Cassazione Penale, Sez. 4, 27 luglio 2023, n. 32661 - Caduta durante i lavori di pulizia nel tetto del capannone



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - rel. Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MESSINA;

dalla parte civile A.A., nato a (Omissis);

dalla parte civile B.B., nato a (Omissis);

dalla parte civile C.C., nato a (Omissis);

dalla parte civile D.D., nato a (Omissis);

dalla parte civile E.E., nato a (Omissis);

dalla parte civile F.F., nato a (Omissis);

nel procedimento a carico di:

G.G., nato a (Omissis);

H.H., nato a (Omissis);

I.I., nato a (Omissis);

L.L. Srl ;

avverso la sentenza del 20/04/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa BRUNO MARIAROSARIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa CERONI FRANCESCA;

Il Proc. Gen. conclude per l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;

udito il difensore E' presente l'avvocato BORGOGNO ROBERTO del foro di ROMA in difesa delle parti civili ricorrenti A.A., B.B., C.C. e D.D.. Il difensore illustra i motivi di ricorso, deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento.

E' altresì presente l'avvocato TRIMARCHI GIUSEPPE del foro di MESSINA in difesa delle parti civili ricorrenti E.E. e F.F.. Il difensore illustra i motivi di ricorso e deposita note conclusive di cui chiede l'accoglimento.

E' presente l'avvocato GIUFFRIDA ISABELLA del foro di CATANIA in difesa degli imputati G.G. e H.H.. Il difensore conclude per il rigetto dei ricorsi.

E' presente l'avvocato AUTRU RYOLO CARLO del foro di MESSINA in difesa dell'imputato I.I.. Il difensore si riporta alla memoria in atti di cui chiede l'accoglimento.

E' infine presente l'avvocato CAMPANELLA SEBASTIANO del foro di BARCELLONA POZZO DI GOTTO in difesa dell'ente imputato L.L. Srl . Il difensore conclude per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 08/02/2021, il Tribunale di Messina ha ritenuto responsabili G.G., H.H. e, I.I., nelle rispettive qualità di committente dei lavori, responsabile per la sicurezza e datore di lavoro di M.M., colpevoli del reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, condannando i predetti imputati, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante, alla pena di anni uno di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali; ha concesso a G.G. e H.H. i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione sul certificato del casellario giudiziale; ha condannato tutti i predetti imputati al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili ed al pagamento di una provvisionale pari ad Euro 20.000 in favore di ciascuna delle costituite parti civili; ha dichiarato la "L.L. Srl " responsabile dell'illecito amministrativo alla stessa ascritto, come contestato al capo b) della rubrica, applicando la sanzione pecuniaria di n. 250 quote da Euro 300 ciascuna e le sanzioni interdittive di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 9, comma 2, nella durata minima prevista.

Era contestato agli imputati il reato di cui all'art. 589 c.p., commi 2 e 3, in relazione al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, artt. 90 e 148 per avere G.G., in qualità di amministratore unico "L.L. Srl ", committente dei lavori di pulizia da eseguire in un capannone dell'azienda, H.H. in qualità di responsabile della sicurezza della predetta società, I.I. in qualità di legale rappresentante della ditta "N.N. autotrasporti Srl "" di avere cagionato la morte di M.M., dipendente della "N.N. trasporti Srl ", incaricata di eseguire i lavori di pulizia presso la "L.L. Srl ".

L'operaio, mentre si trovava sul tetto del capannone, precipitava dall'altezza di circa 6 metri a causa del cedimento di un pannello di copertura, riportando lesioni che determinavano il suo decesso per insufficienza respiratoria e politrauma.

Il giudice di primo grado riteneva dimostrata la penale responsabilità degli imputati in relazione al fatto ad essi contestato nelle diverse qualità ricoperte.

Secondo la ricostruzione offerta in sentenza, il dipendente, assunto presso la ditta "N.N. autotrasporti Srl " con mansioni di escavatorista, era intento ad effettuare lavori di pulizia sul tetto del capannone della ditta L.L., dove esisteva una zona non calpestabile, sprovvisto di mezzi di protezione idonei ad evitare cadute dall'alto. Venutosi a trovare nella zona non calpestabile precipitava dall'alto a seguito della rottura del rivestimento del lucernario in pannelli di vetroresina.

G.G. e H.H. avevano omesso di verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta "N.N. autotrasporti Srl ", non accertando l'iscrizione alla Camera di Commercio con oggetto sociale inerente alla tipologia dei lavori appaltati, non richiedendo alla ditta incaricata il documento di valutazione dei rischi per i lavori a farsi ed omettendo di fornire adeguate informazioni sui rischi connessi alla precarietà della copertura del capannone interessato dall'intervento di rimozione e pulitura del tetto, ingombro di cenere lavica.

Quanto al datore di lavoro, I.I., costui non aveva previsto i rischi a cui si esponeva il dipendente e non lo aveva dotato di dispositivi tesi ad impedire eventuali cadute dall'alto, stante la cedevolezza della pavimentazione di copertura del capannone.

La Corte di appello di Messina ha ribaltato il verdetto di colpevolezza degli imputati, mandandoli assolti per insussistenza del fatto.

Ha ritenuto che l'infortunio si fosse verificato in conseguenza di una condotta avventata ed abnorme del lavoratore, il quale si era volontariamente portato nella zona non calpestabile del tetto, peraltro opportunamente segnalata da ben visibili nastri e birilli biancorossi.

2. Avverso la pronuncia assolutoria hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina e le parti civili costituite: E.E., F.F., A.A., B.B., C.C., D.D..

Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Messina ha articolato i seguenti motivi di doglianza.

1) Violazione dell'art. 589 c.p., commi 2 e 3, D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148; violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 530 e 597 c.p.p.; carenza della motivazione ricavabile dal testo stesso del provvedimento impugnato in relazione all'intervenuta riforma della sentenza di condanna di primo grado senza la redazione di una motivazione c.d. "rafforzata".

La sentenza emessa dalla Corte di appello di Messina avrebbe completamente disatteso il principio consolidato in base al quale il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della decisione di primo grado, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato. La sentenza di primo grado aveva ampiamente e dettagliatamente motivato sui molteplici profili di colpa che avevano caratterizzato le condotte degli imputati, causative della morte di M.M..

In punto di fatto la sentenza del tribunale di Messina aveva ricordato che, dovendo procedere a lavori di ripristino di un capannone di proprietà della "L.L. Srl ", G.G. aveva contattato la ditta "N.N. Srl " al fine di procedere ad un sopralluogo; in data (Omissis), O.O. giunto presso il capannone aveva trovato riverso in terra e moribondo M.M., il quale era palesemente precipitato dal tetto del capannone.

Il teste P.P., presente al momento dell'incidente occorso, aveva riferito che intorno alle ore 10 del (Omissis) si trovava all'interno del locale magazzino quando aveva sentito il rumore di un tonfo provenire dall'interno del locale officina. Subito accorso notava un uomo riverso per terra dolorante e sanguinante. Notava che sul tetto, in corrispondenza del corpo dell'operaio, vi era un buco e che le lamiere in resina che lo chiudevano avevano ceduto. A pochi metri dall'uomo vi era un caschetto giallo di protezione.

Il suddetto capannone, precisava il giudice in sentenza, era sormontato da una copertura costituita per la maggior parte da pannelli di lamierino e, in alcuni punti, da pannelli in plastica o vetroresina, tutti delimitati da birilli bianchi e rossi e da una benda bianca e rossa.

Sulla scorta di tali elementi e di numerose altre circostanze evidenziate in motivazione, la sentenza di primo grado aveva sviluppato una serie di considerazioni, del tutto logiche e coerenti, legittimamente poste a fondamento del decisum.

Si legge in motivazione come sia irrilevante stabilire se il lavoratore fosse stato incaricato semplicemente di ispezionare i luoghi o se fosse stato incaricato della pulizia della zona del capannone; ciò che rileva, infatti, è che il lavoratore sia stato esposto ad una situazione di pericolo certamente prevedibile ed evitabile, atteso che l'attività che la ditta N.N. avrebbe dovuto svolgere era quella della rimozione della cenere lavica dalla copertura del capannone industriale, attività che implicava lavorazioni sul tetto del capannone.

Correttamente, il Tribunale aveva ritenuto sussistente la responsabilità del datore di lavoro, I.I., per avere questi omesso di fornire al lavoratore idonee misure di protezione collettive e dispositivi individuali di protezione anticaduta in modo da escludere i rischi di caduta dall'alto durante l'attività da svolgersi in quota, nonchè per aver violato la disposizione prevista dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 148.

Quanto alla responsabilità degli altri coimputati, in particolare di G.G., amministratore unico della "L.L. Srl ", committente dei lavori, e di H.H., in qualità di responsabile della sicurezza della predetta società, il giudice osservava come costoro avessero omesso di verificare l'idoneità tecnico professionale della società incaricata dei lavori di pulizia, di richiedere il documento di valutazione dei rischi per i lavori da eseguirsi, di fornire ogni informazione necessaria sui rischi connessi alla precarietà della copertura del capannone. Osservava altresì che dovevano ritenersi infondate le considerazioni svolte dal consulente tecnico degli imputati, in forza delle quali quanto accaduto sarebbe ascrivibile unicamente alla responsabilità dell'impresa operante sulla copertura del tetto. Rilevava che il committente ed il responsabile per la sicurezza della ditta L.L. avrebbero dovuto accertare le modalità di esecuzione dell'attività affidata. Anche volendo ammettere che il lavoratore stesse svolgendo un semplice sopralluogo preliminare ai lavori di pulitura, avrebbero dovuto inibire al M.M. di accedere direttamente sul manto di copertura del capannone senza dispositivi di protezione, attesa la pericolosità del luogo.

Il rapporto instauratosi tra committente e appaltatore era un rapporto contrattuale di fatto, idoneo comunque a generare in capo al committente una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore.

A sostegno delle argomentazioni illustrate in motivazione, la sentenza di primo grado richiamava il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità in caso di infortunio sul lavoro sia per la scelta dell'impresa, sia per l'omesso controllo sull'adozione da parte dell'appaltatore delle misure generali per la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Quanto all'asserita autoresponsabilità del lavoratore, il Tribunale ricordava, richiamando consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, che la condotta imprudente del lavoratore assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento soltanto in caso di comportamento abnorme. Quanto, infine, alla posizione di H.H., chiamata a rispondere dell'infortunio nella sua qualità di responsabile della sicurezza, il Tribunale osservava come non fosse condivisibile l'assunto difensivo secondo il quale, poichè il capannone era stato locato ad altra società sino al dicembre dell'anno 2014, lo stesso non poteva considerarsi luogo di lavoro della "L.L. Srl ". Rilevava infatti che l'immobile era ritornato nella piena disponibilità della predetta società al momento del fatto.

A fronte dell'approfondito e coerente apparato motivazionale a sostegno della sentenza di primo grado, la Corte di appello ritenendo di dover accogliere i motivi di appello sviluppati dai difensori degli imputati, non ha adempiuto all'onere di produrre una motivazione idonea a mettere in luce eventuali errori o incoerenze esistenti nel discorso giustificativo offerto dal Tribunale di Messina. La sentenza della Corte di merito si è soffermata esclusivamente sull'aspetto riguardante l'asserita abnormità della condotta del lavoratore, la quale condotta, nel caso di specie, non è nemmeno ricostruibile nel dettaglio per l'assenza di testimonianze dirette circa la esatta dinamica il sinistro.

Sarebbe stato preciso dovere della sentenza di appello illustrare diffusamente e persuasivamente le ragioni per le quali, contrariamente a quanto ampiamente argomentato dal primo giudice, la morte del lavoratore non avrebbe rappresentato la concretizzazione del rischio attivato dai negligenti e imprudenti comportamenti tenuti dagli imputati.

2) Violazione dell'art. 589 c.p., commi 2 e 3, e del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148, travisamento della prova; carenza e manifesta illogicità della motivazione ricavabile dal testo della sentenza impugnata e dal confronto con le prove richiamate nella sentenza di primo grado in relazione alla ricostruzione della condotta della vittima e alla sua qualificazione in termini di abnormità.

La sentenza di secondo grado sostiene come l'incidente mortale sia occorso durante l'esecuzione dei lavori, escludendo, come aveva già fatto il primo giudice, che la vittima fosse precipitata in occasione di un sopralluogo. Sulla base di tale premessa, i giudici di appello avrebbe dovuto riconoscere che fossero necessarie tutte le cautele antinfortunistiche omesse. In modo del tutto incoerente e contraddittorio, la Corte di merito si astiene dal valutare tali aspetti, riconducendo la causa dell'infortunio alla sola condotta imprudente e scriteriata del lavoratore, sostenendo che egli abbia volontariamente calpestato il pavimento in vetroresina, benchè la zona non calpestabile fosse segnalata. Non ha valutato altri possibili cause della precipitazione del lavoratore, del tutto indipendenti dalla volontaria trasgressione e altrettanto plausibili nel contesto in cui è avvenuto il fatto (perdita di equilibrio dovuta a sbilanciamento, ad agenti atmosferici o ad improvviso malore).

3) Violazione dell'art. 40 c.p. e art. 41 c.p., comma 2, art. 589 c.p., commi 2 e 3, D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148; carenza, e manifesta illogicità della motivazione ricavabile dal testo del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta esclusione del rapporto di causalità fra le condotte ascritte agli imputati e l'evento per la ritenuta abnormità delle condotte del lavoratore.

La sentenza impugnata ha capovolto le corrette conclusioni a cui era pervenuta la pronuncia di primo grado, incorrendo in una serie di evidenti errori logici e giuridici.

Se anche il lavoratore avesse tenuto la condotta volontaria descritta nella sentenza impugnata, lo avrebbe fatto all'unico scopo di eseguire al meglio l'incarico affidatogli (magari per pulire una parte del soffitto del lucernario altrimenti irraggiungibile). La stessa sentenza riconosce che la pulitura del tetto potesse essere effettuata senza salire sulla pavimentazione del lucernario, mantenendosi sulla lamiera grecata, ammettendo implicitamente che, per eseguire correttamente i lavori di pulizia dei lucernari, il M.M. avrebbe dovuto comunque operare "al di sopra" dei suddetti segnali di pericolo e, quindi, sporgendosi verso il centro dei lucernari.

L'asserito rischio attivato dal lavoratore, ammesso che la condotta da lui tenuta fosse stata frutto di una precisa scelta, formava egualmente specifico oggetto della doverosa tutela incombente, sia pure a diverso titolo, su tutti gli attuali imputati.

4) Violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5 e 25 septies, carenza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in relazione all'intervenuta assoluzione della "L.L. Srl ". dall'illecito amministrativo.

Essendo l'assoluzione degli imputati frutto di errori logici e giuridici, la sentenza impugnata deve formare oggetto di annullamento anche con riferimento alle parti in cui è stata esclusa la responsabilità dell'ente e sono state caducate le statuizioni a carico della società.

2.1 Le parti civili costituite, nei separati ricorsi, hanno proposto ragioni di doglianza analoghe a quelle prospettate dall'Accusa.

L'Avvocato Trimarchi Giuseppe, in difesa di E.E. e F.F., parti civili costituite nel giudizio, lamenta quanto segue.

1) Violazione dell'art. 589 c.p., commi 2 e 3, D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 48; violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 530 e 597; carenza della motivazione ricavabile dal testo stesso del provvedimento impugnato in relazione all'intervenuta riforma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado senza la redazione di una motivazione rafforzata; violazione del principio di autosufficienza della decisione.

2) Violazione dell'art. 589 c.p., commi 2 e 3, e del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148; travisamento della prova; carenza e manifesta illogicità della motivazione ricavabile dal testo del provvedimento impugnato e dal confronto con le prove richiamate nella sentenza di primo grado in relazione alla ricostruzione della condotta della vittima e alla qualificazione della stessa condotta in termini di abnormità.

3) Violazione dell'art. 40 c.p. e art. 41 c.p., comma 2, art. 589 c.p., commi 2 e 3, violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148; carenza e manifesta illogicità della motivazione ricavabile dal testo stesso del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta esclusione del rapporto di causalità fra le condotte ascritte agli imputati e l'evento per la ritenuta abnormità della condotta del lavoratore.

4) Violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5 e 25 septies, manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in relazione all'intervenuta assoluzione della "L.L. Srl " dall'illecito amministrativo ad essa ascritto.

L'Avvocato Borgogno Roberto, in difesa di A.A., B.B., C.C. e D.D., parti civili costituite nel giudizio, lamenta quanto segue.

1) Violazione dell'art. 589 c.p., commi 2 e 3, e del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 48; violazione dell'art. 25 c.p.p., comma 3, artt. 530 e 597 c.p.p.; carenza della motivazione ricavabile dal testo stesso del provvedimento impugnato in relazione all'intervenuta riforma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado senza la redazione di una motivazione rafforzata.

2) Violazione dell'art. 589 c.p., commi 2 e 3, e del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148; travisamento della prova; carenza e manifesta illogicità della motivazione ricavabile dal testo del provvedimento impugnato e dal confronto con le prove richiamate nella sentenza di primo grado in relazione alla ricostruzione della condotta della vittima e alla qualificazione della stessa condotta in termini di abnormità.

3) Violazione dell'art. 40 c.p. e art. 41 c.p., comma 2, art. 589 c.p., commi 2 e 3, violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 148; carenza e manifesta illogicità della motivazione ricavabile dal testo stesso del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta esclusione del rapporto di causalità fra le condotte ascritte agli imputati e l'evento per la ritenuta abnormità della condotta del lavoratore.

2.2 Il difensore dell'imputato I.I. ha depositato articolata memoria difensiva nella quale deduce quanto segue.

1) Inammissibilità dei ricorsi ex art. 576 c.p.p. formulati dalle parti civili con atti a firma degli Avvocati Trimarchi Giuseppe e Borgogno Roberto.

I ricorsi delle parti civili, nonostante il riferimento, in esordio, soltanto in uno di essi all'art. 576 c.p.p., contengono doglianze che riguardano in via esclusiva la riforma agli effetti penali della sentenza impugnata; in essi non vi è alcun riferimento, neanche mediante mere formule di stile, al profilo risarcitorio derivante dalla commissione del reato ad opera degli imputati, come si può evincere non solo dal contenuto del ricorso ma anche dalle richieste finali formulate.

Nelle conclusione del ricorso a firma dell'Avv. Trimarchi si chiede "l'annullamento di tutte le statuizioni assolutorie della sentenza gravata" e, nel ricorso a firma dell'Avv. Borgogno, "l'annullamento della sentenza impugnata".

Inoltre, mentre nel ricorso a firma dell'Avv. Trimarchi vi è un pur generico e formale riferimento agli effetti civili dell'impugnazione, nel ricorso a firma dell'avv. Borgogno non compare alcun riferimento alla finalità dell'impugnazione agli effetti civili ex art. 576 c.p.p..

2) Inammissibilità del ricorso dell'Avv. Trimarchi Giuseppe, nell'interesse di F.F.. Risulta in atti (cfr. pag. 3 sentenza di primo grado ed allegato verbale di udienza) che il Signor F.F., all'udienza del 10/12/2018, ha rinunciato alla costituzione di parte civile nei confronti dell'imputato I.I..

Nonostante detta rinuncia il ricorso è stato proposto nei confronti di tutti gli imputati.

E' di tutta evidenza la mancanza di legittimazione di F.F. ad impugnare la sentenza di appello nei confronti dell'imputato I.I..

3) Si solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 529 c.p.p. nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non è prevista la possibilità per il Giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorchè l'agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionato con la propria condotta abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso.

Sul punto si rinvia alle argomentazioni svolte nell'allegata ordinanza del Tribunale di Firenze che ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale.

4) Si deduce l'infondatezza del ricorso del P.G..

Il Procuratore Generale ritiene che la sentenza sia affetta da carenza motivazionale in quanto, secondo quanto prospettato nel ricorso, in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, il giudice deve fornire una motivazione c.d. rafforzata.

Ciò posto, al fine di evitare che la dedotta carenza di motivazione si risolva in una mera affermazione di principio, è necessario, preliminarmente, definire il concetto di motivazione rafforzata.

Il concetto di motivazione rafforzata va inteso nel senso che la riforma della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, impone al giudice di appello uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum per metterne in luce carenze o aporie che ne giustifichino l'integrale riforma.

Nell'ipotesi in cui, per diversità di apprezzamenti, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, è necessario che riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per fornire, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni.

La verifica in ordine alla esistenza di una motivazione rafforzata deve essere effettuata in relazione alla parte interessata dalle diverse valutazioni operate dal Giudice di appello rispetto a quelle del Giudice di primo grado. Nel caso in esame la valutazione deve riguardare la condotta imprudente della vittima.

Orbene, della condotta abnorme del lavoratore il Giudice di primo grado si è occupato a pag. 8 della sentenza, limitandosi, dopo aver citato giurisprudenza di legittimità, ad affermare che è da escludere la sussistenza di tale evenienza "posto che la morte dell'operaio è da ricondurre alla mancanza di adeguate protezioni e delle misure di prevenzione previste dall'art. 148 e ciò non può considerarsi certamente fatto abnorme e non prevedibile per il tipo di attività commissionata".

A fronte di tale motivazione, la Corte di appello, nelle pagine 12 e 13 della sentenza impugnata, non si limita solo a manifestare una valutazione difforme rispetto a quella del primo giudice, ma indica specificamente le circostanze ignorate nella sentenza di condanna. In ragione della circostanza che il lavoro potesse e dovesse essere compiuto senza "salire sul lucernaio mantenendosi sulla lamiera zincata", tenuto anche conto della segnalazione del pericolo esistente, unitamente alla circostanza che il calpestio del lucernaio costituisca una condotta pericolosa per una persona "di normali capacità valutative", la Corte di merito è giunta alla logica conclusione che l'evento non possa che essere ricondotto all'abnormità del comportamento del lavoratore.

Con il ricorso, il Procuratore Generale sollecita una diversa ricostruzione del fatto, ipotizzando, tra l'altro, un presunto travisamento della prova. Come insegna la Suprema Corte, gli unici vizi della motivazione deducibili per cassazione sono quelli relativi alla mancanza, alla manifesta illogicità o alla sua contraddittorietà.

Il ricorrente richiede con l'impugnazione una diversa ricostruzione del fatto e propone una diversa valutazione delle prove acquisite, anche nella parte in cui eccepisce il travisamento della prova, omettendo di allegare o trascrivere integralmente la dichiarazione o l'atto processuale che assume essere travisato ed anche di indicare la sua decisività.

Motivi della decisione
1. Prima di affrontare le questioni sottese ai motivi di ricorso del Procuratore generale, attinenti al merito della vicenda, occorre, in ragione della loro valenza prioritaria, esaminare le deduzioni difensive proposte nell'interesse dell'imputato I.I., riguardanti l'ammissibilità dei ricorsi avanzati dalle parti civili costituite.

La difesa dell'imputato I.I. evidenzia come i ricorsi delle parti civili siano stati proposti in violazione dell'art. 576 c.p.p., non contenendo alcuna indicazione circa la finalità di ottenere la riforma della sentenza impugnata agli effetti civili.

L'assunto è infondato e deve essere respinto. L'impugnazione proposta nell'interesse di E.E. e F.F. reca, nell'incipit, l'indicazione dell'art. 576 c.p.p. e la precisazione che il ricorso è promosso ai soli effetti della responsabilità civile.

Quanto al ricorso a firma dell'Avv. Borgogno Roberto, che non reca tali esplicite indicazioni, occorre richiamare il principio stabilito dalle Sezioni Unite Colucci, in base al quale "L'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche quando non contenga l'espressa indicazione che l'atto è proposto ai soli effetti civili" (Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 08/02/2013, Rv. 254130; il principio è stato poi ribadito da Sez. 4, n. 29154 del 14/03/2018, PC in proc. Cappellutti, Rv. 272976).

1.2 Sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 529 c.p.p. "nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità per il Giudice di emettere sentenza di non doversi procedere allorchè l'agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionato con la propria condotta abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso" si osserva quanto segue.

La questione è manifestamente infondata. Essa involge la nozione di "pena naturale", coniata da alcuni commentatori, del tutto estranea al nostro ordinamento ed ai principi costituzionali che attengono alla responsabilità penale, al sistema sanzionatorio ed alle finalità della pena. E' anche priva di riferimento al caso concreto, non essendo in alcun modo documentato l'asserito rapporto di parentela tra l'imputato e la vittima, da cui sarebbe derivata la prospettata sofferenza morale.

1.3 Deve essere invece accolta la doglianza riguardante l'inammissibilità del ricorso agli effetti civili proposto da F.F. nei confronti dell'imputato I.I., avendo il primo revocato la costituzione di parte civile nei confronti del predetto imputato all'udienza del 10/12/2018, come risulta dalla stessa sentenza di primo grado. Tale inammissibilità scaturisce dalla mancanza di legittimazione, derivante dalla revoca della costituzione di parte civile.

Infondati sono gli ulteriori motivi di ricorso proposti nell'interesse dell'imputato I.I. come si dirà nella parte dedicata alla disamina del ricorso del Procuratore generale.

2. Sono fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti dal Procuratore generale avverso ?a pronuncia della Corte di appello; ad essi si sono associate le parti civili, le quali hanno proposto doglianze di eguale contenuto, sia pure al diverso fine di fare valere gli interessi civilistici collegati alla vicenda. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Messina.

E' d'uopo richiamare preliminarmente i principi che questa Corte ha da tempo elaborato in tema di comportamento eccentrico ed abnorme del lavoratore, rivestendo tale aspetto carattere di centralità nel ragionamento che ha condotto all'esito assolutorio di cui si duole l'Accusa.

La prevalente giurisprudenza di questa Corte ha da lungo tempo stabilito che le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione propria di evitare che si verifichino eventi lesivi in danno della salute dei lavoratori anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali condotte imprudenti o negligenti degli stessi, la cui incolumità deve essere sempre garantita mediante l'attuazione delle necessarie cautele (cfr. ex multis Sez. 4, n. 4917 del 01/12/2009, dep. 04/02/2010, Filiasi, Rv. 246643: "Non sono riconducibili a caso fortuito gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore, poichè le prescrizioni poste a tutela dei lavoratori mirano a garantire l'incolumità degli stessi anche nell'ipotesi in cui, per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, essi si siano venuti a trovare in situazione di particolare pericolo").

Partendo da tale assunto, si è affermato che soltanto ove il lavoratore ponga in essere una condotta inopinabile, imprevedibile o esorbitante dal procedimento di lavoro sia configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro (Sez. 4, n. 2614 del 26/10/2006, dep. 25/01/2007, Palmieri, Rv. 236009: "il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo è interrotto, ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2, solo nel caso in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato causa all'evento, dovendosi considerare "abnorme" il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro)").

La definizione di abnormità, tradizionalmente collegata all'imprevedibilità del comportamento del lavoratore, è stata superata da più recente orientamento, che affida alla nozione di eccentricità del rischio il discrimine che consente di individuare la condotta abnorme del lavoratore (ex multis Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Rv. 280914: "In tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, deceduto per essere rimasto intrappolato nella bobina di una macchina per la lavorazione di tessuti, priva di dispositivi di protezione atti a eliminare il rischio di trascinamento e intrappolamento, ritenendo priva di rilievo nell'eziologia dell'evento l'assunzione da parte del lavoratore di farmaci a base di benzodiazepine, idonei a produrre depressione del sistema nervoso centrale).; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 27/03/2017, Gerosa, Rv. 269603:"In tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datare di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso l'abnormità della condotta di due lavoratori che erano deceduti, per mancanza di ossigeno, all'interno di una cisterna in cui si erano calati per svolgere le proprie mansioni, ma senza attendere l'arrivo del responsabile della manutenzione e senza utilizzare dispositivi di protezione)").

L'approdo risponde all'esigenza di conferire al concetto di abnormità maggiore aderenza alla complessità dell'organizzazione del lavoro, valutandone la portata nella prospettiva di colui che rivesta una posizione di garanzia, la quale "designa l'ambito in cui si esplica l'obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l'obbligo del garante" (così in motivazione, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261106).

In base a tale più recente e accreditata nozione, l'eventuale ed ipotetica condotta abnorme lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento ove l'attività che abbia generato l'infortunio rimanga collocata nell'area di rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Pertanto, ove la causa dell'infortunio sia dipesa anche da imprudenza e negligenza del lavoratore, come pure da distrazione, stanchezza o malore, il titolare della posizione di garanzia non è esonerato da responsabilità se la condotta del lavoratore sia rimasta confinata nell'area di rischio che egli è tenuto a governare.

3. Considerando le implicazioni di tale quadro di principi in relazione alla concreta disamina della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, deve rilevarsi come la Corte territoriale non abbia fatto buon governo dei criteri stabiliti in sede di legittimità, basandosi la pronuncia assolutoria su una superficiale considerazione delle circostanze del caso esaminato e su valutazioni congetturali, non sostenute da riferimenti ad elementi che rendano conto delle conclusioni raggiunte.

La Corte territoriale, dopo avere ricostruito l'accadimento del fatto in modo sostanzialmente coincidente con quello offerto dal primo giudice, è approdata all'esito assolutorio argomentando nel modo seguente: "nel caso in esame, è evidente che la caduta dello sventurato lavoratore si è verificata per la rottura di uno dei pannelli in vetroresina, un lucernario, cagionata dal calpestio di esso da parte dell'uomo. Le supposte carenze strutturali del capannone, la rilevata ossidazione delle parti metalliche, non hanno invece avuto alcuna rilevanza nella causazione dell'evento. Nè si è verificata la rottura della lamiera grecata. Ora, non può farsi a meno di sottolineare come il calpestio del lucernario di una tettoia costituisca condotta la cui estrema pericolosità non può sfuggire ad una persona di normali capacità valutative. Nel senso che è lecito attendersi, da soggetto anche non esperto nel tipo di lavoro che M.M. ha eseguito, che non vengano calpestati quei pannelli che potrebbero facilmente rompersi per il peso di chi vi si appoggia, determinandone la rottura e la conseguente precipitazione Ma, ove ciò non bastasse, la zona del lucernario interessato alla rottura - e per la verità, come emerge dalle fotografie in atti, ogni zona in cui era situato ciascun pannello del genere - era presidiata da ben visibili nastri e birilli biancorossi, che segnalavano inequivocabilmente il pericolo e vietavano l'accesso sui lucernari. Nè può sostenersi che il lavoro da eseguire richiedesse, comunque, di salire sul pannello rottosi; le fotografie in atti dimostrano infatti - senza tema di smentita che la pulitura del lucernario potesse essere effettuata ugualmente, senza salire su esso, mantenendosi sulla lamiera grecata, non costituendo peraltro il nastro ed i birilli, elemento che impedisse la pulitura, al di sopra dei suddetti elementi di ostacolo, del lucernario" (si vedano le pagine 12 e 13 della motivazione).

Ebbene, la giustificazione offerta, come messo in rilievo dal Procuratore ricorrente, tiene unicamente conto della possibilità che il lavoratore abbia volontariamente calpestato il pavimento in vetroresina, evidente fonte di pericolo per la sua incolumità. Si esclude in motivazione aprioristicamente ogni altra ipotesi alternativa e si prende le mosse dall'assiomatica considerazione che il lavoratore si sia volutamente portato nella zona non calpestabile, senza dare conto degli elementi fattuali dai quali è stato desunto il postulato della volontarietà dell'azione.

4. La Corte di merito, pur non essendo tenuta a rendere una motivazione rafforzata in caso di ribaltamento del verdetto di condanna, come ventilato erroneamente dal ricorrente nel primo motivo di doglianza, è tenuta comunque ad offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 03/04/2018, PG in proc. Troise, Rv. 272430).

La motivazione della sentenza impugnata, sotto questo profilo, è priva di riferimenti fattuali e logici a sostegno dell'assunto della volontarietà del comportamento ascritto al lavoratore e carente di un adeguato confronto con le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, in cui è stata esclusa l'abnormità della condotta del lavoratore attraverso un puntuale riferimento ai consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità richiamati in precedenza.

La Corte di merito sostiene che la condotta del lavoratore sia stata esorbitante, ma non spiega, in concreto, come la vittima abbia attivato un rischio nuovo ed eccentrico rispetto a quello che avrebbero dovuto governare il datore di lavoro, il committente ed il responsabile della sicurezza.

Il lavoratore, infatti, come ha spiegato il giudice di primo grado, e come riconosce la stessa Corte di appello, si era portato sul tetto del capannone per svolgere il lavoro che gli era stato affidato in mancanza dei più elementari presidi antinfortunistici previsti per i lavori in quota, che avrebbero dovuto tutelarlo da cadute dall'alto, ed in assenza di precise informazioni sulla fragilità del piano di calpestio.

La Corte di appello ha trascurato di considerare tali aspetti, incorrendo nel vizio lamentato dal ricorrente e dalle parti civili.

Si esamina in sentenza il solo profilo dell'abnormità della condotta del lavoratore, con rilievo tranciante rispetto ad ogni altra pur corretta e logica deduzione contenuta nella sentenza di primo grado riguardante la mancata adozione delle precipue cautele che erano tenuti ad osservare, nella gestione dei rischio a cui era esposto il lavoratore, le varie figure coinvolte nella vicenda.

In conclusione, la Corte di appello in sede di rinvio dovrà accertare quale sia stata la condotta serbata dalla persona offesa, evitando di affidarsi ad ipotesi congetturali: pur dovendosi dare atto che il giudice possa pervenire a determinate conclusioni, avvalendosi della c.d. prova logica o critica, egli deve dare idonea giustificazione degli elementi sui quali fonda il proprio convincimento e dei passaggi logici che compongono il ragionamento, rifuggendo da costruzioni ipotetiche che siano frutto soltanto di congetture. Dovrà inoltre tenere presente come la negligenza e l'imprudenza del lavoratore rientrino tra gli aspetti da fronteggiarsi da parte del datore di lavoro e degli altri soggetti investiti di una posizione di garanzia.

Il quarto motivo di ricorso proposto dal Procuratore generale, riguardante l'intervenuta assoluzione della "L.L. Srl "dall'illecito amministrativo è assorbito dalla decisione di annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

5. Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Messina, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità. Si dichiara inammissibile il ricorso di F.F. nei confronti di I.I..

 

P.Q.M.
 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Messina, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti darle spese di questo giudizio di legittimità. Dichiara inammissibile il ricorso di F.F. nei confronti di I.I..

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2023