Cassazione Penale, Sez. 4, 20 febbraio 2023, n. 7008 - Assenza di misure di sicurezza per i lavori in quota. Il fatto che il datore di lavoro non fosse a conoscenza dello specifico lavoro da svolgere palesa una violazione degli obblighi di vigilanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -
Dott. D’ANDREA Alessandro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
parte civile A.A., nato a (Omissis);
dalla parte civile B.B., nato a (Omissis);
dalla parte civile C.C., nato a (Omissis);
nel procedimento a carico di:
D.D., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 24/09/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PEDICINI ETTORE;
Il Proc. Gen. conclude per l'accoglimento;
E' presente l'avvocato MANGANELLO SALVATORE del foro di AGRIGENTO in difesa di:
A.A.;
B.B.;
C.C.;
il difensore presente si riporta ai motivi di ricorso.
E' presente l'avvocato CARRARA CARMELO del foro di SCIACCA in difesa di: D.D. anche per l'avv. QUATTROCCHI ENRICO per imp. D.D. con delega depositata in aula. Il difensore presente chiede l'inammissibilità del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 24 settembre 2021 la Corte di appello di Palermo, in riforma della pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Agrigento in data 1 ottobre 2018, ha assolto D.D. dal reato ascrittogli perchè il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili presenti nella sentenza impugnata.
1.1. In primo grado, infatti, l'D.D., riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con la contestata aggravante, era stato condannato alla pena di mesi sette di reclusione, con sospensione condizionale della pena e beneficio della non menzione, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili E.E., F.F., G.G. e A.A., in quanto riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 113 c.p., art. 589 c.p., commi 1 e 2, - in relazione al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 15, comma 1, lett. i), art. 90, art. 122, comma 1, artt. 157 e 159, art. 111, comma 1, lett. a), art. 113, comma 5 - per avere, nella qualità di socio lavoratore ed amministratore unico della Lacosmet Srl , cagionato a H.H., operaio alle dipendenze della società con la qualifica di imballatore di magazzino, lesioni personali gravissime ("trauma da taglio molto profondo a carico della scatola cranica con presenza di ferita da taglio lineare profonda di circa 20 cm. dalla radice superiore del naso all'apice del capo; frattura ultime coste emitorace sinistro; frattura con sollevamento ad arco delle stesse coste per reazione di rigonfiamento; presenza di ferita da taglio di circa 6 cm. orizzontale sulla coscia destra; abrasione con perdita di tessuto dal torace al fianco; ferita da taglio obliquo dallo zigomo destro alla tempia sinistra") che ne avevano determinato il suo immediato decesso.
All'imputato, in particolare, era stata contestata colpa generica per imprudenza, imperizia e negligenza, oltre ad inosservanza delle indicate norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo, nello specifico, omesso: di verificare l'idoneità tecnico-professionale del lavoratore in relazione al peculiare lavoro da eseguire, consistente nella modifica di un cornicione posto all'altezza di circa 6 mt. dal suolo mediante installazione di una trave metallica da adibire a binario, con un piano di calpestio di circa 60 cm.; di adottare qualsivoglia impalcatura, ponteggio, scala idonea, fissa e adeguatamente ancorata, nonchè precauzioni atte ad eliminare il pericolo di caduta del lavoratore, tra cui l'uso di un casco e di strumenti atti all'aggancio dell'imbracatura (peraltro indossata dalla vittima al contrario, senza la presenza di un moschettone di trattenuta sternale).
Conseguentemente, quindi, il I.I., nell'eseguire in quota il descritto lavoro, coadiuvato da una gru manovrata a terra da L.L. - giudicato e assolto dallo stesso delitto dal Tribunale di Agrigento per non aver commesso il fatto -, aveva perso l'equilibrio e, cadendo al suolo, aveva sbattuto violentemente la testa contro lo spigolo di una lamiera protettiva di pressa piegatrice posta nelle vicinanze, riportando le gravi lesioni che ne avevano causato la morte.
Il giudice di primo grado, ricostruita l'esatta dinamica dei fatti sulla scorta delle risultanze acquisite all'esito dell'espletata attività istruttoria, aveva, in particolare, ritenuto di dover configurare la penale responsabilità di D.D., per violazione delle norme antinfortunistiche in precedenza indicate, perchè amministratore unico della società Lacosmet Srl , e quindi esclusivo datore di lavoro titolare della posizione di garanzia, responsabile per l'infortunio mortale accaduto al suo dipendente.
2. La Corte territoriale - ricostruito il contenuto della sentenza impugnata e delle emergenze probatorie acquisite nel giudizio di primo grado - ha ritenuto di accogliere il motivo di appello dedotto dall'D.D., ritenendo l'insussistenza di un nesso causale tra la posizione di garanzia da costui rivestita e la verificazione del decesso di H.H., in particolar modo considerata la comprovata mancanza di conoscenza da parte dell'imputato dell'effettuazione dello specifico lavoro straordinario da cui era derivato il letale infortunio, commissionato, a sua insaputa, dal fratello e coimputato L.L. al I.I. - già in ferie e peraltro avente l'inidonea qualifica di magazziniere imballatore - in una domenica di agosto in cui era cessata ogni attività lavorativa all'interno dell'officina.
D.D. non aveva, quindi, avuto conoscenza dell'effettuazione di tale operazione, risultando assente al momento dei fatti ed essendo intervenuto solo dopo la loro verificazione, accedendo dai separati locali degli uffici dell'amministrazione dell'azienda.
Tali risultanze probatorie hanno, dunque, indotto i giudici di secondo grado ad escludere ogni responsabilità a carico dell'imputato, che non aveva ordinato, autorizzato o comunque avuto contezza dello svolgimento del lavoro straordinario, anche considerato che il I.I., in ragione della sua qualifica, non poteva essere adibito all'espletamento di lavori in quota.
Tutto ciò, per la Corte di merito, ha determinato la recisione di ogni nesso eziologico tra gli obblighi correlati alla posizione di garanzia D.D. e la verificazione dell'incidente mortale, da riferirsi in via esclusiva alla condotta di L.L. che, affidando autonomamente al I.I. un lavoro straordinario esulante dalle sue mansioni, aveva posto in essere una causa sopravvenuta autonoma, da solo idonea a determinare il letale evento.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 576 c.p.p., il difensore delle parti civili A.A., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore B.B., e C.C., deducendo, con un unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 113 c.p., art. 589 c.p., commi 1 e 2; D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15, comma 1, lett. i), art. 90, art. 122, comma 1, artt. 157 e 159, art. 111, comma 1, lett. a), art. 113, comma 5.
Le parti civili lamentano, in primo luogo, che la Corte di appello avrebbe ribaltato la pronuncia condannatoria di primo grado senza aver valutato in modo unitario e globale, e quindi non frazionato, il compendio indiziario, provvedendo ad escutere nuovamente i testi indicati a fondamento della propria decisione, e comunque esplicando in modo chiaro e puntuale - in ossequio agli insegnamenti resi dalla giurisprudenza di legittimità - i motivi per cui ha ritenuto di considerare ragionevolmente accertata la ritenuta carenza di consapevolezza da parte dell'imputato dello svolgimento del lavoro straordinario affidato da suo fratello al I.I. in una giornata di chiusura dell'officina.
La rilettura degli atti processuali sarebbe avvenuta, quindi, in maniera parcellizzata ed atomistica, laddove, invece, una valutazione compiuta di tutto il materiale probatorio avrebbe consentito di configurare la riferibilità eziologica del decesso del I.I. a condotte omissive, lesive della normativa antinfortunistica, immediatamente imputabili all'D.D..
La verificazione del decesso sarebbe, infatti, la conseguenza di una carenza di preparazione e di addestramento della vittima, peraltro assunta con una ben diversa mansione, all'espletamento di una così pericolosa attività lavorativa, senza che fosse stato predisposto nessun ponteggio e che al I.I. fosse stata fornita un'imbracatura adeguata, essendo tale ultima priva di moschettone di trattenuta sternale, comunque concretamente non agganciabile, stante l'assenza di una linea guida perimetrale. Nella zona sottostante, inoltre, vi era la presenza di un ambiente lavorativo particolarmente pericoloso, considerata la collocazione di macchine operatrici e di materiale ferroso accatastato.
Tutto ciò paleserebbe la carenza di assunzione da parte dell'D.D. di accorgimenti adeguati a consentire l'esecuzione, in modo sicuro, di lavori in quota all'interno dei locali dell'azienda.
Quanto, poi, alla ritenuta carenza di conoscenza da parte dell'D.D. dell'espletando lavoro straordinario affidato al I.I., i ricorrenti osservano come la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che l'imputato risiedeva in abitazione contigua ai locali dell'azienda, per cui non avrebbe potuto non accorgersi dell'espletamento presso quest'ultima di lavori di macroscopica evidenza, stante la presenza sui luoghi di una gru e di pesanti travi.
In ogni caso, a prescindere dagli indicati aspetti, la condotta dell'imputato paleserebbe un'evidente violazione degli obblighi di vigilanza sui luoghi di lavoro, direttamente gravante sul soggetto investito della qualifica datoriale.
Tutto ciò, di conseguenza, renderebbe del tutto fondate le pretese risarcitorie avanzate dalle parti civili nei riguardi di D.D..
4. I difensori dell'imputato hanno depositato successiva memoria con cui hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso proposto delle parti civili, ritenendo lo stesso pretestuoso e privo di qualsivoglia esplicazione delle ragioni per cui si sarebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell'escussione dei testi esaminati in primo grado.
Risulterebbe, invece, ineccepibile, nonchè priva di contraddittorietà ed illogicità, la motivazione con cui i giudici di appello hanno esplicato le ragioni della ritenuta irresponsabilità dell'D.D., essendosi verificato il decesso del I.I. in conseguenza di un'attività eccentrica e mai programmata, posta in essere dal lavoratore su estemporanea indicazione di L.L., senza che di essa fosse stato in alcun modo notiziato o reso edotto l'imputato.
Diritto
1. Il ricorso proposto dalle parti civili è fondato, per cui deve essere annullata la sentenza impugnata agli effetti civili, non essendovi più res iudicanda penale, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
2. Il Collegio ritiene infatti, in termini assorbenti, che la sentenza impugnata non si sia adeguatamente confrontata con quella, di contenuto difforme, resa da parte del primo giudice, di fatto omettendo di confutarne il percorso motivazionale seguito.
Il secondo giudice, infatti, si è limitato a sovrapporre la propria, parziale e soggettiva, convinzione a quella del Tribunale, senza, tuttavia, esplicare in modo adeguato e compiuto la ritenuta insostenibilità logica della ricostruzione operata e delle valutazioni effettuate nel precedente grado di merito.
3. In tal maniera, quindi, la Corte territoriale ha omesso di rispettare il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, per cui il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (così, espressamente: Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01).
Il giudice d'appello, cioè, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404-01).
In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr., in questi termini: Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01).
4. Tutto ciò non è dato ravvisare nella sentenza impugnata, osservato che, a fronte di una decisione di primo grado connotata da un'ampia e diffusa motivazione, con adeguato livello di approfondimento sia ricostruttivo che valutativo, quella di appello ha in pochi concetti ribaltato la precedente decisione, limitandosi a fondare il proprio ragionamento su una valutazione parziale dei fatti, con lettura parcellizzata dei riscontri acquisiti.
Per la Corte territoriale, infatti, la decisione del Tribunale sarebbe risultata errata perchè non vi sarebbe stata, nel caso di specie, la ricorrenza delle condizioni necessarie per poter pretendere dall'imputato un comportamento diverso da quello tenuto, per non aver mai avuto conoscenza dell'espletanda pericolosa attività lavorativa da parte del I.I..
Orbene, a prescindere dalla fondatezza, o meno, del superiore assunto, potendo avere senso logico l'osservazione dedotta dalle parti civili in ricorso per cui si potrebbe dubitare di tale mancanza di conoscenza da parte dell'imputato dell'effettuazione del lavoro da parte della persona offesa, sia per il rapporto di vicinanza al di lui fratello che aveva materialmente incaricato il I.I. della relativa effettuazione - sia per la circostanza che l'imputato risiedeva in abitazione contigua ai locali dell'azienda, potendo, quindi, facilmente avvedersi dell'espletamento presso quest'ultima di lavori di macroscopica evidenza, è sotto altro e decisivo profilo che il Collegio ritiene insufficiente la motivazione addotta dalla Corte territoriale per inferire la ritenuta carenza di responsabilità da parte dell'imputato.
A fronte, infatti, della ritenuta presunta mancanza di conoscenza del lavoro da parte dell'D.D., altri decisivi aspetti, ben presenti nella pronuncia di primo grado, non sono stati adeguatamente vagliati in sentenza dalla Corte di merito.
Il decesso del I.I. è la diretta conseguenza della presenza di specifiche situazioni, all'evidenza pericolose, presenti sui luoghi di lavoro, accertate nel corso dell'istruttoria svolta in sede di merito, quali l'assenza di ponteggi per l'effettuazione di lavori in quota, la mancanza di un'imbracatura a norma di legge - essendo quella indossata dalla vittima perfino priva di un moschettone di trattenuta sternale - oltre che di una linea guida perimetrale idonea a consentire al moschettone (comunque assente) di poter essere agganciato.
Nella zona sottostante, inoltre, vi era la presenza di un ambiente lavorativo particolarmente pericoloso, considerata la collocazione presso di essa di macchine operatrici e di materiale ferroso accatastato, su cui è caduta la vittima, riportando le gravissime lesioni causative della sua immediata morte.
Gli indicati aspetti, all'evidenza, sono tutti rappresentativi dell'intervenuta violazione di norme poste a tutela della sicurezza dei lavoratori, di cui è, conseguentemente, responsabile il datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia.
La condotta dell'imputato, presuntivamente non avvedutosi dello svolgimento di un'attività particolarmente pericolosa all'interno dei locali della sua azienda, palesa, inoltre, un'evidente violazione degli obblighi di vigilanza sui luoghi di lavoro, su di lui gravante, del pari non adeguatamente vagliata dalla Corte di appello nell'ambito dell'impugnata sentenza.
Tutti gli indicati aspetti, pertanto, non sono stati oggetto di adeguata considerazione da parte dei giudici di secondo grado che, così facendo, non hanno ottemperato a quell'onere di necessario rinforzo della motivazione richiesto dalle Sezioni Unite per poter ribaltare il giudizio di condanna emesso dal primo giudice, fornendo, con motivazione puntuale e adeguata, razionale giustificazione della difforme conclusione adottata.
5. Ne deriva l'accoglimento del ricorso proposto dalle parti civili, con conseguente pronuncia dell'annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui deve essere rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2023