Cassazione Penale, Sez. 4, 05 maggio 2023, n. 18931 - Sfruttamento del lavoro


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 07/03/2023
 

 

FattoDiritto




1. Con sentenza emessa in data 9 marzo 2022, la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia di condanna emessa a carico di A.A., all'esito di giudizio abbreviato, per il reato di cui all'art:. 603-bis, commi 1, n. 1) e 2), 3 n. il), 2), 3) e 4), 4 n. 1) c.p. "per avere, nella qualità di responsabile e titolare di fatto dell'opificio denominato "CONFEZIONE DI LI LIVING" con sede a Canneto sull'Oglio, reclutato, utilizzato, assunto e, comunque, impiegato manodopera, costituita da 5 lavoratori, allo scopo di destinarla al lavoro presso la predetta azienda (attività di confezionamento di collant), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Condizioni di sfruttamento consistite nella reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dai CC.N.L. pari a 3,00 o 5,00 Euro all'ora e, comunque, sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; inoltre nella condizione di alloggio degradante fornito dal datore di lavoro laddove si appurava che gli operai erano alloggiati tutti in condizioni di estremo degrado igienico e costretti ad alloggiare all'interno di camere da letto in condizioni igieniche precarie e degradanti: infine nella reiterata violazione normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settò manale, alle ferie. Approfittamento dello stato di bisogno consistito nel trarre utilità e profitto da una situazione critica che rendeva impossibile provvedere alle proprie necessità più elementari bisogno di lavorare per poter arriangiare e, cosi, sopravvivere, stato di indigenza, accettazione da parte dei lavoratori di un salario bastante appena a soddisfare verosimilmente non più di una delle necessità primarie, ovvero il mangiare, esigenza di un'abitazione dove passare la notte prima di andare a lavorare) e da una situazione di vulnerabilità che impediva a libera possibilità di scelta e di autodeterminazione dei lavoratore".

I giudici di merito ritenevano dimostrata la fattispecie di cui sopra alla luce del compendio probatorio acquisito in atti, incentrato principalmente sugli esiti delle indagini del Nucleo Carabinieri ispettorato del lavoro di Mantova, compendiati nell'annotazione datata (Omissis) e sulle circostanze emerse in occasione dell'arresto del ricorrente.

2. Avverso a sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, articolando i seguenti motivi di ricorso (in sintesi, giusta disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.).

I) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 603-bis c.p., comma 1, n. 2), comma 3 n. 1) 3) e 4), 4 n. 1).

La difesa lamenta che la Corte di merito non espresso adeguata motivazione in ordine alla penale responsabilità dell'imputato per i fatti contestati, dedicando pochissime pagine a sostegno de decisurn. La motivazione sarebbe carente, contraddittoria ed illogica. I giudici di secondo grado si sono limitati a richiamare il contenuto della sentenza di primo grado, trascurando di vagliare ed offrire compiuta risposta alle doglianze difensive. Il percorso motivazionale sarebbe frutto di un travisamento delle prove raccolte. E' stato violato il principio che impone di affermare la penale responsabilità dell'imputato solo in presenza di prove che diano conto della colpevolezza "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Sarebbe insussistente la fattispecie di cui all'art. 603-bis c.p., non ricorrendo i requisiti richiesti dalla norma; la motivazione non rispetterebbe i principi ermeneutici elaborati in sede di legittimità quanto alle nozioni di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno.

1.A) L'imputato non era titolare dell'azienda denominata "CONFEZIONE DI LI LIYING", nè gestiva ii laboratorio intestato alla madre, essendo a lui riconducibili altre attività. Il figlio di Li Living, attuale imputato, aiutava semplicemente la madre nella conduzione dell'azienda: poichè ha conoscenza della lingua italiana, intratteneva i rapporti con fornitori e clienti, supportando la madre titolare. La circostanza che l'imputato, in passato, sia stato titolare della ditta non comporta la sua penale responsabilità in ordine ai fatti in contestazione nel presente giudizio. Il ricorrente si è offerto disponibile nei confronti del personale di polizia all'atto del sopralluogo per la sua buona conoscenza della lingua italiana, in assenza della madre, lontana dal territorio italiano.

La polizia giudiziaria, all'atto del sopralluogo, non ha assistito alla imposizione di ordini e direttive rivolte alle maestranze provenienti dal ricorrente.

1.B) Nel caso in esame non sussiste alcuno dagli indici di sfruttamento di cui all'art. 603-bis c.p., comma 3.

1.B I) Quanto all'asserita corresponsione di una retribuzione inferiore ai minimi retributivi, si è dimostrato con indagini difensive, che i lavoratori hanno percepito la paga dovuta in base alle ore di lavoro svolte. La Corte di merito ha ritenuto non convincente la documentazione prodotta, ricorrendo ad una motivazione apodittica.

Si sono ritenute maggiormente attendibili le dichiarazioni rese dai lavoratori alla polizia giudiziaria rispetto a quelle raccolte in sede di ridaciini difensive senza offrire alcuna giustificazione delle ragioni di tale preferenza.

1B II), 1BIII), 1BIV) Si contesta quante sostenuto dalla Corte di appello in merito all'asserita violazione della normativa riguardante ìorario di lavoro, i periodi di riposo, la sicurezza dei luoghi di lavoro. Quanto alla sottoposizione dei lavoratori a condizioni alloggiative degradanti, nessuno dei lavoratori ha dichiarato di essere stato costretto a vivere nei locali messi a disposizione dal datore di lavoro. Peraltro, quattro dei lavoratori assunti alle dipendenze della ditta abitavano altrove. Lo stesso ufficio tecnico del Comune ai Canneto sull'Oglio, espressamente intervenuto, non ha dichiarato inagibile l'immobile e tantomeno ha individuato specifiche violazioni.

Nessuna delle circostanze sostenute in sentenza in relazione ai profili riguardanti le richiamate violazioni avrebbe trovato puntuale riscontro in atti.

1.C) Non si individua in atti requisito dell'approfittamento dello stato di bisogno degli operai della ditta. Molti di essi erano regolarmente presenti sul territorio italiano ed erano parenti dell'imputaluo.

1.D) Insussistenza dell'elemento soggettivo del reato. In poche righe viene offerta giustificazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, riconosciuto dai giudici in ragione del ri Spa rmio di spesa ottenuto dall'azienda. II ricorrente viveva nelle medesime condizioni degli operai, pertanto deve escludersi l'elemento soggettivo del dolo.

II) Violazione dei principi di cui all'art. 192 c.p.p..

Gli elementi raccolti nel corso delle indagini sono privi dei requisiti di gravità, precisione concordanza.

III) Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62-bis, 132, 133 c.p. in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

IV) Inosservanza, erronea applicazione degli artt. 132, 13 c.p. e art. 125 c.p.p.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione ai criteri impiegati ai fini della dosimetria della pena.

3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nel rassegnare conclusioni scritte, ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso.

4. Il ricorso è inammissibile.

primo motivo di doglianza, in tutte le sue articolazioni, è palesemente versato in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti consentiti, rimanendo estraneo al giudizio di legituimità ogni sindacai:o che si risolva in una rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione dicrautinoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.

In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa in possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nel precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dalìesterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è "geneticamente" informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (così Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).

L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni del giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cosi Sez. C, n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428". In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre"; Sez. U, n. 1 del 31/05/2000, Spina, Rv. 216260).

Ne consegue che, una volta che il giudice abbia offerto una logica motivazione, coordinando gli elementi sottoposti al suo esame in modo coerente e non contraddittorio, a nulla vale opporre che gli atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione.

Pertanto, a corretta deduzione dei vizio di motivazione deve palesare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e difettoso sul piano logico, senza alcuna possibilità di introduzione di diverse ricostruzioni altrettanto logiche.

Quanto al vizio del travisamento delle prove, pure ampiamente evocato nei motivi di ricorso, secondo giurisprudenza consolidata, il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intenda far valere il vizio di "travisamento della prova" deve, a pena di inammissibilità (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 - 01): (a) identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè dell'effettiva esistenza dell'atto Drocessuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (d) indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

Va altresì aggiunto che, nell'ipotesi di doppia pronuncia conforme, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui giudice di appello, a fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr. Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2017, Rv. 270394).

Tutto ciò premesso, passando a trattare delle singole doglianze di cui si compone il primo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.

La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 603-bis c.p., fornendo coerente e logica motivazione in ordine alla ricorrenza dei requisiti di sfruttamento della manodopera e approfittamente dello stato di bisogno dei lavoratori impiegati.

Richiamando le emergenze processuali, la Corte di merito ha posto in evidenza come gli accertamenti espletati avessero rivelato che la retribuzione oraria corrisposta ai lavoratori divergesse in modo rilevante da quella prevista dal CCNL (a fronte di una paga prevista dal CCNL di Euro 7,20 all'ora, dipendenti, sentiti in occasione dell'accesso dei militari del Nucleo c.c. Ispettorato del lavoro, avevano dichiarato di percepire tra i 3 ed i 5 Euro l'ora).

Si era accertato come i dipendenti alloggiassero in locali fatiscenti posti a piano superiore del capannone, osservando orari di lavoro continuativi, che si protraevano per tutta la giornata, senza adeguati periodi di riposo.

Veniva altresì ritenuto sussistente l'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, versando costoro in situazione di necessità per essere privi di permesso di soggiorno, senza collegamenti col territorio, impossibilitati a reperire altre soluzioni lavorative e di alloggio (sul punto si richiama Sez. 4, n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport, Rv. 281405, in cui si è precisato come, ai fini dell'integrazione dei reato cii intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non vada inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose).

Con argomentare logico, la Corte di merito, conformemente al primo giudice, ha ritenuto maggiormente attendibili le dichiarazioni rese dai lavoratori al personale di polizia all'atto del sopralluogo, essendo il contenuto di tali dichiarazioni rispondente alla situazione direttamente osservata dagli operanti nella immediatezza.

La Corte di merito ha anche evidenziato come i ritmi di produzione della ditta, accertati attraverso il riscontro delle commesse evase, fossero incompatibili con l'esiguo numero di ore lavorative prospettate da; ricorrente (cfr. quanto riportato a pag. 10 della motivazione "è inverosimile che una impresa che, come riferito dall'informatore B.B., (della GIZETA Calze Srl ), evadeva ogni settimana forniture di quasi 40.000 paia di collant da imbustare, abbia intrattenuto contratti di lavoro per 20 ore settimanali per ciascun dipendente assunto").

In relazione alla fattispecie di cui all'art. 603-bis c.p., comma 1, n. 2) ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di approfittare dello stato di bisogno della manodopera, sottoponendola a condizioni di sfruttamento. Si tratta, invero, di un reato a dolo generico (cfr. Sez. 4, n. 3554 del 18/01/2022, Rv. 282577 -- 01:"Il delitto previsto dall'art. 603-bis c.p., comma 1, n. 1, è caratterizzato dal dolo specifico, essendo necessario che l'intermediario recluti la manodopera al fine di destinarla al lavoro presso terzi, mentre per quello previsto dall'art. 603-bis c.p., comma 1, n. 2, è sufficiente il dolo generico, essendo richiesto che l'utilizzatore abbia agito con coscienza e volontà di sottoporre i lavoratori a condizioni di sfruttamento e di approfittare del loro stato di bisognò). Il profilo riguardante l'elemento soggettivo del reato ha trovato compiuta valutazione nel passaggio motivazionale in cui si evidenzia come il ricorrente avesse diretta "percezione" delle condizioni di sfruttamento dei dipendenti, conseguendo, in ragione della sottoretribuzione corrisposta, notevoli risparmio di spesa, anche con riferimento all'esatto importo degli oneri contributivi.

5. Quanto alla riferibilità delle condotte illecite all'imputato, quale gestore di fatto dell'azienda, si richiamano le argomentazioni svolte alle pagine 8 e 9 della motivazione, in cui sono illustrate le ragioni a sostegno della ritenuta dimostrazione del ruolo effettivo rivestito dall'imputato nell'azienda.

La ricostruzione operata dalla Corte di merito è avversata nel ricorso con la prospettazione di una diversa interpretazione del compendio probatorio in atti, non consentita in questa sede.

6. Il secondo motivo, con il quale la difesa denuncia la "violazione dei principi di cui all'art. 192 c.p.p., nella valutazione della prova" è del pari inammissibile.

La censura è articolata in termini aspecil"ici, in quanto priva di correlazione con la completa e puntuale motivazione offerta dai giudici di merito nelle sentenze di merito conformi e, comunque, propositiva di ragioni di doglianza nelle quali si sollecita una rivisitazione del compendio probator o.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri l'erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p., comma 3, prospettando argomentazioni che si pongano in confronto diretto con il materiale probatorio e astenendosi dal denunciare uno dei vizi logici tassativamente previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione dei fatto (cfr. Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angeiis, Rv. 266924).

7. Anche con riguardo a mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p., il provvedimento impugnato E' esente da vizi motivazionali. La Corte territoriale, conformemente ai principi stabiliti in questa sede, ha sottolineato l'assenza di elementi positivamente valorizzabili ai fini della concessione del beneficio e la gravità del fatto, in ragione del numero di lavoratori impiegati, del tempo di protrazione della condotta illecita, dell'assenza di resipiscenza.

Si tratta di motivazione corretta e non manifestamente illogica, non suscettibile di essere sindacata in sede di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Cariddi, Rv. 242419).

E' noto iì consolidato principio stabilito in materia secondo cui non è necessario che giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo invece sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisui o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).

Quanto all'ultima doglianza, va rammentato che la graduazione della pena, così come la fissazione della pena-base, rientrino nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, come nel presente caso, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 dei 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).

Deve aggiungersi che, ove la pena si discosti di poco dal minimo edittale, come nel presente caso, è sufficiente ii richiamo al giudizio di congruità espresso dalla Corte di merito, essendo necessaria una specifica motivazione soltanto ove la pena superi la media edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Sernione, Rv. 271243).

8. Consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento deile spese processuali, nonchè, a norma dell'art. 616, c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000),

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2023