno Spazio luce appena sufficiente ad impedire che l'operaio rimasto intrappolato e pressato venisse completamente schiacciato.
 
 Sul punto il travisamento della prova da parte dalla Corte d'appello risulterebbe evidente. Il teste E.E., diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di merito, ha semplicemente riferito che, verosimilmente, il coperchio potrebbe non essere calato completamente per effetto della natura oleodinamica dei componenti de macchinario.
 
 Ha poi riferito di non avere misurato l'ampiezza dello spiraglio lasciato dal coperchio calato, ed anzi ha rappresentato di non essersi mai interessato a quella zona del macchinario.
 
 Il risultato probatorio è ancora travisato laddove, a pag. 6 della sentenza, si afferma che B.B., avrebbe impartito alla parte offesa l'ordine di entrare nello scivolo del macchinario per disincastrare il legno rimasto sotto il rullo.
 
 Tale affermazione collide fortemente con i risultati probatori raggiunti sul punto. Il dipendente infortunatosi, invero, dopo aver precisato di non avere alcun compito con riguardo alla macchina ceppatrice e di non averla mai toccata, ha riferito che il B.B. gli aveva semplicemente chiesto di andare a vedere se il macchinario si era incagliato senza ordinargli di entrare al suo interno per liberarlo.
 
 Anche poco prima del fatto, come dichiarato dallo stesso C.C., era stato il solo D.D., ad intervenire sul macchinario per disincagliarlo, essendo l'unico dipendente abilitato a questa operazione.
 
 Il travisamento delle prove ha impedito la corretta ricostruzione della dinamica e della responsabilità dell'accaduto. Tutto ciò è avvalorato dalla testimonianza del D.D., il quale ha riferito che il B.B., non aveva rivolto al C.C. l'ordine di rimuovere la causa dell'inceppamento e che questi era salito autonomamente sul piano di trascinamento del macchinario, salvo poi scivolare e cadere sul terreno sottostante, da un'altezza di circa un metro e mezzo.
 
 La corretta lettura delle emergenze dibattimentali, anche tenendo conto dell'interesse economico del C.C., rispetto alle sorti del processo, porta a ritenere in modo incontrovertibile che l'infortunio de quo si sia verificato esclusivamente per colpa della stessa parte offesa, la quale ha posto in essere un comportamento assolutamente abnorme ed imprevedibile, salendo sulla macchina ceppatrice.
 
 II) Manifesta illogicita e mancanza della motivazione della sentenza impugnata in punto deteterminazione della pena.
 
 Si censura l'opzione motivazionale dell'impugnata sentenza in punto di trattamento sanzionatorio, laddove viene negata la concessione delle circostanze attenuanti generiche mutuando situazioni apodittiche, quali il presunto disinteresse degli imputati alla salute dei dipendenti, il presunto depistaggio concordato con il dipendente D.D. ed il mancato risarcimento del danno.
 
 Con riguardo a quest'ultimo aspetto, la stessa parte offesa ha confermato la pendenza di un procedimento civile dalla stessa intrapreso per ottenere il risarcimento dei danni, mentre il presunto "depistaggio" è frutto del travisamento del contenuto delle prove. Quanto, da ultimo, al disinteresse verso la salute dei dipendenti, è emerso pacificamente che la parte offesa fossero non era addetta al frantumatore, pertanto, l'eventuale tempestiva redazione ed adozione del DVR non avrebbe potuto scongiurare l'infortunio.
 
 3. Il ricorso è inammissibile.
 
 La Corte territoriale ha fornito una soddisfacente e logica motivazione, in ordine alle cause dell'infortunio patito dalla persona offesa, alla violazione delle norme antinfortunistiche collegate alle modalità accertate dell'incidente, alla riferibilità di tali violazione alle persone dei ricorrenti.
 
 La difesa reitera in sede di legittimità le medesime questioni prospettate nei gradi di merito, solo apparentemente confrontandosi con le argomentazioni espresse nella motivazione della sentenza impugnata e richiamando l'attenzione della Corte di legittimità su aspetti di puro merito (interpretazione delle fonti dichiarative).
 
 La deduzione dei vizi di legittimità è solo apparente.
 
 Le censure proposte hanno come obiettivo l'apprezzamento sul contenuto e sulla valenza delle prove dichiarative operato dal giudice di merito e mirano, dunque, ad introdurre un non consentito controllo di legittimità (da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, F., Rv. 280601 - 01:"In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito").
 
 Il prospettato vizio del travisamento della prova è stato posto in termini inconferenti.
 
 Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intenda far valere il vizio di "travisamento della prova" deve, a pena di inammissibilità (Sez. 45036 del 2 dicembre 2010, Rv. n. 249035): (a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
 
 In conclusione tale vizio è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a diarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio; il che non si ravvisa nel caso in esame, offrendo la sentenza impugnata ampi e puntuali apprezzamenti sulle prove acquisite, con conseguente intangibilità della valutazione nel merito delle relative risultanze. Va altresì aggiunto:che, nell'ipotesi di doppia pronuncia conforme come quella in esame, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2017, Rv. 270394); circostanza quest'ultima nemmeno dedotta dal ricorrente e, comunque infondata, alla stregua di quanto già esposto.
 
 Le parti di dichiarazioni richiamate nel ricorso, estrapolate dall'intero contesto, non consentono di saggiare realmente le prospettate contraddizioni esistenti nel tessuto argomentativo della sentenza impugnata (cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Rv. 241023 - 01: "In forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto").
 
 In realtà, l'asserito vizio del travisamento della prova si sostanzia nella prospettazione di un'alternativa ricostruzione del fatto, non delibabile in questa sede al cospetto di una motivazione analitica, precisa e logicamente priva di aporie e contraddizioni.
 
 4. Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso in tema di trattamento sanzionatorio.
 
 Il giudice d'appello ha congruamente e logicamente motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche (richiamando la gravità della condotta serbata dagli imputati). Sul punto è sufficiente ricordare che la ratio dell'istituto non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione del beneficio; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base all'entità del reato (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 - 02:"Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente"). Peraltro, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio in esame, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti.
 
 5. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, a norma dell'art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
 
motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2023.
 
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2023