Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 giugno 2023, n. 18165 - Morte per tecnopatia correlata all'asbestosi: criteri per estendere la tutela assicurativa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -
Dott. CAVALLARO Luigi - Consigliere -
Dott. GNANI Alessandro - Consigliere -
Dott. SOLAINI Luca - Consigliere -
Dott. CERULO Angelo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33863-2018 proposto da:
A.A., B.B., C.C., rappresentati e difesi, in virtù di procura conferita a margine del ricorso per cassazione, dagli avvocati ALBERTO KOSTORIS ed EZIO BONANNI, presso lo studio del quale ultimo, in ROMA, VIA CRESCENZIO, 2, INTERNO 3, SCALA B, sono elettivamente domiciliati;
- ricorrenti -
contro
ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (INAIL), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al controricorso, dagli avvocati LUCIANA ROMEO e LUCIA PUGLISI, con domicilio eletto in ROMA, VIA IV NOVEMBRE, 144, presso gli uffici dell'Istituto;
- controricorrente -
per la cassazione della sentenza n. 407 del 2017 della CORTE D'APPELLO DI TRIESTE, depositata il 7 agosto 2018 (R.G.N. 343/2016).
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 23 febbraio 2023 dal Consigliere Angelo Cerulo.
Fatto
1.- I signori A.A., B.B. e C.C. impugnano per cassazione, con ricorso notificato il 15 novembre 2018 e affidato a nove motivi, illustrati da memoria, la sentenza della Corte d'appello di Trieste n. 407 del 2017, depositata il 7 agosto 2018, che ha accolto il gravame dell'INAIL e ha rigettato le domande degli odierni ricorrenti.
2.- Quanto agli antefatti di causa, la sentenza impugnata riferisce che il signor D.D., coniuge della signora A.A. e genitore dei signori B.B. e C.C., "è deceduto in data (Omissis) per mesotelioma peritoneale maligno sarcomatoso".
Il Tribunale di Gorizia, con sentenza n. 187 del 2010, confermata dalla Corte d'appello di Trieste con sentenza n. 365 del 2014, ha riconosciuto il nesso di causa tra la patologia che ha condotto alla morte il lavoratore e le prestazioni che questi ha svolto presso Fincantieri.
Con un primo giudizio, la signora A.A. ha chiesto al Tribunale di Gorizia che l'importo della rendita, riconosciuto in forza del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85, fosse parametrato all'ultima retribuzione annua effettivamente percepita dal coniuge, in applicazione dell'art. 147 del predetto D.P.R. n. 1124 del 1965.
Il Tribunale di Gorizia, con sentenza n. 204 del 2005, confermata in appello con la pronuncia n. 102 del 2008, ha respinto la domanda, in base al rilievo che il lavoratore è morto per un mesotelioma maligno del peritoneo e non per silicosi ed asbestosi e che la previsione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 147 è tassativa nel condizionare l'erogazione dei benefici alla sussistenza di queste due patologie.
3.- Per quel che specificamente concerne il presente giudizio, si deve rilevare che la signora A.A., questa volta con i figli B.B. e C.C., ha chiesto al Tribunale di Gorizia:
a) di accertare che la rendita INAIL a favore dei superstiti è quella prevista per i portatori di asbestosi;
b) di condannare l'INAIL al pagamento dell'importo riliquidato;
c) di condannare l'INAIL a versare le differenze dovute per la prestazione aggiuntiva per le vittime dell'amianto;
d) di condannare l'INAIL a corrispondere l'indennità per inabilità temporanea assoluta riferita al periodo dal 14 agosto 1998 al 10 settembre 1998;
e) di condannare l'INAIL a pagare la rendita diretta per inabilità permanente assoluta, iure hereditatis dal 14 agosto 1998 al 10 settembre e iure proprio dal 2 settembre 1998 in poi;
f) di condannare l'INAIL a pagare l'assegno continuativo mensile per l'invalidità al 100% dal 14 agosto 1998 al 1 settembre 1998;
g) di dichiarare il signor D.D. "Grande Invalido del Lavoro".
Il Tribunale di Gorizia ha accertato che il lavoratore è morto per malattia professionale tabellata dovuta ad amianto, ha accolto parzialmente il ricorso e, in particolare, ha accertato il diritto del de cuius di ricevere la rendita INAIL per inabilità permanente dal 31 agosto 1998 al 10 settembre 1998 e il diritto dei ricorrenti di beneficiare della maggiorazione della rendita ai superstiti, collegata al decesso del congiunto in conseguenza dell'amianto.
4.- La sentenza del Tribunale di Gorizia è stata appellata in via principale dall'INAIL e in via incidentale dai signori A.A. e B.B..
La Corte territoriale ha accolto il gravame dell'INAIL sulla base dei seguenti rilievi:
a) il punto nodale è la riconducibilità della malattia che ha determinato la morte del lavoratore alle "malattie tabellate dovute ad amianto", in quanto solo tale presupposto consente di accedere alle maggiorazioni rivendicate nel presente giudizio;
b) con sentenza oramai passata in giudicato, "seppure solo nei confronti di A.A.", la Corte d'appello di Trieste ha accertato che "il decesso di D.D. è stato causato da mesotelioma peritoneale maligno sarcomatoso" e che tale malattia non è riconducibile a quelle di cui al Capo VIII del D.P.R. n. 1124 del 1965, recante "Disposizioni speciali per la silicosi e l'asbestosi";
c) solo la silicosi o l'asbestosi, patologie che non sono state riscontrate nel caso di specie, consentono di reclamare il diritto al supplemento oggi vantato dagli eredi del lavoratore;
d) quanto alla rendita diretta per inabilità temporanea, il lavoratore aveva cessato da tempo di lavorare presso la (Omissis) e prestava attività di lavoratore autonomo: in applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 135, quando l'assicurato abbia cessato di svolgere la lavorazione che ha determinato la malattia, la malattia professionale si considera manifestata nel giorno in cui è presentata all'Istituto la denuncia con il certificato medico e, nel caso di specie, nessun beneficio può essere riconosciuto, in quanto la denuncia è stata presentata solo il (Omissis), dopo la morte del lavoratore;
e) l'accoglimento dell'appello principale priva di consistenza le domande svolte con l'appello incidentale.
5.- Al ricorso, proposto dagli eredi del lavoratore, resiste l'INAIL con controricorso e chiede di rigettare l'impugnazione.
6.- Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base all'art. 380-bis.1. c.p.c., nella versione antecedente alle modificazioni introdotte dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, e applicabile ratione temporis in virtù della disciplina transitoria dettata dall'art. 35, comma 6, del medesimo decreto legislativo.
7.- Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Diritto
1.- Il ricorso per cassazione si articola in nove motivi, sorretti dai seguenti rilievi.
1.1.- Con il primo motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la parte ricorrente denuncia nullità della sentenza d'appello, in relazione agli artt. 24 e Cost., 111 e 112 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sull'inammissibilità dell'atto d'appello dell'INAIL, del tutto generico nella contestazione delle circostanze di fatto accertate dalla pronuncia di primo grado: il lavoratore sarebbe morto in conseguenza dell'asbestosi e il mesotelioma, dell'asbestosi, rappresenterebbe l'evoluzione cancerogena.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi anche sui motivi d'appello incidentale, concernenti, in modo particolare, le modalità di calcolo della rendita per mesotelioma peritoneale.
1.2.- Con il secondo mezzo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la parte ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 434 e 437 c.p.c. e addebita alla Corte territoriale di non aver dichiarato inammissibile l'appello, sprovvisto di una chiara indicazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza di primo grado.
1.3.- Con la terza critica (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la parte ricorrente si duole della violazione degli artt. 434 e 437 c.p.c. e della Cost., artt. 24 e 111, in combinato disposto con il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 67, 77, 85, 116, 118, 120, 124, 134, 140 e 145 (quanto all'art. 145, come modificato dalla L. 27 dicembre 1975, n. 780, art. 4).
La parte ricorrente ribadisce, a sostegno del motivo, che il lavoratore "è deceduto per asbestosi, o quanto meno anche per asbestosi" e che "il mesotelioma è comunque un'evoluzione dell'asbestosi, dallo stato infiammatorio, a quello cancerogeno". Gli accertamenti compiuti dal Tribunale di Gorizia in ordine alle cause del decesso non sarebbero stati efficacemente censurati dall'Istituto.
1.4.- Con la quarta censura (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la parte ricorrente ripropone le medesime questioni sotto il profilo dell'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che hanno formato oggetto di discussione tra le parti.
Nella prospettazione del ricorso, i fatti decisivi attengono, per un verso, alla morte del lavoratore per asbestosi, così come accertato anche dall'esame autoptico, e, per altro verso, alle domande dispiegate con l'appello incidentale con riferimento alle modalità di calcolo della rendita.
1.5.- Con la quinta doglianza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la parte ricorrente, sulla base dei medesimi argomenti già illustrati a sostegno delle precedenti censure, prospetta la nullità della sentenza per motivazione apparente, con conseguente violazione della Cost., art. 111, comma 6, per quel che attiene all'accoglimento dell'appello INAIL e al rigetto dell'appello incidentale.
1.6.- Con il sesto motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la parte ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 67, 77, 85, 116, 118, 120, 124, 140, 145 e 153 (quanto all'art. 145, cit., come modificato dalla L. n. 780 del 1975, art. 4) e degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c. Nell'illustrazione del motivo la parte ricorrente deduce anche la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe omesso di decidere la causa sulla base delle prove legali costituite dagli esami autoptici, che avrebbero accertato il decesso del lavoratore per asbestosi, configurando il mesotelioma come complicanza dell'asbestosi.
Riconoscere un importo inferiore sul presupposto che il lavoratore sia morto in conseguenza del mesotelioma rappresenterebbe "una palese illogicità", che imporrebbe d'interpretare la normativa in conformità alla Costituzione e ai "principi comunitari" oppure di rimettere agli atti alla Corte costituzionale o, in alternativa, alla Corte di giustizia dell'Unione Europea.
La Corte territoriale avrebbe errato nell'escludere il mesotelioma dal novero delle patologie che danno titolo a rivendicare le prestazioni di cui si discute in causa, e nel pretermettere la coesistenza del mesotelioma con l'asbestosi.
1.7.- Con la settima censura (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la parte ricorrente allega la violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 67, 77, 85, 116, 118, 120, 124, 134, 140 e 145 (quanto all'art. 145, così come modificato dalla L. n. 780 del 1975, art. 4), in combinato disposto con il decreto del Presidente della Repubblica 13 aprile 1994, n. 336, e/o con gli artt. 3, 35, 36, 38 e 41, comma 2, Cost., e la violazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c..
La critica - puntualizza la parte ricorrente - riproduce "l'integrale contenuto dei mezzi di impugnazione di cui ai capi da I a VI del (...) ricorso per Cassazione".
La concessione della tutela anche per il caso di mesotelioma, legato all'esposizione all'amianto e tabellato con il D.P.R. n. 336 del 1994, sarebbe imposta, peraltro, dai principi di non discriminazione (artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, art. 153 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, art. 14 della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo, art. 1 protocollo CEDU n. 1, Cost., artt. 2, 3, 35, 36, 38 e 41, comma 2). L'amianto, difatti, sarebbe l'unico agente eziologico sia del mesotelioma che dell'asbestosi.
Nè la lunga latenza del male potrebbe pregiudicare i lavoratori che contraggono patologie correlate all'asbesto, come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 323 del 2008.
La sentenza impugnata meriterebbe censura anche per aver trascurato gl'interventi del giudice delle leggi (sentenze n. 179 del 1988 e n. 206 del 1988), "che scardinano il sistema tabellare".
Ove non si reputasse praticabile un'interpretazione adeguatrice, gli artt. 77, 85, 116, 118, 120, 124, 140 e 145 e seguenti del D.P.R. n. 1124 del 1965 e la L. n. 780 del 1975, art. 4, in combinato disposto con le norme di cui al D.P.R. n. 336 del 1994, si porrebbero in contrasto con la Cost., artt. 3, 35, 36, 38 e 41, comma 2, e non sarebbero manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina in esame.
1.8.- Con l'ottava critica (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la parte ricorrente deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 67, 77, 85, 116, 118, 120, 124, 134, 140 e 145 (quanto all'art. 145, cit., come modificato dalla L. n. 780 del 1975, art. 4), con le previsioni del D.P.R. n. 336 del 1994 e/o con la Cost., artt. 3, 35, 36, 38 e 41, comma 2.
La parte ricorrente, nell'illustrare il motivo, richiama "l'integrale contenuto dei mezzi di impugnazione di cui ai capi da I a VII del (...) ricorso per cassazione" e imputa alla Corte territoriale di aver deciso "senza tener conto delle prove addotte da parte ricorrente".
1.9.- Con la nona doglianza, proposta in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte ricorrente censura, infine, la "(v)iolazione delle norme di cui ai capi da I a VIII del presente mezzo di impugnazione e di cui all'appello incidentale", riguardante le modalità di calcolo delle prestazioni.
2.- Prioritaria, in ordine logico, è la questione dell'omessa pronuncia sull'inammissibilità dell'appello e sulle domande formulate con l'appello incidentale.
La doglianza, illustrata con il primo mezzo, si rivela infondata.
2.1.- La sentenza impugnata, quanto al primo profilo, osserva che l'INAIL ha proposto "tempestivo e rituale appello" (pagine 5 e 6) e ha dunque disatteso in modo univoco le eccezioni d'inammissibilità della parte ricorrente.
2.2.- Anche con riferimento all'appello incidentale, la pronuncia d'appello evidenzia che l'accoglimento del gravame dell'INAIL destituisce di fondamento "le domande svolte con appello incidentale da A.A., B.B. e C.C." (pagina 6).
Pertanto, nessuna violazione dell'art. 112 c.p.c. si ravvisa, in quanto i giudici d'appello si sono pronunciati anche sull'appello incidentale.
Una volta che la Corte territoriale ha negato alle parti appellate il diritto al supplemento della rendita, non hanno più ragion d'essere le questioni agitate con l'appello incidentale, che presuppongono il diritto al supplemento e dibattono in ordine alla sua corretta liquidazione.
3.- Inammissibili si rivelano la seconda e la terza censura, che ribadiscono, rispettivamente in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4, e all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l'eccezione d'inammissibilità dell'appello, prospettata nel primo mezzo sotto il profilo dell'omessa pronuncia.
3.1.- Anche la deduzione degli errores in procedendo dev'essere corredata da critiche provviste del necessario grado di specificità (Cass., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077), che consentano a questa Corte di coglierne la portata decisiva e, nel caso di specie, di apprezzare l'irritualità del gravame dell'Istituto.
La specificità dei motivi di gravame dev'essere vagliata alla luce del carattere dell'appello, che si atteggia come revisio prioris instantiae e non come giudizio a critica vincolata, e di un compiuto raffronto tra le argomentazioni della sentenza impugnata e le censure. Ai fini della specificità delle doglianze, non è necessario l'impiego di particolari forme sacramentali e neppure sussiste l'onere dell'appellante di elaborare un progetto alternativo di decisione, che si contrapponga a quella di primo grado (Cass., S.U., 13 dicembre 2022, n. 36481, e 16 novembre 2017, n. 27199).
Quel che rileva, allo scopo di ritenere soddisfatto il requisito della specificità, è che ai giudici del gravame sia consentito di cogliere il tema del decidere e le critiche alla decisione censurata e alla controparte di dispiegare compiutamente a tale riguardo le proprie difese.
3.2.- Nel caso di specie, i motivi si risolvono in un richiamo d'indole generale ai principi enunciati dal codice di rito e dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla specificità dei motivi di gravame.
Le critiche, tuttavia, non si cimentano con una dimostrazione puntuale dell'adombrata genericità, che sia calibrata sulla peculiarità dell'odierna vicenda, e si limitano a richiamare per relationem i motivi di gravame con integrale rinvio agli atti di causa, senza racchiudere riferimenti circostanziati alla dialettica processuale e senza spendere argomenti che diano ragione di una genericità solo asserita.
La Corte territoriale ha enucleato "la questione centrale dalla quale dipendono le soluzioni di tutte le altre questioni poste dall(e) parti" (pagina 6 della sentenza impugnata) e la parte ricorrente ha potuto ampiamente replicare sui temi oggetto del contendere, come emerge dalle stesse difese svolte in sede di gravame, diffusamente menzionate anche nel ricorso per cassazione.
La Corte di merito ha individuato come questione saliente, ritualmente devoluta con i motivi di gravame, un punto risolutivo, attinente al "giudicato esterno", di per sè idoneo a condurre alla riforma della decisione di primo grado.
A fronte di una ratio decidendi, che s'incardina su un tema ictu oculi dirimente, ricostruito dalla Corte di merito all'esito dell'esame delle deduzioni difensive della parte appellante, la censura di genericità dei motivi di gravame si rivela assertiva e sguarnita di persuasivi elementi di conferma e di un adeguato supporto argomentativo.
4.- Su quello che la sentenza d'appello individua come punto decisivo, vertono i restanti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, per l'intima connessione che li contraddistingue.
I motivi in esame devono essere, nel loro complesso, disattesi.
5.- Si controverte in questa sede sui presupposti per il riconoscimento delle prestazioni previste dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145.
E' su quest'aspetto che si appuntano le censure della parte ricorrente, che sottopone al vaglio di legittimità, sotto di Spa rati profili, le statuizioni della sentenza d'appello, nella parte in cui ha negato il diritto di fruire delle prestazioni correlate all'asbestosi.
Allorchè gli eredi del lavoratore defunto chiedano l'attribuzione di una rendita da malattia professionale, fondata sulla deduzione di un quadro patologico di asbestosi, la sussistenza della malattia dedotta delimita il dovere decisorio del giudice (art. 112 c.p.c.).
Nè la possibilità, prevista dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145, di assegnare rilievo a tutte le conseguenze direttamente collegabili a tali specifiche tecnopatie giustifica l'ampliamento del tema controverso, che pur sempre sul riscontro dell'asbestosi s'incardina (Cass., sez. lav., 12 febbraio 1993, n. 1773).
Le censure tendono tutte a dimostrare la sussistenza dell'asbestosi e, per questa via, l'error in iudicando in cui i giudici di seconde cure sarebbero incorsi.
6.- All'esame delle censure giova premettere l'inquadramento della normativa applicabile e dell'interpretazione che ne ha delineato questa Corte regolatrice.
L'art. 145 del "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali" è inserito nel Titolo I, Capo VIII, significativamente intitolato "Disposizioni speciali per la silicosi e l'asbestosi".
L'art. 144 attribuisce rilievo all'asbestosi "contratta nell'esercizio dei lavori specificati nella tabella, allegato n. 8, e che risultino fra quelli previsti dall'art. 1".
7.- Nella versione originaria, l'art. 145 così disponeva: "Le prestazioni assicurative sono dovute: a) in tutti i casi di silicosi o di asbestosi da cui sia derivata la morte ovvero un'inabilità permanente al lavoro superiore al venti per cento; b) in tutti i casi di silicosi o di asbestosi associate a tubercolosi polmonare in fase attiva, anche se iniziale, qualunque sia il grado di inabilità derivante dalla silicosi od asbestosi. Le prestazioni di cui alla lettera b) del comma precedente si intendono dovute anche nei casi di morte derivata da silicosi o da asbestosi associate a tubercolosi polmonare".
L'attuale formulazione, introdotta dalla L. 27 dicembre 1975, n. 780, art. 4, è del seguente tenore: "Le prestazioni assicurative sono dovute: a) in tutti i casi di silicosi o di asbestosi - con le loro conseguenze dirette - da cui sia derivata la morte ovvero una inabilità permanente al lavoro superiore al 20 per cento; b) in tutti i casi di silicosi o di asbestosi associate ad altre forme morbose dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio. In tali casi si procederà alla valutazione globale del danno. Le prestazioni di cui alla lettera b) del comma precedente si intendono dovute anche nei casi di morte derivata da silicosi o da asbestosi, associate ad altre forme morbose dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio".
Con sentenza n. 64 del 1981, il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145, comma 1, lettera a), nella parte in cui richiedeva, ai fini della corresponsione della rendita, in caso di silicosi o asbestosi, un grado minimo di inabilità permanente superiore al 20%, anzichè al 10%. Si realizzava, difatti, un'arbitraria di Spa rità di trattamento rispetto alle altre malattie professionali.
8.- la L. n. 780 del 1975, art. 4, nell'incidere sul D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145, comma 1, lettera a), ha precisato che silicosi e asbestosi vengono in rilievo anche "con le loro conseguenze dirette".
Le prestazioni assicurative, pertanto, sono erogate non solo quando la morte o l'inabilità derivino esclusivamente dalla silicosi o dall'asbestosi, ma anche quando detti eventi derivino da una causa che costituisce una conseguenza diretta di tali tecnopatie o quando queste abbiano svolto il ruolo di concause nel determinismo degli eventi dannosi (Cass., sez. lav., 25 agosto 1986, n. 5175).
Ai fini della concessione delle prestazioni assicurative, sono dunque rilevanti anche i fatti, diversi dalla tecnopatia esplicitamente considerata dal legislatore, che abbiano operato per ultimi nella serie causale e che, tuttavia, siano stati provocati o aggravati dalla malattia professionale (Cass., sez. lav., 16 ottobre 1987, n. 7679).
Sussiste il nesso di derivazione causale (o concausale) dell'inabilità o della morte da una di tali malattie, e quindi sussiste il diritto dei superstiti alla prestazione assicurativa, anche nell'ipotesi in cui la silicosi o l'asbestosi o comunque una loro conseguenza diretta abbiano avuto, nel determinismo della morte dell'assicurato, il ruolo di mera concausa (pur se minimo) del decesso e abbiano anche solo accelerato il decorso della malattia verso l'esito letale (Cass., sez. lav., 1 febbraio 1989, n. 607).
9.- La L. n. 780 del 1975, art. 4, nel modificare il citato art. 145, comma 1, lettera b), ha disposto, con dizione più ampia, che silicosi e asbestosi rilevino se "associate ad altre forme morbose dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio".
La formulazione previgente richiedeva, in termini più restrittivi, che silicosi e asbestosi fossero "associate a tubercolosi polmonare in fase attiva, anche se iniziale, qualunque sia il grado di inabilità derivante dalla silicosi od asbestosi".
Il legislatore ha dunque esteso l'ambito applicativo della tutela assicurativa (Cass., sez. lav., 7 aprile 1984, n. 2248).
Per effetto di tale innovazione, che ha soppresso l'originario riferimento alla tubercolosi polmonare in fase attiva, è ora previsto che le prestazioni assicurative siano dovute "anche nei casi di morte derivata da silicosi o da asbestosi, associate ad altre forme morbose dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio".
Questa Corte ha chiarito che è pur sempre necessario dimostrare il nesso eziologico tra silicosi o asbestosi e l'evento assicurato: tale nesso dev'essere accertato in concreto, anche quando la tecnopatia si associ ad altre affezioni dell'apparato respiratorio o cardiocircolatorio. Il legislatore non ha introdotto, in tale fattispecie, alcuna presunzione di causalità (Cass., sez. lav., 15 dicembre 2003, n. 19145, 7 giugno 2001, n. 7718, e 6 novembre 1993, n. 10972).
Tali affezioni rivestono rilievo, solo se concorrano alla produzione dell'inabilità indennizzabile o del decesso insieme con la malattia professionale o se ne abbiano influenzato il processo formativo ed evolutivo (Cass., sez. lav., 18 marzo 1987, n. 2751).
La tutela è comunque subordinata all'accertamento in concreto che la silicosi o l'asbestosi abbiano avuto, nel determinismo della morte dell'assicurato, il ruolo di mera concausa (pur se minimo) del decesso, anche solo accelerando il decorso della malattia verso l'esito letale (Cass., sez. lav., 3 giugno 1997, n. 4931, e 14 marzo 1995, n. 2939).
Questa Corte ha poi puntualizzato, a tale riguardo, che non rileva la semplice coesistenza delle altre affezioni dell'apparato respiratorio o cardiocircolatorio.
La disposizione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145, comma 1, lettera b), interpretata sulla scorta delle più accreditate nozioni di medicina legale, postula l'interferenza, dal punto di vista anatomico e clinico, tra la tecnopatia e le altre forme morbose, che consenta la reciproca sfavorevole influenza in termini di decorso e di esaltazione del potenziale lesivo (Cass., sez. lav., 9 giugno 2016, n. 11861, 24 aprile 2004, n. 7880, e 18 giugno 1998, n. 6107). Solo un'associazione così intesa, difatti, giustifica l'innovativa presunzione di concausalità (Cass., sez. lav., 27 gennaio 1988, n. 698).
10.- La L. n. 780 del 1975, nel modificare la normativa relativa all'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi, ne ha quindi ampliato l'ambito applicativo e ha subordinato il riconoscimento del diritto alla rendita a condizioni di maggior favore con riguardo ai criteri di valutazione del grado di inabilità, senza introdurre, tuttavia, alcuna deroga con riferimento ai principi generali in tema di nesso causale (Cass., sez. lav., 20 agosto 2002, n. 12298, e 9 luglio 2001, n. 9297).
E' dunque indefettibile l'esigenza di accertare in concreto che la morte o l'inabilità del lavoratore siano derivate dalla silicosi o dall'asbestosi in concorso causale con la malattia associata. Le suddette forme morbose non rilevano, se associate ad altre patologie, pur professionali, diverse da quelle espressamente tipizzate dall'art. 145 del testo unico (Cass., 2 aprile 2004, n. 6549).
11.- La sentenza d'appello non si è discostata dai principi affermati da questa Corte.
12.- Il legislatore, anche in virtù delle innovazioni introdotte dalla L. n. 780 del 1975, ha apprestato una speciale tutela per i lavoratori colpiti da silicosi o asbestosi, in ragione della particolare pericolosità di tali malattie, dell'insidiosità della patogenesi e "per la gravità e irreversibilità degli esiti permanenti che ne derivano" (Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 1981, cit., punto 3 del Considerato in diritto).
La stessa parte ricorrente non contesta l'inequivocabile dettato testuale e mira, in ultima analisi, a ricondurre a un'ipotesi di asbestosi la fattispecie controversa.
Le scelte discrezionali del legislatore e l'individuazione di precisi criteri selettivi dal punto di vista oggettivo e soggettivo non si prestano in questa sede ad esser sindacate per manifesta irragionevolezza o per la lesione degli altri principi di risalto costituzionale evocati dalla parte ricorrente e convergenti con i principi enunciati dalle fonti internazionali (Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e Carta di Nizza).
La tutela supplementare riconosciuta alle vittime di asbestosi e silicosi rispecchia la peculiarità delle patologie in esame, che non ne giustifica l'indiscriminata estensione ad altre patologie non del tutto sovrapponibili e comunque non prive di un'appropriata tutela assicurativa.
Le normative contrassegnate da una spiccata specialità e dal carattere derogatorio non si prestano, invero, a fungere da utile termine di raffronto, nel sindacato condotto al metro della Cost., art. 3 (Corte costituzionale, sentenza n. 20 del 2018, punto 3.1. del Considerato in diritto).
La tutela rivendicata dalla parte ricorrente, e oggetto dei motivi di ricorso per cassazione sottoposti all'odierno scrutinio, è ancorata a presupposti rigorosi. Tali presupposti, lungi dal circoscrivere i benefici di legge entro un ambito irragionevolmente angusto, conferiscono rilievo a una vasta gamma di situazioni meritevoli di protezione.
Con scelta che contempera in modo non arbitrario i diversi interessi coinvolti, il legislatore ha stabilito in modo puntuale la necessità di acclarare il determinismo causale della silicosi o dell'asbestosi, pur se remoto ed associato al concorso di altri fattori, e ha accordato la tutela al ricorrere di presupposti di più estesa latitudine rispetto all'originaria previsione, che richiedeva un'incidenza esclusiva della patologia sul decorso causale e circoscriveva la rilevanza delle patologie associate entro confini ristretti.
13.- Correttamente, pertanto, e in consonanza con i principi richiamati, la disamina dei giudici d'appello si è concentrata sulla verifica del determinismo causale dell'asbestosi ed è approdata alla conclusione che tale determinismo, nel caso di specie, non sia stato dimostrato in modo convincente.
I motivi di ricorso fanno leva sulla circostanza che il mesotelioma, secondo la scienza medica, sia una complicazione dell'asbestosi e che i dati raccolti nel giudizio di primo grado, pretermessi dai giudici d'appello, militino a favore della correlazione causale tra l'asbestosi e la morte.
Le argomentazioni, tuttavia, non valgono a scalfire il punto saliente che i giudici del gravame hanno posto a fondamento della decisione.
Una sentenza definitiva della Corte d'appello di Trieste (n. 102 del 2008), pronunciata proprio all'esito di un giudizio volto a ottenere i benefici connessi con l'asbestosi, ha rigettato le domande e ha accertato che il decesso del lavoratore è stato causato non dall'asbestosi, ma da un mesotelioma peritoneale maligno sarcomatoso.
La Corte d'appello di Trieste ha dunque confermato la sentenza del Tribunale di Gorizia, che ebbe ad escludere la rilevanza causale della silicosi o dell'asbestosi (pagina 4 della sentenza impugnata) e dunque a reputare infondate le domande di una delle odierne ricorrenti, finalizzate a conseguire i benefici accordati per l'asbestosi.
14.- La Corte territoriale soggiunge che tale sentenza, nel disconoscere in modo radicale qualsivoglia ruolo eziologico dell'asbestosi, fa stato nei confronti della signora A.A., che aveva instaurato la controversia poi definita con il giudicato (pagine 6 e 7 della pronuncia d'appello impugnata in questa sede).
La Corte d'appello di Trieste si fonda anzitutto, nella decisione di rigetto, sull'efficacia vincolante del giudicato nei confronti della parte, ai sensi dell'art. 2909 c.c..
Per altro verso, la Corte di merito, in un accertamento coerente dei requisiti delle medesime provvidenze richieste dagli eredi della vittima, assume a fondamento della decisione la portata riflessa del giudicato, che assurge ad affermazione oggettiva di verità e, nel caso di specie, investe il comune presupposto del diritto rivendicato nell'odierno giudizio da tutte le parti: la sussistenza del rapporto causale tra l'asbestosi e la morte del lavoratore.
Tale elemento è di per sè idoneo a sorreggere la decisione adottata dalla Corte di merito, anche in ordine all'appello incidentale.
La motivazione della pronuncia è lineare e consente di cogliere il fondamento della decisione, senza presentare quelle lacune e quelle insanabili aporie che sole varrebbero a connotarla come apparente, secondo i criteri enucleati da questa Corte (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232).
I motivi di ricorso, nel diffondersi su una più plausibile ricostruzione della vicenda, non scalfiscono in modo efficace la ratio decidendi indicata e non adducono ragioni idonee a contraddire l'efficacia vincolante del giudicato o la sua idoneità a fungere da elemento imprescindibile di valutazione, per la sua portata di affermazione oggettiva di verità sullo stesso unitario e inscindibile rapporto sostanziale per cui è causa.
15.- Il ricorso, nel complesso, dev'essere rigettato.
Alla luce delle ragioni illustrate, che non implicano l'approfondimento di questioni inedite di rilevanza nomofilattica e si collocano nell'alveo di una giurisprudenza consolidata, non si ravvisa la necessità di rimettere la trattazione della causa alla pubblica udienza, necessità comunque rimessa alla prudente valutazione discrezionale del collegio giudicante (Cass., S.U., 5 giugno 2018, n. 14437).
16.- La parte ricorrente dev'essere condannata a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio (art. 385, comma 1, c.p.c.), che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
17.- L'integrale rigetto del ricorso impone di dare atto dei presupposti processuali dell'obbligo della parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, comma 1-bis dell'art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione civile, il 23 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2023