Cassazione Penale, Sez. 3, 27 luglio 2023, n. 32737 - Ruolo del direttore tecnico di una discarica
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MENGONI ENRICO Data Udienza: 14/06/2023
Fatto
1. Con sentenza del 30.5.2022, la Corte di appello di Lecce, in riforma della pronuncia emessa il 9.1.2020 dal Tribunale di Brindisi, dichiarava non doversi procedere nei confronti di L.S. e G. M. in ordine alle contravvenzioni loro contestate, confermando le statuizioni civili.
2. Propone ricorso per cassazione il G.M., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe riconosciuto la responsabilità del ricorrente sebbene dagli atti fosse emerso che: a) questi aveva stipulato con la "Nubile s.r.l." un contratto che lo qualificava come preposto, ai sensi dell'art. 19, d. lgs. n. 81 del 2008; b) lo stesso aveva inviato allo L.S., legale rappresentante della società, circa 30 segnalazioni scritte quanto alle criticità emergenti nella gestione della discarica, tutte disattese dall'altro; c) era inverosimile la tesi difensiva dello L.S., che aveva riferito di aver delegato al coimputato gli adempimenti relativi alla gestione dell'impianto. Tanto premesso, i Giudici avrebbero applicato i canoni di responsabilità relativi alla delega scritta di funzioni senza verificare se - nelle mansioni concrete, contrattualizzate ed effettivamente espletabili - fossero ricomprese quelle gestorie, con autonomia di spesa volta a consentire l'adozione di interventi di tenuta funzionale e di sicurezza della discarica. In assenza di una verifica circa la correttezza e l'effettività di un'eventuale delega, il ricorrente avrebbe meritato, dunque, di essere assolto; se è vero, infatti, che in astratto il direttore tecnico è compatibile con una figura "multitasking", sarebbe anche vero che, nel caso di specie, lo stesso ruolo sarebbe stato assai limitato, per mancanza di delega e dei necessari poteri. La motivazione della sentenza, peraltro, sarebbe contraddittoria, in quanto avrebbe dovuto riconoscere la responsabilità o del solo amministratore della "Nubile" o del solo delegato, non di entrambi;
- lo stesso triplice vizio motivazionale è poi dedotto quanto all'ammissione delle parti civili ed alla fondatezza delle relative domande. La questione, sollevata anche in primo grado, riguarda la costituzione delle parti civili private, che sarebbe stata ammessa in violazione della giurisprudenza in materia; questa, in particolare, ammetterebbe lo Stato - Ministero dell'Ambiente - quale unico legittimato a domandare il risarcimento del danno ambientale in sé considerato, mentre i privati e le associazioni potrebbero chiedere un ristoro solo dimostrando di aver sofferto un danno patrimoniale proprio, diverso ed ulteriore da quello ambientale. Ebbene, tali costituzioni di parte civile violerebbero l'art. 92 cod. proc. pen., difettando il consenso della persona offesa; quanto a M.T., poi, nulla ne avrebbe giustificato la legittimazione a pretendere la tutela di un diritto al risarcimento. Sotto altro profilo, ancora, si lamenta che, in rapporto alle contestazioni mosse al G.M., nessun danno potrebbe essere riconosciuto alle parti civili: ogni responsabilità, infatti, deriverebbe solo dal fatto che la discarica - mal progettata, mal costruita e mal gestita - avrebbe dovuto esser chiusa da anni, anziché essere affidata in gestione dal Comune di Brindisi alla "Nubile".
Diritto
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. Con riguardo al primo motivo, che lamenta il riconoscimento di profili di responsabilità nei confronti di un soggetto, di fatto, privo di ogni potere gestorio o economico, ed intervenuto sull'impianto solo perché nominato preposto ai sensi dell'art. 19, d. lgs. n. 81 del 2008, deve rilevarsi che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, hanno tra l'altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129, comma 2, cod. proc. pen., è consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Si è precisato in quella pronuncia che il controllo demandato al giudice deve appartenere più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento". Nel solco di questa sentenza, può pertanto affermarsi che l'evidenza richiesta dal menzionato articolo 129, comma 2, cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale talmente chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia. Ancora, e nello stesso solco, è stato affermato che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (tra le altre, Sez. 6, n. 10284 del 27725 del 22/3/2018, Princi, Rv. 273679).
4. Tanto premesso in termini generali, la Corte osserva che le considerazioni oggetto del ricorso non consentono affatto di escludere la responsabilità del G.M. con una mera "constatazione", come richiesto dalla giurisprudenza richiamata, coinvolgendo, piuttosto, indagini circa la carica effettivamente ricoperta dal soggetto, i poteri effettivamente esercitati, l'esistenza o meno di una delega, i caratteri concreti della figura ricoperta di direttore tecnico.
Un'attività valutativa, dunque, che non può essere compiuta in presenza di un reato estinto per prescrizione.
4.1. A ciò si aggiunga, peraltro, che il motivo di ricorso non si confronta affatto con il tenore della sentenza impugnata, che ha riconosciuto al G.M. la carica di direttore tecnico (a partire dal 1°/5/2011); ha richiamato il contratto di consulenza e progettazione con il quale la "Nubile" aveva conferito alla "Ekotek s.r.l.s." (il cui legale rappresentante era il ricorrente) l'incarico di consulente per lo svolgimento dell'attività di responsabile tecnico della discarica, nonché di referente per le progettazioni necessarie alla prosecuzione dell'attività. Ebbene, il consulente incaricato era proprio il G.M., il quale, dunque, non si limitava ad avere responsabilità in tema di sicurezza sul lavoro, come preteso in sede di merito, ma accorpava in sé anche mansioni relative alla gestione dell'impianto.
Il primo motivo di ricorso, dunque, è manifestamente infondato.
5. Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge anche quanto al secondo, che contesta la costituzione di alcune parti civili ed il relativo riconoscimento di danno.
5.1. Anche questa censura, infatti, si sviluppa in termini propri della sola fase di cognizione, perché sostenuta da argomenti di merito che la Corte di legittimità non è ammessa a verificare, come l'esistenza (o meno) di un concreto diritto che le stesse parti civili vanterebbero a vedersi riconosciuta la lesione di un danno proprio, specifico, diverso da quello ambientale in sé, per la cui tutela la costituzione di parte civile è consentita soltanto allo Stato, attraverso il Ministero dell'Ambiente. Sempre in punto di merito, qui non censurabile, la sentenza impugnata ha peraltro confermato la legittimazione alla costituzione di parte civile, oltre che il diritto alla liquidazione del danno patito, quanto al Comune di San Vito dei Normanni, all'Associazione Italia Nostra, al Comitato Salute Ambiente e Territorio, a Legambiente Comitato regionale pugliese, al Ministero dell'Ambiente e a T. (o T., come riportato nella prima sentenza). Anche la questione relativa alla presunta violazione dell'art. 92 cod. proc. pen. è formulata in termini di mero fatto, e come tale non può essere
ammessa in questa sede. Così come, infine, l'ultima parte dello stesso motivo, che censura la mancanza di un "rapporto logico-giuridico tra il fatto-reato contestato al ricorrente rispetto alle domande avanzate dalle parti civili costituite", dal momento che le omissioni ascrittegli non avrebbero potuto "logicamente incidere né sul sito, né sul territorio, né sull'ambiente e nell'inquinamento delle falde", eventi tutti da ricondurre ad una discarica - di proprietà del Comune - "che è stata mal progettata, mal costruita, mal collaudata e mal gestita sotto la direzione del Commissario del Governo e del Prefetto dell'epoca". Si tratta, all'evidenza, di considerazioni di puro merito che questa Corte non è ammessa a verificare.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00. Nessuna liquidazione, invece, è disposta in favore delle parti civili, quanto alle spese sostenute nel presente grado, atteso che le stesse si sono limitate a formulare conclusioni senza apportare alcun contributo al giudizio, né formulare osservazioni o considerazioni di sorta sul ricorso; in modo tale, dunque, da non consentire di apprezzare l'attività difensiva svolta.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 giugno 2023