Cassazione Penale, Sez. 4, 12 luglio 2023, n. 30174 - Caduta durante i lavori di potatura in quota. Responsabilità del datore di lavoro



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. RICCI Anna Luisa A. - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 26/01/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa RICCI ANNA LUISA ANGELA;

lette le conclusioni del PG che ha chiesto l'annullamento con rinvio limitatamente alla sostituzione della pena e il rigetto nel resto.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Brescia con sentenza del 26 gennaio 2022, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia di condanna di A.A., nella qualità di socio accomandatario della società "Studio Giardino di A.A. & C sas", in ordine al delitto di cui all'art. 590 c.p., commi 1 e 3, in danno del lavoratore B.B., commesso in (Omissis), ha ridotto la pena inflitta a mesi 1 di reclusione convertita nella multa di Euro 7500.

Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro descritto nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. B.B., dipendente della "Studio Giardino di A.A. & C sas", il (Omissis), mentre stava effettuando operazioni di potatura in quota, era caduto da una scala portatile doppia telescopica in alluminio ed aveva riportato lesioni personali gravi, consistite in trauma cranico con emorragia cerebrale, giudicate guaribili in giorni 241.

Quale addebito di colpa nei confronti di A.A. sono state individuate la negligenza, l'imprudenza e l'imperizia e la violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 70, comma 1, e art. 71, comma 1, per non aver messo a disposizione del lavoratore attrezzature idonee ai fini della sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere, in particolare, nel caso di specie in ragione del rischio caduta dall'alto, quali una scala a palchetto.

2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, formulando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti. Il difensore rileva che il compito assegnato al lavoratore consisteva nella potatura di un'edera che intralciava il passaggio delle persone e che pendeva dalla pensilina d'ingresso di un'autorimessa sotterranea, alta 2,50 metri e larga circa 3 metri: i lavori dovevano, dunque, essere effettuati ad un'altezza certamente più bassa, ossia ad un'altezza di 2,20 metri (corrispondenti ad un'altezza di 2,50 metri del manufatto da cui andavano scomputati 30 cm della soletta in cemento armato che doveva rimanere coperta dall'edera). Posto che l'altezza dell'uomo medio con il braccio alzato è di 2.25 metri, il lavoratore, per eseguire il compito demandatogli, non necessitava della scala. Il lavoratore, inoltre, aveva la disponibilità di una cesoia munita di prolunga di ben 2 metri e di trancia con manico lungo 40 cm a cui andavano aggiunti i 10 cm delle lame, sicchè doveva escludersi che fosse stato chiamato a svolgere un lavoro in quota: stando con i piedi ben saldi a terra e lavorando a braccia distese, B.B. avrebbe raggiunto un'altezza superiore a quella dell'edera da tagliare. Lo stesso lavoratore, quando gli erano state chieste le ragioni del mancato impiego del caschetto, aveva replicato di non essere tenuto al suo utilizzo in caso di potature basse effettuate da terra e, quindi, senza pericolo di caduta; il manuale Inail 2015 non prevedeva l'utilizzo della scala a palchetto, fra l'altro nel caso di specie incompatibile con l'angusto stato dei luoghi. In replica a tali doglianze, già sollevate con i motivi di impugnazione, la Corte di Appello si era limitata a richiamare le dichiarazioni della persona offesa in ordine al fatto che la cesoia sarebbe stata idonea a tagliare solo alcuni rametti e a ribadire che la lavorazione doveva essere eseguita in altezza.

2.2. Con il secondo motivo; ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla mancata configurazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.. La Corte di Appello si era limitata a richiamare, in tal senso, la gravità delle lesioni riportate dal lavoratore, senza tenere conto che la pena per le lesioni gravi rientra nei limiti di applicabilità della causa di non punibilità; la Corte non aveva, comunque, considerato che A.A. aveva ottemperato a tutti gli adempimenti su di lui gravanti e aveva predisposto il Documento di Valutazione del Rischio; che il lavoratore era stato adeguatamente formato e informato; che il trauma cranico ripotato dalla vittima era stato lieve; infine, che nell'azienda, operante da diversi anni, vi era stato un contenuto numero di infortuni, sempre per fatti lievi.

2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al ragguaglio operato fra pena detentiva e pena pecuniaria. La sentenza impugnata aveva calcolato, quale criterio di ragguaglio, la somma di 250 Euro per ogni giorno di pena detentiva. Tuttavia tale criterio era stato ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 28/22, ha previsto che il valore giornaliero non possa essere inferiore a 75 Euro e non possa superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 c.p..

3. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto Dott. Romano Giulio, ha chiesto l'annullamento con rinvio limitatamente alla sostituzione della pena e il rigetto nel resto.

 

Diritto


1. Il ricorso deve essere accolto quanto al terzo motivo e rigettato nel resto.

2. Quanto al primo motivo, inerente la ricostruzione della dinamica dell'infortunio e la responsabilità dell'imputato, va innanzitutto premesso che in caso di conformità, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile, al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità (Sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 dep. 1994, Albergamo e altri, Rv. 197250). Quanto alla natura del ricorso in cassazione, si è affermato che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo Rv. 254584). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

2.1. Ciò premesso si osserva che, nelle sentenze di merito, la ricostruzione dell'accaduto si era fondata sulle dichiarazioni dell'infortunato, il quale aveva spiegato che la cesoia di cui disponeva serviva solo per tagliare i rametti più piccoli, mentre per svolgere il lavoro in quota affidatogli era dovuto salire su una scala: quella utilizzata, ovvero una scala telescopica in alluminio, era inidonea sotto il profilo della sicurezza. Tale circostanza era stata confermata dallo stesso Documento di Valutazione del Rischio redatto dal datore di lavoro che ne vietava l'uso per i lavori in quota come quello in oggetto.

A fronte di tale ricostruzione, dalla quale discende l'addebito di colpa nei confronti del datore di lavoro, per non avere messo a disposizione del lavoratore attrezzature idonee al lavoro da compiere, il ricorrente ha ipotizzato che l'iniziativa di usare la scala sarebbe stata assunta dal lavoratore, senza che ve ne fosse stata la necessità, in tal modo prospettando una inammissibile diversa lettura delle circostanze di fatto.

La censura, in ogni caso, non si confronta con il principio informatore della materia degli infortuni sul lavoro, per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, Rv.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi che la condotta del lavoratore è idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato. In merito al riconoscimento (o diniego) della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., il giudice deve motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, dep. 2019, Venezia, Rv. 275940). Il giudizio sulla tenuità dell'offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., comma 1, (a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022 D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, ex art. 6, anche della condotta susseguente al reato), ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 n. 55107 del 8/11/2018, Milone, Rv. 274647; sez. 3 n. 34151 del 18/6/2018, Foglietta, Rv. 273678). Peraltro la richiesta di applicazione della causa di non punibilità deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice, qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, Rv. 282097-01), sicchè la motivazione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 c.p., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (ex plurimis, Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635; Sez. 4 n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate Rv. 283420).

3.1. La Corte di appello ha dato conto delle ragioni per le quali il fatto non poteva essere considerato di particolare tenuità con un richiamo, pertinente e conforme al dettato normativo, al grado della colpa e alla gravità delle lesioni: sotto tale ultimo profilo i giudici hanno inteso riferirsi, come emerge dalla struttura argomentativa della sentenza nel suo complesso, alla entità in concreto delle lesioni patite dalla persona offesa e non già al titolo di reato in astratto. A fronte della valorizzazione di tali elementi, i giudici non erano tenuti a prendere in considerazione, nello specifico, i presunti elementi di segno contrario prospettati dal ricorrente (quale quello relativo al numero asseritamente contenuto di infortuni registrati nell'azienda), peraltro estranei ai parametri che il giudice deve prendere in considerazione nella valutazione della tenuità dell'offesa.

4. Il terzo motivo è, invece, fondato. La Corte di Appello (così come il Tribunale), ha operato la sostituzione della pena detentiva, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, in pena pecuniaria, considerando un giorno di pena detentiva pari a 250 Euro di pena pecuniaria. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 28 depositata il 1 febbraio 2022 e quindi in data successiva alla pronuncia della Corte di Appello, ha stabilito la illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2, nella parte in cui prevede che "il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. e non può superare di dieci volte tale ammontare", anzichè "Il valore giornaliero non può essere inferiore a 75 Euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 c.p.".

Il ragguaglio, dunque, è stato effettuato in modo non conforme al dettato normativo, così come risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità della L. n. 689 del 1981, art. 53.

5. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente all'applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 53, nel testo risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 28 del 1 febbraio 2022, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 53, nel testo risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 28 del 1 febbraio 2022, e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2023