MEMORIA UIL PER L’AUDIZIONE INFORMALE
DECRETO LAVORO D.L. 48/2023
“MISURE URGENTI PER L'INCLUSIONE SOCIALE E L'ACCESSO AL MONDO DEL LAVORO” PRESSO LA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI, SANITÀ LAVORO PUBBLICO E PRIVATO, PREVIDENZA SOCIALE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA.


Premessa
Con l’entrata in vigore del cosiddetto Decreto Lavoro (D.L. 48/2023), siamo purtroppo in presenza dell’ennesima decretazione d’urgenza su questo tema, invece di interventi strutturali e lungimiranti volti a dare stabilità e qualità allo stesso.
Su questo tema, così come sulla previdenza, abbiamo più volte sollecitato il Governo e, nello specifico, la Ministra del Lavoro ad aprire un tavolo di consultazione con le parti sociali per una seria ed approfondita riflessione sul tema del precariato, sul tema della salute e sicurezza e dei controlli. Il perché delle mancate consultazioni ci appare ora chiaro, visto l’intento di aprire la porta a forme di lavoro che lasciano liberi i datori di lavoro di assumere, a danno, però, della stabilità e sicurezza del lavoro.
Siamo in presenza di un Governo che “semplifica” il mercato del lavoro a tutto vantaggio dei datori di lavoro.
Lo abbiamo visto con l’estensione della protezione sociale e la riduzione della tassazione per gli autonomi e liberi professionisti, ed oggi, con il Decreto Lavoro.
Lo riscontriamo nella ulteriore apertura ai voucher e nell’ennesima modifica sul contratto a tempo determinato che rende, di fatto, libero il datore di lavoro di assumere fino a 24 mesi senza causali. Il Decreto interviene utilmente raccogliendo le proposte avanzate da CGIL CISL e UIL in questi mesi, tagliando il cuneo fiscale fino al 31 dicembre 2023. La UIL insieme a CISL e CGIL chiedono di far diventare strutturale questo taglio.
Insomma, quello che si intravede all’orizzonte, è un aumento del lavoro precario e povero. Possiamo solo ravvisare in questo approccio, una certa discrasia rispetto a quanto la Ministra aveva prospettato nella sua relazione programmatica con l’apertura di tavoli tematici e la volontà di “favorire il dialogo sociale sui temi di grande impatto sociale” dove riteniamo rientri a pieno titolo una riflessione e proposta su come combattere il lavoro povero, insicuro e precario e su come costruire un nuovo welfare.
Crediamo che non faccia bene al nostro mercato del lavoro, al nostro sistema produttivo e occupazionale, né ai tantissimi disoccupati, ai 3 milioni di Neet, alle tante donne con difficoltà nell’inclusione, alla popolazione giovanile con contratti stop&go o con tirocini fittizi, a tutte le persone scoraggiate, continuare a proporre interventi attraverso decreti-legge e senza un confronto preventivo con le parti sociali.
Non si risolvono in questo modo i tanti problemi strutturali presenti nel nostro mercato del lavoro, anzi si rischia di produrre danni duraturi molto seri.
Quindi a meno di non trovarsi in situazioni veramente di emergenza come è stata la pandemia, dove l’urgenza richiedeva provvedimenti altrettanto tempestivi, su un tema così importante come il lavoro che riguarda la dignità della persona, è il momento di aprire una riflessione seria con il coinvolgimento attivo e propositivo delle parti sociali che vivono quotidianamente le criticità e le necessità del tessuto sociale ed occupazionale.
Ci saremmo aspettati l’apertura di un tavolo per rivedere gli strumenti di ingresso nel mercato del lavoro, per riflettere su come “agganciare” il contratto di apprendistato senza che continui a essere schiacciato da altri strumenti meno virtuosi per i giovani come lavoro nero, finti tirocini e fittizie partite iva o contratti temporanei reiterati nel tempo; su come includere il maggior numero di donne nel mercato del lavoro senza farle cadere nel baratro dell’inattività o del lavoro povero; su come incentivare il lavoro a tempo indeterminato e non la temporaneità indeterminata.
Crediamo che uno stravolgimento del welfare state del nostro paese e delle politiche del lavoro è quello che il governo arbitrariamente sta facendo attraverso misure frammentate e discontinue.
Gli incentivi alla natalità a vantaggio delle famiglie con figli, la riforma del Reddito di Cittadinanza (RdC), sono solo alcuni degli interventi categoriali privi di una visione di lungo periodo e universale come, peraltro richiesto dall’Europa.
La misura di contrasto alla povertà non è più universale ma fortemente categoriale, divide le persone che si trovano in difficoltà in due gruppi nettamente separati: occupabili e non occupabili.Un aspetto problematico è legato al concetto di “occupabilità” considerato in base alla composizione del nucleo familiare.
In questo modo si mischiamo, impropriamente, le politiche per le famiglie con quelle di contrasto alla povertà.
Non viene tenuta in considerazione la definizione di occupabilità utilizzata a livello internazionale, come avviene nel RdC, legata alle caratteristiche soggettive: istruzione, competenze, esperienze pregresse, tempo fuori dal mercato del lavoro.
Il provvedimento divide le potenziali famiglie beneficiarie del sostegno minimo al reddito in due platee, in base all’età o all’eventuale presenza di disabili al loro interno, in attivabili e non attivabili, e per queste ultime sembra intervenire prevalentemente, combinando sanzioni forti con deboli incentivi.
Crediamo, inoltre, che risulti fortemente pericoloso lasciare senza protezione alcuna chi non ha figli, dopo soli 12 mesi.
La suddivisione rigida dei beneficiari in due blocchi in base all’età e alle fragilità familiari non consente un’efficace risposta per tutti i bisogni multidimensionali delle famiglie in condizione di povertà, oltre a determinare un parziale scardinamento del principio alla base di un reddito minimo, che stabilisce si debba fornire un simile sostegno reddituale in modo universale a tutti coloro (famiglie o individui), che si trovino al di sotto di una certa soglia che identifica la difficoltà economica. L’Italia rimane l’unico Paese europeo senza un provvedimento strutturale e universale rivolto a tutti i cittadini in condizione di povertà, in evidente contrasto con la raccomandazione dell’Unione Europea sul reddito minimo.
La riforma prevede il passaggio dal Reddito di cittadinanza a due prestazioni: l’Assegno di inclusione (Adi), definito “misura nazionale di contrasto alla povertà”, e il supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), una “misura di attivazione al lavoro”.
L’Adi è la misura contro la povertà: un sostegno continuativo - sino a che ne permane la necessità - i cui importi assicurano agli interessati un livello minimo di sussistenza, rivolto alle famiglie con minori, persone over-60 e persone con disabilità.
Per tutti gli altri c’è, invece, il Sfl, un aiuto temporaneo, della durata massima di 12 mesi, il cui ammontare non permette un’esistenza accettabile, erogato a condizione che la persona partecipi a corsi di formazione o progetti utili a collettività.
L’obiettivo, quindi, non è più assicurare a chiunque cada in povertà il diritto a una vita decente, bensì proteggere soltanto le famiglie con figli (o altri carichi di cura) dalla povertà.
Riscontriamo quanto non sia previsto nessun intervento per i più fragili e come non vi sia traccia di interventi per i senza dimora, i care leavers, per persone con dipendenze o problemi psichici.
Riteniamo che la misura considera i poveri colpevoli della loro condizione e, per questo, non meritevoli di protezione sociale.
Siamo molto preoccupati per il rischio di una esplosione della povertà, già in forte crescita e di una conflittualità sociale.
In nessun modo si considerano i diciottenni, che rientrano nella seconda misura.
I nuovi coefficienti della scala di equivalenza, inoltre, segnano un distinguo tra i figli minori o maggiori di 2 anni ed escludono dal conteggio gli “occupabili”, per i quali viene prevista, a determinate condizioni, la misura di supporto per la formazione e il lavoro.
Si riscontra inoltre una criticità rispetto all’interruzione della continuità di residenza, che prevede come presupposto la non assenza di 2 mesi continuativi o 4 mesi cumulati in un arco di 18 mesi. Per quanto riguarda la formazione, differentemente dalle nostre richieste di restituirne centralità, riscontriamo come il medesimo supporto per la formazione e il lavoro, diventa strumento di attivazione pensato per gli occupabili. Ne fanno parte gli adulti tra 18 e 59 anni, cui spetta un contributo mensile di 350 euro per 12 mesi non prorogabili.
Le condizioni sono un reddito fino a 6 mila euro l'anno e la frequenza di un corso di formazione, oppure la partecipazione a un progetto di servizio civile o, ancora, lo svolgimento di un lavoro socialmente utile. La quota di 350 euro è corrisposta solo per il periodo in cui queste iniziative si svolgono.
Altra condizione per il riconoscimento economico è che non siano rifiutate le offerte di lavoro.
Il reddito è revocato se non si accetta la prima offerta di lavoro e non si fa più alcun riferimento alla congruità.
Inoltre, non ci risulta abrogata la disposizione in legge di bilancio che ha altresì introdotto il divieto di percepire il reddito di cittadinanza per i giovani che non abbiamo assolto l’obbligo scolastico.
È necessario ribadire come non sia attraverso l’incentivazione a fare figli che si creano le condizioni capaci di offrire alle persone i presupposti necessari per progetti di lungo periodo, come quello di creare una famiglia.
Ci sono ragioni trasversali che vanno dalle politiche abitative a quelle dei servizi di conciliazione vita- lavoro e servizi per l’infanzia inaccessibili e costosi.
Abbiamo territori, dove il tasso di copertura degli asili nido, ad esempio nel Mezzogiorno, non raggiunge neanche il 10% e in cui il tempo pieno scolastico non esiste.
Occorre dare garanzia di servizi di qualità e duraturi.
Il PNRR, infatti, destina ingenti risorse alla costruzione di nuovi asili nido, proprio perché è noto che più servizi all’infanzia, possono favorire un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata.
Ma a fianco a queste risorse straordinarie servono risorse ordinarie per far funzionare tali strutture. Ci è stato sottoposto un Decreto Lavoro pre-confezionato, con tutti i suoi limiti.
Un Decreto Lavoro che prevede la collaborazione delle parti sociali in due soli articoli.
Un Decreto Lavoro che cerca di “tamponare” alcune criticità, ma che ne “solleva” di nuove.
Una norma, che per l’operatività delle misure in esso contenute, richiederà l’emanazione di diversi decreti attuativi con tutte le complessità e farraginosità che ne deriveranno.
Una norma che nello smontare il reddito di cittadinanza, rischia di creare nuovi poveri, precari, inattivi.
Queste sono alcune delle valutazioni principali, che portano la nostra organizzazione, ad esprimere un parere negativo di questo provvedimento, lontano dalle nostre richieste e dalle piattaforme unitarie presentate, il cui obiettivo resta abbattere le disuguaglianze e incrementare e tutelare i diritti delle persone.
Ragione per la quale continueremo a sostenere la nostra mobilitazione.

Assegno di inclusione dal 2024
Dal 1° gennaio 2024 sarà in vigore l’Assegno per l’inclusione, un sussidio economico che sarà concesso ai nuclei familiari che presentano almeno un componente minorenne, disabile o con più di 60 anni.
È inaccettabile, che il sostegno all’affitto si riduca a soli 150 euro al mese massimo, dagli attuali 280 euro, nel caso in cui il nucleo sia formato solo da over 67 o familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza.
Non c’è traccia degli adeguamenti dei benefici all’inflazione, che già sarebbero dovuti partire dal 2026.
Un’omissione che avevamo già stata segnalato e che riteniamo necessaria per tutelare il potere d’acquisto delle famiglie beneficiarie. Il nucleo familiare dovrà presentarsi, ogni tre mesi, in un patronato o un centro per l'impiego o ai servizi sociali per aggiornare la propria posizione.
Quanto ai requisiti di accesso, la soglia ISEE per accedere al sussidio è di 9.360 euro (la stessa prevista per l’RdC) e il reddito familiare (concorrono pensioni e compensi da lavoro sportivo dilettantistico) deve essere inferiore ai 6mila euro, soglia che andrà parametrata in base alla scala di equivalenza se ci sono altri membri nel nucleo familiare, fino a un massimo di 2,2 (2,3 in caso di disabili gravi).
Se il nucleo è composto da persone tutte di età almeno pari a 67 anni e da altri familiari tutti disabili gravi o non autosufficienti, la soglia di reddito familiare di partenza è fissata in euro 7.560. Il patrimonio immobiliare, esclusa la casa di abitazione (dal valore non superiore a 150mila euro ai fini IMU), non deve superare i 30mila euro di valore.
Il patrimonio mobiliare (soldi e titoli) non deve superare i 6mila euro. La soglia cresce di euro 2mila per ogni componente in più fino a un massimo di euro 10mila, incrementato di ulteriori mille euro per ogni minorenne successivo al secondo, di 5mila euro per ogni membro disabile e di 7.500 euro per ogni membro in condizione di disabilità grave.
Oltre ai suddetti requisiti, riscontriamo come, il decreto imponga ai percettori il doversi presentare ogni 90 giorni presso i patronati per aggiornare o validare la propria situazione.
Consideriamo questa scelta esasperata sulla verifica e inappropriata.
L’altresì verifica a carico dei percettori, è delegata ai servizi sociali; scelta che si connota come positiva ai fini della valutazione multidimensionale del nucleo ma per la quale ribadiamo l’inesistenza di un investimento di risorse aggiuntive in termini di personale e di risorse economiche tali a sostenere e a rendere fattibile il processo stesso.

Per gli occupabili (Supporto per la formazione e il lavoro)
Sono considerate occupabili, le persone in povertà assoluta con un’età compresa fra 18 e 59 anni che non rientrano fra le precedenti categorie “fragili”.
Dovranno seguire specifici percorsi di accompagnamento al lavoro con un centro per l’impiego (fra tali percorsi rientrano anche i lavori socialmente utili e i progetti utili alla collettività).
A questa platea verrà erogato dal 1° settembre 2023 un assegno di 350 euro al mese (per la durata temporale massima di 12 mesi) che decade per l’intero nucleo familiare in caso di rifiuto di un’offerta di lavoro, a tempo pieno o parziale, non inferiore al 60 per cento dell'orario a tempo pieno.
Per quelli fino a 6 mesi, l’assegno sarà sospeso solo temporaneamente.

Maggiorazione dell'assegno unico
È prevista l’estensione di una maggiorazione già esistente dalla Legge di Bilancio 2023, che ad oggi prevede una cifra aggiuntiva di 30 euro per le famiglie con minori in cui entrambi i genitori lavorano e sono titolari di reddito da lavoro.
Maggiorazione che viene riconosciuta pienamente in presenza di ISEE fino a 15.000 euro e che si riduce gradualmente al crescere dei livelli ISEE; non spetta, invece, qualora non venga presentato l’ISEE o se il suo valore risulti superiore.
La maggiorazione è estesa anche ai minori che fanno parte di nuclei familiari in cui è presente un solo genitore lavoratore nel caso in cui, al momento della domanda, l’altro risulti deceduto.

Fondo attività socio-educative
È Istituito un Fondo per le attività socio-educative a favore dei minori.
Pur accogliendo positivamente l’istituzione di un Fondo, presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, con una dotazione pari a 60 milioni di euro per l'anno 2023, per le attività socio- educative a favore dei minori, finalizzate al potenziamento dei centri estivi, dei servizi socioeducativi territoriali e dei centri con funzione educativa e ricreativa, riteniamo non solo le risorse insufficienti per sostenere la platea dei beneficiari, ma anche e soprattutto che le politiche a favore dei minori vanno ricomprese in ampio intervento di azioni che rilancino una maggiore attenzione ai processi socio-educativi dei minori.

Disabilità e inclusione
Il decreto contiene alcune novità in materia di disabilità, fermo restando le disposizioni a favore delle famiglie con componenti di figli con disabilità previste dall’Assegno di inclusione, analizzate nel capitolo dei benefici economici per le disabilità gravi o di non autosufficienza, si prevede un primo intervento di un contributo alle imprese sociali che, per servizi finalizzati all'inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle persone hanno nel loro organico figure professionali che accompagnano la persona con disabilità durante il percorso di inserimento lavorativo e che si impegnano nel patto di servizio personalizzato.
Viene pertanto riconosciuto, per ogni persona con disabilità assunta a seguito dell’attività di mediazione svolta dai predetti enti, un contributo pari al sessanta per cento dell’intero incentivo riconosciuto ai datori di lavoro per assunzioni con contratto a tempo indeterminato o apprendistato, oppure un contributo pari all'ottanta per cento dell’intero incentivo riconosciuto ai datori per assunzioni a tempo determinato o stagionale.
Ai fini del riconoscimento del contributo, il patto di servizio personalizzato definito con i servizi peril lavoro competenti prevede che gli enti assicurano, per il periodo di fruizione dell’incentivo riconosciuto al datore di lavoro, la presenza di una figura professionale che svolga il ruolo di responsabile dell'inserimento lavorativo.
Viene istituito, al fine di valorizzare e incentivare le competenze professionali dei giovani con disabilità e il loro diretto coinvolgimento nelle diverse attività statutarie produttive e nelle iniziative imprenditoriali, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per ilsuccessivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, un apposito fondo finalizzato al riconoscimento di un contributo in favore degli enti del Terzo settore, delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale e quelle non lucrativedi utilità sociale per ogni persona con disabilità, tra i 18 e i 35 anni di età assunta ai sensi della legge 12 marzo 1999, n. 68, con contratto di lavoro a tempo indeterminato tra il 1° agosto 2022 eil 31 dicembre 2023.
Il fondo è alimentato mediante la riassegnazione in spesa, nel limite massimo di 7 milioni di euro per l'anno 2023.
Si tratta sicuramente di un “segnale” per la promozione dell’inclusione lavorativa per gli enti che intendono sviluppare occasioni di lavoro a tempo indeterminato, tuttavia ci preme sottolineare alcune criticità.
Innanzitutto, il limite delle risorse al 2023 non consentirà di mantenere e strutturare il lavoro stabile,e non incide minimamente sulle disuguaglianze territoriali in perenne difficoltà per l’applicabilità della legge 68.
Inoltre, le disposizioni messe in atto dal provvedimento persistono nel voler includere le persone con disabilità in determinati settori, occorre invece a nostro parere, superare ogni discriminazione e valorizzare competenze e capacità adattando gli strumenti necessari per superare ogni divario trai tassi di occupazione delle persone con disabilità e senza disabilità.

Benefit per famiglie con figli
Per il solo anno in corso il governo alza la soglia dei “fringe benefit” (non tassabili) per i lavoratori dipendenti con figli a carico.
Il c.d. bonus dipendenti torna quindi alla soglia in vigore fino alla fine del 2022, circa 3mila euro, ma questa volta sarà destinato esclusivamente ai lavoratori con figli a carico.
La spesa è stimata in 142 milioni di euro per il 2023.

Taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti
Per i periodi di paga dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023 l'esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore, è incrementato di 4 punti percentuali.
Il provvedimento estende la misura già presentata in Legge di Bilancio per il 2023, incrementando il netto in busta paga. Il costo a bilancio è di poco più di 4 miliardi.

Rifinanziamento dei CAF
Il decreto dispone un incremento di 30 milioni per il fondo destinato ai Centri di Assistenza fiscale. Tali ulteriori risorse sono destinate limitatamente alle attività legate all’assistenza nella presentazione della Dichiarazione sostitutiva unica a fini ISEE, in virtù del previsto incremento dei volumi delle DSU in seguito all’introduzione dell’Assegno Unico e all’introduzione di nuove misure per le famiglie.

Rifinanziamento Fondo per la riduzione della pressione fiscale
La dotazione del Fondo per la riduzione della pressione fiscale è incrementata di 4.064 milioni per l’anno 2024.
La dotazione del fondo risulta ancora insufficiente a dare risposte alle lavoratrici e ai lavoratori ed è lontana dalle richieste da noi presentate anche all’interno delle piattaforme unitarie.

Contratti a termine
Il decreto, per le novità introdotte sul contratto a tempo determinato, reintroduce da oggi il vecchio “causalone” che, tradotto, significa lasciar libero il datore di lavoro di assumere a termine qualunque sia la motivazione.
È chiaro che ciò produrrà come nel passato, un incremento della precarietà lavorativa e del contenzioso.
Le novità sul contratto a tempo determinato, infatti, accentueranno l’insicurezza lavorativa per una platea di oltre 3 milioni di lavoratori subordinati a tempo determinato e 400 mila somministrati a tempo determinato.
Sono numeri che, rischiano ulteriormente di crescere con questo Decreto Lavoro.
Il testo mantiene la “acausalità” del contratto fino a una durata massima di 12 mesi (già prevista dal Decreto Dignità), con la possibilità di prevedere una durata maggiore fino a 24 mesi, in presenza di esigenze di sostituzioni temporanee di altri lavoratori e per causali stabilite da contratti collettivi, di cui all’art. 51 d.lgs 81/2015, sottoscritti dalle Organizzazioni Sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle RSA/RSU.
Tuttavia, riteniamo, invece, che vada nel senso della liberalizzazione sfrenata dei contratti a tempo determinato, con conseguente rischio di aumento della precarietà lavorativa soprattutto per giovanie donne, la volontà di questo Governo di introdurre “causali libere” anche a coloro che applicano contratti pirata.
Inoltre, la previsione del periodo transitorio fino al 30 aprile 2024, in mancanza di causali stabilite dalla contrattazione collettiva, rischia di aggravare maggiormente la condizione di debolezza di lavoratrici e lavoratori.
Siamo quindi passati da un “Decreto Dignità” dove le causali stabilite dal Governo di allora erano di difficile applicazione, a un Decreto Lavoro che liberalizza e sdogana le causali permettendo così il ritorno a un utilizzo sfrenato e non fisiologico, dei contratti a tempo determinato rialzando l’asticella della temporaneità ed insicurezza lavorativa.
Segnaliamo, inoltre, che l’esclusione per 12 mesi dall’assegno di inclusione chi risulta disoccupata/oa seguito di dimissioni volontarie crea ulteriore discriminazione per le donne che si dimettono entroil primo anno di vita della prole a causa dell’impossibilità di conciliare il lavoro con la maternità.
Una discriminazione femminile che permane anche nel considerare componenti lo stesso nucleo familiare anche le donne autorizzate a risiedere nella stessa abitazione con il coniuge da cui risultino separate o divorziate.

Prestazioni occasionali
Sono profondamente sbagliate le modifiche sulle prestazioni occasionali su cui il Governo interviene per la seconda volta ampliandone ulteriormente il campo di applicazione.
In tema di prestazioni occasionali, c’è una chiara volontà di voler scaricare la ripresa dei settori del turismo e delle terme sulle spalle delle lavoratrici e lavoratori.
Per noi è inaccettabile.
Questa norma non fa altro che diminuire le tutele degli addetti in questi settori, che spesso hanno contratti stagionali.
E questo significa un forte vantaggio per questi datori di lavoro in termini di costo del lavoro (fortemente ridotto rispetto a una assunzione ordinaria) e di tassazione (questo strumento è esente da tassazione fiscale), ma anche di assenza di rispetto dei contratti collettivi poiché la prestazione occasionale non si configura come un contratto di lavoro.
In breve, siamo in presenza di un istituto che non prevede diritti e tutele per lavoratrici e lavoratori interessati, a iniziare dalla NASPI e che rischia di condurre a un aumento della platea dei precari e working poor.
Nonostante la nostra, più volte rimarcata, contrarietà a questo strumento e, di conseguenza, anche all’allargamento del campo di applicazione attuato con l’ultima Legge di Bilancio, oggi ci troviamo di fronte un Decreto Lavoro in cui si prevede di elevare ulteriormente, fino a 15 mila euro l’anno, il tetto di cui può disporre l’utilizzatore/datore di lavoro per usufruire di prestazioni di lavoro nei settori degli stabilimenti termali, dei parchi divertimento, dei congressi, delle fiere e degli eventi.
A tale apertura, si aggiunge, per i medesimi settori di attività, quella di derogare al divieto di utilizzo di prestazioni occasionali, laddove il datore di lavoro abbia fino a 25 dipendenti a tempo indeterminato, innalzando il limite precedente che era di 8 unità.
La facoltà di utilizzare i voucher o buoni lavoro era già stata ampliata con la manovra 2023 che aveva elevato a 10 mila euro il precedente limite annuo di 5mila euro. Scompare, inoltre, il limite dei 29 anni di età per i contratti di apprendistato dei soli settori turistico e termale (per un massimo di 3 anni).

Semplificazioni in materia di informazioni dei rapporti di lavoro
Desta forte preoccupazione, inoltre, l’intervento sul d.lgs 152/1997 e s.m., previsto dall’art. 26, comma 1, del Decreto Lavoro, che è palesemente volto ad una notevole semplificazione degli obblighi informativi del datore di lavoro nei confronti delle lavoratrici e lavoratori circa la conoscenza delle condizioni applicabili al contratto di lavoro.
Sicuramente questa modifica semplificherà l’attività lavorativa dei consulenti del lavoro di cui si avvalgono i datori di lavoro, ma certamente non renderà trasparenti, chiare e prevedibili ai nuovi assunti le condizioni di lavoro al momento dell’assunzione.
A ciò si aggiunge l’ulteriore elemento che esclude l’obbligo informativo nei confronti delle lavoratrici e lavoratori laddove l’azienda utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati protetti da segreto industriale e commerciale.
È evidente il velato richiamo agli algoritmi.
Ci appare chiaro l’intento, fino a prova contraria, da parte del Governo, di azzerare la conoscenza e accessibilità di informazioni (tra cui rientra anche quella sulla gestione e cessazione del rapporto di lavoro), che incidono prevalentemente sulle condizioni di lavoro delle lavoratrici e lavoratori del food delivery.
Con molta difficoltà, la UIL insieme a CGIL e CISL, stà cercando di arginare l’assenza di diritti e tutele di chi opera in questo settore, poiché sappiamo bene, tutti, quanto sfruttamento, stress, infortuni, precarietà si annidino in questo tipo di prestazioni lavorative.
Adesso, con questa modifica legislativa, l’algoritmo deciderà tempi, modi e condizioni lavorative, negando alle lavoratrici e lavoratori il diritto ad una chiara e trasparente informativa sulle stesse.
Mettere in atto misure che prevedono due pesi e due misure, a seconda dei destinatari, crea un sistema fortemente in disequilibrio a svantaggio della parte più debole del rapporto di lavoro: lavoratrici e lavoratori.

Incentivi e Fondo Nuove Competenze
L’incentivo alle assunzioni, anche a tempo determinato e, il contributo per l’autoimpiego e autoimprenditorialità per i beneficiari dell’Assegno di Inclusione è una misura che tenta di dare risposte di inserimento lavorativo a persone fragili, anche se avremmo preferito che vi fosse una diversa intensità di aiuto tra le assunzioni a tempo indeterminato, rispetto a quelle a termine.
Mentre l’incentivo per l’occupazione giovanile per i NEET risponde a più esigenze: da una parte quella di accelerare per il 2023 la spesa dei fondi comunitari, dall’altra, quella di liberare risorse ordinarie nazionali dell’incentivo assunzioni giovani under 36.
Questo incentivo risponde a una richiesta esplicita della UIL, come misura “qualificante”, nel programma Giovani, Donne e Lavoro cofinanziato con i fondi europei 2021-2027 e per questo auspichiamo che essa diventi strutturale fino al 2029.
Non ci convince, invece, che nella versione definitiva della norma sia scomparso l’articolo che introduceva il raddoppio della deducibilità del lavoro domestico.
Sarebbe stata una norma di civiltà, anche in chiave di emersione dal lavoro nero, che si nasconde dietro questo settore e per assicurare alle lavoratrici domestiche una retribuzione adeguata ed una regolare contribuzione.
Condivisibile la misura che riguarda la possibilità di trovare ulteriori risorse per finanziare il Fondo Nuove Competenze, tuttavia, crediamo che, data l’importanza dello strumento, non si possa procedere a “tentoni”, ma che si debbano trovare risorse strutturali nelle pieghe del Bilancio dello Stato.

Politiche attive ammortizzatori
Ferme restando le finalità più generali della riforma del Reddito di Cittadinanza, il Governo ha voluto affiancare all’intervento economico, specifici interventi di “inserimento sociale”, “formazione” e “politiche attive”.
Le politiche attive sono essenzialmente destinate ai soggetti che sono considerati “occupabili” e per i quali viene previsto un percorso personalizzato di attivazione, la cui competenza è in capo ai centri per l’impiego (CPI), e che può prevedere l’adesione ai percorsi formativi previsti dal Programma Nazionale per la Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (GOL).
Il patto di servizio personalizzato e la relativa presa in carico del beneficiario può essere realizzata anche da Servizi per il lavoro privati previa definizione delle modalità da parte delle singole Regioni e Province autonome.
Nel complesso la nuova normativa contiene numerosi interventi di “condizionalità” che disciplinano sia l’accesso all’Assegno di inclusione che il suo mantenimento.
I beneficiari dell’Assegno di inclusione dovranno, come già accade per i percettori di Naspi, iscriversi a una nuova piattaforma digitale per sottoscrivere un “patto di attivazione digitale” dal quale poi discenderanno a cascata altre tipologie di interventi volti alla ricerca di lavoro, all’individuazione di attività di formazione e rafforzamento delle competenze e alla partecipazione a progetti utili alla collettività.
Tra i più significativi elementi di condizionalità spicca l’offerta “congrua” di lavoro che il componente del nucleo familiare beneficiario dell’Assegno di inclusione, attivabile al lavoro, è tenuto ad accettare pena la decadenza dal beneficio.
Ci appare eccessiva la previsione di decadenza nel caso di offerta di un lavoro a tempo indeterminato senza tener conto dei limiti di distanza e con riferimento a tutto il territorio nazionale, rendendo ancora più stringenti i parametri rispetto a quelli che si applicano ai percettori di NASPI o Dis-Coll.
Inoltre, il riferimento a “tutto il territorio nazionale”, comporterebbe un elevata rinuncia alle offerte di lavoro in considerazione delle spese di affitto da affrontare.
Politiche attive del tutto simili sono previste anche per una nuova misura destinata a persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa che non hanno però i requisiti per accedere all’Assegno di inclusione: il Supporto per la formazione ed il lavoro.
L’interessato chiede di accedere al supporto per la formazione ed il lavoro con le stesse modalità telematiche previste per l’Assegno di inclusione, rilasciando la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e autorizzando la trasmissione dei dati relativi alla richiesta ai centri per l’impiego, alle agenzie per il lavoro e agli enti autorizzati all’attività di intermediazione.
Successivamente il richiedente verrà convocato presso il servizio per il lavoro competente, per la stipula del patto di servizio personalizzato che definirà nei dettagli le attività.
Al riguardo appare singolare che nel patto si debba indicare, con idonea documentazione, di essersi rivolti ad almeno tre agenzie per il lavoro o enti autorizzati all’attività di intermediazione quale misura di attivazione al lavoro.
Queste attività andranno ad aumentare i carichi di lavoro dei Centri per l’Impiego che, è bene ricordarlo, ancora non hanno terminato i piani di rafforzamento e sono solo parzialmente preparatia dare servizi per una platea con caratteristiche peculiari e problematiche che necessitano di un approccio multidisciplinare.
E vale sempre la pena ricordarlo che è ancora in atto la “vertenza navigator” i quali tra i loro compiti avevano proprio l’assistenza e l’orientamento dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza.
L’invarianza di spesa e il divieto di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica è altro richiamo ricorrente: eppure da tempo è emersa l’urgenza di rinforzare gli organici della pubblica amministrazione ad iniziare dall’INL, il cui operato è strategico.
L’insufficiente presenza di risorse umane nelle amministrazioni pubbliche interessate ad accertare irregolarità può dare luogo a mancato o non completo espletamento di controlli e verifiche.
Tutto ciò comporta, secondo il Decreto in esame, responsabilità amministrativo-contabile del personale delle amministrazioni interessate, e le condotte sono valutate ai fini dell’accertamento delle responsabilità disciplinari del personale delle stesse amministrazioni. La norma sembra avere carattere vessatorio nei confronti del personale chiamato ad espletare una mole crescente di lavoro,in una situazione già critica e con elevati carichi di lavoro.
Infine, va ricordato che il “motore” di tutte le politiche di attivazione e di condizionalità previste perle nuove misure a contrasto della povertà sarà una nuova piattaforma digitale, il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (SIISL), che dovrà garantire l’interoperabilità di tutte le piattaforme digitali dei soggetti accreditati al sistema, comprese quelle delle Regioni.
Al riguardo, e fermo restando che dovrà essere un successivo Decreto a disciplinarne il funzionamento, sosteniamo da tempo che non sono necessarie nuove infrastrutture informatiche e che sarebbe sufficiente creare le condizioni per far funzionare quelle oggi esistenti, con particolare riferimento al sistema informativo unitario che dovrebbe essere coordinato dall’ANPAL.
Tornando a interventi più specificatamente lavoristici è positivo che si intervenga ulteriormente a sostegno delle imprese in crisi attraverso un ulteriore periodo di cassa integrazione in deroga fermo restando che, vista la formulazione delle causali necessarie per accedere alla CIG in deroga, sembra una misura che mira a risolvere una specifica situazione di crisi e non un intervento di respiro più ampio.
Appare, invece, paradossale che nella versione definitiva del Decreto sia saltata la prevista copertura di ulteriori sei mesi di cassa integrazione straordinaria per le lavoratrici e lavoratori dell’ex compagnia di bandiera Alitalia.

Sicurezza sul lavoro e di tutela contro gli infortuni
Per quanto riguarda il Capo II, il Decreto-Legge ha l’obiettivo di migliorare le condizioni sul lavoro, in materia di salute e sicurezza, la prevenzione ed il sistema delle ispezioni.
A fronte della situazione infortuni, incidenti e malattie professionali ancora con numeri molto alti e preoccupanti nel nostro Paese, un intervento sulle materie di sicurezza sul lavoro e ispezioni diventa indispensabile.
Troppo poco si è fatto negli ultimi periodi sul tema prevenzione e questo schema di decreto purtroppo continua su questa linea: pochi e confusi interventi.
È necessaria un’azione forte sulla prevenzione, con risorse dedicate, nonché potenziare i controlli con un incremento dei tecnici della prevenzione ASL e degli ispettori INL.
Serve una strategia nazionale che conduca a un’unica linea di intervento verso un’azione decisa sulla prevenzione.
L’Italia è l’unico paese della UE a non avere e non aver mai avuto una propria Strategia Nazionale di Prevenzione e Protezione per la Sicurezza sul Lavoro.
Mancano ancora vari Decreti Attuativi per completare il campo di applicazione e alcuni aspetti fondamentali di Prevenzione, a distanza di 15 anni dalla emissione del D. Lgs. 81/08.
Alcuni Decreti riguardano settori strategici per il paese, con potenziali rischi elevati e alti valori di infortuni.
Quindi serve attivare un confronto per emettere in tempi brevi questi Decreti.
Un Decreto fondamentale che deve essere emesso al più presto riguarda l’articolo 52 del D. Lgs. 81/08 “Sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza”.
Questo Decreto attuativo aiuterebbe a rappresentare al meglio con i RLST tutti i lavoratori e le lavoratrici delle micro e piccole imprese che oggi non trovano adeguate tutele e diritti.
Un altro dei punti critici in tema di infortuni e incidenti sul lavoro, riguarda il sistema degli appalti. Applicare le regole seguendo attentamente tutte le norme diventa fondamentale per il rispetto della regolarità contrattuale e retributiva dei lavoratori e per il rispetto delle norme di sicurezza. Quindi mettere in atto un sistema che premia le aziende virtuose e penalizza quelle che non rispettano le norme diventa prioritario.
Anche in questo caso il provvedimento legislativo è pronto da tempo ma pressioni politiche hanno bloccato l’iter di approvazione. Dobbiamo quindi riattivare il percorso di approvazione.
In questo schema vediamo nulla o quasi nulla di tutto ciò.
Analizzando nel dettaglio le novità introdotte nel decreto, osserviamo in primis le modifiche proposte al Decreto Legislativo 81/08: sul Medico Competente, sulla Sorveglianza Sanitaria, sulla Formazione, sulle verifiche periodiche, ecc.
In termini assoluti sono modifiche condivisibili, che cercano di migliorare l’attuale assetto del Decreto stesso su alcune tematiche importanti ma sono modifiche senza una vera strategia di intervento, sembrano interventi a pioggia, sulla base di piccole correzioni, che forse da tanto tempo erano pronte in qualche cassetto del Ministero del Lavoro.
Non c’è una vera azione mirata per interventi sulle cause reali degli infortuni sui luoghi di lavoro e per la prevenzione delle malattie professionali.
Nello specifico, l’articolo 14, comma 1, lettera a), prevede che all’articolo 18, comma 1, lettera a), è aggiunto il seguente periodo “e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all’articolo 28.”. Si propone che analoga frase sia aggiunta all’articolo 41, comma 1, lettera a) al fine di chiarire che la sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente in base alla valutazione dei rischi, al di fuori dei casi attualmente previsti esplicitamente dalla normativa vigente, non costituisce violazione dell’art. 5 della Legge 300/1970.
La nomina del medico competente non solo in caso di rischi “tabellati” che la prevedono per legge, ma ogni volta che risulti utile in base alla valutazione dei rischi, è infatti una misura importante da tempo auspicata, ma occorre chiarire in maniera esplicita che ad essa consegue anche la possibilità di effettuare la sorveglianza sanitaria senza che questo possa configurarsi come una violazione dell’art. 5 della L. 300/70.
Inoltre, va nella giusta direzione la previsione che “in occasione delle visite di assunzione, venga richiesta al lavoratore la cartella sanitaria rilasciata dal precedente datore di lavoro e che si tenga conto del suo contenuto ai fini della formulazione del giudizio di idoneità”.
Occorre chiarire che, nel caso in cui lavoratrici e lavoratori non siano in possesso della cartella sanitaria o comunque non le consegnino, è sufficiente che il medico riporti un’annotazione nella nuova cartella.
In tema di vigilanza, con l’articolo 15, si propone di richiedere agli enti pubblici e privati di condividere gratuitamente le informazioni di cui dispongono all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e alla Guardia di Finanza per meglio orientarne l’azione ispettiva, in particolare nei confronti delle imprese che evidenziano fattori di rischio in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, lavoro irregolare o evasione od omissione contributiva.
Riteniamo, a tal proposito, che sarebbe utile che tali informazioni siano condivise tramite il SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei Luoghi di Lavoro), di cui all’art. 8 del D. Lgs 81/2008 (peraltro ancora non totalmente operativo), soprattutto alla luce del recente rafforzamento di quest’ultimo, a seguito dell’emanazione del D.L. 146/2021 poi convertito con la Legge 215/2021. Tra le funzioni del SINP - lo ricordiamo - oltre a quella di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, vi è anche quella di “(...) programmare e valutare, anche ai fini del coordinamento informativo statistico ed informatico, dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, le attività di vigilanza, attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili nei sistemi informativi anche tramite l’integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate. (...)”.
Riteniamo infine fondamentale il coinvolgimento delle Parti sociali nelle fasi di condivisione delle informazioni attraverso il SINP.
Un’importante novità (articolo 17), che accogliamo con favore, pur con qualche richiesta di modifica, è quella relativa alla creazione del Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative.
Una disposizione molto importante, che colma un vuoto normativo nel sistema dei risarcimenti ma che certo non risolve la grave e preoccupante questione dell’aumento degli infortuni, alcuni dei quali purtroppo mortali, ai danni di studenti e studentesse: anzi, la stessa previsione del Fondo sembra dare per scontato che tali incidenti possano ripetersi!
Anche in questo caso riteniamo manchi una reale strategia, che deve muoversi in un’ottica preventiva, per un’azione che agisca ex ante e non ex post quando l’infortunio mortale si è ormai verificato.
Rispetto agli interventi per la revisione dei percorsi di alternanza scuola lavoro - oggi PCTO - come UIL abbiamo fatto proposte concrete alcune delle quali sono state recepite in questo Decreto.
Ci riferiamo al nuovo obbligo - per noi imprescindibile e oggetto delle nostre proposte - per le imprese iscritte nel registro nazionale per l’alternanza, di integrare il proprio documento di valutazione dei rischi con un’apposita sezione dove sono indicate le misure di prevenzione rivolte agli studenti e alle studentesse, sezione che dovrà essere fornita all’Istituzione scolastica interessata e allegata alla Convenzione.
Rispetto al registro nazionale per l’alternanza, istituito dalla Legge 13 luglio 2015, n. 107, all’articolo 41, comma 1, riteniamo significativo aver previsto, per le imprese iscritte, alcune condizioni minime, come capacità strutturali, tecnologiche e organizzative, che possano garantire agli studenti e alle studentesse, impegnati nei PCTO, un’adeguata presa in carico, in sicurezza, tuttavia, come avevamo proposto nel nostro documento inviato al Ministero, riteniamo che tra tali condizioni debbano essere inserite anche l’applicazione dei CCNL stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, l’assenza di sanzioni e la presenza obbligatoria del RLS aziendale o del RLST.
Riteniamo, inoltre, che aver previsto che le imprese dimostrino la loro eventuale partecipazione a forme di raccordo organizzativo con associazioni di categoria non sia sufficiente, è fondamentale per noi che vi sia anche il raccordo con le Organizzazioni Sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e/o con gli Organismi Paritetici espressione delle medesime Organizzazioni Sindacali.
Rispetto all’estensione della tutela assicurativa agli alunni, agli studenti e a tutto il personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore, in riferimento agli studenti e alle studentesse, tuttavia, riteniamo sia necessario esplicitare che la copertura assicurativa che, come precisato, è limitata agli eventi verificatisi all’interno dei luoghi di svolgimento delle attività didattiche o laboratoriali, e loro pertinenze, o comunque avvenuti nell’ambito delle attività inserite nel Piano triennale dell’offerta formativa e nell’ambito delle attività programmate dalle altre Istituzioni già indicate, sia prevista anche nei casi avvenuti nell’ambito delle attività previste nei percorsi di alternanza scuola lavoro (oggi PCTO) e pertanto anche in caso di infortunio occorso in un luogo diverso dall’istituto scolastico. Sempre in quest’ottica e al fine di tutelare pienamente gli studenti e le studentesse impegnati in percorsi formativi in azienda, riteniamo sia necessario comprendere anche le casistiche di infortuni in itinere (tragitto casa/scuola-lavoro e viceversa).
In generale, accogliamo con favore tale misura sebbene ci lasci perplessi l’averla prevista esclusivamente per l’anno scolastico e per l’anno accademico 2023-2024.
È chiaro che negli intenti del legislatore non vi sia una reale volontà di colmare questo vuoto e quindi di investire con risorse economiche strutturali, ma solo un tentativo parziale di dar e una risposta invece assolutamente necessaria.
Segnaliamo la necessità di porre maggiore attenzione al linguaggio nella formulazione delle norme: definizioni come “gli alunni e gli studenti” possono essere diversamente individuati da definizioni più corrette, come “la popolazione studentesca”. Infine, in materia di welfare aziendale è prevista la sola informativa alle rappresentanze unitarie; la materia dovrebbe invece rientrare nell’attività negoziale.


Roma 16 Maggio 2023


fonte: senato.it