Cassazione Penale, Sez. 4, 02 agosto 2023, n. 33889 - Sfruttamento del pastore all'interno della masseria


 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: RICCI ANNA LUISA ANGELA
Data Udienza: 08/06/2023

 

Fatto



1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 17 febbraio 2022, ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Bari, ex art. 442 cod. proc. pen., nei confronti di G.P. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv., 603 bis cod. pen., accertato in Capurso dal dicembre 2019 al 28 febbraio 2020, alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione e euro 600,00 di multa.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso G.P. a mezzo del difensore, formulando un unico articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla affermazione della responsabilità e al trattamento sanzionatorio.
Sotto il primo profilo il difensore lamenta che la Corte in maniera illogica e apodittica non avrebbe dato rilievo alle difficile condizioni economiche del ricorrente, che invece erano state la ragione della corresponsione al lavoratore di una paga ridotta. La Corte, inoltre, avrebbe fatto coincidere la mera violazione degli obblighi di informazione in materia di sicurezza sul lavoro con la manifesta reiterata e significativa violazione di termini remunerativi e normativi del rapporto di lavoro rilevanti ai sensi della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 603 bis cod. pen..
Sotto il secondo profilo il difensore lamenta che la Corte di Appello, nel confermare il trattamento sanzionatorio, non avrebbe considerato che G.P. era stato mosso da spirito di solidarietà nel garantire ad A.: il sostentamento e addirittura lo aveva trattato come un famigliare e che la condotta contestata si era protratta per soli tre mesi.

3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto G.C., ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
 

Diritto



1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. La Corte di Appello, in coerenza con la sentenza di primo grado, ha confermato l'affermazione della responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 603 bis, comma 1 n. 1), cod. pen., per avere egli, nella qualità di proprietario di una masseria e di un gregge di ovini e caprini, assunto e impiegato alle proprie dipendenze il pastore F.A., persona in condizioni di assoluta povertà, in precarie condizioni famigliari e affetta anche da deficit intellettivi, sottoponendolo a condizioni di sfruttamento. I giudici hanno dato atto che l'attività di osservazione della Polizia Giudiziaria, effettuata dal 10 gennaio al 28 febbraio del 2020, aveva consentito di accertare la ricorrenza di tutti gli indici di sfruttamento descritti, con elencazione esemplificativa, dalla norma incriminatrice . In particolare era emerso che al pastore veniva corrisposta una retribuzione di gran lunga inferiore a quelle previste dalla contrattazione collettiva di settore e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, con una paga oraria di 1,19 euro per una giornata lavorativa dalle ore 5.30 alle ore 18.00 in assenza di riposi settimanali; che era stato avviato ai lavori della pastorizia in violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro (art. 18, comma 1, lett. c, 36 e 37, comma 1, d.lgs 9 aprile 2008 n. 81), ovvero in assenza di verifica del suo stato di salute e senza fornire le informazioni obbligatorie in materia di sicurezza; che gli era stata fornita ospitalità in azienda in situazione alloggiativa degradante ovvero all'interno di una roulotte collocata alle spalle dell'ovile, priva di energia elettrica, di riscaldamento, di acqua potabile, di attrezzatura per cucina e conservare il cibo, con servizio igienico guasto e colmo di liquame.

3. Le censure del ricorrente, meramente reiterative di quelle già formulate nell'atto di appello, non si confrontano con la completa motivazione della Corte cui non contrappongono argomenti giuridici corretti e elementi di fatto, tali da intaccarne la tenuta e sono, comunque, manifestamente infondate.
3.l. Una prima doglianza ha riguardo, da un lato, alla mancata considerazione dal parte della Corte di Appello delle difficoltà economiche in cui si era trovato P., il quale, dunque, in sostanza avrebbe agito nel modo anzidetto perché necessitato, e dall'altro, alla ritenuta condizione di sfruttamento, che, secondo il ricorrente, i giudici avrebbero ravvisato nella mera inosservanza della normativa concernente l'igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Sotto il primo profilo, deve rilevarsi che la Corte, in replica ad analoga censura, ha motivatamente argomentato che le condizioni economiche del datore di lavoro non possono mai dare ragione del trattamento miserevole e degradante del lavoratore e che, in ogni caso l'istruttoria aveva dimostrato come, P. sia pure in restrizione domiciliare, aveva ottenuto l'autorizzazione a svolgere attività lavorativa presso l'ovile dalle ore 5.30 alle orie 8.00 ed era comunque coadiuvato nella gestione dell'azienda dalla moglie e dal fratello, sicché l'attività di trasformazione e vendita dei prodotti caseari era continuata.
Sotto il secondo profilo si osserva che il legislatore non ha definito la nozione di "sfruttamento", ma ha preferito indicare, all'art. 603 bis, comma 3, cod. pen., alcuni indici di sfruttamento elencati al terzo comma della disposizione e così individuati: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione dei lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Questa Corte ha già avuto modo, peraltro, di precisare che l'elencazione contenuta nella norma non è esaustiva delle condizioni che integrano lo sfruttamento, potendo il giudice individuare anche altre condotte suscettibili di dare luogo al requisito della condotta di abuso del lavoratore (Sez. 4 n, 7857 del 11/11/2021, dep. 2022, Falcone, Rv. 282609).
La stessa norma incriminatrice precisa che lo sfruttamento può essere integrato dalla presenza anche di uno solo degli indici elencati e che dallo sfruttamento deve tenersi distinto l'approfittamento dello stato di bisogno, altro presupposto necessario affinché siano punibili le condotte di reclutamento e di utilizzazione della manodopera. Lo stato di bisogno -ha chiarito la Corte cli Cassazione- non si identifica "con uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo e, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405).
A prescindere, dunque, dal rilievo che anche solo la riscontrata violazione delle norme in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, se accompagnata dall'approffittamento dello stato di bisogno, può integrare in astratto la fattispecie incriminatrice, nel caso di specie, in realtà i, i giudici hanno dato atto di una complessiva situazione di sfruttamento in cui tutti gli indici su indicati erano compresenti e nella quale si era realizzato un asservimento del lavoratore, costretto in una situazione, inumana, di totale degrado.
3.2. La seconda doglianza·, attinente al trattamento sanzionatorio, è, oltre che generica e reiterativa, manifestamente infondata. La Corte di Appello, con argomentazione esaustiva e esente da censure, ha rilevato che la pena base di anni 2 e mesi 6 di reclusione e 900 euro di multa era congrua in rapporto alla gravità della condotta, lesiva al massimo grado della dignità umana, e protrattasi per un apprezzabile lasso di tempo e che l'approfittamento delle ridotte capacità intellettive della persona offesa e delle sue precarie condizioni famigliari e economiche valeva a smentire l'asserito spirito di solidarietià da cui, secondo il difensore, G.P. sarebbe stato mosso.

4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
 

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della casa delle ammende