Corte d'Appello Venezia, Sez. Lav., 14 giugno 2023, n. 335 - False dichiarazioni del lavoratore in merito all'infortunio sul lavoro. Licenziamento


 

REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 CORTE D'APPELLO DI VENEZIA
 
 - sezione lavoro -
 
 composta dai seguenti magistrati:
 
 Annalisa MULTARI - Presidente
 
 Piero LEANZA - Consigliere
 
 Silvia BURELLI - Consigliere relatore
 
 ha pronunciato la seguente
 
 SENTENZA
 

 nella causa promossa con ricorso in appello
 
 da
 
 S.A. Srl, già S.D. S.r.l. (P. IVA (...)), con sede in V. di B., Via V. n. 146/c, in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore, sig. D.S., rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Grigoli del Foro di Verona (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in (37121) Verona, Via Leoncino n. 30 giusta procura in atti
 
 Parte appellante
 
 Contro
 
 A.C. (c.f. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. Persico e domiciliato presso il suo studio, in Verona, via Bravo n. 8/a come da mandato in atti
 
 Parte appellata
 
OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 81/2022 del Tribunale di Verona - sezione lavoro licenziamento per giusta causa

 

Fatto 


 1.Con la sopra indicata sentenza il giudice ha ritenuto tardivo il licenziamento intimato dal datore di lavoro appellante al lavoratore appellato il 17 luglio 2019, sulla base della contestazione disciplinare del 10 luglio 2019, con cui veniva contestato al lavoratore di aver riferito fatti non corrispondenti al vero sia al datore di lavoro, sia all'Inail, in merito all'infortunio sul lavoro occorsogli il 17 settembre 2018 (con riferimento al luogo in cui era avvenuto l'infortunio medesimo - presso l'abitazione del cliente M. e non nei locali aziendali - e alla dinamica dell'infortunio stesso - il C. è stato investito da un transpallet che stava introducendo un bancale di pellet nell'abitazione del M. e non si è infortunato mentre spingeva un transpallet in azienda).
 
 Il giudice, in base all'istruttoria testimoniale svolta, ha ritenuto che il datore di lavoro aveva conoscenza dei fatti già nell'autunno del 2018, sicché la contestazione era tardiva di quasi 9 mesi, lasso temporale non giustificato dalle indagini limitate alla verifica dei dischi cronotachigrafi.
 
 In particolare, il giudice ha valorizzato la deposizione del cliente della società M., ritenuto attendibile, stante la sua estraneità ai fatti. Tale cliente ha riferito di aver parlato con un collega del C. dell'infortunio in questione circa 10/15 giorni dopo il suo accadimento. Sicché non era credibile che il testimone B. (ovverosia il collega a cui il cliente M. aveva fatto riferimento), deponendo in un contenzioso parallelo avente ad oggetto il licenziamento di altro collega del C. per i medesimi fatti (D.G.), avesse riferito che il colloquio con il M. era avvenuto solo dopo qualche mese.
 
 Sicchè il primo giudice ha ritenuto che è "del tutto ragionevole supporre che, appresa tale notizia, il B. ne abbia parlato con il responsabile della sicurezza in tempi rapidi e non, invece, molti mesi dopo e casualmente, non essendo logico serbare il silenzio su una notizia rilevante per l'azienda". Inoltre, il primo giudice ha ritenuto che le indagini espletate dal responsabile G. a seguito della segnalazione del B. non fossero particolarmente complesse, essendo consistite nella mera verifica dei dischi cronotachigrafi.
 
 Quindi, accertata la tardività del licenziamento, il giudice ha ritenuto che la tutela applicabile è quella indennitaria di cui all'art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23 del 2015, ed ha dichiarato illegittimo il licenziamento di cui si discorre, condannando il datore di lavoro al pagamento al lavoratore di un'indennità pari a sei mensilità, quantificate in Euro 16.211,58.
 
 2. Per la riforma della predetta sentenza ha proposto appello la società S. sulla base di un unico articolato motivo.
 
 2.1. Con il motivo di appello la società appellante ha contestato l'errata valutazione delle prove da parte del primo giudice e l'errata applicazione dei principi giurisprudenziali in ordine alla tempestività dell'avvio del procedimento disciplinare. Parte appellante ha lamentato che il primo giudice ha fondato il proprio convincimento in via esclusiva sulla deposizione del teste M. che sarebbe, invece, inattendibile in quanto ha deposto in modo incerto e confuso, non è stato in grado di collocare in modo preciso i fatti di causa e si è ricordato solo che tra l'infortunio del C. e il successivo incontro del M. medesimo con un collega del C. erano trascorsi 10 o 15 giorni. Inoltre, ulteriore elemento che deporrebbe nel senso della inattendibilità del predetto teste, è la frase pronunciata dal teste medesimo durante la deposizione, secondo la quale egli avrebbe ricevuto una lettera in cui si diceva che i dipendenti della società avevano cercato di contattarlo telefonicamente, circostanza non vera.
 
 La società appellante ha, inoltre, lamentato che il giudice avrebbe ignorato ulteriori deposizioni testimoniali (v. testi G., R.), secondo le quali il momento in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza dei fatti addebitati al C. si colloca alla fine del mese di giugno/ primi mesi di luglio 2019 e non ha applicato i consolidati principi in materia di tempestività dell'azione disciplinare a fronte della difficoltà, nel caso concreto, incontrata dal G. a ricostruire l'accaduto.
 
 Parte appellante ha riproposto le argomentazioni rimaste assorbite nel giudizio di prime cure e, in subordine, ha chiesto la riqualificazione del licenziamento come licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con corresponsione al lavoratore della sola indennità di mancato preavviso stabilita dal contratto collettivo applicato al rapporto in 20 giorni di calendario.
 
 3. A.C. si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello di controparte e difendendo la correttezza della sentenza impugnata.
 
 4. La causa è stata discussa all'udienza del giorno 18 maggio 2023 e decisa come da dispositivo in atti.
 

 

Diritto


 5. L'appello è fondato e deve essere accolto per i seguenti dirimenti motivi che assorbono ogni altra questione.
 
 6. Il Collegio, in accoglimento dell'unico articolato motivo di appello della società - analogamente a quanto deciso sull'eccezione di tardività della contestazione disciplinare nel contenzioso parallelo relativo alla posizione del collega G. sub RG 930/21 Corte d'Appello Venezia -, ritiene che il primo giudice abbia erroneamente ritenuto tardiva la contestazione disciplinare a cui è conseguito il licenziamento disciplinare per cui è causa.
 
 Ed invero, le argomentazioni che sorreggono la decisione relativa alla tempestività della contestazione disciplinare nel contenzioso sub RG 930/21 cit. sono le medesime anche con riferimento al presente giudizio.
 
 La società appellante è azienda di piccole dimensioni, che si occupa del commercio di prodotti agricoli, petrolchimici, antiparassitari, fertilizzanti, i cui addetti sono impegnati nello svolgimento del lavoro e non esiste un ufficio dedicato ai controlli degli spostamenti dei lavoratori i quali operano nell'ambito delle mansioni attribuite in ragione dell'autonomia prevista dal contratto (in particolare il G., 4 livello, era addetto alle operazioni di logistica e bollettazione).
 
 Il titolare aveva impartito ai dipendenti disposizioni con cui aveva vietato di consegnare il materiale direttamente nelle cantine e garages dei clienti, soprattutto quando ciò comportava l'utilizzo di transpallet in pendenza (v. deposizione G.).
 
 A fronte di tale direttiva, quando era avvenuto l'incidente del C., tenuto conto di quanto dichiarato dallo stesso ai propri superiori (R. in primis, v. deposizioni dei testi R. e del medesimo R. nel giudizio di primo grado sub RG 379/2020 prodotte dalla società), ai sanitari del pronto soccorso ( cfr. documenti dimessi dalla società appellante), dichiarazioni riportate anche nella documentazione inviata all'Inail che aveva indennizzato l'infortunio, oltre alle dichiarazioni conformi dei colleghi (G., R.), non era sorta per la società la necessità di verificare l'esatta dinamica del fatto.
 
 Esigenza che -per contro- si era resa necessaria quando la società era venuta a conoscenza di quanto riferito dal M. al B. ( cfr. in tal senso deposizioni R., G.); né si ha motivo di ritenere che il G. avesse un interesse a dichiarare circostanze non corrispondenti al vero, non avendo alcun potere di rappresentanza della società.
 
 Quanto riferito dal G. ha trovato conferma anche nella dichiarazione della R., assistente diretta della responsabile del personale Gr., la quale a domanda diretta ha riferito quanto segue:"...siamo venuti a conoscenza del fatto verso i primi di luglio 2019. Ricostruita tutta la dinamica si è passati alla proprietà e poi si è proceduto con la contestazione disciplinare.." (v. deposizione della R. nel giudizio di primo grado sub RG 379/2020, cit.).
 
 Le dichiarazioni del G. sono conformi in entrambi i giudizi (quello attuale e quello del collega G.) e trovano riscontro in quanto riferito dal B. nel primo grado del presente giudizio sub. RG 781/20, deposizione in cui l'autista aveva confermato di aver parlato con "D." (G.) solo dopo qualche mese aver incontrato il M., non avendo fatto attenzione "sul momento" a quanto dichiarato dal cliente.
 
 Dichiarazione che pare particolarmente attendibile non avendo il testimone alcun interesse a riferire diversamente, ed essendo verosimile che nello svolgimento del servizio all'epoca non avesse attribuito particolare attenzione a quanto riferito dal cliente.
 
 Quanto poi al mese esatto in cui questo colloquio sarebbe avvenuto, il primo giudice ha valorizzato la dichiarazione resa dal cliente M.; tuttavia ad avviso di questa Corte l'età avanzata del testimone (73 anni) e la circostanza riferita, del tutto spontaneamente, che nella lettera contenente l'intimazione a testimoniare "c'era scritto che in passato mi avevano telefonato i dipendenti della S..... cosa non vera", circostanza che è del tutto improbabile fosse contenuta nella lettera con cui il difensore della società ha chiamato il M. a testimoniare, sono elementi che depongono per l'inattendibilità delle sue dichiarazioni. Trattasi, infatti, dell'unico soggetto, nella presente causa, per quanto esposto, a cristallizzare la data del colloquio avuto con il B. a circa 10-15 giorni di distanza rispetto alla verificazione dell'infortunio (e quindi ad ottobre 2018).
 
 In definitiva, B. ha collocato il colloquio con M. a fine febbraio/marzo 2019, ancorandolo ad un dato attendibile (l'inizio dei rifornimenti) nella deposizione sub RG 379/2020 Tribunale Verona (causa G.), precisando di aver riferito del colloquio al G. (responsabile della logistica e rappresentante della sicurezza all'interno dell'azienda, v. sue deposizioni) "dopo qualche giorno". Per parte sua, il G. ha confermato di aver appreso dal B. del colloquio con il M. "a distanza di tempo, dopo qualche mese" dall'infortunio (v. deposizioni sub RG 781/2020 di primo grado). Il G., appena avuta notizia di un infortunio avvenuto a casa di un cliente, ha iniziato le indagini che, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, non sono risultate di carattere semplice e circoscritto nel tempo.
 
 Innanzitutto il G. ha dovuto svolgere tali indagini in un contesto di scarsa collaborazione da parte dei dipendenti interessati, circostanza che di per sé rende verosimilmente difficoltose le indagini, richiedendo un maggior impiego di tempo (tenuto conto che il G. doveva anche svolgere le sue ordinarie mansioni di responsabile della logistica). Egli, infatti, aveva "scritto una email chiedendo che mi venisse data una risposta chiara sui fatti...Non ho ricevuto alcuna risposta."
 
 (v. deposizione sub RG 379/2020). Dopo il colloquio con B., il G. ha incaricato quest'ultimo di risalire all'identità e all'indirizzo del cliente (in prima battuta non noti, in quanto il B. aveva incontrato per strada il M. mentre stava eseguendo un rifornimento presso altro cliente) e, poi, di recarsi nuovamente dal M. per "chiedere allo stesso maggiori informazioni". In quel momento "non era ancora estate. Aprile maggio". Inoltre, il G. ha dovuto svolgere anche indagini documentali per avere riscontri e, invero, nell'ambito di tali indagini documentali ha scoperto "che mancava il disco del camion di quel giorno dell'infortunio". Una volta avuta sufficiente contezza del reale accadimento dei fatti, il G. ha "notiziato al datore di lavoro della realtà dei fatti a fine giugno/inizio luglio". In particolare, ha informato l'ufficio del personale che gli ha anche chiesto una relazione, svolta a "fine giugno, luglio avevo le sdraie fuori" (v. deposizioni sub RG 379/2020 e sub RG 781/2020 del Tribunale di Verona, in particolare ove il teste precisa "Ho notiziato al datore di lavoro della realtà dei fatti a fine giugno /inizio luglio. Gli accertamenti sono cominciati per caso nella primavera, ma poi li abbiamo conclusi verso la fine di giugno. La certezza circa la diversità dei fatti l'ho avuta quando mi sono reso conto che mancava un documento di trasporto in merito alla consegna effettuata quel giorno presso il sig. M.. Mancava il disco, mancava il documento di trasporto").
 
 In definitiva, l'insieme delle deposizioni raccolte nel presente giudizio e quelle prodotte in atti e rese dai testimoni nel parallelo giudizio promosso dal G. (R., R., G., M.), consentono, ad avviso del Collegio, di superare l'eccezione di intempestività accolta in primo grado. Infatti è provato che la società - anche tramite la verifica dei dischi tachigrafici e la scoperta della mancanza di quello del 17 settembre 2018, giorno dell'incidente - non appena aveva accertato che la dinamica dell'incidente poteva essere stata diversa rispetto a quella riferita dai lavoratori, aveva provveduto a contestare i fatti agli interessati i quali, ad eccezione di R. e G., avevano confermato gli addebiti (C. aveva ammesso il fatto, mentre M. si era dimesso prima del licenziamento).
 
 Né, peraltro, l'appellato ha allegato e provato la violazione del diritto di difesa derivante dalla tardività della contestazione. Infatti il C. si è sempre difeso dimostrando la perfetta conoscenza dei fatti contestati e ciò sia in via stragiudiziale, che giudiziale.
 
 7. A questo punto, superata l'eccezione di non tempestività del licenziamento, il Collegio rileva che risultano infondate anche le questioni sollevate dal ricorrente in primo grado e rimaste assorbite in ragione dell'accoglimento dell'eccezione pregiudiziale.
 
 7.1. Quanto alla asserita mancata affissione del codice disciplinare, risulta dirimente rilevare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale a cui aderisce anche questo Collegio, la mancata affissione del codice disciplinare non è motivo di invalidità della sanzione disciplinare, laddove il comportamento addebitato consista in violazioni di legge o dei fondamentali doveri del lavoratore "riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione" (ex multis Cass. 22626/2013). Nel caso di specie, il comportamento contestato consiste, in sintesi, nell'aver mentito al datore di lavoro in ordine al luogo e alle modalità di verificazione di un infortunio sul lavoro, in violazione dei fondamentali doveri di fedeltà (che comprendono, intuitivamente, la sincerità del lavoratore nel riferire circostanze relative all'attività lavorativa, vieppiù laddove da tali circostanze possa derivare una qualche forma di responsabilità del datore di lavoro).
 
 7.2. Quanto alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, il Collegio rileva che i fatti contestati non sono stati specificamente contestati dal lavoratore. Ed invero, nelle giustificazioni rese in sede di procedimento disciplinare (doc. 8 C.) il lavoratore ha ammesso il mendacio ma ha cercato di minimizzare la propria responsabilità sostenendo di essere stato indotto dai colleghi a mentire "per non avere problemi con lo Spisal" e di averli assecondati, in sostanza, per "non avere problemi" con i colleghi medesimi, nel contesto di un "clima" e una "situazione" difficile con loro e, in ultima analisi, con "l'unico obiettivo di mantenere il mio posto di lavoro".
 
 Anche nel ricorso di primo grado il C. ha ammesso il mendacio, allegando che l'infortunio si era verificato non nei locali aziendali mentre spingeva un traspallet manuale, ma presso l'abitazione del cliente M., mentre due bancali di pellet venivano trasportati all'interno del garage del M. medesimo con un transpallet che doveva percorrere un tratto in pendenza. Tale operazione, per giunta, era contraria alla disposizione aziendale che impediva di trasportare la merce consegnata all'interno delle abitazioni dei clienti. Anche in sede di ricorso di primo grado il C. si è limitato a sostenere di aver seguito le indicazioni dei colleghi per non aggravare i rapporti già difficili in azienda.
 
 Il Collegio ritiene che l'asserita "imposizione" da parte dei colleghi al C. di dichiarare il falso al datore di lavoro non è provata e comunque non sarebbe idonea ad elidere la gravità del mendacio su circostanze inerenti l'attività lavorativa e potenzialmente fonte di responsabilità per il datore di lavoro.
 
 In realtà, tenuto conto che l'infortunio si è verificato durante l'esecuzione di una operazione pacificamente vietata dal datore di lavoro (v. teste G.), divieto di cui il C. era a conoscenza per sua stessa ammissione (v. giustificazioni rese in sede di procedimento disciplinare), appare verosimile che, attraverso le false dichiarazioni sulla dinamica dell'infortunio, il C. intendesse celare al datore di lavoro la sua inosservanza (in concorso con altri, ma la circostanza non elide la sua responsabilità) alle disposizioni aziendali sullo svolgimento delle mansioni. Deve, quindi, ritenersi che la condotta del C. sia sorretta da un elemento soggettivo particolarmente intenso (in quanto posta consapevolmente in essere, e mantenuta per mesi sino alla scoperta da parte del datore di lavoro) al fine di celare un proprio inadempimento.
 
 In tale prospettiva sussiste senza dubbio la proporzionalità tra condotta e sanzione espulsiva, unico profilo riproposto in sede di costituzione in appello dal lavoratore (oltre alla asserita mancata affissione del codice disciplinare).
 
 8. Per le ragioni che precedono, in accoglimento dell'appello della società e in riforma dell'impugnata sentenza, le domande di A.C. accolte in primo grado devono essere rigettate. Non essendovi prova in atti dell'effettivo pagamento degli importi statuiti in sentenza, non vi è luogo a provvedere in questa sede sulla domanda di restituzione, ma la presente sentenza costituisce titolo per ottenere la restituzione delle somme predette.
 
 9. La regolamentazione delle spese di lite segue il principio della soccombenza. Pertanto A.C. deve essere condannato alla rifusione in favore della società appellata delle spese di lite di entrambi i gradi, nella misura liquidata in dispositivo facendo applicazione dei criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e ss. mod. in un importo pari ai medi dello scaglione di riferimento per valore della causa, oltre al 15% per rimborso spese forfetario, IVA e CPA, come per legge.
 

P.Q.M.


 La Corte, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, rigettata e/o assorbita ogni diversa istanza, eccezione e domanda, così provvede:
 
 1) in accoglimento dell'appello e in riforma dell'impugnata sentenza, rigetta le domande di A.C. accolte in primo grado;
 
 2) condanna A.C. alla refusione in favore di S.D. Srl delle spese di lite di entrambi i gradi che liquida, quanto al primo grado in Euro 5.388,00 e quanto al presente grado in Euro 3.966,00 oltre a rimborso spese forfettario IVA e CPA come per legge.
 
 Così deciso in Venezia, il 18 maggio 2023.
 
 Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2023.