Cassazione Penale, Sez. 4, 20 luglio 2023, n. 31508 - Necessario valutare la riferibilità delle patologie sofferte dal lavoratore all'eventuale intervenuta violazione di norme antinfortunistiche



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI F.Maria - Presidente -

Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. RICCI A.L.A. - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alesandro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TARANTO;

dalla parte civile C.C., nato a (Omissis);

nel procedimento a carico di:

A.A. nato a (Omissis);

B.B. nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 18/03/2022 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore KATE TASSONE;

che ha concluso chiedendo:

Il Proc. Gen. si riporta alla memoria in atti concludendo per l'annullamento con rinvio in relazione al ricorso presentato dal procuratore generale; in relazione al ricorso della parte civile C.C., conclude per l'accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo e annullamento con rinvio.

udito il difensore;

E' presente l'avvocato IACOBELLIS ALESSANDRO GIUSEPPE COSIMO del foro di BARI;

in difesa degli imputati A.A. e B.B.. Il difensore.

 

Fatto


1. Con sentenza del 18 marzo 2022 la Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto, in riforma della pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Taranto del 24 settembre 2019, ha assolto A.A. e B.B., dal reato loro in concorso ascritto perchè il fatto non sussiste, per l'effetto revocando le disposte statuizioni civili.

1.1. In primo grado, invece, gli imputati erano stati ritenuti responsabili del delitto di cui all' art. 113 e art. 59 c.p., commi 1, 2 e 3, per avere in cooperazione colposa tra loro - A.A., in qualità di datore di lavoro di C.C., alle sue dipendenze quale addetto alle macchine operatrici, nella omonima ditta individuale e "di fatto" nella qualità di titolare di un gruppo di imprese riconducibili alla sua persona, tra cui la "SIP1) Srl " e la "CBMC Srl "; B.B., in qualità di datore di lavoro formale del C.C., come amministratore unico della "SIP Srl " e moglie del A.A. - per colpa generica e specifica, posta in essere in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 15, 18 e 71, cagionato al dipendente C.C., adibendolo per circa 33 anni ad attività di movimentazione manuale di carichi e nella costruzione di manufatti in cemento con l'utilizzo di attrezzature comportanti l'esposizione a vibrazioni interessanti tutto il corpo, nonostante il suo inquadramento non prevedesse lo svolgimento di tali mansioni e senza fornirgli la dotazione di sistemi di protezione individuale e ambientale, nonchè omettendo di adottare modelli organizzativi e modalità lavorative congrue e continuando a mantenerlo nelle medesime mansioni anche dopo l'accertamento di malattie professionali correlate, cagionato al C.C., lesioni personali, consistenti in ipoacusia bilaterale da esposizione cronica a rumore, con indebolimento permanente dell'organo dell'udito, in relazione all'art. 583 c.p., comma 1, n. 2 e lombosciatalgia bilaterale in multiple discopatie cervicali e lombari ed ernie discali C4-05, C5-C6, L3-L4 e L4-L5, con caratteristiche di malattia insanabile, in relazione all'art. 583 c.p., comma 2, n. 1 e disturbo ansioso-depressivo reattivo.

1.2. La Corte di appello ha, in particolare, ribaltato la condanna del primo giudice conferendo una diversa valutazione alle acquisite dichiarazioni testimoniali nonchè alle risultanze scientifiche derivate dalle svolte consulenze tecniche, in particolar modo ritenendo che le patologie gravanti sul C.C., potessero avere un'eziologia multifattoriale, e dunque un'origine anche indipendente dalle mansioni lavorative espletate, in conclusione pervenendo a ritenere come, per quanto evincibile anche dalla comune logica, l'insorgenza della malattia professionale tipica di alcune lavorazioni, quale quella svolta dalla persona offesa, non necessariamente dovesse essere correlata alla violazione di misure antinfortunistiche, da configurarsi solo in presenza di una prova rigorosa circa il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dei presidi di sicurezza posti a tutela del lavoratore.

Tale specifico onere probatorio non sarebbe stato soddisfatto nel caso di specie, avendo la Corte territoriale evidenziato: la genericità delle dichiarazioni del C.C., in ordine alla vetustà dei macchinari utilizzati e alla mancata consegna dei dispositivi protettivi; la circostanza che i danni riportati dalla vittima fossero stati contenuti rispetto alla natura usurante dell'attività svolta per circa 33 anni; la natura interessata delle dichiarazioni rese dalla parte civile, avente sentimenti di acredine avverso gli imputati quale conseguenza del subito licenziamento, così da indurre la Corte di merito a ritenere tali propalazioni inaffidabili, anche considerato che la denunciata esistenza di inadeguate condizioni lavorative mal si concilierebbe con il ruolo di responsabile sindacale, posto a tutela delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro, ricoperto da parte del C.C..

2. Avverso la sentenza della Corte di appello hanno proposto ricorso per cassazione, con due differenti atti, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto e la parte civile C.C., a mezzo del suo difensore.

2.1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto ha eccepito, con un unico motivo, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, oltre a travisamento della prova.

Ritiene il Procuratore generale che l'onere probatorio richiesto per la configurazione della responsabilità degli imputati sarebbe stato pienamente rispettato nel caso di specie, ben potendo le emergenze processuali, ed in particolare quanto accertato dal consulente tecnico del P.M. e dal giudice civile ai fini del riconoscimento della indennità per danno biologico da malattia professionale, evidenziare come vi fosse la sussistenza di un nesso eziologico tra le patologie sofferte dal C.C. e l'attività lavorativa svolta per un lungo arco di tempo. Il difforme percorso argomentativo seguito dai giudici di appello sarebbe, pertanto, caratterizzato da evidente illogicità, peraltro ponendosi in contrasto con i parametri di riferimento reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità.

Il lavoratore avrebbe adeguatamente rappresentato le criticità connesse all'espletamento delle sue mansioni, apparendo, di contro, apodittiche e contraddittorie le motivazioni con cui la Corte territoriale ne avrebbe ritenuto, invece, la relativa inattendibilità.

La Corte di appello avrebbe, altresì, omesso di considerare che le risultanze di visite mediche svolte e l'insorgenza di una malattia professionale tempestivamente denunciata dal C.C., all'INAIL avrebbero dovuto indurre gli imputati a adibire la persona offesa, come invece non effettuato, a mansioni maggiormente confacenti alle sue condizioni fisiche, altresì garantendogli il pieno rispetto dei prescritti periodi di pausa.

2.2. La parte civile ha dedotto quattro motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito carenza di motivazione in ordine alla sussistenza della prova della violazione della normativa a tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori.

Il ricorrente lamenta l'erroneità con cui, nella specie, sarebbero state applicate le disposizioni del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2087 c.c. e artt. 15, 18 e 71, avendo la Corte di appello omesso di operare ogni valutazione critica in ordine al generico dovere del datore di lavoro di prevenire, mediante la valutazione del rischio e la predisposizione di adeguate misure organizzative, l'insorgere o l'aggravarsi di conseguenze patologiche per il lavoratore.

Non sarebbero stati vagliati, in particolare, aspetti emersi dalle risultanze processuali, quali l'utilizzazione di macchinari vecchi e obsoleti, determinativi di intense e costanti vibrazioni, oltre che di una rumorosità eccessiva, ovvero l'imposizione di turni o di modalità lavorative particolarmente faticose, che avrebbero dovuto indurre a ritenere la ricorrenza di condotte antigiuridiche poste in essere dai prevenuti. D'altro canto, la prova delle forti vibrazioni causate dai macchinari utilizzati si evincerebbe dal fatto che gli imputati erano stati, perfino, costretti a spostare la sede di lavorazione dei manufatti in cemento, stante la presenza di importanti lesioni strutturali al capannone.

Sarebbero parimenti illogiche le valutazioni con cui la Corte di merito ha ritenuto l'inattendibilità del ricorrente, essendo state erroneamente fondate su suoi presunti intenti ritorsivi determinati dall'ingiusto licenziamento subito, considerato che le sue doglianze non avrebbero avuto nessun intento calunniatorio e che l'illegittimità di tale licenziamento sarebbe già stata riconosciuta dal competente giudice del lavoro.

Con la seconda censura il C.C., ha eccepito carenza di motivazione in ordine alla sussistenza della prova della violazione della normativa a tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, con particolare riferimento alla ritenuta mancata corrispondenza tra le patologie professionali sofferte e le inadeguate condizioni di lavoro da lui descritte.

La Corte di appello, infatti, avrebbe ritenuto l'insussistenza del nesso causale senza vagliare aspetti, di indubbio rilievo, quali: l'età del lavoratore; le sue generali condizioni di salute; la validità, o meno, delle terapie e cure effettivamente seguite nel tempo. La mancata valutazione degli indicati aspetti paleserebbe l'estrema superficialità della motivazione assolutoria, trattandosi, peraltro, di una condotta protrattasi nel tempo, da ricostruirsi nelle sue varie fasi, anche facendo ricorso a presunzioni e a regole di esperienza.

A tale scopo, peraltro, sarebbe stato utile sottoporre a nuova prova testimoniale la stessa persona offesa.

Con il terzo motivo il ricorrente ha lamentato carenza di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della violazione di norme indicative di misure idonee a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro (art. 2087 c.c.) e, nello specifico, di quella che impone di allontanare il lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti alla sua persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione (D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 15, comma 1, lett. M), in conseguenza dell'accertamento di rilevanti patologie professionali.

Prima di essere stato assunto presso la ditta individuale A.A., il C.C., era stato sottoposto a visita presso un medico incaricato dal datore di lavoro, in esito alla quale era risultato già affetto da "lombosciatalgia bilaterale in ernie discali". Pur ritenendolo abile al lavoro, tale medico aveva prescritto l'effettuazione di una pausa di trenta minuti ogni due ore di lavoro continuativo, al fine di evitare al C.C., di subire ulteriori pregiudizi.

Tali pause, per come diffusamente rappresentato dal lavoratore, non erano state, poi, osservate, essendo rimasto il C.C. a svolgere le sue precedenti mansioni, ovvero ad espletarne altre ancora più pesanti.

La decisività dell'indicato aspetto, rappresentativo di una palese violazione di previsioni poste a tutela della salute del lavoratore, è stata erroneamente non considerata dai giudici di appello, omettendo di valutare un elemento probatorio di decisivo rilievo ai fini della configurazione della condotta illecita ascritta agli imputati.

Con l'ultima doglianza la parte civile ha dedotto carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine all'espresso giudizio di sua inattendibilità, derivante dal fatto di aver svolto il ruolo di responsabile della sicurezza per i lavoratori.

L'aver ricoperto tale incarico - senza specificazione, peraltro, delle modalità e del tempo di relativo espletamento - appare, infatti, aspetto del tutto insufficiente a sminuire la sua attendibilità, essendo di comune esperienza come la violazione di norme antinfortunistiche sia assai frequente anche in aziende fortemente sindacalizzate, in cui sono continue le rivendicazioni relative al conseguimento di migliori condizioni lavorative.

3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto, in accoglimento di entrambi i ricorsi, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

4. Il difensore degli imputati ha depositato successiva memoria, con cui ha chiesto il rigetto dei ricorsi, nonchè la conferma della sentenza impugnata.

Gli imputati hanno sinteticamente rilevato come gli elementi di riconoscimento della loro responsabilità penale sarebbero unicamente da inferirsi dalle propalazioni accusatorie rese dalla parte civile, invero già adeguatamente vagliate e sottoposte a giudizio di inattendibilità intrinseca da parte della Corte territoriale. Nessun ulteriore elemento di conforto sarebbe, infatti, ravvisabile in atti, peraltro apparendo del tutto illogico che il C.C., non avesse mai denunciato l'insostenibile situazione lavorativa in cui aveva affermato di versare prima di aver proceduto all'impugnazione del licenziamento subito.

 

Diritto


1. I ricorsi proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto e dalla parte civile C.C., sono fondati, conseguentemente imponendosi l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

2. Il Collegio ritiene, infatti, che la sentenza impugnata non si sia confrontata adeguatamente con quella, di contenuto opposto, resa da parte del primo giudice.

La Corte di appello ha sovrapposto la propria, parziale e soggettiva, convinzione rispetto a quella prospettata da parte del G.U.P., senza, tuttavia, esplicare, in modo adeguato e compiuto, la ritenuta insostenibilità logica della ricostruzione operata e delle valutazioni effettuate nel precedente grado di merito.

La Corte territoriale, cioè, ha omesso di rispettare il principio di diritto, espresso dalle Sezioni Unite, per cui il giudice di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (così, espressamente: Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01).

Il giudice d'appello in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404-01).

In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr., in questi termini: Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01).

3. Tutto ciò non è dato ravvisare nella sentenza impugnata, non avendo la Corte di merito congruamente ottemperato all'onere di necessario rinforzo della motivazione richiesto dalle Sezioni Unite per poter ribaltare il giudizio di condanna emesso da parte del primo giudice, fornendo una motivazione caratterizzata da un adeguato livello di approfondimento, sia ricostruttivo che valutativo, dei fatti e delle emergenze probatorie acquisite.

3.1. Non congruo, in primo luogo, è l'argomento con cui il giudice di appello ha ritenuto di inferire l'insussistenza della condotta di rilievo penale contestata ai prevenuti dal fatto che, contestualmente alla data di consumazione del reato, il C.C., fosse stato riconosciuto dal giudice del lavoro come affetto da patologie a concausa professionale tali da determinare un danno biologico pari al 9%, in quanto ciò, a dire della Corte di merito, attesterebbe che tali malattie possano avere un'origine varia, anche indipendente dalle mansioni lavorative in concreto espletate.

La prospettata argomentazione risulta, invero, generica e assertiva, oltre che priva di effettiva concludenza, ben potendo essere letta in termini del tutto opposti, nel senso di essere dimostrativa del fatto che le modalità di espletamento del lavoro da parte del C.C. possano avere contribuito a causargli le patologie sofferte, evidenziando la sussistenza di un nesso eziologico tra tali malattie e l'attività lavorativa espletata per lungo tempo.

3.2. In ogni modo, la motivazione della sentenza impugnata risulta oltremodo carente con riguardo alla valutazione della riferibilità delle patologie sofferte dal lavoratore all'eventuale intervenuta violazione di norme antinfortunistiche.

L'aver constatato come tali malattie possano avere un'eziologia multifattoriale, e dunque un'origine anche indipendente dalle mansioni lavorative effettivamente espletate, sembra avere indotto la Corte di merito ad escludere - ogni adeguato vaglio circa l'eventuale sussistenza del nesso causale tra le malattie sofferte dalla persona offesa e l'intervenuta violazione di misure antinfortunistiche.

Non è stato valutato, cioè, se vi sia stata la violazione da parte degli imputati del generico dovere del datore di lavoro di prevenire, mediante la valutazione del rischio e la predisposizione di adeguate misure organizzative, l'insorgere o l'aggravarsi di conseguenze patologiche per il lavoratore.

In nessun modo è stata considerata l'incidenza causale di aspetti, invece diffusamente evidenziati dalla parte civile, riguardanti: l'utilizzazione di macchinari vecchi e obsoleti, determinativi di intense e costanti vibrazioni, oltre che di una rumorosità eccessiva; l'imposizione di turni o di modalità lavorative particolarmente faticose; l'età del lavoratore; le generali condizioni di salute del C.C.; la validità, o meno, delle terapie e cure effettivamente seguite nel tempo.

3.3. Soprattutto carente è la motivazione del secondo giudice laddove ha omesso completamente di affrontare il tema relativo alla violazione delle norme che prescrivono l'adozione di misure idonee a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di opera, con particolare riferimento a quelle per cui si deve allontanare il lavoratore dall'esposizione ai rischi a seguito dell'accertamento di rilevanti patologie professionali.

Per come rappresentato dalla parte civile, infatti, prima di essere stato assunto alle dipendenze della ditta dell'imputato, il C.C., era stato sottoposto in data (Omissis) a visita medica presso una struttura in cui operava il medico competente del gruppo A.A.. In precedenza, del resto, lo stesso C.C. - per come affermato essere ben noto al datore di lavoro - aveva denunziato all'INAIL l'insorgenza di una malattia professionale.

In esito alla suddetta visita medica era emersa l'esistenza di "lombosciatalgia bilaterale in ernie discali", sicchè, valutate le mansioni alle quali il lavoratore avrebbe dovuto essere assegnato, il medico cli A.A., aveva dichiarato il C.C., idoneo al lavoro, tuttavia formulando la prescrizione di effettuare una pausa di trenta minuti ogni due ore di lavoro continuativo al fine di evitare ulteriori conseguenze dannose per la sua salute.

Orbene, di tali aspetti nulla è stato considerato da parte della Corte territoriale, pur a fronte di dichiarazioni rese dal C.C., sia in denuncia che nel corso della deposizione testimoniale, per cui dopo tale assunzione era stato impiegato senza osservare i prescritti periodi di pausa, con mansioni definite come, perfino, ancor più stressanti rispetto a quelle in precedenza svolte come, ad esempio, quella di conducente di macchine operatrici.

Trattasi di questione, invero, di decisivo rilievo ai fini della valutazione della responsabilità penale dei prevenuti, dovendosi accertare se vi sia stata, o meno, l'adibizione del lavoratore a mansioni maggiormente confacenti alle sue condizioni fisiche, con garanzia dei prescritti periodi di pausa, per l'effetto dovendosi valutare, ove ciò non sia avvenuto, se ciò possa avere eventualmente determinato una violazione delle previsioni normative poste a tutela della salute del lavoratore.

4. Sussistono, pertanto, evidenti illogicità e carenze motivazionali nella sentenza impugnata, inerenti ad aspetti di decisivo rilievo ai fini della valutazione della sussistenza della condotta criminosa ascritta ai prevenuti, con conseguente necessità di effettuarne una nuova valutazione in sede di rinvio.

Ne consegue, in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto e dalla parte civile C.C., l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Lecce-Sezione distaccata di Taranto, cui deve essere demandata anche la regolamentazione delle spese tra le parti relative a questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Lecce cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023