REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D'URSO Giovanni - Presidente

Dott. MARINI Lionello - Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) D'EMANUELE DOMENICO N. IL 21/03/1948;

avverso SENTENZA del 13/01/2004 CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BIANCHI LUISA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Gen. Cons. Dott. FEBBRARO Giuseppe che ha concluso per annullamento senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato;

udito il difensore avv. FONTANA Giovanni che ha concluso per l'accoglimento del ricorso e in subordine la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.

 

Fatto

 

D.D. è stato chiamato a rispondere del reato di cui agli artt. 590, commi 1, 2 e 3, e 583, comma 1, n. 1, per avere - in qualità di incaricato della sorveglianza sanitaria sui lavoratori della M.M. di Venaria Reale dal settembre 1996 al gennaio 1997 - cagionato una lesione personale consistita in una malattia durata oltre 40 giorni (dermatite allergica da contatto localizzata al volto e alle mani) a P.C., lavoratrice dipendente di tale ditta, addetta dal settembre 1996 al settembre 1997 al montaggio di proiettori di veicoli industriali, e, perciò, esposta nell'ambiente di lavoro a resine epossidiche, per colpa, e in particolare, per negligenza, imprudenza, imperizia, e per inosservanza delle norme sull'igiene del lavoro, e, segnatamente, degli artt. 3, comma 1, lettere l), m), 16, 17 D.leg. 19/911994 n. 626, per avere omesso di sottoporre a visita medica periodica la lavoratrice benchè la stessa fosse esposta a rischio lavorativo identificato nel documento di valutazione dei rischi e avesse segnalato la presenza di disturbi allergici; di sottoporla ad accertamenti specifici (quali tests allergologie); di segnalare al datore di lavoro la necessità di allontanare la lavoratrice dall'esposizione a resine epossidiche, con la conseguenza che la Perinati subiva la menzionata lesione personale.

L'imputato - nel periodo che va dal settembre 96 al gennaio 97 - è stato "medico competente" preposto alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori presso la M.M. di Venaria Reale, in sostituzione temporanea del medico titolare, assente per malattia.
Il D. era già dipendente della M. e già assolveva alla funzione di medico competente in altri stabilimenti.
La P. era stata addetta dal settembre 96 al montaggio di proiettori, lavorazione che prevede l'utilizzo di un collante a base di resine epossidiche, attraverso una pistola a spruzzo, la sua postazione di lavoro era denominata modulo U64; su tale postazione mancava un impianto di aspirazione dei vapori e fumi.
Per eseguire tale lavoro era stata inizialmente dotata di guanti di cotone lunghi fino al polso, da cambiare ogni giorno ma non di occhiali protettivi.
Secondo le schede di valutazione dei rischi predisposti dalla M.M. il contatto con colle epossidiche può dar luogo a dermatiti; uno, due mesi dopo il settembre 96 l'operaia, secondo quanto dalla medesima dichiarato, cominciava ad accusare disturbi quali bruciore agli occhi, alla bocca, al naso, al polso; il giorno 14.11.96 ella si reca in sala medica e, in assenza del dott. D., parla con l'infermiera che annota i sintomi riferiti dalla lavoratrice sul diario di sala medica (prurito viso, occhi, palpebre, avambraccia - U64. Terapia POLARAMIN, cioè un antistaminico locale); l'infermiera non riferisce nulla al Dott. D.; i disturbi dell'operaia continuano tanto che il 28.2.97, quando l'imputato è stato nel frattempo sostituito dal medico titolare, la lavoratrice si ripresenta in sala medica, lamentando prurito al viso e le viene di nuovo indicata la terapia con Polaramin; l'operaia si rivolge allora al proprio medico curante di base, su indicazione di costui viene sottoposta il 3.3.97 a tests allergologici che risultano positivi; riferisce in fabbrica tale situazione e viene variata la sua postazione di lavoro; i disturbi a questo punto si attenuano fino a scomparire totalmente tanto che il 30.5.97 il CT del PM la visita e attesta la completa guarigione.

Il giudice di primo grado assolve l'imputato per totale assenza di colpa rilevando, in estrema sintesi, che egli, in quanto medico supplente, non aveva obbligo di visita periodica della lavoratrice nè doveva segnalare al datore di lavoro i sintomi denunciati dalla medesima all'infermiera il 14.11.96 sia perchè non vi era stato un contatto diretto tra il medico e la donna, sia perchè la stessa aveva indicato un sintomo, il prurito, del tutto generico, laddove la dermatite da contatto da manifestazioni oggettive come eritema, edema, presenza di vesciche; inoltre, la lavoratrice, nel periodo in cui era stato presente l'imputato, non era più tornata in sala medica.

Secondo la sentenza di appello l'imputato deve invece ritenersi responsabile del reato ascritto; la Corte di appello prende le mosse dalla necessità di riconoscere alla normativa dettata per la salute in fabbrica la sua natura preventiva, quella cioè di dettare obblighi finalizzati a evitare l'insorgenza di malattie e non solo quella di adottare misure per attenuare o eliminare malattie già insorte; ricorda che la manualistica specializzata raccolta in primo grado dimostra la specificità del prurito quale sintomo d'insorgenza di una dermatite allergica da contatto, vi si legge infatti non solo che la sintomatologia elettiva di tale malattia consiste per lo più in prurito, ma che esiste un periodo di incubazione più meno lungo che divide tale sensibilizzazione dalla comparsa di un quadro franco obiettivabile e che le zone, tipiche interessate sono il dorso delle mani, le superfici flessorie degli avambracci, il volto, le palme delle mani e il dorso dei piedi; ritiene che il dott. D. al momento della lettura del diario medico doveva dunque avere consapevolezza dell'esistenza di un disturbo che si caratterizzava come sintomo specifico di una malattia e dunque era in colpa per non aver approfondito con una visita di controllo la situazione onde poter valutare compiutamente le eventuali contromisure da adottare; ritiene che non può giovare all'imputato la mancanza di un contatto diretto della donna col medico, ma solo con un'infermiera: l'assenza del medico competente nel momento in cui la lavoratrice chiedeva la visita medica è fatto consequenziale a decisioni aziendali e, semmai, proprio il non aver constatato di persona il quadro clinico della lavoratrice sofferente avrebbe reso ancor più opportuna e doverosa la decisione di sottoporla a verifica medica.

Quand'anche infatti non si volesse ritenere nascente dalla segnalazione del disturbo l'obbligo di visita ex art. 16 del D.L.vo 626/94 (così come invece ritenuto dalla sent. Farabi cit.) si ritroverebbe pur sempre nella lett. i) del primo comma dell'art. 17 del D.L.vo 626/94 - che fissa i doveri del medico competente - un generale obbligo in capo a tale soggetto di effettuare una visita medica qualora sia il lavoratore a richiederla e vi sia una correlazione, come in questo caso, fra tale richiesta e i rischi professionali: il comportamento tenuto dalla P. l'14.11.96 , di recarsi nella sala medica (ove il medico titolare aveva obbligo contrattuale di essere presente e comunque lei si aspettava di trovare) non può infatti che essere interpretato se non come richiesta di diagnosi e terapia rivolta a soggetto competente, cioè a medico.

Ricorre per cassazione l'imputato prospettando, attraverso il difensore di fiducia avv.to Giovannandrea Anfora, i seguenti motivi:

1) Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 3, comma 1, lettere l), m), 16, 17 d.lgs. 19/911994 n. 626; in particolare sostiene che gli obblighi di cui all'art. 16 di effettuare accertamenti preventivi e periodici, essendo connessi all'organizzazione generale dell'attività medica di fabbrica, non potevano fare carico all'imputato in ragione del carattere temporaneo dell'incarico da lui svolto, tanto più che il medico titolare dell'incarico aveva già escluso la necessità di accertamenti preventivi e periodici in quanto la lavorazione cui era addetta la parte offesa non era inserita nella Tabella allegata al dpr 303/56; la segnalazione del prurito da parte della donna non poteva aver fatto sorgere l'obbligo per il dott. D. di verificarne lo stato di salute, nè ai sensi dell'art. 16 nè ai sensi dell'art. 17, atteso che si trattava di un sintomo, il prurito appunto, non specifico, rimesso alla percezione soggettiva individuale di una persona e che il semplice accesso della lavoratrice alla sala medica, finalizzata ad ottenere un medicinale (pomata), non può essere interpretato come una richiesta da parte del lavoratore di visita medica ai sensi dell'art. 17 lett. i) del d.lsv. in questione; non vi era stata quella richiesta esplicita e specifica di visita medica da parte della lavoratrice che appunto fa sorgere l'obbligo di relativa visita;

2) violazione di legge e difetto di motivazione sul nesso causale in quanto, considerato che il momento consumativo del reato di lesioni colpose è, per pacifica giurisprudenza, quello della insorgenza della malattia e che la malattia, secondo quanto espresso dai consulenti, è insorta nella seconda metà del mese di settembre, al momento della omissione contestata al Dott. Perinati, e cioè nei giorni successivi al 14.11.1996, il reato era già consumato essendo ormai trascorso il periodo di quaranta giorni di cui all'art. 583, co. 1, n. 1 c.p..

 

Diritto
 

Rileva innanzi tutto il Collegio, per rispondere al secondo motivo di ricorso, logicamente preliminare in quanto con esso si pone in dubbio la sussistenza stessa del reato, che il momento consumativo del reato contestato al D. non può che essere quello in cui egli ha posto in essere la condotta colposa contestatagli, condotta intervenuta precisamente dal 14.11.96 (quando la lavoratrice si recò in sala medica per essere visitata) al 31.1.97 (quando l'imputato cessò dalla carica). L
a circostanza che la malattia della P. sia insorta, secondo la valutazione dei consulenti, in epoca precedente a quella in cui il medico iniziò la sostituzione non ha alcuna rilevanza in ordine al reato al medesimo contestato, potendo evidentemente tale reato sussistere solo dal momento in cui il D. ha assunto la posizione di garanzia ed avrebbe quindi dovuto e potuto porre in essere quei comportamenti, invece omessi, a tutela della salute del lavoratore, e dovendosi d'altro lato tenere presente che la durata della malattia non è stata di 40 giorni, nè tale era secondo il capo di imputazione, ma si è protratta ben oltre, fino a quando la lavoratrice non venne spostata ad altre funzioni e, in data 30.5.1997, venne dichiarata guarita.

Peraltro nella contestazione mossa all'imputato di aver cagionato la anzidetta malattia è compresa, tale essendo stata specificata la colpa del ricorrente nello stesso capo di imputazione, l'addebito della mancata diagnosi della malattia stessa.

Tanto premesso, il reato ascritto all'imputato va dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Dalla data del comportamento omissivo, come sopra individuato, è infatti decorso il periodo massimo di sette anni e mezzo entro i quali si verifica la prescrizione del reato stesso, non essendo nella specie intervenute sospensioni del processo rilevanti ai fini della prescrizione.

Nè sussistono, ad avviso del Collegio, le condizioni per un proscioglimento più favorevole all'imputato, rilevando il suo comportamento quanto meno sotto il profilo della violazione dell'art. 17 del decreto legislativo 626/94; ed invero correttamente la Corte di appello ha posto in luce la finalità ampiamente preventiva della normativa sulla salute del lavoratore e dunque la necessità di interpretare la normativa stessa secondo criteri che, pur rispettosi del principio di legalità, tengano conto del fine primario che l'ordinamento ha di mira.
L'art. 17 lett. i) stabilisce che il medico competente "fatti i salvi i controlli sanitari di cui alla lett. b) (che rinvia all'art. 16), effettua le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali"; ora, nessun dubbio potendo sussistere sulla circostanza che il Dott. D. si trovasse, sia pure temporaneamente, data la sua qualità di sostituto del medico titolare dell'incarico, nella qualità di medico competente, si tratta però di stabilire quali tra gli obblighi previsti dagli artt. 16 e 17, potessero a lui fare carico.
Ritiene il Collegio che, tenuto conto della brevità dell'incarico, non potesse a lui riferirsi l'obbligo di quegli accertamenti preventivi e periodici dall'art. 16 che, essendo connessi alla organizzazione generale dell'attività medica di fabbrica, debbono essere preventivati e; strutturati secondo cadenze e modalità generali, di lunga durata, comunque incompatibili con una sostituzione che si è esaurita nell'arco di pochi mesi; tuttavia, secondo quanto questa Corte ha già avuto modo di osservare nella sentenza del 1.8.2001 n. 33751, Farabi, gli accertamenti periodici di cui appunto all'art. 16 non sono solo quelli per così dire "programmati" e cioè effettuati in date prefissate, con una frequenza prestabilita, ma possono essere effettuati anche in momenti diversi da quelli programmati, quando il medico competente o il datore di lavoro o il lavoratore stesso ne ravvisino la necessità, essendosi ad esempio verificato un qualche accadimento che imponga di verificare lo stato di salute del lavoratore ed effettuare un giudizio formale sulla sua idoneità alla mansione specifica cui è adibito.
La disposizione, così interpretata, si avvicina e si raccorda con quella di cui all'art. 17 lett. i) sopra menzionata e giustifica la affermazione di responsabilità del medico; correttamente infatti la Corte di appello ha ritenuto che l'essersi recata la donna nell'ambulatorio, dove la stessa si aspettava di trovare il medico e dove il medico avrebbe dovuto essere, costituisca, indipendentemente dal fatto che la assenza del D. possa essere stata del tutto giustificata, un comportamento equivalente alla richiesta di visita, o comunque, data la chiara annotazione dei sintomi indicatori della malattia (sui quali l'accertamento compiuto dal giudice di appello è congruamente motivato e pertanto non censurabile) un comportamento che avrebbe imposto una visita periodica ex art. 16, a fronte del quale il medico aveva l'obbligo di effettuare la visita stessa; di conseguenza il non essersi attivato affinchè si rendesse possibile, con opportuna tempestività, la visita della donna nei giorni successivi costituisce colpa del medesimo, come appunto correttamente è stato ritenuto.

 

P.Q.M.


La Corte:

- Annulla la sentenza impugnata senza rinvio essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2005.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2005