Cassazione Penale, Sez. 4, 24 luglio 2023, n. 31881 - Caduta dall'alto durante la verniciatura di un automezzo. Scala inidonea e mancata valutazione del rischio



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 14/10/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso udito il difensore, avvocato ZITTI MASSIMILIANO, del Foro di AVEZZANO, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. La Corte di Appello di L'Aquila, con sentenza del 14 ottobre 2022, ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza del 1 luglio 2020, con la quale il Tribunale di Avezzano aveva ritenuto A.A., responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio verificatosi a Magliano dei Marsi presso l'officina meccanica gestita dalla "Nuova Italdiesel Srl ", società della quale A.A. era legale rappresentante.

Il (Omissis), poco prima delle ore (Omissis), all'interno di quella officina meccanica fu rinvenuto il corpo senza vita di B.B.. Il corpo di trovava disteso a terra, in posizione supina, a meno di un metro dalla parte anteriore dell'autocarro targato (Omissis) e il veicolo era posizionato sopra la fossa di lavoro dell'officina. B.B. aveva la testa quasi davanti alla ruota anteriore destra del veicolo e i piedi poco oltre la ruota anteriore sinistra. Quando il corpo fu ritrovato, la cabina dell'autocarro - alta m. 2,30 - era rivestita nella parte anteriore da fogli di giornale e da fogli di cellophane; nelle parti laterali, da fogli di giornale e, nelle parti posteriore e superiore, solo parzialmente da fogli di giornale. Poco distante dalla parte anteriore del veicolo, dal lato passeggero, era posizionato un cavalletto con sopra un pannello di legno e altri fogli di giornale e, accanto, c'era uno scatolone, con prodotti solventi. Sotto al capo della vittima vi era una palanca di ferro dotata di binari in rilievo posta trasversalmente alla fossa di lavoro. L'autopsia accertò che la morte era avvenuta a causa del violento impatto del capo con un corpo contundente di superficie ristretta, compatibile con il binario della palanca in ferro. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, B.B., era stato incaricato di riverniciare il cassone dell'autocarro e, a tal fine, stava procedendo a coprire la cabina del mezzo, non interessata ai lavori di verniciatura. Mentre stava eseguendo questo lavoro, cadde dall'alto impattando col capo sulla palanca in ferro. A.A. è stato ritenuto responsabile della morte quale datore di lavoro e legale rappresentante della società. Le sentenze di primo e secondo grado hanno ritenuto che l'infortunio fosse stato reso possibile da violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e in particolare:

- dalla mancata valutazione dei rischi connessi allo svolgimento del lavoro di verniciatura cui il lavoratore era stato assegnato (lavoro che l'officina gestita da A.A., abitualmente non svolgeva trattandosi di una officina meccanica e non di una carrozzeria) (D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, artt. 17 e 28);

- dalla conseguente inadeguata scelta delle attrezzature di lavoro e delle modalità di esecuzione dello stesso (D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 28);

- dall'aver messo a disposizione di B.B. una scala a libro inidonea a fini di sicurezza perchè priva di piedini antisdrucciolo e dotata di una "piattaforma guardacorpo" spaccata (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 113).

Secondo l'ipotesi accusatoria, per coprire il cassone dell'autocarro, B.B. utilizzò la scala e cadde perchè la stessa era inidonea a fini di sicurezza. I giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che, alla luce di quanto emerso nell'istruttoria dibattimentale, la dinamica dell'incidente dovesse essere ricostruita nei termini indicati ed hanno escluso ogni diversa serie causale. La Corte d'appello, tuttavia, ha ritenuto di dover precisare che, quand'anche la caduta fosse avvenuta dal tetto della cabina dell'autocarro (come ipotizzato dalla difesa), ciò sarebbe comunque ascrivibile alla mancata valutazione dei rischi connessi allo svolgimento di quel particolare lavoro, sicchè A.A., dovrebbe comunque essere chiamato a rispondere della morte del dipendente.

3. Per mezzo del proprio difensore, A.A. ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello articolandolo in tre motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dal D.Lgs. n. 28 luglio 1989 n. 271, art. 173, comma 1.

3.1. Col primo motivo il difensore deduce vizi di motivazione con riferimento alla ricostruzione dell'infortunio e alla ipotizzata caduta del lavoratore dalla scala presente in officina. La difesa sostiene che i giudici di merito avrebbero travisato il contenuto della deposizione del teste C.C., valorizzando il fatto che egli aveva visto spesso B.B., utilizzare quella scala;, ma sostenendo - contrariamente al vero (e dunque utilizzando una informazione che non esiste nel processo) - che egli non aveva escluso di aver visto quella scala vicino al corpo dell'infortunato. In sintesi, la difesa sostiene che la ricostruzione dei fatti secondo la quale B.B., cadde dalla scala sarebbe stata preferita alle ricostruzioni alternative prospettate dalla difesa senza tenere conto di elementi favorevoli alla tesi difensiva. Vi sarebbe stato, dunque, un parziale travisamento della prova e la motivazione sarebbe carente, illogica e incoerente.

3.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce vizi di motivazione ed errata applicazione della legge penale per essere stata ritenuta provata la dinamica del sinistro prospettata dall'accusa in assenza di elementi che consentissero di escludere con certezza dinamiche alternative altrettanto plausibili.

3.3. Col terzo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione e violazione di legge quanto alla ritenta sussistenza del nesso causale tra la ipotizzata condotta colposa e l'evento. Rileva che la sentenza impugnata ha ritenuto plausibile l'ipotesi che B.B. potesse essere caduto dal tetto della cabina dell'autocarro e non dalla scala, ma non ha tratto da ciò le debite conseguenze. Osserva che, se la dinamica dell'infortunio fosse questa, il fatto storico sarebbe radicalmente diverso rispetto a quello contestato e diverse sarebbero le condotte colpose ritenute esistenti. La difesa ricorda che a A.A. è stato contestato di aver messo a disposizione del lavoratore una scala non conforme ai requisiti di sicurezza e rileva che il diverso profilo di colpa ipotizzato dalla Corte di appello, consistente nel non aver valutato il rischio connesso allo svolgimento di lavori in quota, non era stato contestato all'imputato il quale, pertanto, si è trovato a rispondere di un fatto rispetto al quale non ha potuto difendersi. Sottolinea, inoltre, che, quand'anche la caduta dalla scala fosse provata, non si potrebbe affermare al di là di ogni ragionevole dubbio che, se fosse stato munito di una scala conforme alle norme di sicurezza, B.B. non sarebbe caduto. Non si potrebbe sostenere, infatti, che la caduta sia stata determinata dalla irregolarità della scala e non da un uso anomalo della stessa. In sintesi, secondo il ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe spiegato in che modo l'evento verificatosi abbia concretizzato il rischio che le regole cautelar' ipoteticamente violate miravano a prevenire.

 

Diritto


1. Il ricorso è infondato.

2. Col primo e col secondo motivo la difesa sostiene che i giudici di merito avrebbero ritenuto preferibile la ricostruzione dei fatti prospettata dall'accusa senza tenere conto degli elementi di prova favorevoli alla tesi difensiva.

Dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei ripetuti richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - emerge che tutte le possibili dinamiche alternative dell'infortunio sono state valutate e motivatamente disattese.

La sentenza di primo grado, infatti, alla pagina 13, spiega perchè B.B. necessariamente cadde dall'alto ed esclude che si sia arrampicato sulla cabina dell'autocarro sulla quale non erano presenti le impronte delle sue scarpe. La medesima sentenza, alle pagine 11 e 12, fornisce una dettagliata e motivata descrizione del lavoro che B.B., aveva svolto prima di cadere e stava svolgendo quando cadde. Spiega che, come risulta dai rilievi fotografici eseguiti subito dopo l'incidente, egli aveva posizionato (e fermato con dello scotch di carta) un foglio di giornale nella parte più vicina alla portiera del passeggero; accanto a quel foglio, ne aveva posizionato un altro che dalla parte più centrale del tetto della cabina doveva scendere fino alla parte alta e centrale del parabrezza per essere poi anch'esso fermato con lo scotch (cosa che non fu possibile perchè B.B. cadde). Il giudice di primo grado osserva che l'autocarro era sopra la fossa di lavoro. Pertanto" B.B., che non poteva posizionare la scala davanti al mezzo, si vide costretto a continuare la lavorazione lasciando la scala nella parte laterale anteriore dell'autocarro, nelle immediate vicinanze della portiera del passeggero, e a sporgersi per raggiungere la parte centrale del tetto ciò che, indubbiamente, favorì la caduta.

I giudici di primo e secondo grado hanno sottolineato che, poco prima dell'infortunio, il teste D.D. vide il lavoratore in piedi sulla scala e, dopo l'incidente, vide quella stessa scala sul pavimento con la punta superiore rivolta verso la parte anteriore del mezzo. Hanno osservato che la scala fu vista nella medesima posizione anche dal teste E.E.. Hanno ritenuto irrilevante che altri testimoni non avessero ricordo della presenza della scala sul luogo dell'incidente sostenendo (e la motivazione non è contraddittoria nè manifestamente illogica) che, nella concitazione del momento, la scala poteva non essere stata notata o, addirittura, essere stata spostata dai soccorritori. La ricostruzione dei fatti è stata dunque esaurientemente e logicamente motivata tenendo conto di quanto documentato dalle fotografie scattate sul luogo dei fatti e di quanto riferito dai testimoni. Nel fare riferimento alla deposizione del teste F.F. i giudici di merito hanno ricordato che egli ha riferito di aver visto B.B. lavorare all'autocarro e ha sostenuto che in altre occasioni aveva visto B.B. utilizzare la scala. Tali emergenze istruttorie non sono in discussione, la difesa, infatti, si duole che la Corte territoriale abbia affermato (pag. 7) che F.F. "ha ricordato "vagamente" di avere visto la scaletta in alluminio", mentre il teste avrebbe escluso di averla vista quando, insieme ad altri, intervenne a soccorrere B.B.. Com'è evidente, tuttavia, i giudici di merito hanno ritenuto che la scala fosse a terra accanto all'autocarro perchè hanno valutato particolarmente attendibili le deposizioni rese da D.D. e , mentre la deposizione di F.F. è stata ritenuta significativa perchè ha confermato che B.B. stava lavorando intorno all'autocarro e che egli era solito utilizzare la scala. Quand'anche vi fosse stato un parziale travisamento della prova, dunque, tale travisamento non sarebbe idoneo a disarticolare il ragionamento compiuto dai giudici di merito. In conclusione, le censure del ricorrente finiscono per esaurirsi nella richiesta di una rilettura degli elementi di prova, inammissibile nel giudizio di legittimità. L'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente, infatti, neppure dopo la modifica apportata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, che, attraverso E richiamo agli "atti del processo", si dia spazio ad una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito.

3. Come si è detto, le sentenze di primo e secondo grado hanno ritenuto che la dinamica dell'incidente fosse provata al di là di ogni ragionevole dubbio. Hanno sostenuto, infatti, con motivazione completa, non contraddittoria, nè manifestamente illogica, che il lavoratore cadde dalla scala che stava utilizzando ed era stata messa a disposizione dei dipendenti dell'officina, una scala che non era idonea a fini di sicurezza perchè usurata, mancante dei piedini di antisdrucciolo e col guardacorpo spezzato. Dalla sentenza di primo grado (pag. 9) risulta che il documento di valutazione dei rischi predisposto da A.A., non prendeva in considerazione le attività di carrozzeria e verniciatura degli automezzi e questo dato non è contestato dal ricorrente, così come non è contestato che fu proprio A.A. a dire a B.B. di verniciare di rosso la parte posteriore del cassone dell'autocarro (pag. 12 della sentenza di primo grado). A differenza di quanto sostenuto dalla difesa, dunque, i giudici di merito hanno precisamente e motivatamente individuato la serie causale che condusse all'evento. Hanno infatti ritenuto provata una condotta commissiva - consistita nell'aver messo a disposizione dei dipendenti una scala usurata e non conforme alle norme in materia di prevenzione - e una condotta omissiva: consistita nel non aver valutato il rischio relativo allo svolgimento di attività di carrozzeria e verniciatura (che abitualmente non venivano svolte nell'officina); nell'avere incaricato B.B. di eseguire quel lavoro senza impartirgli istruzioni di alcun tipo; nel non avergli fornito attrezzature e non avergli indicato modalità operative idonee a far sì che quella attività potesse svolgersi in sicurezza.

4. La sentenza impugnata resiste alle censure del ricorrente anche nella parte in cui tratta il tema della colpa. Come noto, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo imposta dal principio di colpevolezza, oltre alla verifica della sussistenza della violazione di una regola cautelare che il garante fosse tenuto a rispettare e della rilevanza causale di tale violazione rispetto all'evento, anche la verifica della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso (fra le tante: Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 24552601). Questo evento, inoltre, deve rappresentare la concretizzazione del rischio che la regola cautelare mirava a prevenire (Sez. 4. n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273870; Sez. 4, n. 36857 del 23/04/2009, Cingolani, Rv. 244979).

La sentenza impugnata sottolinea che, se il rischio connesso allo svolgimento del lavoro fosse stato valutato, fossero state impartite istruzioni operative adeguate, fossero stati forniti a B.B. i mezzi necessari ad operare in sicurezza, l'infortunio non si sarebbe verificato sicchè il rischio concretizzatosi è esattamente quello che le regole cautelari violate miravano a prevenire.

4.1. A questo proposito, la Corte territoriale osserva che, quand'anche l'incidente fosse avvenuto perchè B.B. si era arrampicato sul tetto della cabina dell'autocarro (evenienza che - lo si deve ricordare - la sentenza di primo grado esclude con dovizia di argomentazioni) la responsabilità dell'imputato non potrebbe essere esclusa, avendo egli omesso di valutare il rischio connesso alla specifica attività della quale aveva incaricato B.B., attività che comportava di raggiungere il tetto dell'autocarro - posto a 2,30 metri di altezza - per coprirlo e, quindi, il rischio di caduta. A sostegno di tale argomentazione la Corte territoriale osserva che, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 122, devono intendersi per lavori in quota quelli che "sono eseguiti ad una altezza superiore ai due metri".

La difesa si duole di tale argomentazione sottolineandone la contraddittorietà e osservando che il profilo di colpa così evidenziato è diverso rispetto a quelli oggetto di imputazione, dei quali l'imputato è stato chiamato a rispondere.

4.2. Con riferimento al primo profilo di doglianza si deve osservare che non è illogico, nè contraddittorio, l'aver ritenuto che, se B.B., si fosse arrampicato sulla cabina dell'autocarro, ciò sarebbe dipeso anche dalla mancata valutazione del rischio e della mancanza di istruzioni operative e, pertanto, si sarebbe trattato della concretizzazione del rischio che le norme cautelari violate miravano ad evitare.

4.3. Con riferimento al secondo profilo di doglianza, si osserva che - a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente - l'individuazione del profilo di colpa evidenziato in via subordinata dalla Corte di appello non comporta violazione dell'art. 521 c.p.p..

Come noto, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (fra le tante: Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902). A ciò deve aggiungersi che, nel caso di specie, l'imputato ha avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ai profili di addebito in concreto ritenuti sussistenti (sull'argomento: Sez. 4, n. 27389 del 08/03/2018, Siani, Rv. 273588; Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Galdino De Lima, Rv. 274500; Sez. 4, n. 36778 del 03/12/2020, Celli, Rv. 280084): in primo luogo, perchè la contestazione fa espresso riferimento al D.Lgs. n. 81 del 2008 artt. 17 e 28, in terna di valutazione del rischio; in secondo luogo, perchè è stata proprio la difesa a ipotizzare che l'infortunato potesse essersi arrampicato sulla cabina dell'autocarro. E' stato dunque l'imputato, nello svolgimento della propria attività difensiva, a chiedere che fosse presa in considerazione una possibile diversa modalità di causazione dell'evento e ciò gli consentiva di difendersi in relazione a tutte le possibili implicazioni di tale diversa ricostruzione. Ed invero, secondo un condivisibile principio di diritto, "non viola il principio di correlazione, assunto quale espressione del giusto processo, anche come delineato dall'art. 6 CEDU, nell'interpretazione datane dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, la sentenza che afferma la responsabilità per reato commissivo colposo sulla base di una irrisolta alternativa condotta colposa, comunque efficiente, quando l'imputato sia stato in condizione di far valere le proprie ragioni in merito ad entrambe le ipotesi" (Sez. 4, n. 19028 del 01/12/2016, dep. 2017, Casucci, Rv. 269601, pag. 6 della motivazione; sull'argomento si veda, inoltre, Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappalone, Rv. 280950). Anche se l'alternativa tra le condotte colpose contestate all'imputato non fosse stata risolta, dunque, nessuna violazione dell'art. 521 c.p.p. potrebbe essere ipotizzata per essere stata individuata, quale condotta colposa causalmente rilevante, l'omessa valutazione del rischio connesso all'esecuzione di lavori di verniciatura del cassone di un autocarro che comportavano la necessità di coprirne la cabina.

5. Per quanto esposto il ricorso proposto da A.A., non può trovare accoglimento. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 


Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2023