Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 maggio 2023, n. 12109 - Etiologia professionale della sindrome del tunnel carpale. Rigetto


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -

Dott. CAVALLARO Luigi - rel. Consigliere -

Dott. GNANI Alessandro - Consigliere -

Dott. SOLAINI Luca - Consigliere -

Dott. CERULO Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA


sul ricorso iscritto al n. 16113/2018 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato CLAUDIO SADURNY che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALBERTO ARPESELLA, ALFONSO FERRO;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L., - Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati TERESA OTTOLINI, LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 501/2017 della CORTE D'APPELLO di GENOVA depositata il 12/12/2017 R.G.N. 273/2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/02/2023 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto


che, con sentenza depositata il 12.12.2017, la Corte d'appello di Genova ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di A.A. volta al riconoscimento dell'etiologia professionale della sindrome del tunnel carpale di cui ella è portatrice;

che avverso tale pronuncia A.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;

che l'INAIL ha resistito con controricorso.



Diritto


che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 3, e D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 10, nonchè del D.M. 9 aprile 2008, lett. l), voce 78, ed altresì degli artt. 2697 e 2728 c.c., art. 38 Cost. e art. 41 c.p., per avere la Corte di merito ritenuto che, nonostante la sindrome del tunnel carpale sia una malattia tabellata, gravasse a suo carico la prova della relativa etiologia lavorativa, con conseguente inversione dell'onere probatorio;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo e violazione dell'art. 12 preleggi per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato le relazioni di CTU acquisite agli atti; che, con riguardo al primo motivo, va preliminarmente ribadito che dall'inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purchè insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) deriva l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, essendo conseguentemente onere dell'INAIL di dimostrare la dipendenza dell'infermità da una causa extralavorativa oppure che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia e fermo restando che, in caso di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della (in)idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, con la precisazione che, in presenza di infermità che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicchè l'INAIL può solo dimostrare che la patologia non è ricollegabile all'esposizione a rischio (Cass. n. 19047 del 2006 e, più recentemente, Cass. nn. 23653 del 2016, 20769 del 2017 e 27556 del 2020);

che, nella specie, la Corte territoriale, alla stregua dell'istruttoria espletata (e, segnatamente, della CTU ambientale e delle deposizioni testimoniali, confermate in parte qua dalle stesse dichiarazioni dell'odierna ricorrente) ha escluso che le lavorazioni svolte abbiano avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, reputando piuttosto più probabile la sua insorgenza a causa di una predisposizione individuale significativa (cfr. pagg. 6 e 9 della sentenza impugnata);

che, essendo l'anzidetto giudizio di fatto ormai intangibile in questa sede, in considerazione della preclusione di cui all'art. 348-ter c.p.c., u.c., si deve solo aggiungere che, dovendo il nesso di causalità materiale accertarsi in materia civile secondo il criterio del "più probabile che non" (Cass. S.U. n. 576 del 2008), che indica la misura della relazione probabilistica concreta tra condotta ed evento dannoso e richiede un apprezzamento non isolato bensì complessivo ed organico dei singoli elementi indiziari o presuntivi a disposizione (Cass. n. 16581 del 2019), deve escludersi che la sentenza impugnata abbia violato l'art. 2697 c.c., avendo la Corte di merito deciso non già in funzione della regola di giudizio derivante dai criteri di ripartizione dell'onere probatorio, ma sulla base della prova positiva dell'insussistenza in specie di alcun nesso causale tra le lavorazioni cui la ricorrente è stata addetta e l'insorgere dell'infermità per cui è causa;

che, pertanto, il primo motivo di censura si rivela infondato;

che il secondo motivo - in disparte il riferimento alla violazione dell'art. 12 preleggi, affatto inconfigurabile se, come nella specie, predicata in riferimento ad un atto processuale come una CTU - è invece inammissibile, in considerazione del divieto di cui all'art. 348-ter c.p.c., u.c. già cit.;

che il ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale, il 23 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2023