Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2023, n. 6561 - Tumori da amianto



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -

Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. BRUNO Maria Rosaria - Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO;

nel procedimento a carico di:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

D.D., nato a (Omissis);

E.E., nato a (Omissis);

F.F., nato a (Omissis);

G.G., nato il (Omissis);

inoltre:

INAIL;

REGIONE LOMBARDIA;

FIOM-CGIL;

ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO;

MEDICINA DEMOCRATICA;

COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO;

FINMECCANICA;

ANSALDO ENERGIA Spa ;

avverso la sentenza del 19/01/2021 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere SALVATORE DOVERE;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

lette le conclusioni:

degli avv. Massimiliano Foschini e Carlo Cavallo, difensori degli imputati B.B. e D.D., che hanno chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso e, in subordine, rigettarsi il medesimo;

dell'avv. Carlo Melzi D'Eril, difensore del responsabile civile LEONARDO Spa , che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

- dell'avv. Ettore Zanoni, difensore della parte civile FIOM-CGIL di Milano, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

- dell'avv. Andrea Rossi, difensore della parte civile INAIL, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

- dell'avv. Laura Mara, difensore delle parti civili MEDICINA DEMOCRATICA MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE ONLUS, ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO, COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGJ DI LAVORO E NEL TERRITORIO, ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato quella emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di una pluralità di imputati, alcuni dei quali sono stati mandati assolti dal reato loro ascritto, di seguito meglio indicato, per non aver commesso il fatto o per l'insussistenza del fatto, mentre per altri è stato dichiarato non doversi procedere per essere estinto il reato per morte del reo.

Tutti gli imputati (H.H., A.A., I.I., B.B., C.C., D.D., E.E., F.F., L.L. ed G.G.), quali, taluni, di componenti del consiglio di amministrazione della Breda Termomeccanica Spa , altri, di componenti del consiglio di amministrazione dell'Ansaldo Società Generale Elettromeccanica Spa , poi Ansaldo Componenti Spa , e pertanto quali i datori di lavoro, erano stati tratti dal giudizio per rispondere della morte di undici lavoratori (M.M., + Altri Omessi) e delle lesioni patite da N.N.. I soli L.L. e I.I. erano stati chiamati a rispondere anche della morte di O.O., il primo in quanto direttore di produzione della Breda Termomeccanica e Locomotive Spa , il secondo quale consigliere consiglio di amministrazione di tale società e poi di Termomeccanica Spa .

In particolare, ai predetti imputati era stato contestato di aver esposto i predetti lavoratori a polveri di amianto all'interno dello stabilimento sito in (Omissis) al (Omissis) omettendo di adottare le misure che sarebbero valse a tutelarne l'integrità fisica, sicchè undici lavoratori si erano ammalati di mesotelioma; due lavoratori si erano ammalati di carcinoma polmonare, un ultimo di asbestosi.

2. Il giudice di primo grado era pervenuto alla decisione assolutoria ritenendo insussistente la prova del nesso di causalità tra le esposizioni professionali, ritenute accertate, e gli eventi tipici. Aveva cioè ritenuto accertata la natura della patologia conducente a morte (o concretante lesione personale); la significativa e perdurante esposizione dei lavoratori a fibre aerodisperse di amianto (utilizzato come componente di manufatti coibentanti); la efficienza causale dell'esposizione presso lo stabilimento in questione nella produzione delle morti e delle lesioni hic et nunc. Per contro, non era accertato che avesse avuto efficienza causale l'esposizione avutasi durante lo specifico segmento temporale durante il quale i diversi imputati avevano esercitato le funzioni datoriali o dirigenziali e ciò perchè non era stata acquisita al giudizio il dato dell'esistenza di una affidabile legge scientifica per la quale il protrarsi nel tempo dell'esposizione accorcia il periodo di latenza della malattia. In ogni caso, non era possibile accertare se l'abbreviazione della latenza si era verificato nel singolo specifico caso.

La Corte di appello ha confermato tale impianto argomentativo pur a fronte dei rilievi mossi dal Pubblico Ministero (appellante solo per le posizioni del A.A., dello G.G., del B.B., del F.F., del D.D., del C.C. e del E.E.).

3. Avverso la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano, compendiato in un unico motivo e attinente alle statuizioni concernenti i decessi del P.P., del Q.Q., del R.R , del S.S , del T.T., del U.U. e le lesioni patite dal N.N. (nel frattempo deceduto).

Titolando con riferimento alla erronea applicazione degli artt. 192 e 533 c.p. (art. 606, comma 1 lett. e) c.p.p.) e al vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, il ricorrente ha osservato quanto segue.

La Corte di appello non ha dato risposta ai rilievi in tema di logicità della motivazione che erano stati elevati con l'atto di appello. In particolare, alla questione inerente al passaggio dalla causalità generale a quella individuale. il Tribunale era incorso in evidenti fraintendimenti sia in ordine alla legge di copertura impiegata, sia alle risultanze probatorie emerse nel corso del processo. Infatti, non risulta chiaro dalla motivazione della sentenza se il primo giudice abbia fatto propria o meno la suddetta legge di copertura e con quale formulazione, considerando che i risultati cui è pervenuto si pongono in netto contrasto con gli stessi assunti teorici posti alla base di quest'ultima. Vi è stato, quindi, un erroneo governo della legge di copertura, nonchè un modus operandi viziato dalla commistione fra i diversi profili attinenti a distinti saperi scientifici: quello statistico- epidemiologico e quello biologico. Pertanto, è sulla scorta di tali errori che i giudici sono giunti a negare la stessa validità della legge di copertura e non già a negarne la ricorrenza nei singoli casi concreti di decesso. Il Tribunale sembra non aver colto completamente il significato della legge epidemiologica inerente all'anticipazione del tempo all'evento, travisandone il contenuto. Dalla sentenza non è dato evincere in maniera chiara e precisa la motivazione in ordine all'assoluzione degli imputati con riguardo al decesso del U.U. causato da carcinoma polmonare.

Avendo in tal modo segnalato i profili più critici della motivazione della sentenza impugnata con l'appello, il ricorrente ha svolto alcune considerazioni sul ruolo che la giurisprudenza attribuisce al modello esplicativo epidemiologico a partire dalla nota sentenza Franzese. Ha osservato che quel modello costituisce la cosiddetta legge di copertura in senso razionale penalistico, come d'altronde riconosciuto anche dalla sentenza impugnata. La questione è, quindi, quella della verifica di come tale modello sia stato applicato ai singoli casi di decessi. Al riguardo ha rilevato il ricorrente che la legge di copertura non può essere interpolata con elementi afferenti ad altro aspetto del giudizio penale, ovvero il cosiddetto giudizio controfattuale. Invero, la relazione dose-risposta conduce ad una sola constatazione: tutte le esposizioni sono casualmente rilevanti ai fini della concretizzazione del rischio. Il giudizio controfattuale può condurre il giudice ad escludere che ad un determinato periodo di esposizione sia applicabile nel caso specifico il modello esplicativo adottato. Può quindi rendere inoperante la legge di copertura nel singolo caso ma non confutarne la stessa attendibilità scientifica. Alla stregua di quanto hanno detto i consulenti tecnici nel presente procedimento, tutte le esposizioni sono rilevanti secondo il modello individuato dall'epidemiologia (giudizio di causalità generale); la legge non si applica per le esposizioni intervenute nel periodo di evoluzione della malattia che si indica come fase preclinica (causalità concreta). Nel caso di specie, non è dato comprendere quale sia il convincimento della Corte di appello circa il modello esplicativo adottato poichè si pone in dubbio implicitamente la validità della relazione matematica dose-risposta e si ricerca un altro modello esplicativo, fondato su un'altra relazione tra esposizione e risposta.

Altro errore, per il ricorrente, è stato compiuto a proposito del cosiddetto effetto acceleratore. Ad avviso del ricorrente, il procedimento induttivo di corroborazione dell'ipotesi esplicativa, quindi l'accertamento della causalità individuale, non può essere svolto alla luce delle sole considerazioni biologiche, volte alla ricerca di un sub-evento definito ‘effetto acceleratore", di cui non è data alcuna valenza empirica. Un dato epidemiologico e quindi statistico non può ricevere una conferma secondo un modello prettamente causalistico-deterministico. Non è infatti mistero che spesso ciò che noi chiamiamo leggi statistiche-probabilistiche in realtà celano un'ignoranza di fondo in relazione alle reali dinamiche causali sottese a un determinato fenomeno. In questa prospettiva, non è dato discorrere di un alquanto ipotetico effetto acceleratore, inteso come sub-evento determinabile a livello Spa zio-temporale. Gli esperti hanno riferito che non sì conosce la durata del periodo di induzione; il quale, comunque, si misura in anni o meglio in decenni e per il quale non vi è alcuna seria ragione scientifica e clinica perchè lo si collochi in termini ragionevolmente vicini alla prima esposizione. L'inizio del processo di iniziazione può avvenire a notevole distanza temporale dall'inizio dell'esposizione. Tuttavia, considera il ricorrente, l'impossibilità scientifica di una sua misurazione non può tradursi in un difetto di prova in ordine all'accertamento eziologico individuale. Poichè non è scientificamente possibile collocare con precisione tale lasso temporale, come unanimamente riconosce la comunità scientifica, ove si affermi che per tale ragione non è possibile determinare con certezza l'esposizione eziologicamente rilevante si opererebbe una indebita commistione tra diversi piani di lettura. Infatti, la certezza che si richiede nel giudizio controfattuale induttivo è di natura processuale e non già scientifica, in caso di leggi probabilistiche. Se si operasse diversamente la legge di copertura probabilistica non troverebbe mai applicazione proprio per la sua natura più predittiva che strettamente esplicativa. Ne verrebbe sterilizzata la portata, rendendola di fatto inutile e inadatta a svolgere il suo ruolo. Sostanzialmente, non la si rende inoperante soltanto nel singolo concreto caso, ma anche in tutti gli altri eventuali, poichè mai raggiungerebbe quell'utopico grado di certezza scientifica che per natura non è in grado di fornire. Ciò è quanto avvenuto nel presente giudizio, laddove si è sostenuta la mancata prova del nesso di causalità individuale non alla luce di un'attenta e critica disamina motivata in ordine agli elementi di fatto emersi dalla dialettica processuale, idonea a mettere in crisi l'operatività nei singoli casi la legge di copertura, bensì sulla base della mancata prova in ordine alla conclusione del procedimento di induzione. Questo modo di procedere confonde il piano delle diverse leggi in questione e conduce a esiti paradossali, perchè arriva in sostanza a negare valenza eziologica alle successive esposizioni in ogni caso in cui ci sia anche un solo avvicendamento da parte dei soggetti garanti, pur se realizzato in un brevissimo lasso temporale. La corretta regola di giudizio che deve guidare il giudicante nel ragionare sulla causalità del caso individuale è la seguente: posto che tutte le esposizioni intervenute nel periodo di induzione sono rilevanti e che in campo epidemiologico si tende a escludere, con valutazione collegata alla biologia del tumore, le esposizioni che sono avvenute meno di 10 anni prima della manifestazione clinica della malattia, allora il giudice dovrà ritenere applicabile la legge probabilistica di copertura nel caso concreto soltanto alle esposizioni ragionevolmente lontane dalla manifestazione. Quale sia questo giudizio di lontananza ragionevole va verificato caso per caso, alla luce delle risultanze probatorie emerse nel processo al fine di corroborare o meno l'abduzione. Tale operazione va condotta tenendo presenti i diversi parametri, quali la lunghezza della latenza convenzionale, la cosiddetta clearance, il tempo di cessazione dell'esposizione, il tipo di fibre inalate, il tipo di esposizione, le conoscenze scientifiche e ogni altro aspetto che consenta di dare risposta alla domanda: le esposizioni considerate nel processo sono coperte dal modello esplicativo generale? Sulla scorta di premesse il ricorrente sostiene che se la fibra è quella meno nociva si deve considerare la minore biopersistenza nel polmone e la più facile eliminazione; che la III Conferenza di Consenso ha esaminato il fenomeno della riduzione del rischio di incidenza che si è verificato in corti osservate fino a 45-50 anni dall'inizio dell'esposizione; che comincia a delinearsi una promettente direzione di ricerca che mostra dubbi consistenti sul fatto che la linea dell'incidenza debba crescere in modo costante a notevole distanza di tempo dall'inizio dell'esposizione. Molti modelli epidemiologici escludono le esposizioni fino a 10-15 anni dalla fine della latenza in senso stretto; le stime effettuate del tempo intercorrente dalla fine dell'induzione alla manifestazione clinica del mesotelioma in base ai tempi di raddoppiamento cellulare individuano tale periodo in circa 22 anni; altri studi lo individuano in 14 anni nell'80% dei casi. Alla luce di queste premesse il ricorrente sviluppa alcune osservazioni con riferimento alle posizioni alle persone offese P.P., Q.Q. e N.N..

La conclusione è che il giudizio controfattuale così come delineato nell'atto di ricorso non è stato affrontato dalla Corte di appello perchè ritenuto inutile alla luce dell'incertezza del dato biomedico circa l'induzione. Quindi il giudice non si è confrontato con le sollecitazioni provenienti sotto il profilo della carcinogenesi in particolare dal dottor V.V.; ha posto due quesiti di dubbia utilità inerenti al momento in cui può ritenersi compiuto in modo irreversibile il processo di carcinogenesi e l'incidenza che il protrarsi dell'esposizione ha sul processo patogenetico. Per il ricorrente si tratta di una ricerca destinata al fallimento perchè la scienza non è in grado di dare una risposta precisa in ordine al singolo individuo; ma ciò non significa che riformulando correttamente le predette domande non si possa raggiungere un'adeguata risposta positiva o negativa, senza stravolgere la legge di copertura. Non ci si deve chiedere quando si ultimi il periodo di induzione o se nel singolo caso si sia realizzato l'effetto acceleratore, ma se sia possibile sussumere il singolo episodio con un elevato grado di credibilità razionale sotto la serie di classi di eventi descritti dalla legge epidemiologica che si intende corroborare. Ossia, se le esposizioni fino a un dato momento siano da ritenersi rilevanti o meno va accertato sulla base di un giudizio controfattuale di tipo induttivo, basato su sicuri indici fattuali come quelli sopra richiamati.

Con particolare riferimento al U.U., deceduto a causa di un carcinoma polmonare, poichè si tratta di un soggetto non fumatore al cui riguardo non sono stati acquisiti elementi per dire che hanno operato fattori causali alternativi all'amianto, deve affermarsi l'esistenza di un rapporto eziologico tra questa esposizione e l'insorgenza del tumore. La Corte di appello, con una motivazione del tutto sovrapponibile a quella dei diversi casi di mesioteloma, ha escluso la responsabilità degli imputati anche per tale vicenda, appiattendosi sulle posizioni del consulente della difesa, non individuando in alcun modo le altre possibili cause alternative che possono essere intervenute nel caso concreto. Appare palese la rinnovata negazione del modello dose-risposta, pur formalmente accolto, perchè il giudice si è limitato a dare rilevanza alle esposizioni precedenti a quella per cui è processo, senza addentrarsi nell'esame degli argomenti portati dall'accusa.

3. Hanno presentato memorie gli imputati B.B. e D.D., il responsabile civile Leonardo Spa e la parte civile Inail, concludendo come riportato in epigrafe.
 

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile per una pluralità di cause, tra le quali assume valore pregiudiziale ed assorbente l'essere il ricorso fondato esclusivamente su asseriti vizi della motivazione.

Giova rammentare che secondo la previsione dell'art. 608, comma 1-bis, c.p.p., inserita dall'art. 1, comma 69, della L. 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero, nel caso di cd. "doppia conforme assolutoria", può proporre ricorso per cassazione solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606, comma 1, c.p.p. e, pertanto è escluso il ricorso per vizio di motivazione (lett. e)).

In assenza di una disciplina transitoria, tale disciplina è stata ritenuta applicabile ai ricorsi la cui data di presentazione è successiva all'entrata in vigore della predetta disposizione, atteso che è con la presentazione dell'impugnazione che si determina il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilità dell'impugnazione (Sez. 3, n. 54693 del 04/10/2018, Rv. 274132). Nel caso di specie già la sentenza impugnata è stata emessa il 15.1.2021; il ricorso è stato depositato il 28.12.2021, dopo l'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017 (3.8.2017).

La nuova disciplina non propone profili di dubbia costituzionalità; come è stato considerato, la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilità per cassazione della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento da parte del pubblico ministero trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore: nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimità; nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali, giustificativa, nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, di un'asimmetrica distribuzione delle facoltà processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione; nella presunzione di non colpevolezza dell'imputato, stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio; nella pienezza del riesame del merito consentito dal giudizio di appello; nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione del processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza. (Sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020, dep. 2021, Rv. 280631, che ha escluso ricorrano le condizioni per una denuncia della previsione al Giudice delle leggi in relazione agli artt. 111 e 112 Cost.).

Per contro, la giurisprudenza ha cominciato a delineare i precisi contorni della limitazione, escludendo che essa comprenda il caso di sentenza di inammissibilità dell'appello ritenuto non conforme alle prescrizioni dell'art. 581 c.p.p., trattandosi di una pronuncia "in rito" che non può essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento (Sez. 1, n. 8549 del 03/12/2019, dep. 2020, Rv. 278626); ed escludendo, altresì, che si applichi anche al ricorso della parte civile (Sez. 5, n. 5697 del 18/01/2019, Rv. 275136).

2. Orbene, nel caso che occupa, va in primo luogo rilevato che la (sola) titolazione del motivo di ricorso evoca in modo erroneo la violazione di legge chiamando in causa gli artt. 192 e 533 c.p.p., posto che, secondo un principio costantemente ribadito da questa Corte, la violazione dell'art. 192, comma 3, c.p.p., non può essere dedotta nè quale violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., nè ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (ex multis, Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Rv. 278196). Principio che, stante l'assenza di previsioni di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza per violazioni dell'art. 533 c.p.p., ha valore anche per questa seconda disposizione.

Ciò posto, il ricorso, il cui testo è stato supra riportato quasi integralmente, è articolato su ripetute prospettazioni meramente avversative alle argomentazioni dei giudici di merito, unico essendo il punto che può con qualche verosimiglianza dare corpo ad una censura motivazionale; ovvero l'aver applicato erroneamente il giudizio causale: ciò si tradurrebbe nella manifesta illogicità della motivazione. Vizio che però è del tutto assente, risultando piuttosto il ricorso animato da un assunto erroneo, ovvero che la Corte di appello abbia finito per il negare, affrontando l'impegno dell'accertamento della causalità individuale, proprio quella legge esplicativa di carattere generale che ha assunto di adottare.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2023