Cassazione Penale, Sez. 4, 10 marzo 2023, n. 10110 - Omessa segnaletica. La designazione di un preposto non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel DVR



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. RICCI Anna Luisa A. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 20/05/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa RICCI ANNA LUISA ANGELA;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa MARINELLI FELICETTA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Fatto


1. La Corte d'appello di Brescia con sentenza del 15 luglio 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia di condanna alla pena di mesi 1 di reclusione con sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria nei confronti di A.A., nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione, delegato dal 24 gennaio 2005 per l'igiene e la sicurezza, della "New Fador" in ordine al delitto di lesioni colpose, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni della dipendente B.B. commesso in (Omissis).

1.2. I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. Il (Omissis) B.B. si trovava nel reparto alcool della ditta (operante nel settore della produzione di prodotti detergenti, confezionamento in recipienti e commercializzazione) ed era intenta a timbrare dei cartoni, quando era stata colpita frontalmente da un muletto condotto dal mulettista C.C. che, procedendo a marcia avanti, stava trasportando una pila di scatoloni che gli ostruivano la visuale: per effetto dell'urto la donna aveva riportato una ferita alla gamba sinistra all'altezza della tibia, giudicata guaribile in oltre quaranta giorni.

1.3 L'addebito di colpa nei confronti dell'imputato è stato individuato nella violazione delle norme per la prevenzione infortuni sul lavoro ed in particolare del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 64 per non avere provveduto, affinchè all'interno del reparto imbottigliamento infiammabili le vie di circolazione, le zone di stoccaggio merce e le postazioni di lavoro fisse o temporanee fossero idoneamente segnalate e delimitate con segnaletica orizzontale e verticale o protette al fine di evitare possibili investimenti o urti accidentali.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando sei motivi.

2.1. Con il primo motivo ha dedotto il vizio di motivazione. Dopo che con l'atto di appello era stata rilevata l'illogicità dei passaggi argomentativi della sentenza di primo grado, in aperto contrasto con le risultanze istruttorie, in ordine alla credibilità della ricostruzione della persona offesa (contrastante, nella parte in cui aveva riferito di essere stata colpita da dietro, con quella della teste D.D.), la Corte di Appello si era limitata ad affermare che la motivazione del giudice consentiva di superare le argomentazioni dell'atto di appello.

2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la manifesta illogicità della sentenza impugnata con riguardo alla valutazione della condotta tenuta dal conducente del carrello elevatore. Il ricorrente rileva che la Corte, nell'affermare la inidoneità della misura dell'utilizzo del clacson alla salvaguardia della sicurezza dei lavoratori, non avrebbe considerato che:

- le zone ove vi era il transito costante dei muletti erano delimitate da segnaletiche orizzontali e che nel reparto in esame era vietato un traffico generalizzato dei carrelli per ragioni di sicurezza connesse alla presenza di prodotto infiammabili;

- il carrellista era stato specificamente formato sulle procedure aziendali che prevedono la necessità di condurre i carrelli in retromarcia laddove la visibilità risulti ostruita dal carico trasportato e sull'obbligo di segnalazione acustica.

In prossimità della linea di demarcazione e non, dunque, nella via di transito, il conducente del carrello prima di iniziare la manovra di scarico deve avvisare della presenza: il giorno dell'infortunio ciò non era avvenuto, in quanto il mulettista non aveva azionato il dispositivo acustico.

2.3. Con il terzo motivo ha dedotto l'omessa motivazione in ordine alla rilevanza della presenza della figura del preposto. Dopo che con l'atto di appello si era puntualizzato che nel reparto era presente il preposto, il quale non aveva assolto all'obbligo di vigilanza circa il rispetto degli obblighi di legge e delle procedure aziendali da parte dei singoli operatori (non avendo vigilato sulla corretta modalità di conduzione del carrello e sulla condotta della lavoratrice che si era posizionata nella zona ove era previsto lo scarico della merce), la Corte di Appello nulla aveva replicato in ordine a tale censura.

2.4. Con il quarto motivo ha dedotto la manifesta illogicità della sentenza con riguardo alla ritenuta sussistenza del nesso di causa fra la mancata predisposizione della segnaletica e l'evento. Il ricorrente rileva che nel caso di specie non era necessaria una linea di delimitazione dell'area di movimentazione del carrello elevatore in quanto non si trattava di una zona di transito ma di un imbocco della linea di imbottigliamento e che in ogni caso la previsione di tale linea non sarebbe valsa ad impedire l'evento, in quanto le modalità del carico del muletto avrebbero in ogni caso impedito al conducente di avvedersi della linea.

2.5. Con il quinto motivo ha dedotto la omessa motivazione della sentenza di appello in ordine alla durata della malattia della infortunata ed alla conseguente condizione di procedibilità. Dopo che con l'atto di appello si era confutata la ritenuta sussistenza delle lesioni gravi, la Corte si era limitata a richiamare la documentazione in atti e quanto riferito dalla persona offesa. Secondo il ricorrente quest'ultima non era stata in grado di ricostruire con precisione quale fosse stata la durata della malattia anche in ragione del fatto che il quadro clinico si era sovrapposto con quello di altra più grave patologia che l'aveva colpita: la sintomatologia e lo stato di malessere generalizzato riferiti dalla B.B. non potevano ricondursi alla ferita lacero contusa alla tibia quanto piuttosto alle preesistenti e concomitanti morbilità.

2.6. Con il sesto motivo ha dedotto l'illogicità della motivazione della sentenza di appello in relazione al trattamento sanzionatorio. Il ricorrente lamenta che la Corte aveva confermato il giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante del risarcimento del danno con l'aggravante contestata con una motivazione che, in quanto riferita alla gravità delle lesioni inferte consistite in una semplice ferita lacerocontusa tibiale da cui non erano residuati postumi permanenti, doveva ritenersi illogica.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Dott.ssa Marinelli Felicetta ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato, ai limiti della inammissibilità. Si deve premettere nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purchè la sentenza di appello si richiami alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218). Per converso il ricorso per cassazione deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica e non può limitarsi a un generico dissenso critico sulla risposta fornita dal giudice di appello alle questioni sollevate con il gravame. Quando intende censurare la valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame, il ricorrente ha l'onere di specificare il contenuto dell'impugnazione e di indicare i punti della motivazione censurati e le ragioni della censura al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853). Non è consentita inoltre - pena l'inammissibilità del ricorso per difetto di specificità - la censura generica relativa a una presunta carenza o illogicità della motivazione (sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970). Sono, inoltre, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

2.1 La Corte ha rilevato che la ricostruzione fornita dalla persona offesa era stata riscontrata dalla teste D.D., la quale aveva riferito che B.B., nel mentre era intenta a timbrare degli scatoloni, era stata colpita alle gambe con la parte anteriore del bancale da un muletto, procedente in avanti con delle scatole di bottiglie vuote sulle pale.

2.2. Il motivo in esame è sostanzialmente volto a sollecitare una rilettura delle risultanze processuali ed una valutazione alternativa delle fonti di prova, ovvero l'esercizio di uno scrutinio improponibile in questa: nessuna contraddizione è dato riscontrare nei passaggi argomentativi su cui si fonda la sentenza impugnata anche per quanto attiene alla ricostruzione dell'accaduto.

3. Il secondo motivo ed in quarto motivo sono manifestamente infondati. La Corte di Appello ha basato la affermazione della responsabilità colposa dell'imputato sulla violazione della regola cautelare prescritta dall'art. 64, comma 1, lett. a) in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63, comma 1 e allegato 4^ 1.4., a norma dei quali nelle zone ove si verifica una compresenza di pedoni e mezzi meccanici deve essere predisposta una segnaletica che delimiti le aree di transito dei mezzi rispetto a quella di pedoni. La Corte territoriale ha precisato che l'imputato non aveva ottemperato a detto obbligo e così facendo aveva cagionato l'evento in concreto verificatosi, essendo la regola cautelare violata volta a prevenire proprio eventi quale quello verificatosi in concreto; che il semplice uso del clacson non poteva ritenersi misura idonea a prevenire eventi quale quello verificatosi, tanto che il legislatore ha previsto l'obbligo di delimitare le vie di transito tramite apposita segnaletica; che l'adozione della segnaletica delle vie di transito sarebbe valsa ad evitare l'evento: nel caso di specie la presenza della segnaletica avrebbe consentito al mulettista di seguire il suo percorso osservando lateralmente le linee da terra; che la condotta del carrellista non aveva avuto efficacia causale esclusiva rispetto all'evento in quanto la ridotta visibilità di cui disponeva nella marcia era connessa alla operazione che si apprestava a compiere, ovvero il deposito degli scatoloni; che la ricostruzione difensiva tale per cui la lavoratrice aveva travalicato la propria zona di lavoro contribuendo alla causazione del sinistro non aveva trovato riscontro in alcuna emergenza processuale ed in ogni caso la funzione della segnaletica orizzontale era proprio quella di tracciare percorsi e suddividere le zone in ragione delle diverse aree di lavoro, così da garantire a ciascuno degli operatori un delimitato ambito spaziale di operatività.

Il percorso argomentativo adottato dalla corte è coerente con i dati di fatto riportati e rispettoso dei principi individuati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del nesso causale.

Sotto il primo profilo si osserva che la censura del ricorrente, laddove assume che l'area ove si era verificato l'infortunio non fosse una via di transito, è smentita dal passaggio della sentenza impugnata in cui è riportata la deposizione del teste di polizia giudiziaria, il quale aveva invece affermato come in quella zona transitassero i carrelli per depositare gli scatoloni e vi fosse la compresenza di dipendenti a piedi (pag. 4).

Sotto il secondo profilo si rileva che i giudici hanno adeguatamente vagliato il tema della causalità della colpa intesa come introduzione da parte del soggetto agente del fattore di rischio poi concretizzatosi con l'evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio (Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273870; Sez. 4, n. 17000 del 05/04/2016, Scalise, Rv. 266645). Hanno, infatti, osservato che nel caso di specie l'obbligo di predisporre la segnaletica volta a delimitare le zone per il transito dei pedoni da quella del transito dei mezzi era funzionale ad evitare eventi quale quello verificatosi, ovvero gli urti e le collisioni fra mezzi e lavoratori. Nessun rilievo poteva essere attribuito nel caso in esame ad eventuali imprudenze del conducente del muletto, piuttosto che della stessa lavoratrice infortunata, in quanto al datore di lavoro era stato rimproverato di non avere adottato le necessarie misure prevenzionistiche che avrebbero impedito qualsivoglia interferenza fra i conducenti dei muletti e gli addetti alla timbratura delle scatole dei prodotti (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 23925301). Neppure poteva avere avuto incidenza, ai fini della interruzione del nesso di causa, la condotta del conducente del muletto, giacchè perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201).

3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto non dedotto in appello e in ogni caso manifestamente infondato. Il preposto è definito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, lett. e) come persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa. Il successivo art. 19 nel tratteggia gli obblighi che sono essenzialmente la vigilanza sulla osservanza della normativa e delle prescrizioni aziendali nonchè sull'uso dei mezzi e dei dispositivi di protezione e il governo di situazioni rischiose tramite la loro segnalazione ai lavoratori, al datore di lavoro ed al dirigente. Principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità è, dunque, quello per cui il preposto assuma una posizione di garanzia e sia debitore di sicurezza nei confronti dei lavoratori ma solo con riferimento all'area di rischio che è chiamato a gestire in relazione alla natura e alla entità delle funzione e dei poteri esercitati (Sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014, dep. 2015, De Vecchi, Rv. 263004 secondo cui in tema di infortuni sul lavoro, il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell'incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia purchè sia titolare dei poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi). Nel caso di specie l'infortunio si è verificato a causa della mancata predisposizione di misure, quale la segnaletica volta a delimitare il transito dei pedoni da quello dei mezzi, che avrebbero dovuto essere approntate dal datore di lavoro, sicchè deve essere ribadito il principio per cui la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi. (Sez. 4, n. 22256 del 03/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276 in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale).

4. Il quinto motivo è manifestamente infondato. La Corte di Appello, quanto alla protrazione della durata della malattia oltre i quaranta giorni, ha dato rilievo, oltre che alle dichiarazioni della persona offesa, alla documentazione medica prodotta da cui si evinceva che solo in data 17 febbraio 2017 la lesione si era completamente riepitelizzata ed ha implicitamente confermato le valutazioni del giudice di primo grado in ordine alla infondatezza dei rilievi del Consulente Tecnico della difesa. Le conclusioni della Corte territoriale sul punto sono conformi alla giurisprudenza tradizionale in tema di lesione, secondo cui sono tali solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l'aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa (Sez. 5, n. 33492 del 14/05/2019, Gattuso, Rv. 276930; Sez. 4, n. 22156 del 19/04/2016, De Santis, Rv. 267306; Sez. 5, n. 40428 del 11/06/2009, Rv. 245378, Lazzarino e altri; Sez. 4, n. 17505 del 19/03/2008, Pagnani, Rv. 239541) e secondo cui la malattia in senso medico-legale perdura ove la ferita presenti ancora una crosta ematica, dal momento che questa, pur costituendo un fatto secondario dell'alterazione primitiva, nasconde una superficie non integra e cioè una epidermide non ancora ricostituita appieno, sicchè la lesione non può ritenersi giunta al termine di guarigione, ma abbisogna ancora di cure fino a che non si sia formata la cicatrice cutanea (Sez. 1, n. 2904 del 11/10/1976, dep. 1977, Carchedi, Rv. 135358). La motivazione, inoltre, appare coerente con i dati di fatto richiamati ed immune da censure, in quanto non può essere ritenuta illogica la preferenza accordata al dato documentale relativo allo specifico caso clinico, rispetto alle valutazioni del Consulente Tecnico fondate sul presunto andamento generale del tipo di ferita quale quella riscontrata.

5. Il sesto motivo è manifestamente infondato. E' noto che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall'art. 133 c.p., senza che occorra un'analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; Sez. 6,n. 56976 del 11/09/2017, Rv. 271671). Nel caso di specie la Corte di Appello ha dato conto delle ragioni per cui le attenuanti potevano essere riconosciute solo in regime di equivalenza (attraverso il richiamo alla gravità delle lesioni), con un apprezzamento che non si presta ad essere censurato in questa sede.

6. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non ver Sas se in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2023