Cassazione Penale, Sez. 4, 25 maggio 2023, n. 22683 - La responsabilità dell'ente per il reato di lesione personale colposa in danno del lavoratore infortunato non può essere esclusa per esiguità del vantaggio o scarsa consistenza di interesse


 

 


La responsabilità dell'ente per il reato di lesione personale colposa in danno di lavoratore infortunato non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito.
Ai fini della responsabilità dell'ente per il reato di lesione personale colposa in danno di lavoratore infortunato, il Modello organizzativo adottato non risulta efficacemente attuato, ove non preveda una costante attività di monitoraggio sulle misure prevenzionistiche approntate in azienda e di adeguamento della specifica procedura lavorativa ai rischi propri dell'attività oggetto di infortunio.
 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. NOCERA Andrea - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

NIDEC ASI Spa ;

avverso la sentenza del 02/02/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VINCENZO PEZZELLA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. Dr. COSTANTINI FRANCESCA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Udito il difensore avvocato CATTARINI RICCARDO del Foro di GORIZIA in difesa della NIDEC ASI Spa che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del Tribunale monocratico di Gorizia, resa in data 10/7/2020, A.A. veniva condannato, all'esito di giudizio ordinario, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche alla pena di mesi due di reclusione in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., comma 1, 2 e 3, per aver cagionato nella sua qualità di legale rappresentante della NIDEC ASI Spa avente sede in (Omissis) e con stabilimento in (Omissis), a B.B., dipendente presso detta azienda con mansioni di montatore meccanico lesioni personali colpose, trauma da schiacciamento al pollice della mano sinistra con frattura composta all'apice della falange ungueale guarita in 60 giorni, per colpa specifica, consistita in violazione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, in particolare nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28, comma 2 lett. b" non avendo il datore di lavoro valutato il rischio specifico e quindi non avendo previsto specifiche procedure ovvero altro sistema di prevenzione e protezione relativamente alla fase specifica della lavorazione denominata calettamento, svolta in particolare dalla figura professionale del montatore, nonchè in generale dall'art. 2087 c.c., non essendo state adottate le misure necessarie alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore; nella specie, dovendo B.B. togliere da un motore verticale la campana di un giunto alloggiata sull'albero del motore stesso, essendo il pezzo da togliere appoggiato alla macchina mediante fascette di plastica, in corrispondenza del corpo di macchina, posizionandosi sotto il motore, provvedendo B.B. a tagliare una fascetta con la mano destra, mentre con la sinistra reggeva il pezzo, inclinandosi tuttavia durante questa operazione, la campana schiacciandogli il primo dito della mano sinistra tra la campana stessa e l'albero motore, cosi procurando le lesioni sotto indicate. In (Omissis) il 5 dicembre 2313. Con la stessa sentenza alla Nidec ASI Spa veniva irrogata la sanzione di 50 quote da Euro 300 ciascuna e il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per due mesi in quanto ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25 septies, comma 3, in relazione all'art. 590 c.p., comma 3 per avere cagionato il reato di cui sub A), nonostante la presenza del documento di organizzazione adottato ex D.Lgs. n. 231, non efficacemente attuato in relazione alle lavorazioni svolte dall'infortunato, risultando evidente il vantaggio dell'ente in relazione all'illecito commesso dal suo amministratore unico, illecito determinato dalla scarsa cura dei luoghi di lavoro e comporta un evidente ri Spa rmio di tempo e di denaro. In (Omissis) 5 dicembre 2013 La Corte di Appello di Trieste, pronunciando sul gravame nel merito proposto da A.A. e dall'odierna ricorrente NIDEC ASI Spa , con sentenza del 2/2/2022, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A. per essersi il reato ascrittogli estinto per intervenuta prescrizione, ha revocato la sanzione del divieto di contrattare con la PA disposta a carico dell'ente e ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

E' rimasta in piedi, pertanto, la sanzione di 500 quote da 300 Euro ciascuna a carico di NIDEC ASI Spa .

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, NIDEC ASI Spa deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con il primo motivo il difensore ricorrente lamenta omessa decisione su uno specifico motivo di appello costituito dall'impugnazione dell'ordinanza dibattimentale di rigetto dell'eccezione di nullità relativa all'irregolare formazione del fascicolo di indagini preliminari.

Il ricorrente espone che il fascicolo di indagini preliminari è stato formato in maniera definita illegale, in quanto nello stesso sono confluiti atti relativi ad altri procedimenti riguardanti soggetti terzi estranei alla vicenda.

Lo stesso fascicolo -prosegue il ricorso- veniva depositato perchè il Tribunale si pronunciasse sulla questione, ma il giudice monocratico, pur constatando ii fondamento fattuale dell'eccezione, la respingeva, disponendo l'apertura del dibattimento.

L'ordinanza veniva impugnata con i motivi di appello dal A.A. e l'odierna ricorrente vi faceva espressamente richiamo, rilevando che il fascicolo come formato rendesse impossibile comprendere alla difesa di quali atti intendesse avvalersi in giudizio l'accusa, con violazione del giusto processo, previsto dall'art. 111 Cost..

L'esame del motivo -si sottolinea in ricorso- era di estrema importanza per la difesa della NIDEC ASI Spa , sia formalmente per il richiamo ai motivi proposto dal A.A. che sostanzialmente perchè era stata pregiudicata la difesa per l'incol-pazione amministrativa.

Ci si duole che la sentenza impugnata nulla dica sul punto, nonostante l'obbligo di esaminare il motivo non sia venuto meno per effetto della declaratoria di intervenuta prescrizione.

Con il secondo motivo ci si duole di violazione dell'art. 590 in relazione all'aggravante di cui all'art. 583 c.p. per mancato riconoscimento della procedibilità a querela di parte, previa declaratoria di insussistenza dell'aggravante contestata.

Si espone che nel corso dei giudizi di merito si era sostenuto che le lesioni subite dalla persona offesa non superassero i 40 giorni, determinando l'insussistenza dell'aggravante contestata.

In particolare, nei motivi di appello, proposti dal A.A. e richiamati dall'odierna ricorrente, si era rilevata l'insussistenza dell'aggravante in quanto le dichiarazioni del consulente del P.M., riportate nella decisione di primo e di secondo grado, affermavano che dopo 40 giorni dall'incidente fossero presenti i segni della frattura e l'arrossamento e che fosse stato prescritto un ciclo di fisioterapia non praticabile in orario di lavoro. Pertanto, questa è la ragione dell'assenza dal lavoro e non la durata della malattia.

Si espone che nei motivi di appello si era rilevato che tale situazione non costituisse incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni prevista dall'aggravante contestata.

Ci si duole della contraddittorietà della motivazione resa sul punto nella sentenza impugnata laddove la corte distrettuale prima richiama l'orientamento che ravvisa lo stato di malattia qualora vi sia un apprezzabile riduzione della funzionalità e poi si discosta dallo stesso principio, fondando il rigetto del motivo di appello su presunte ma inesistenti dichiarazioni del consulente.

In nessun conto viene tenuto il fatto che dal compendio probatorio fosse emerso che la parte lesa era ben capace di attendere alle sue ordinarie occupazioni di operaio metalmeccanico prima dei quaranta giorni dal sinistro.

Si precisa che in questa sede non viene richiesta una rivalutazione del compendio probatorio ma la rilevazione di un evidente errore di diritto sulla definizione di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni di cui all'art. 583 c.p..

Con il terzo motivo ci si duole dell'errata attribuzione della posizione di garanzia all'imputato persona fisica, nonchè della qualità di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 1, lett. A), con conseguente contraddittorietà e assenza di motivazione.

Si contesta l'attribuzione perchè fatta su elementi inaffidabili, ossia una lettera scritta da altri ed un pagamento effettuato di modesto importo.

Ci si duole di omessa motivazione sulla prova della qualità di datore di lavoro e sulla posizione di garanzia. Inoltre, non sarebbe precisato quale tra le varie fattispecie previste dall'art. 5 si concretizzi in capo all'imputato.

Si rileva che lo stabilimento di (Omissis) mancherebbe dell'autonomia finanziaria e funzionale, essendo solo una sede operativa come risulta dalla visura prodotta in atti.

Peraltro, si precisa che anche l'odierna ricorrente non gode di particolare autonomia essendo la filiale italiana di un'importante multinazionale giapponese, che decide nei dettagli anche le dimensioni e il numero di addetti per ciascuna unità produttiva, anche piccola come quella in cui operava l'imputato Con il quarto motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 6 e 25 septies.

Si contesta l'attribuzione di responsabilità operata nell'impugnata sentenza sul presupposto che nel modello organizzativo mancherebbe "la previsione di una costante attività di monitoraggio sulle misure prevenzionistiche approntate in azienda e di adeguamento della specifica procedura lavorativa ai rischi propri dell'attività dei montatori".

Tale motivazione non sarebbe convincente in quanto, non solo la stessa torte di appello da atto della bontà del modello organizzativo adottato, ma non vi è alcuna norma del D.Lgs. n. 231 del 2001 che imponga tale dovere, nè è stato mai svolto alcun accertamento su quanto messo in atto dall'organismo di vigilanza.

Di conseguenza la condanna sarebbe stata pronunciata sulla base di un obbligo non previsto dalla legge e utilizzando un elemento probatorio inesistente.

Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata con ogni inerente e conseguente provvedimento di legge anche in ordine all'eventuale giudizio di rinvio.

Le parti hanno poi concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe in epigrafe.
 

 

Diritto

 


1. Il proposto ricorso è inammissibile.

2. Quanto ai primi due motivi la NIDEC Spa non può ritenersi legittimata a proporre autonoma censura, avente ad oggetto motivi del coimputato non presi in esame dal giudice di merito, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente un mero richiamo all'appello del coimputato.

Non avendo, quindi, la società ricorrente esercitato un diritto proprio di impugnativa avendo omesso di devolvere per proprio conto le questioni al giudice di appello, le censure dedotte devono ritenersi proposte per la prima volta in sede di legittimità e pertanto inammissibili.

Le doglianze in questione, infatti, non sono state vagliate nel giudizio di secondo grado attesa l'intervenuta dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato contestato al A.A., sicchè deve trovare applicazione del principio per cui "non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perchè non devolute alla sua cognizione" (Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632).

Peraltro, quanto agli atti relativi ad altri procedimenti confluiti in un primo momento nel fascicolo delle indagini preliminari, la deduzione si palesa del tutto generica, a fronte dell'inserimento di atti evidentemente ultronei ma che non hanno generato alcun vizio rispetto all'odierno procedimento.

Quanto malattia della persona offesa, la Corte territoriale, con motivazione priva di aporie logiche, ha evidenziato, quanto alla durata della stessa che, sulla base della documentazione medica e degli esiti della consulenza medico legale in atti, si è protratta ben oltre 140 giorni.

A tale conclusione il giudice del gravame del merito è pervenuto condividendo la conclusione della relazione di consulenza medica in atti che attesta che il trauma da schiacciamento al pollice della mano sinistra con frattura composta della falange ungueale riportato dalla persona offesa In occasione dell'infortunio per cui è processo ha comportato un periodo di malattia di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni di sessanta giorni.

La sentenza impugnata, sul punto, opera un buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui in tema di lesioni personali, costituisce "malattia" qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, ancorchè localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione (così Sez. 5, n. 43763 del 29/09/2010, Adamo, Rv. 248778).

Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte (cfr. Sez. Un., n. 9163/2005, Rv. 230317, la quale richiama, fra l'altro, Sez. 5, n. 714/1999 e Sez. 4, n. 10643/1996).

La posizione di garanzia di A.A. nella veste di legale rappresentante della NIDEC -come evidenzia la sentenza impugnata - è provata dalla documentazione in atti. Agli atti (foglio 240 ss.) vi è, infatti, la certificazione CCIIAA di NIDEC ASI Spa e l'attestazione di avvenuta estinzione delle sanzioni amministrative, atti dai quali si evince che in relazione all'infortunio occorso a B.B., A.A.- nella veste di legale rappresentante dello stabilimento Nidec è stato ammesso al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 1006,71 in relazione alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 pagamento effettuato dall'imputato in data 6/9/2016 (cfr. foglio 242), senza contestare la qualifica di cui sopra.

3. Gli ulteriori due profili sono manifestamente infondati, in quanto generici, avendo la Corte di appello chiaramente motivato sulle doglianze oggi riproposte e meramente volte a contestare le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, sollecitando una diversa valutazione del compendio probatorio, che è inammissibile in questa sede qualora, come nel caso di specie, ci si trovi di fronte di un compiuto esame esteso a tutte le risultanze probatorie e fornendo risposta a tutte le contestazioni difensive.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

In particolare, la Corte territoriale ha già argomentatamente confutato le tesi portate in quella sede dalla Difesa dell'ente facendo corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di responsabilità degli enti in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, comma 1, lett. b), il giudice deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 4, n. 22468 del 18/04/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla, Rv. 255369).

Ebbene, come ricordano i giudici di appello, la dinamica dell'incidente per cui è processo è pacifica.

B.B. - dopo aver rimosso una delle fascette di plastica dalla campana del motore verticale con la mano destra, a seguito dell'inclinazione della campana, riportava il trauma da schiacciamento al primo dito della mano sinistra; nel DVR non era prevista alcuna procedura di sicurezza rispetto alla fase lavorativa di calettamento.

Il difensore dell'ente aveva eccepito in appello: a. il difetto dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5 difettando la prova che A.A. fosse soggetto con funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell'ente o di un'unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria, b. l'insussistenza della colpa di organizzazione ovvero dell'interesse o vantaggio economico dell'ente; c. l'errata applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, il modello organizzativo aveva le caratteristiche previste dalla legge; d. l'eccessività della sanzione pecuniaria e inapplicabilità della sanzione interdittiva.

A tutti questi rilievi la Corte triestina ha: opposto una motivazione con cui l'odierna ricorrente, in concreto, non si confronta, ritenendo che gli stessi fossero infondati, fatta eccezione per quello relativo alla sanzione interdittiva.

Come ricorda la sentenza impugnata, il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5 stabilisce che l'ente è responsabile per i reati commessi nel uo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonchè da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

Ebbene, quanto al fatto che A.A. non fosse soggetto in posizione apicale ex art. 5, per i giudici del gravame del merito il motivo è destituito di fondamento in relazione a quanto sopra affermato; ovvero che dalla documentazione in atti si evince che le contestazioni amministrative sono state elevate all'odierno imputato nella veste di legale rappresentante dello stabilimento NIDEC e in tale veste egli ha effettuato il pagamento delle sanzioni come da quietanza in atti.

La Corte giuliana dà atto, poi, che è incontestato che la procedura di calettamento veniva effettuata dalla persona offesa senza l'ausilio di colleghi o di strumentazione necessaria a trattenere la campana; e che B.B. non avesse ricevuto alcuna specifica formazione in relazione all'operazione da effettuare con motore in verticale, sicchè, una volta recisa la fascetta di alloggiamento, in mancanza di procedure preventive di tipo organizzativo, si era verificato l'infortunio da schiacciamento della mano.

L'infortunio del lavoratore, pertanto, secondo la logica ricostruzione dei giudici di merito, è stato causato da una prassi lavorativa attuata in violazione delle prescrizioni delle linee guida in tema di calettamento del mozzo nnaina dei motori in verticale che prevedono che, se il peso della campana dentata superi otto chili, l'operazione dovrà essere svolta da due operatori.

In relazione a detto infortunio, per i giudici di appello è certo che l'ente abbia realizzato un proprio interesse o comunque abbia conseguito un vantaggio.

Sul punto, viene conferentemente richiamata la giurisprudenza di questa Corte che, al fine di adeguare la nozione di interesse e vantaggio ai reati di natura colposa come quello oggetto del presente procedimento, ha chiarito che in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l'interesse dell'ente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività (il richiamo è a Sez. 4, n. 24697 del 20/4/2016, Mazzotti ed altro, Rv. 268066, nella cui motivazione si è affermato che la responsabilità dell'ente, non può essere esclusa in considerazione dell'esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell'interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati ri Spa rmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi; conf. Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015, dep.20:i.6, Gastoldi, Rv. 268065).

In applicazione di tali principi, per i giudici di appello deve perciò ritenersi pienamente provato il vantaggio di spesa per (l'ente, nel senso di mancato decremento patrimoniale per l'utilizzo per le operazioni di calettamento in verticale di un solo lavoratore anzichè di una coppia di lavoratori.

Quanto alla doglianza relativa all'omessa verifica sulla adozione e sulla idoneità del modello organizzativo, la Corte giuliana evidenzia poi che il modello organizzativo adottato da NIDEC ed acquisito in corso di istruttoria non era stato efficacemente attuato, come richiesto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, comma 1, lett. a) del.

Ciò in quanto, pur essendosi provveduto all'analisi delle macro-attività sensibili ex art. 25-septies, manca la previsione di una costante attività di monitoraggio sulle misure prevenzionistiche approntate in azienda e di adeguamento della specifica procedura lavorativa ai rischi propri dell'attività dei montatori.

Anche con tali considerazioni l'odierno ricorso non si confronta concretamente, limitandosi a riproporre le tesi difensive già proposte nei due gradi di merito.

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2023