Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 luglio 2023, n. 19767 - Risarcimento del danno differenziale connesso all'attività di addetto alla costruzione a manutenzione di elettrodotti



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAGATTA Antonella - Presidente -

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere -

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere -

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -

Dott. MICHELINI Gualtiero - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA



sul ricorso iscritto al n. 19039/2021 R.G. proposto da:

(Omissis) Spa già (Omissis) Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI, n. 6, presso lo studio dell'avvocato FURIO TARTAGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato STEFANO MATTEI;

-ricorrente principale e controricorrente al ricorso incidentale-

contro

A.A., B.B., C.C., nella qualità di eredi del Sig. D.D., elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC degli avvocati GIANFRANCO DE CORSO, GABRIELE INELLA, MARIA ANTONIETTA DE SANTIS;

-controricorrente e ricorrente incidentale-

nonché contro

GENERALI ITALIA Spa già (Omissis) Spa in Data pubblicazione 11/07/2023 persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l'indirizzo PEC dell'avvocato EMANUELA MINUTOLO, che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO n. 220/2020, pubblicata il 25/02/2021, R.G.N. 224/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2023 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

 

Fatto


1. D.D. ha agito in giudizio per vedersi riconosciuto il risarcimento del danno differenziale connesso all'attività di addetto alla costruzione a manutenzione di elettrodotti svolta alle dipendenze di (Omissis) (sino al 2000); ha allegato che tale attività comportava la movimentazione manuale dei carichi, l'esposizione a vibrazioni ed a posture incongrue nonchè agli eventi climatici; ha allegato la violazione da parte della datrice di lavoro delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;

2. il Tribunale di Isernia, previo espletamento di prova testimoniale e CTU medico-legale, ha respinto la domanda;

3. la Corte di Appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rinnovata la CTU, ha condannato (Omissis) Spa a corrispondere agli eredi di parte appellante (costituiti a seguito di decesso dell'appellante in corso di causa) a titolo di risarcimento del danno differenziale da malattia professionale la somma di Euro 75.704,29, oltre accessori; ha ritenuto il giudice di appello: a) che gli elementi in atti avevano confermato lo svolgimento dell'attività dedotta ed il carattere morbigeno della stessa nonchè il nesso causale con le patologie denunziate dal ricorrente, come tra l'altro confermato dall'accoglimento in sede giudiziale della domanda di indennizzo all'INAIL; b) che la società datrice di lavoro, sulla quale ricadeva il relativo onere, non aveva dimostrato di avere adottato le cautele dirette ad eliminare o ridurre il rischio specifico connesso all'attività prestata, di avere attuato la sorveglianza sanitaria periodica annuale, di avere garantito la formazione/informazione dei lavoratori sui rischi specifici e le misure di prevenzione obbligatorie, di avere in concreto effettuato la valutazione dei rischi; c) che era condivisibile la percentuale, pari al 25%, attribuita dal consulente tecnico d'ufficio; in ragione di tale percentuale e sulla base delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, l'ammontare del danno differenziale veniva liquidato previa detrazione della quota corrispondente al valore capitale della rendita liquidata dall'INAIL per il solo danno biologico; è stata respinta la domanda di manleva proposta dalla società datrice nei confronti Generali Italia s.p.a.;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (Omissis) Spa sulla base di 8 motivi; gli eredi di D.D. hanno resistito con controricorso, e hanno proposto ricorso incidentale in relazione alle spese di lite liquidate per le fasi di merito, cui la società ha resistito con controricorso al ricorso incidentale; la compagnia assicuratrice ha resistito con controricorso al ricorso principale; tutte le parti hanno depositato memoria.

 

Diritto


1. con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell'art. 2943 c.c., nonchè degli artt. 1362 ss. c.c. in relazione alla lettera del difensore del 15/5/2006 considerata interruttiva della prescrizione e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio;

2. il motivo non è fondato;

3. va ribadito il principio affermato in sede di legittimità (per tutte Cass. n. 11416/2018) secondo il quale, in tema di interpretazione di un atto di costituzione in mora, la sua natura di atto giuridico in senso stretto (nonchè recettizio) non consente l'applicabilità diretta ed immediata dei principi sui vizi del volere e della capacità dettati in tema di atti negoziali, ma legittima il ricorso, in via analogica, alle regole di ermeneutica, in quanto compatibili, degli atti negoziali stessi, con la conseguenza che tale attività interpretativa si traduce in un'indagine di fatto istituzionalmente affidata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità nei soli casi di inadeguatezza della motivazione - tale, cioè, da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito dal giudice per giungere all'attribuzione di un certo contenuto (e di una certa significazione) all'atto in esame - ovvero di inosservanza delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto: vizi, questi, non ravvisabili nella motivazione della gravata sentenza;

4. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, censurando la sentenza impugnata per avere omesso di verificare la sussistenza del presupposto di applicabilità dell'art. 10 cit., rappresentato dall'esistenza di una condanna penale o comunque dalla configurabilità di una condotta penalmente rilevante a carico della parte datrice di lavoro;

5. con il terzo motivo deduce in via gradata violazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 164 del 1965, dell'art. 37 c.c.n.l. 1973, degli artt. 4, 24, 33, 34 D.P.R. n. 303 del 1956 e relativa Tabella nonchè del d. lgs. n. 626 del 1994, artt. 4,16,21 e 22, in relazione al profilo dell'omessa sorveglianza sanitaria;

6. con il quarto motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2697 c.c., 4 d. lgs. n. 626/1994, 11 preleggi in relazione al profilo della omessa considerazione della movimentazione manuale dei carichi da parte e dei rischi per posture incongrue del Documento valutazione dei rischi elaborato dalla società datrice di lavoro;

7. con il quinto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e degli artt. 115, 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all'omessa dimostrazione da parte dell'(Omissis) di avere adottato tutte le cautele possibili per l'attenuazione dei rischi specifici e nullità del procedimento;

8. con il sesto motivo parte ricorrente deduce falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. e violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. in relazione al profilo dell'omessa sorveglianza sanitaria, sebbene non fosse stata fornita alcuna allegazione e prova oggettiva del fatto che la suddetta sorveglianza avrebbe consentito di evitare le patologie in evoluzione;

9. con il settimo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 112, 113, 115, 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp att. c.p.c., nullità del procedimento e violazione e falsa applicazione del d. lgs n. 38/2000 quanto alle Tabelle sulle menomazioni, omesso esame di fatti decisivi; si censura, in sintesi, la sentenza impugnata per non avere motivato sulle critiche formulate dalla società alla consulenza tecnica d'ufficio in punto di nesso eziologico fra le attività lavorative prestate da controparte e l'insorgenza delle patologie e sulla stima della percentuale di inabilità; in relazione a questo profilo si denunzia errore di percezione in ordine al grado di inabilità, apparenza di motivazione e nullità del procedimento;

10. i predetti motivi sono complessivamente infondati; essi sono stati tutti esaminati in numerosi precedenti di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, e le cui motivazioni qui si richiamano, anche per relationem (tra cui Cass. n. 7385/2022, n. 7390/2022, n. 7471/2022, n. 9160/2022, n. 9309/2022, n. 10115/2022, n. 28946/2022, n. 28968/2022, n. 30977/2022, n. 31048/2022, n. 31852/2022, n. 31853/2022, n. 31956/2022);

11. la pronuncia resa dalla Corte di Appello ha accertato la responsabilità del datore con criteri di tipo civilistico, conformemente all'orientamento consolidato espresso da questa Suprema Corte (Cass. n. 9166/2017, n. 27699/2017, n. 12041/2020, n. 17655/2020); già con la sentenza n. 9817/2008, cui sono seguite pronunce di analogo tenore, il giudice di legittimità ha affermato che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c. sull'inadempimento delle obbligazioni; ne consegue che il lavoratore deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno;

12. da una panoramica complessiva del sistema normativo vigente e della giurisprudenza costituzionale sul tema dei rapporti tra giudizio civile e penale emerge come l'attuale sistema si caratterizzi per la pressochè completa autonomia e separazione tra i due giudizi, per cui il giudizio civile inizia e procede senza essere condizionato da quello penale; invero, le numerose pronunce del Giudice delle leggi che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni hanno esteso la responsabilità del datore di lavoro, prima limitata agli eventi derivati da fatto imputabile ai soli incaricati della direzione o della sorveglianza dei lavoratori, anche a quelli commessi da qualunque altro dipendente di cui dovesse rispondere ex art. 2049 c.c. (sentenza n. 22 del 1967); hanno dichiarato l'incostituzionalità del D.P.R. n. 1124 del 1965, comma 5 dell'art. 10, nella parte in cui consentiva al giudice civile di accertare incidentalmente il fatto reato soltanto nell'ipotesi di estinzione dell'azione penale per morte dell'imputato e per amnistia, e non anche per prescrizione del reato; con successive pronunce, unitamente a modifiche normative, si è sostanzialmente decretata la fine della pregiudizialità penale; con la sentenza n. 102 del 1981 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 5 dell'art. 10 cit., "nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione"; inoltre ha dichiarato illegittime le norme impugnate, "nella parte in cui precludono al giudice civile di valutare i fatti dinanzi a lui dedotti in maniera diversa da quella ritenuta in sede penale, anche nei confronti del datore di lavoro che non sia stato posto in condizioni di partecipare al relativo procedimento"; la sentenza n. 118 del 1986 ha esteso la declaratoria di illegittimità in favore dell'infortunato nel caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, si sia concluso con un provvedimento di archiviazione o proscioglimento in sede istruttoria; con la sentenza n. 372 del 1988 la Corte costituzionale ha, poi, chiarito che pure il diritto di regresso dell'INAIL prescinde "dalla sorte contingente del procedimento penale" ed anche in sede di legittimità è pacifico che l'Istituto non debba necessariamente attendere l'instaurazione o l'esito del giudizio penale (Cass. n. 9601/2001, n. 5578/2003);

13. questo progressivo percorso di autonomizzazione del giudizio civile da quello penale è culminato con l'adozione del nuovo codice di procedura penale, che ha abbandonato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità dei diversi ordini giurisdizionali e della loro reciproca indipendenza, soprattutto a seguito della modifica dell'art. 295 c.p.c., che ha limitato i casi di sospensione necessaria alle ipotesi previste dall'art. 75, comma 3, c.p.p. da interpretarsi restrittivamente, stante il favore per la separazione dei giudizi con implicita accettazione del rischio di giudicati difformi; a seguito di questi mutamenti l'esonero non costituisce più una regola, bensì un elemento tendenzialmente recessivo rispetto all'esigenza prioritaria di assicurare alla vittima dell'infortunio, per i profili non coperti da indennizzo, una integrale riparazione del danno alla persona, pertanto, la "condanna penale", che risulta ancora presente nella formulazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, comma 2 dell'art. 10, ha perduto del tutto la sua valenza prescrittiva, non solo perchè sostituita dall'accertamento, in sede civile, del fatto che costituisce reato, ma anche perchè non assolve più all'originaria funzione per cui era stata concepita, che era quella di disciplinare i rapporti di un pregiudiziale e prevalente procedimento penale rispetto ad un eventuale giudizio civile;

14. in questo ambito la disciplina di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 ss. deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in relazione all'elemento soggettivo della colpa e al nesso causale fra fatto ed evento dannoso; dall'allegazione fornita dal lavoratore in ordine alla sussistenza di gravi infortuni o patologie professionali e alla presenza di condizioni di lavoro incompatibili con lo stato di salute, la Corte territoriale ha affermato la responsabilità datoriale per violazione quantomeno dell'art. 2087 c.c. (posto che il lavoratore non deve essere mai posto ad operare in condizioni di lavoro nocive); ciò vale ad integrare, ad un tempo, sia l'illiceità penale del fatto ex art. 10 T.U., sia l'esistenza dei requisiti occorrenti per la liquidazione del danno differenziale;

15. quanto alle censure relative agli accertamenti in fatto, non possono trovare ingresso in sede di legittimità le deduzioni relative al significato probatorio della documentazione in quanto, a prescindere dalla genericità della doglianza sul punto, tali documenti, in violazione del disposto dell'art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., non sono specificamente individuati, nè è trascritto il relativo contenuto e neppure indicata la sede di relativa produzione come prescritto (Cass. n. 29093/2018, n. 195/2016, n. 16900/2015, n. 26174/2014, n. 22607/2014, S.U. n. 7161/2010); le critiche sviluppate investono il giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato, come nello specifico;

16. tanto premesso, fermo l'accertamento del giudice di merito, non vi è spazio per ritenere il vizio di sussunzione sostanzialmente denunziato dalla società ricorrente in relazione alle attività svolte dal dipendente, in quanto l'utilizzo di strumenti vibranti, espressamente previsto dalla tabella allegata al D.P.R. n. 303 del 1956, determinava l'obbligo per la società datrice della sorveglianza sanitaria; le caratteristiche dell'attività prestata, come in sentenza ricostruite, implicavano inoltre l'adozione delle necessarie misure di prevenzione; quanto al DVR, il relativo apprezzamento sotto il profilo della completezza ed effettività della valutazione appartiene al merito ed è insindacabile in sede di legittimità; in relazione alla violazione riferita al contratto collettivo del 1973 si rileva che la Corte ha accertato, con apprezzamento insindacabile in questa sede perchè adeguatamente motivato, che le mansioni cui era adibito il lavoratore rientravano nell'ipotesi prevista dalla lettera i dell'art. 37 CCNL (Omissis) ("personale che presta la propria opera in condizione di particolare gravosità e disagio") e che tanto comportava il dovere per la società datrice di adottare tutele ulteriori e diversificate quali, in particolare, l'avvicendamento tra i lavoratori che prestavano la loro opera nelle predette condizioni e la sottoposizione a controlli medici necessari a prevenire il verificarsi di conseguenze dannose per la relativa integrità;

17. l'esame delle concrete mansioni svolte dal dipendente, così come l'ambiente in cui egli si trovava a prestare la propria attività, hanno condotto i Giudici di seconde cure a ritenere che ricorressero i presupposti operativi richiesti dalla normativa speciale, che prevede obblighi di sorveglianza gravanti sul datore, aggiuntivi e ulteriori rispetto a quelli previsti in via generale, stante la natura particolarmente gravosa delle mansioni svolte;

18. gli ulteriori profili di censura attengono altresì al merito e aspirano ad ottenere una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, già ampiamente esaminate dalla Corte territoriale; i Giudici di seconde cure, infatti, si sono conformati al consolidato orientamento di questa Suprema Corte che ha specificato che grava sul lavoratore l'onere di provare di aver subito un danno a causa dell'attività svolta, nonchè il nesso di causalità tra l'uno e l'altra, mentre incombe sul datore l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie al fine di evitare il danno, ricomprendendosi in questa categoria anche quelle misure di sicurezza cd. innominate, intendendosi quelle non espressamente contemplate dalla legge, ma comunque fondate su conoscenze tecnico-scientifiche o su altre fonti analoghe (Cass. n. 10319/2017, n. 29879/2019, n. 12041/2020);

19. è altresì inammissibile la doglianza con cui parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norma di diritto, contesta in realtà il concreto accertamento dell'esistenza del nesso di causalità tra condotta datoriale e patologia, nesso che è frutto di un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito;

20. d'altra parte, l'omesso esame denunziato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è prospettato con riferimento ad una deduzione difensiva anzichè a un fatto in senso storico- fenomenico come richiesto alla luce della condivisibile interpretazione dell'attuale configurazione del vizio di motivazione (ex plurimis, v. Cass. S. U. n. 8053/2014);

21. neppure è fondata la denunzia di motivazione apparente affidata ad affermazioni apodittiche che non si confrontano con le argomentazioni dei Giudici di merito, i quali hanno chiarito il percorso alla base dell'accertamento della responsabilità datoriale, in particolare facendo riferimento agli esiti della consulenza tecnica d'ufficio ed alla produzione documentale, nonchè alle deposizioni testimoniali raccolte in primo grado;

22. la censura relativa alla decisione della Corte di appello di aderire alle risultanze peritali non è ammissibile, perchè non indica in maniera chiara e specifica quale sia il fatto storico di cui assume l'omesso l'esame, perchè non sono rinvenibili i vizi di motivazione denunciati, perchè la motivazione è espressa in termini aderenti al principio del cd. minimo costituzionale;

23. questa Corte ha in più occasioni chiarito che il giudice di merito può legittimamente fare richiamo alle risultanze emergenti dalla CTU, non essendo necessario che vengano fornite ulteriori motivazioni in ordine all'adesione all'elaborato peritale (Cass. n. 282/2009, n. 1815/2015);

24. l'accertamento del nesso causale tra le omissioni riscontrate a carico della società datrice di lavoro e la patologia sofferta dal lavoratore costituisce tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito; le doglianze di parte ricorrente non riguardano la omessa considerazione di un fatto storico - fenomenico, risultante dalla sentenza o dagli atti di causa, ma solo la mancata motivazione in ordine alle note critiche depositate dall'(Omissis) sul metodo e le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente tecnico di ufficio, omissioni che oltre ad essere indimostrate ed a risultare comunque superate dalla dichiarata adesione del giudice di appello agli esiti della consulenza tecnica di ufficio, risultano intrinsecamente inidonee a dare contezza dell'errore in tesi ascritto alla sentenza impugnata nell'affermare il nesso di causalità tra la condotta omissiva della società e le patologie del lavoratore;

25. con l'ottavo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1368 c.c. con riferimento alla polizza assicurativa stipulata da (Omissis), censurando il rigetto della domanda di manleva proposta dalla società nei confronti della Compagnia assicuratrice;

26. esso è infondato, poichè parte ricorrente non specifica in maniera chiara e precisa i vizi esegetici in cui è incorsa la Corte territoriale nell'interpretare il contratto di assicurazione e nel rigettare, in particolare, la domanda di manleva, non sussistendo, peraltro, alcuna contraddizione tra la mancata considerazione del rilievo penale della condotta datoriale e il rigetto della suddetta domanda di manleva; invero, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile avanti al giudice di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.; pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 27136/2017); la censura, quindi, non può risolversi, come avvenuto nel caso di specie, nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (Cass. n. 28319/2017, n. 9461/2021);

27. è fondato il motivo di ricorso incidentale che investe il regolamento delle spese di lite dei giudizi di merito quantificate dalla sentenza impugnata nella misura complessiva di Euro 3.000 per compensi professionali riferita ad entrambi i gradi del giudizio;

28. premesso il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancito dalla L. n. 794 del 1942, art. 24, si osserva che a mente del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, nella liquidazione dei compensi il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola fino all'80 per cento o diminuiti fino al 50 per cento, con la precisazione che per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione fino al 70 per cento; nello specifico, in applicazione del criterio del decisum sancito dal v, art. 5, comma 1, terzo periodo, la individuazione dei valori di riferimento avrebbe dovuto essere effettuata in ragione dell'importo in concreto liquidato dal giudice di secondo grado, pari a Euro 75.704,29, in relazione a quanto previsto dalla tabella allegata al D.M. n. per le cause di lavoro di valore compreso tra C 52.001 a C 260.000, e per le cause di appello del medesimo scaglione; la Corte di merito non si è attenuta a tale parametro, ma ha liquidato le spese di lite in misura largamente inferiore;

29. a tanto consegue la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto; pertanto le spese di lite dei gradi di merito, determinate in applicazione di quanto previsto dalla tabella allegata al D.M. n., con riduzione dei valori medi in considerazione della natura seriale della controversia, sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori antistatari;

30. alla stregua di quanto sopra esposto il ricorso principale va rigettato e le spese di lite del presente giudizio regolate secondo soccombenza, con liquidazione come da dispositivo, e con distrazione in favore dei difensori degli eredi dell'originario ricorrente dichiaratisi antistatari;

31. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna (Omissis) Spa alla rifusione agli eredi di D.D. delle spese di lite del giudizio di primo grado, che liquida in Euro 7.000 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi, e delle spese di lite del giudizio di appello, che liquida in Euro 7.500 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi; condanna parte ricorrente principale alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.500 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, per ciascuna parte controricorrente, con distrazione quanto ai difensori degli eredi di D.D..

Oscuramento imposto dalla legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte controricorrente e ricorrente incidentale a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2023