Cassazione Penale, Sez. 4, 12 luglio 2023, n. 30169 - Omessa predisposizione di sistemi di protezione da cadute dall'alto
Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 06/04/2023
Fatto
1. La Corte di appello di Salerno l'11 ottobre 2022, in riforma della sentenza con cui il Tribunale di Salerno il 28 settembre 2021, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto M.C. e MI.CI. responsabili del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandoli alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, nei confronti della parte civile, ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili.
2. I fatti, in estrema sintesi, come ricostruiti dai Giudici di merito.
Il 13 novembre 2013 G.M., operaio dipendente della società in nome collettivo "CMC", di cui erano titolari l'odierno ricorrente M.C. e MI.CI., mentre lavorava, impegnato insieme ad altri due colleghi, a fissare una lamiera in ferro, stando in piedi sopra un trabattello posto a 1,52 metri da terra, in mancanza di opere provvisionali come cintura di sicurezza, reti o ponteggi, è rovinato a terra riportando lesioni guaribili in oltre quaranta giorni, in particolare un trauma cranio-encefalico determinante difficoltà di parola di grado moderato e demenza psichica tale da rendere la persona offesa non autosufficiente.
Si è ritenuto avere il datore di lavoro violato non già gli artt. 122 e 107 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per avere cioè omesso di predisporre sistemi di protezione da cadute dall'alto in presenza di una quota superiore a due metri, come contestato originariamente nell'editto, per avere violato la regola cautelare di cui al punto n. 1.7.3. dell'allegato IV al d. lgs. n. 81 del 2008, ritenendosi il trabattello sopra il quale era l'operaio non già un piano di caricamento, che non richiede protezioni, ma un vero e proprio piano di lavoro, che postula sistemi di sicurezza, a prescindere dall'altezza, anche se inferiore a due metri da terra.
3. Ricorrono per la cassazione della sentenza M.C. e MI.CI., tramite un medesimo ricorso curato da Difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali denunziano violazione di legge (tutti i motivi) e vizio di motivazione (il terzo motivo).
3.1. Con il primo motivo lamentano la nullità dell'avviso di fissazione di udienza in appello per il giorno 11 ottobre 2020, per avere la Corte di merito omesso di comunicare agli imputati la facoltà di chiedere di procedere in presenza.
3.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità di entrambe le sentenze di merito in relazione alla mancata notifica dell'avviso con cui l'udienza dibattimentale innanzi al Tribunale, originariamente fissata al 19 novembre 2019 ed erroneamente rinviata a sabato 14 marzo 2020, è stata poi differita con decreto emesso fuori udienza (l'8 aprile 2020) alla data del 23 ottobre 2020, senza dare avviso all'imputato, che, tuttavia, è stato - si ritiene, illegittimamente - dichiarato assente.
La Corte di appello, cui la questione è stata devoluta, ha disatteso la stessa ritenendo corretta la notificazione a mezzo di posta elettronica al Difensore, nel rispetto della disciplina posta dall'art. 83, comma 14, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27: tale ragionamento sarebbe però, ad avviso dei ricorrenti, erroneo ed avrebbe condotto a una decisione illegittima, in quanto il rinvio è stato disposto non già per ragioni imposte dalla normativa emergenziale e riconducibili alla pandemia ma solo a causa della constatazione che l'udienza era stata erroneamente fissata nel giorno di sabato.
3.3. Con l'ultimo motivo i ricorrenti censurano promiscuamente violazione di legge processuale e difetto di motivazione, per non avere la Corte territoriale valutato le allegazioni difensive, svolte sia nei motivi di appello sia in apposita memoria, circa la mancata correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), per non avere estromesso la parte civile per implicita rinunzia all'azione (artt. 75 e 82 cod. proc. pen.), avendo il Giudice del lavoro di Salerno sospeso con ordinanza del 4 ottobre 2020, allegata al ricorso, la causa civile pendente sino alla definizione del processo penale, per avere disatteso la doglianza di cui al secondo motivo di ricorso, per non avere spiegato per quale motivo l'imprenditore avrebbe dovuto adottare determinate cautele, nonostante si sia accertato che il lavoro non si svolgesse in quota e che il lavoratore agisse in posizione seduta e per avere mancato di scrutinare adeguatamente la condotta dell'imputato M.C. sotto il profilo degli addebiti colposi.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata e, comunque, la revoca delle statuizioni civili, previa estromissione della parte civile.
4. Il Procuratore generale nella requisitoria scritta del 16 marzo 2023 ha chiesto dichiararsi inammissibili le impugnazioni.
5. Con memoria pervenuta il 31 marzo 2023 la Difesa di M.C. e di MI.CI. ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
1. I ricorsi sono manifestamente infondati, per le seguenti ragioni.
2. Quanto al primo motivo (con oggetto la pretesa nullità dell'avviso di fissazione di udienza in appello per il giorno 11 ottobre 2020, per avere la Corte territoriale omesso di comunicare all'imputato la facoltà di chiedere di procedere in presenza), è agevole osservare come l'adempimento che si denunzia come omesso non è prescritto a pena di nullità e che, come noto, le nullità, nell'assetto codicistico, sono tassative.
3. Il secondo motivo (con il quale si lamenta la nullità di entrambe le sentenze di merito in relazione alla mancata notifica dell'avviso con cui l'udienza dibattimentale innanzi al Tribunale, originariamente fissata al 19 novembre 2019 ed erroneamente rinviata al 14 marzo 2020, sabato, è stata poi differita fuori udienza al 23 ottobre 2020, senza dare avviso all'imputato) è aspecifico, in quanto non indica se all'udienza di rinvio del 23 ottobre 2020 le parti siano state presenti o meno né quale attività sia stata loro impedita.
Non si comprende, poi, perché, in deroga alle disposizioni emergenziali vigenti a far data dal 17 marzo 2021 (per effetto del citato art. 83, comma 14, del decreto-legge n. 18 del 2020, convertito, con modificaz., nella legge n. 18 del 2020: «Le comunicazioni e le notificazioni degli avvisi e dei provvedimenti indicati al comma 13 agli imputati e alle altre parti sono eseguite mediante invio all'indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d'ufficio»), che prevedevano come destinatari degli avvisi, oltre al P.M., i soli Difensori si sarebbe dovuto nel caso di specie dare comunicazione personalmente all'imputato.
4. Quanto, infine, all'ultimo motivo (con cui si denuncia la illegittimità ed ingiustizia, sotto vari profili, della sentenza di appello, e si invoca la necessità di estromissione della parte civile e di revoca delle statuizioni civili), sfugge al ricorrente che si rinviene già adeguata risposta al riguardo alle pp. 3-4 della sentenza impugnata, ove si rileva la non coincidenza tra le azioni (innanzi al giudice penale ed al giudice del lavoro) sia in senso oggettivo che in senso soggettivo.
Inoltre, alla p. 4 della decisione impugnata si spiega, con motivazione non illogica né incongrua, che il piano ove il lavoratore era collocato non era da considerarsi piano di caricamento, che non richiede protezioni, ma vero e proprio piano di lavoro, che, benchè collocato ad altezza inferiore a due metri, rende necessaria la predisposizione di barriere o di altre cautele; e ciò - hanno spiegato i Giudici di merito - in applicazione della regola cautelare indicata al punto n. 1.7.3. dell'allegato IV al d. lgs. n. 81 del 2008. Si tratta di passaggio motivazionale con il quale il ricorrente, in realtà, non si confronta, risultando la relativa doglianza aspecifica ed assertiva nella parte in cui reitera la tesi, già disattesa dai giudici di merito, che il lavoratore operasse da seduto.
Ed è appena il caso di rammentare che l'azione civile è regolata dall'art. 75, comma 3, cod. proc. pen., come indicato dallo stesso giudice civile.
Infine, come osservato condivisibilmente dal P.G. (p. 1 della requisitoria), anche ove le denunziate nullità fossero sussistenti, un rinnovato scrutinio di merito condurrebbe ugualmente alla prescrizione, che è stata già dichiarata (infatti, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità, addirittura pur se di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva, cfr. Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511; e non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in presenza, come nel caso di specie, di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione, v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
5. In definitiva, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
Non ravvisandosi, ex art. 616 cod. proc. pen., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima conforme a diritto ed equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/04/2023.