Cassazione Penale, Sez. 1, 09 giugno 2023, n. 24945 - Mancanza di cartellonistica, di impianti di estinzione e di uscite di emergenza: pur in assenza di dipendenti, il delitto è configurabile quando possa prefigurarsi un pericolo anche per terzi


 

 

Nota a cura di Raffaele Guariniello, in ISL, 7/2023, pag. 405,406 "Omissione dolosa di cautele antinfortunistiche anche a tutela dei terzi"


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo - Presidente -

Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - Consigliere -

Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere -

Dott. MONACO Marco M. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 19/05/2022 della CORTE di APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARCO MARIA MONACO;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dr. VALENTINA MANUALI che ha concluso per l'annullamento con rinvio;

lette le conclusioni della difesa con cui l'avv. STEFANO MASSE' insiste per l'accoglimento.
 

 

Fatto

 

La CORTE d'APPELLO di TORINO, con sentenza del 19/5/2022, ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dal TRIBUNALE di TORINO il 25/2/2020 nei confronti di A.A. in relazione al reato di cui all'art. 437 c.p..

1. A.A. è stato rinviato a giudizio e ritenuto responsabile per il reato di cui all'art. 437 c.p. perchè, quale datore di lavoro e rappresentante legale della ditta A.A., avrebbe omesso di collocare gli impianti e gli apparecchi e i segnali destinati a prevenire disastri e infortuni sul lavoro. In particolare, allo stesso è contestato di non avere collocato, nonostante i provvedimenti prescrittivi in tal senso già emessi nei suoi confronti, idonea cartellonistica relativa ai carichi di alcuni scaffali, di non avere predisposto mezzi e impianti di estinzione, di non avere realizzato uscite di emergenza adeguate e di non avere istallato cartellonistica relativa alle emergenze antincendio e a queste connesse.

All'esito del processo di primo grado il Tribunale ha ritenuto integrati gli elementi costitutivi del reato e ha condannato l'imputato alla pena di nove mesi di reclusione.

La difesa ha proposto appello avverso la sentenza evidenziando che l'imputato non avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile del reato, sia perchè non avrebbe adempiuto alle prescrizioni per difficoltà economiche, sia in quanto nel caso di specie il soggetto in pericolo sarebbe stato esclusivamente l'imputato stesso poichè il magazzino al quale si riferiscono le contestazioni era gestito esclusivamente da lui senza che la ditta individuale avesse altri dipendenti.

La Corte territoriale ha confermato la condanna pronunciata in primo grado. Il giudice d'appello, infatti, ha ritenuto che non fossero provate le difficoltà economiche e, quanto all'ulteriore censura, ha evidenziato che il delitto, posto a tutela dell'incolumità pubblica, è configurabile ogni volta che possa prefigurarsi un pericolo anche per terzi, estranei all'impresa, che dovessero accidentalmente accedere ai luoghi di lavoro.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.

2.1. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 437 c.p. Nel motivo di ricorso la difesa rileva che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, nel caso di specie difetterebbe il pericolo per l'incolumità pubblica richiesto dalla norma. L'azienda della quale è rappresentante legale, escluso un breve periodo nel quale ha avuto un solo dipendente, che peraltro non aveva accesso al magazzino, è stata sempre gestita dal solo imputato che è anche l'unico lavoratore che presta la propria attività per la stessa. Ragione questa per la quale non sussisterebbe alcun pericolo per una pluralità di persone e, pertanto, il reato contestato non sarebbe in concreto configurabile. Sotto altro e subordinato profilo la difesa, infine, richiede di applicare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..

3. In data 9 gennaio 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Sostituto Procuratore Generale Valentina Manuali, chiede che il ricorso accolto e la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio.

4. In data 10 gennaio 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali l'avv. Stefano Massè si riporta ai motivi e, associandosi al procuratore generale, ne chiede l'accoglimento.
 

Diritto


Il ricorso è infondato.

1. Nell'unico motivo di ricorso la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 437 c.p.. Nello specifico il ricorrente rileva che nel caso di specie difetterebbe il pericolo per l'incolumità pubblica richiesto dalla norma in quanto l'azienda della quale lo stesso è rappresentante legale, escluso un breve periodo nel quale ha avuto un solo dipendente, che peraltro non aveva accesso al magazzino, è stata sempre gestita dal solo imputato che è anche l'unico lavoratore che presta la propria attività per la stessa. Ragione questa per la quale non sussisterebbe alcun pericolo per una pluralità di persone e, pertanto, il reato contestato non sarebbe in concreto configurabile.

Le doglianze sono infondate.

1.1. L'art. 437 c.p., "Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro", sanziona con la reclusione da sei mesi a cinque anni la condotta di chiunque "omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia" e, al comma 2 prevede che "se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni".

In ordine a tale fattispecie e alla configurabilità del reato si sono formati due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

In alcune pronunce si è affermato che il reato di cui all'art. 437 c.p. è integrato anche nel caso in cui il pericolo interessi soltanto un singolo lavoratore in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma concernerebbe anche la sicurezza sul lavoro di una comunità ristretta di lavoratori o di singoli lavoratori, posto che tale disposizione incrimina espressamente la rimozione o l'omissione dolosa di cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, i quali riguardano di solito singoli soggetti e non indistinte collettività di persone (cfr. Sez. 4, n. 57673 del 24/11/2017, Fenotti, Rv. 271693; Sez. 1, n. 12464 del 21/02/2007, L'Episcopo, Rv. 236431).

Nelle più recenti decisioni, si è invece affermato che ai fini della configurabilità dell'ipotesi delittuosa descritta dall'art. 437 c.p., è necessario che l'omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro si inserisca in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l'inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l'attitudine, almeno in via astratta, a pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori, o, comunque, di un numero di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro sufficiente a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo (così Sez. 1, n. 39091 del 15/4/2022, Nerini, n. m.; Sez. 1, n. 2547 del 30/9/2021, dep. 2022, Piccarella, n. m.; cfr. Sez. 4, n. 7939 del 25/11/2020, dep. 2021, L'Episcopo, Rv. 280928 - 01; Sez. 1, n. 4890 del 23/01/2018, dep. 2019, Prunas, Rv. 276164; Sez. 1, n. 18168 del 20/01/2016, Antonini, Rv. 266881; Sez. 1, n. 6393 del 02/12/2005, dep. 2006, Strazzarino, Rv. 233826).

Il collegio ritiene che il secondo indirizzo, che assegna centrale rilevanza al carattere di diffusività del pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro, debba essere preferito.

La collocazione sistematica della norma e la finalità cautelare da questa perseguita, infatti, impongono di ritenere che la corretta interpretazione della stessa sia quella nella quale si attribuisce rilievo all'astratta attitudine della condotta illecita a porre in pericolo l'incolumità pubblica, intesa come una comunità di lavoratori ovvero terze persone, non potendo ritenersi che la norma si riferisca a un rischio concreto circoscritto a un singolo soggetto (così da ultimo Sez. 1, n. 39091 del 15/4/2022, Nerini, n. m.; Sez. 1, n. 2547 del 30/9/2021, dep. 2022, Piccarella, n. m.).

In tale corretta prospettiva, d'altro canto, l'interprete per verificare la sussistenza del reato non può limitare la valutazione della potenziale offensività della condotta facendo riferimento ai soli soggetti materialmente coinvolti ma deve, invece, tenere conto dell'attitudine del comportamento illecito ad attingere tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con quell'ambiente lavorativo.

1.2. Nel caso di pecie la Corte territoriale, facendo anche riferimento alla pronuncia di primo grado, si è correttamente conformata ai principi ermeneutici citati.

Nella motivazione delle sentenze di merito, infatti, si è dato adeguato e coerente conto della circostanza che nel magazzino, oltre all'imputato, unico lavoratore formalmente dipendente, avevano avuto e avevano accesso anche altre e diverse persone.

Il giudice di primo grado, in particolare, ha fatto riferimento al precedente dipendente dell'azienda, alla madre del ricorrente, al padre dello stesso, alle necessità connesse al trasporto e allo scarico delle merci pesanti e ingombranti all'interno del magazzino e, da ultimo, anche all'ingresso di estranei, come in effetti in concreto avvenuto alla presenza dei tecnici della S.Pre.S.A.L., pure presenti all'interno del magazzino per motivi di servizio (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza di primo grado).

2. In calce al ricorso la difesa richiede di applicare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..

La richiesta non è ammissibile.

2.1. La richiesta di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 131 bis c.p., può essere formulata per la prima volta nel giudizio di legittimità solo qualora il giudice di merito non si sia, anche implicitamente, pronunciato sulla stessa e a condizione che nel ricorso siano indicati i presupposti legittimanti la pretesa applicazione di tale causa di proscioglimento (cfr. da ultimo Sez. 6, n. 5922 del 19/01/2023, Camerano, Rv. 284160 - 01).

2.2. Nel caso di specie la richiesta proposta, che non è stata presentata nel corso del giudizio, è generica, atteso che nel ricorso non è evidenziata alcuna ragione per la quale la pronuncia ai sensi dell'art. 131 bis c.p. avrebbe potuto essere emessa.

3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2023