Tribunale di Arezzo, 07 marzo 2023, n. 64 - Allo stadio mentre era in malattia: illegittimo il licenziamento. Recarsi ad una partita non necessariamente implica l’aggravarsi della malattia del lavoratore


 

FattoDiritto



Con ricorso depositato in data 30.11.2022, D. SPA si oppone all'ordinanza (R.G. 697/2022) di accertamento dell'illegittimità del licenziamento irrogato a M.P e di condanna della società odierna opponente alla reintegrazione nel posto di lavoro con il riconoscimento di una indennità corrispondente a n. 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita.

Detto licenziamento era stato intimato a P. sulla base della seguente motivazione: «nonostante che lei fosse in malattia, il 21 maggio 2022, ore 20 in poi è stato visto allo stadio Artemio Franchi di Firenze per assistere alla partita Fiorentina-Juventus. Allo stadio si è recato con un suo amico guidando la sua autovettura da San Giovanni Valdarno a Firenze e viceversa. In questa occasione lei è stato visto in perfette condizioni fisiche, senza alcuna sofferenza apparente. E' stato visto allegro e camminare speditamente e con disinvoltura. Dalle circostanze in fatto sopra indicate si evincono legittimi e fondati sospetti sulla non genuinità della sua assenza per malattia e dalla certificazione medica fatta pervenire in azienda».

In particolare, a fondamento della legittimità del provvedimento di licenziamento irrogato, D. riferisce in questa sede che lo stato di malattia lamentato dal dipendente, e grazie al quale lo stesso si era potuto non recare nel luogo di lavoro, dal 19 al 23 maggio 2022, non era né genuino e né veritiero; che, invero, il ricorrente si assentato dal lavoro con la copertura della certificazione medica per poter assistere alla partita di calcio Fiorentina-Juventus tenutasi a Firenze il 21 maggio 2022; che, nell'occasione, il ricorrente stato visto alla guida della sua auto, muoversi e correre senza sofferenza e agevolmente;

che il certificato medico del ricorrente, nella parte in cui riporta la prognosi, non veritiero e, in quanto trattasi di una dichiarazione di scienza del medico, è contestabile in ogni tempo dall'azienda; che la certificazione non sia genuina risulterebbe, secondo parte opponente, da un indizio univoco e concordante ovvero l' acquisto del biglietto di ingresso allo stadio non dopo l'inizio della malattia, ma in epoca antecedente all'inizio della malattia stessa; che P. avrebbe cioè pensato di ovviare all'inconveniente della concomitanza dei due eventi, quello sportivo e quello lavorativo, ricorrendo alla certificazione medica compiacente del suo medico di fiducia che lo autorizzava ad assentarsi dal lavoro; che, sulla base di ciò, D. contesta l'attendibilità del certificato e il relativo valore probatorio non essendo stato il medico certificante un pubblico ufficiale; così, pur assumendo in prima ipotesi che la fede privilegiata non si estenda al giudizio valutativo espresso dal sanitario, D. propone querela di falso ideologico nei confronti del menzionato certificato.

La società opponente prosegue rilevando che il ricorrente con il suo comportamento comunque ha aggravato, con giudizio ex ante, la sua morbilità in quanto chi soffre di lombosciatalgia deve riposare e non deve sottoporsi a sforzi e deve evitare di mettersi alla guida dell'auto per le negative sollecitazioni che interessano la colonna vertebrale; che, peraltro, nella procedura di contestazione di addebito ha negato di essersi recato il 21 maggio 2022 allo stadio di Firenze, contrariamente al vero. Pertanto, parte opponente rileva che il complessivo comportamento del ricorrente ha fatto venire meno il necessario rapporto fiduciario tra le odierne parti, in quanto P. si sarebbe fatto rilasciare dal suo medico un certificato non veritiero e avrebbe negato nella procedura di contestazione di addebito di essere andato ad assistere alla partita di calcio.

A sostegno di ciò, riferisce altresì che il ricorrente svolge mansioni di affilatore assumendo posizione seduta e di conseguenza la malattia oggetto di certificazione non sarebbe stata tale da comportare una totale impossibilità di svolgere la prestazione oggetto di contratto; che, in ogni caso, il lavoratore avrebbe ben potuto chiedere di avere un temporaneo mutamento delle mansioni originario evitando di svolgere quelle incompatibili con la sua lombosciatalgia.

Sulla scia di tali apporti, D. SPA conclude come da proprio atto di opposizione.

Si costituisce ritualmente M.P e chiede la reiezione della pretesa ex adverso formulata, in quanto asseritamente infondata in fatto e in diritto.

Istruita in via esclusivamente documentale, la causa viene decisa – a seguito di camera di consiglio non partecipativa, successiva al deposito di note scritte-, in data odierna.

Il ricorso in opposizione infondato e quindi l'ordinanza emessa deve essere confermata.

Dinanzi all'impugnazione del licenziamento irrogato a P., occorre verificare se il comportamento oggetto di addebito sia talmente grave da giustificare la menzionata sanzione espulsiva. È in altre parole necessario valutare se il comportamento concretamente tenuto dal dipendente, per la sua gravità, sia suscettibile di ledere il rapporto di fiducia intercorrente tra il dipendente ed il datore di lavoro. Spetta infatti al giudice valutare la congruità della sanzione, nonché la ripercussione del fatto addebitato al dipendente sulla futura correttezza dell'adempimento degli obblighi assunti.

Ciò del resto è coerente con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «il lavoratore non deve solo fornire la prestazione, ma, quale obbligo accessorio, deve anche osservare comportamenti coretti e rispettosi al di fuori dall'ambito lavorativo, tali da non ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso, tali condotte illecite, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l'irrogazione della sanzione espulsiva ancorché attuate al di fuori del contesto lavorativo» (Tribunale, Roma, sez. lav., 11/01/2023, n. 266).

Ebbene, la società oggi opponente ha giustificato il licenziamento oggetto d'impugnazione sulla base di asseriti indizi gravi e concordanti che consentirebbero di ritenere la condotta tenuta dal lavoratore frutto di un comportamento non veritiero e genuino, artatamente posto in essere per assistere alla partita di calcio Fiorentina-Juventus del 21 maggio del 2022. In sostanza, secondo l'assunto di D., P. avrebbe ottenuto un certificato medico per attestare una lombosciatalgia in realtà non sussistenze al fine di non recarsi nel luogo di lavoro e poter così presenziare alla suddetta partita.

L'indizio grave e concordante in base al quale sarebbe possibile desumere la non genuinità della condotta in questione e, quindi, anche la falsità del certificato medico rilasciato al lavoratore consisterebbe nell'acquisto dei biglietti dell'evento calcistico in epoca antecedente all'insorgere dello stato di malattia, nonché in epoca successiva al momento in cui P. ha preso contezza dei turni lavorativi.

Nello specifico, emerge che egli ha acquistato il biglietto d'ingresso il 13 maggio 2022 ed è venuto a conoscenza di dover lavorare il 21 maggio il giorno 22 aprile 2022.

A ben vedere, però, non si tratterebbe di un elemento idoneo a dimostrare la fondatezza delle asserzioni di parte opponente.

Ed invero risulta in via documentale che sebbene P. abbia acquistato il biglietto prima di cadere in malattia, la partita era originariamente fissata per un giorno differente rispetto a quello in cui si sarebbe poi concretamente svolta e, in particolare, in un giorno in cui il dipendente sapeva di non dover lavorare, ovvero domenica 22 maggio 2022 (cfr. doc.n.2 Memoria P.). Il datore di lavoro si era infatti rivolto ai dipendenti, con riguardo ai turni di lavoro comunicati nel mese di aprile, con l'espressione – mai contestata da parte opponente –: “facciamo presente che nel periodo sopra indicato continueremo con 21 turni a 4 squadre ma domenica non lavoreremo”

Ad ogni modo preme sottolineare la totale ininfluenza della data di acquisto dei biglietti, trattandosi di un elemento suscettibile di diverse interpretazioni; ben, per esempio, si potrebbe pensare che P. abbia deciso di recarsi all'evento sportivo, consapevole della propria malattia e di non aggravarne lo stato, proprio perché oramai aveva esborsato del denaro al fine di acquistare il biglietto.

A ciò si aggiunga che spetta all'odierna opponente dimostrare l'insussistenza dello stato di malattia e la conseguente falsità della certificazione medica.

Alla luce di quanto esposto, venendo meno l'indizio su cui poggerebbe l'intero impianto argomentativo dell'opponente, non stato esposto o allegato, ancor prima che dimostrato, alcun ulteriore motivo volto a convincere l'odierno giudicante dell'infedele attestazione da parte del medico.

Ed infatti, D. si è semplicemente limitata a contestare il valore probatorio della certificazione, senza apportare motivazioni per cui l'odierno giudicante dovrebbe essere indotto ad accogliere la sua tesi.

Non ha in primo luogo esperito l'essenziale passaggio – in grado di cristallizzare il dubbio circa la non genuinità della condotta del lavoratore – consistente nella segnalazione della vicenda agli organi ispettivi dell'INPS, i quali avrebbero valutato se effettuare una visita di controllo a P.

Né i capitoli istruttori formulati dalla ricorrente sono volti a dimostrare la falsità di quanto attestato nella documentazione medica, essendo capitoli incentrati vieppiù sul fornire la prova della presenza di P. allo stadio Artemio Franchi di Firenze per assistere all'evento sportivo sopra menzionato, circostanza totalmente irrilevante ai fini del decidere in quanto mai contestata dal lavoratore.

In effetti, anche l'affermazione secondo cui P. avrebbe negato di essersi recato allo stadio nel corso delle giustificazioni rese oralmente al datore di lavoro appare una mera asserzione di parte, non essendo stato redatto alcun verbale dell'audizione del lavoratore idoneo a comprovare tale circostanza.

Orbene P. non ha mai negato di essersi recato all'evento sportivo nei propri scritti difensivi.

Posto dunque che non vi è prova della falsità della certificazione, né del resto può avere una qualche influenza per l'odierno giudizio la proposizione di querela di falso ideologico (che semmai avrebbe dovuto essere proposta ai fini di un giudizio penale, il cui positivo esito non varrebbe a determinare la caducazione della presente ordinanza), è doveroso soffermarsi ad esaminare se recarsi ad un evento sportivo durante lo stato di malattia possa o meno inficiare il rapporto fiduciario intercorrente tra le parti.

Ad avviso dell'odierno giudicante, la condotta di P. non è qualificabile alla stregua di un grave inadempimento e pertanto non giustifica l'adozione di una sanzione espulsiva, ma al più una dal carattere conservativo.

Ed invero, non si può parlare di grave inadempimento in quanto il fatto di recarsi ad una partita non necessariamente implica l'aggravarsi della malattia lamentata dal lavoratore. Il fatto che non ci sia stato un aggravarsi dello stato patologico è dimostrato nella misura in cui P. è tornato nel luogo di lavoro non appena conclusosi il periodo di malattia stabilito nella certificazione.

Del resto, non esiste un obbligo di riposo assoluto in pendenza di malattia ove non oggetto di prescrizione medica e P. si recato ad assistere al predetto evento sportivo in orario in cui egli era non reperibile per la visita fiscale, cos pienamente esplicando il proprio diritto di libera circolazione assicurato a ogni cittadino che non sia destinatario di provvedimenti restrittivi promananti dall'autorità giudiziaria.

Peraltro, la durata di una partita si estende per un arco temporale ben più breve rispetto all'intera giornata lavorativa e, a fronte di un eventuale accentuarsi del dolore, in quel ristretto frammento temporale, P. avrebbe potuto reagire anche tramite l'assunzione di un unico antidolorifico. Si aggiunga che mentre assistere ad una partita non richiede particolari sforzi (essendo visionabile anche assumendo una posizione seduta), l'attività di affilatore espletata da P. richiedeva il maneggio di carichi a mani. Non rileva poi il richiamo di parte resistente ad altre e diverse mansioni lavorative, avendo dovuto proporre altre mansioni eventualmente esercitabili.

Deve dunque confermarsi l'ordinanza opposta con contestuale applicazione alla fattispecie della tutela di cui all'art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, in quanto il licenziamento è del tutto illegittimo per insussistenza dell'addebito mosso a P.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non si rinvengono ragioni per discostarsi dai parametri medi dello scaglione di valore di riferimento (cause in materia di lavoro prive d'istruttoria costituenda di valore compreso fra € 26.000,00 ed € 52.000,00).

P.Q.M.



L'intestato Tribunale, definitivamente decidendo in ordine alla controversia in epigrafe:

1. RESPINGE l'opposizione e CONFERMA l'ordinanza impugnata;

2. CONDANNA D. SPA al pagamento – in favore di M.P. – delle spese di lite, che liquida in € 7.200,00 per compensi oltre spese per contributo unificato ove sostenute, spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge, con eventuale distrazione nei confronti del procuratore dichiaratosi antistatario.