Cassazione Penale, Sez. 4, 05 giugno 2023, n. 23986 - Amputazione di due dita durante l'utilizzo del macchinario per la produzione della pasta. Mancanza di un presidio idoneo a segregare le parti taglienti


 

 

Nota a cura di Raffaele Guariniello, in ISL, 7/2023, pag. 404 "Il nodo del rapporto tra datore di lavoro e RSPP"

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a (Omissis);

B.B. nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 21/06/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

svolta la relazione dal Consigliere Dr. CAPPELLO GABRIELLA;

lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto Dr. CASELLA Giuseppina, con le quali si è chiesto il rigetto.

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di L'Aquila ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Chieti aveva condannato A.A. e B.B., nelle rispettive qualità di dirigente delegato alla sicurezza e amministratore della PASTIFICIO MIGLIANICO Srl , per le lesioni subite dal lavoratore C.C., aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionate per colpa generica e specifica (violazione dell'art. 71, comma 1, in riferimento al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 6.1).

In particolare, si è contestato ai predetti di aver consentito l'utilizzo del macchinario "Braibanti" per la produzione della pasta lunga, dotato di dispositivo di taglio a due lame, privo di adeguato sistema di protezione atto a evitare il contatto accidentale con le mani dell'operatore, così ponendo le condizioni di pericolo a causa delle quali il C.C., intento alle mansioni lavorative presso detto macchinario, per ripulire il sistema di taglio dall'impasto accumulatosi in eccedenza, entrava in contatto con le lame, procurandosi l'amputazione del IV e del V dito della mano sinistra (in (Omissis)).

2. Gli imputati hanno proposto ricorsi, con unico atto e stesso difensore, formulando quattro motivi.

Con il primo, la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla valutazione della normativa di settore e della congruità rispetto ad essa delle misure organizzative adottate. In sentenza difetterebbe un'analisi sulla natura e le caratteristiche del macchinario e dei sistemi di sicurezza da installare per evitare contatti accidentali con ingranaggio in movimento. Si assume che i giudici territoriali non avrebbero effettuato la doverosa verifica delle adottate misure organizzative, intese come complesso delle procedure di produzione e le istruzioni tecniche per l'utilizzo dei macchinari, e neppure accertato se il datore di lavoro avesse preso in considerazione la gestualità del lavoratore in relazione alla singola fase lavorativa. Nella specie, dalla visione del rapporto fotografico emergerebbe che la struttura del macchinario e il posizionamento del c.d. "gruppo" erano tali da garantire la interdizione dell'operatore, la fase lavorativa in questione non richiedendo che il lavoratore si avvicinasse alla macchina. Inoltre, le istruzioni da seguire per la produzione della pasta lunga erano riportate in dettaglio nel doc. n. 4 prodotto dalla difesa, dal suo esame emergendo che il datore di lavoro aveva adottato tutte le misure organizzative di cui al punto 6.5. dell'art. 5, D.Lgs. n. 81 del 2008, richiamato dall'art. 70, comma 2 e dall'art. 71, comma 3.

Con un secondo motivo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla prevedibilità dell'evento lesivo, in relazione all'area di rischio governata dal titolare della posizione di garanzia. La valutazione del rischio era stata effettuata con riferimento alla lavorazione specifica, il lavoratore non doveva compiere la manovra posta in essere, avendo disatteso le direttive datoriali, in tal modo violando il modello collaborativo che impone anche al lavoratore di contribuire alla sicurezza sui luoghi di lavoro. A tal fine, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di alcuni elementi fondamentali, quali la circostanza che il DVR prevedeva la teorica lesività delle componenti meccaniche in movimento, che la produzione di pasta lunga non richiedeva la presenza del lavoratore all'interno della zona in cui si trovavano gli ingranaggi in movimento, infine, che il C.C. era un lavoratore esperto. La sua condotta, dunque, non fu esorbitante e imprevedibile secondo la difesa, mentre la Corte d'appello, a fronte della scheda delle istruzioni e delle testimonianze dei lavoratori, compresa la persona offesa, e dell'imputato A.A., tutte concordi nel sostenere che la zona dei coltelli era di difficile accesso e che l'operazione posta in essere dal C.C. esulava dalle mansioni affidategli, avrebbe omesso di valutare correttamente il ciclo produttivo, ritenendo quel rischio connesso alle mansioni affidategli.

Con il terzo motivo, ha dedotto analoghi vizi sempre con riferimento alla causalità alternativa rappresentata dal comportamento esorbitante del C.C., ribadendo l'omessa considerazione di elementi probatori che, viceversa, avrebbero delimitato il rischio da gestire e consentito di accertare la eccentricità della condotta del lavoratore rispetto alla lavorazione specifica. Osserva la difesa che la eliminazione o la riduzione dei rischi può avvenire sia con azioni di natura strutturale (interventi sulle attrezzature) protettiva, ma anche di natura organizzativa e, nella specie, la Corte avrebbe omesso di considerare il DVR e la scheda delle istruzioni per la produzione della pasta lunga.

Ancora una volta, il deducente rileva che la zona coltelli era di difficile accesso; che l'operazione posta in essere dal C.C. non doveva essere effettuata, lo stesso avendo affermato di avere commesso un errore; che gli imputati hanno fatto tutto quanto in loro potere per rendere sicuro il ciclo produttivo; che la macchina era automatica e non aveva bisogno di omologazione, essendo stato costruito prima del 1996.

Infine, con il quarto motivo, la difesa ha dedotto analoghi vizi, questa volta con riferimento alla ritenuta responsabilità della D.D., la quale non ricopriva più, al momento dell'infortunio, la posizione di vertice dell'azienda, rilevando altresì che il A.A. era stato nominato responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Giuseppina CASELLA, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto.

 

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.

2. La Corte territoriale ha richiamato la sentenza appellata e la ricostruzione dei fatti ivi operata alla stregua delle prove dichiarative e documentali acquisite. Nella specie, è incontestato infatti che il C.C. aveva posto in essere una manovra pericolosa: egli aveva, cioè inserito la mano in prossimità delle lame senza interromperne il funzionamento. E' tato poi accertato che il macchinario da impiegarsi nel procedimento di lavorazione della pasta non era dotato di un presidio idoneo a intercludere l'accesso alla zona delle lame in movimento da parte dell'operatore. Era, inoltre, emerso che l'iniziativa scorretta del lavoratore era stata motivata dalla necessità di ripulire il sistema dall'eccedenza di impasto accumulatosi. Ancora, l'organo ispettivo aveva imposto l'installazione di un apposito cancello per impedire l'accesso alla macchina in funzione, la documentazione fotografica avendo dimostrato che, considerata l'altezza, per scavalcare il presidio imposto dall'Ispettorato, sarebbe stata necessaria una scala, con la conseguenza che tale tipo di interdizione avrebbe certamente scongiurato la pericolosa iniziativa del lavoratore.

Quanto, poi, alla D.D., la Corte territoriale ha osservato che la stessa non era più legale rappresentante del pastificio da meno di un mese prima dell'infortunio, con la conseguenza che le omissioni etiologicamente ricollegate all'evento erano da ricondursi anche alla sua condotta, non potendosi ritenere che l'omessa predisposizione dei necessari presidi fosse da addebitare a decisioni assunte in quel non apprezzabile lasso temporale.

3. I motivi sono tutti manifestamente infondati.

La stringatezza della motivazione della sentenza impugnata è ampiamente giustificata dalla chiarezza della ricostruzione fattuale, correttamente valutata dai giudici territoriali alla stregua dei principi più volte affermati da questa Corte di legittimità, con riferimento alla idoneità del comportamento scorretto del lavoratore a interrompere il nesso etiologico tra la condotta contestata e l'evento.

Sul punto, non è ultroneo ricordare, quanto alla cornice normativa di riferimento che, secondo l'art. 71, "Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e della sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie" e che, in base al punto 1 dell'allegato 6, tali attrezzature devono essere installate, disposte e usate in maniera tale da ridurre i rischi per i loro utilizzatori e per le altre persone.

Pertanto, il rischio del quale si discute (quello cioè dell'accessibilità da parte del lavoratore addetto alla produzione della pasta lunga alle parti taglienti in movimento del macchinario specificamente impiegato per detta lavorazione) era certamente governabile da parte datoriale, oltre che assolutamente prevedibile, considerata la tipologia di lavorazione (produzione di pasta) e non essendo stata contestata la possibilità di accumuli di impasto durante la lavorazione stessa.

Inoltre, la ricostruzione dell'addebito riconosciuto in capo ai soggetti chiamati a gestire tale specifico rischio è del tutto corretta in diritto (non essendo state formulate doglianze che aggrediscano la coerenza del ragionamento probatorio con i dati fattuali esposti anche mediante il rinvio alla sentenza appellata e neppure la sua logicità o che ne prospettino una contraddittorietà, vizi peraltro non riscontrabili).

La ricostruzione in diritto è, poi, del tutto coerente con l'orientamento andatosi consolidando nella giurisprudenza di legittimità, in ordine all'efficacia interruttiva del comportamento del lavoratore e sugli obblighi di collaborazione gravanti sul medesimo. Infatti, è certamente vero che - in materia di prevenzione antinfortunistica - si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini, Rv. 266073). In altri termini, si è passati, a seguito dell'introduzione del D.Lgs. n. 626 del 1994 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.

Tuttavia, da tali principi non possono trarsi le conseguenze in diritto che la difesa, in più passaggi del ricorso, ha inteso trarne. Ciò che va, infatti, fermamente ribadita in questa sede, è la perdurante validità del principio secondo il quale non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).

In ordine, poi, alla prevedibilità, deve pure ricordarsi, alla stregua del diritto vivente, che la necessaria prevedibilità dell'evento - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261106-01) e che essa, in tema di colpa, va valutata avendo riguardo anche alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali (sez. 4, n. 49707 del 4/11/2014, Incorvaia, Rv. 263283; n. 20270 del 6/3/2019, Palmeri, 276238; n. 9745 del 12/11/2020, dep. 2021, Dutu, Rv. 280696).

4. La risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito in ordine all'efficacia interruttiva dell'azione del lavoratore rispetto al nesso causale tra la condotta addebitata e l'evento (reiterate in ricorso) è del tutto allineata con i principi testè richiamati: nella specie, il lavoratore non ha posto in essere una condotta che ha concretizzato un rischio imprevedibile ed eccentrico, come la difesa ha reiteratamente affermato, anche facendo leva sulle ammissioni di errore della stessa persona offesa. Questa, infatti, ha certamente agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli; di esse i gestori del rischio erano pertanto edotti; il C.C. aveva disatteso, per imprudenza e negligenza, le istruzioni disponibili sul corretto utilizzo del macchinario; tale imprudenza/negligenza non può considerarsi di per sè eccentrica o imprevedibile, anche avuto riguardo alla possibilità di accumulo di impasto nei meccanismi; il macchinario era certamente privo di un presidio idoneo a segregare le parti taglienti durante il funzionamento e a prevenirne il contatto con l'operatore; tale evenienza era del tutto prevedibile, siccome riguardante un comportamento imprudente da parte di un lavoratore addetto proprio a quella lavorazione.

5. Infine, quanto alla posizione dell'amministratore delegato, va intanto premesso che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn, cit., Rv. 261107-01; sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, david, Rv. 275279). In tale contesto, però, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn, cit., Rv. 261109-01, in fattispecie in cui la Corte ha confermato il giudizio di colpevolezza dell'amministratore delegato, dei dirigenti aziendali e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione per la morte di alcuni dipendenti provocata dalla mancata adozione di efficaci misure antincendio sottovalutate nel documento di valutazione dei rischi).

Ciò posto, va rilevato che la doglianza formulata nell'interesse dell'imputata D.D. si risolve nella ripetitiva prospettazione della impossibilità di ritenerne la posizione di gestore del rischio per il sol fatto che il ruolo datoriale ricoperto era cessato qualche giorno prima dell'infortunio. Tale tema è stato affrontato dalla Corte d'appello con risposta del tutto congrua, avuto riguardo alla natura della violazione riscontrata, inerente cioè alla mancata previsione di un presidio idoneo a scongiurare un rischio governabile. Trattasi di omissione che neppure la difesa ha preteso di ricollegare a un'iniziativa adottata pochi giorni prima dell'infortunio e che va certamente ricondotta alla organizzazione della procedura lavorativa di cui si discute, predisposta allorquando l'imputata ricopriva il ruolo gestionale al quale è collegata la sua responsabilità.

6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).

 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2023