Cassazione Penale, Sez. 4, 24 luglio 2023, n. 31885 - Duplice caduta mortale durante la realizzazione di una struttura metallica (tettoia) destinata a concimaia
- Committente
- Coordinatore per l'Esecuzione
- Contratti d'appalto, d'opera e di somministrazione
- Dispositivo di Protezione Individuale
- Lavoratore e Comportamento Abnorme
- Lavori in Quota
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
- Piano operativo di sicurezza
- Valutazione dei Rischi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI F.Maria - Presidente -
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (Omissis);
B.B., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 23/11/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI Gen. FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
uditi i Difensori Avv. VENDOLA ONOFRIO del Foro di BARI in difesa delle parti civili C.C., D.D., E.E., F.F. e G.G. e Avv. SCAPATICCI ALBERTO del Foro di BRESCIA in difesa delle parti civili H.H., I.I. e L.L. che hanno depositato conclusioni scritte e nota spese alle quali si sono riportati chiedendo il rigetto dei ricorsi, nonchè gli Avv. MANTELLOTTO RAFFAELE del Foro di CASSINO, in sostituzione dell'Avv. BRUNETTI EMANUELE del foro di POTENZA, in difesa di A.A. e l'Avv. DE FEO FABIO NICOLA del Foro di BARI quale sostituto processuale dell'Avv. DE FUOCO NICOLA del foro di BARI difensore di B.B., che hanno insistito per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Fatto
1. Con sentenza del 4/1/2018 il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica, ha affermato la penale responsabilità degli odierni ricorrenti A.A., (committente e responsabile dei lavori) e B.B., (amministratore della T.C.M.), in uno con i coimputati M.M. (datore di lavoro in quanto titolare dell'impresa affidataria) e N.N., (coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione), oltre che per le violazioni antinfortunistiche che saranno poi dichiarate prescritte in appello:
"a. in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv e 41 e 589 c.p. perchè ciascuno, nelle qualità di cui sopra, con condotte autonome ma causamente concorrenti, durante i lavori in corso d'opera eseguiti presso l'azienda agricola dei Fratelli A.A. e O.O. in agro di Forenza alla località (Omissis), e consistenti nella realizzazione di una struttura metallica (tettoia) destinata a concimaia avente le dimensioni in pianta di 30 x 18 metri, cagionavano il decesso di P.P. e Q.Q., entrambi deceduti in seguito all'infortunio sul lavoro sotto descritto, per colpa generica consistita in imprudenza, imperizia e negligenza e per colpa specifica consistita nella violazione della normativa sulla prevenzione sugli infortuni sul lavoro ed in particolare:
- lo A.A.: nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 93, comma 2, in quanto, in qualità di committente dei lavori a norma dell' art. 91" comma 1, e art. 92, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), pur essendo tenuto a svolgere la funzione di supervisore, verificando che il coordinatore attuasse concretamente e correttamente, con attenzione e puntualità gli obblighi propri della sua figura professionale, come quello consistente nell'assicurare e nel verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonchè la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Questa funzione di supervisore dà la facoltà di disporre che il coordinatore possa ordinare di non procedere oltre nei lavori se non dopo la messa a norma del cantiere, potendo anche sostituirsi allo stesso coordinatore in caso di inottemperanza da parte di quest'ultimo.
- il R.R ;
nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 97, comma 1 e in quanto in qualità di datore di lavoro dell'impresa affidataria ometteva di effettuare la valutazione dei rischi connessi all'attività di posa in opera delle carpenterie e di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati;
- lo B.B., nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111 comma 1, lett. a) del e s.m.i. poichè ometteva di adottare in fase di esecuzione le misure di protezione collettiva per i lavori in quota (p.e. rete anticaduta EN 1263-1 ed EN 1263-2) e di imporre in subordine l'uso dei sistemi di protezione personali (p.e. imbracatura) come previsto dal D.Lgs. n. 81, del 2008, art. 75 e specificato dall'art. 115 del medesimo decreto;
del D.Lgs. n. n 81 del 2008 art. 111, comma 2, e s.m.i poichè ometteva di adottare una misura adeguata di accesso per permettere di raggiungere il luogo di lavoro in quota;
- N.N.:
nella violazione dell'art. 91 comma 1 lett. a) e del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, comma 1, lett. e s.m.i. in quanto pur rivestendo anche le funzioni di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione ometteva di redigere il Piano di Sicurezza e di Coordinamento in maniera adeguata in quanto pur trattando di altri rischi presenti nel cantiere non affrontava quelli specifici della fase lavorativa di posa in opera delle carpenterie metalliche.
In particolare, la mattina del (Omissis) i lavoratori P.P., Q.Q. e C.C. della ditta T.C.M. Sri, T.T. dipendente della ditta Tecnomov Industriali Srl e U.U., dipendente della ditta Rooster Costruzioni Srl , nonchè manovratore dell'apparecchio di sollevamento, si portavano nel cantiere di Forenza per eseguire le attività di montaggio dei pannelli sandwich di copertura. Il sig. P.P., impartiva ordini sulle modalità di esecuzione dei lavori e congiuntamente al Sig. Q.Q. posizionava i pannelli e li fissava utilizzando un avvitatore elettrico (anche il Sig. Q.Q., disponeva di un avvitatore elettrico). La procedura di lavoro era la seguente: i pannelli impilati uno sull'altro e racchiusi in balle da circa 8-10 pannelli di dimensioni 1,00 x 10,00 m. venivano prelevati tramite l'attrezzatura MANITOU e trasportati sulle campate della tettoia. Lassù i pannelli venivano prelevati uno ad uno dalla coppia di lavoratori presenti, posizionati e fissati.
Il giorno dell'accaduto, dopo aver installato i primi due pacchi di pannelli per proseguire i lavori il sig. Q.Q. si portava al centro della struttura, il sig. P.P. si posizionava sull'estremità della costruzione per prelevare un ulteriore pannello dal pacco posizionato a circa un metro dall'ultimo pannello fissato.
La fase lavorativa di montaggio in quota dei pannelli, veniva eseguita violando le misure più elementari di sicurezza previste per eliminare e/o ridurre a livello accettabile i rischi di tali lavori in quota in quanto: il prelievo ed il posizionamento del pannello era reso difficile dalla precarietà di camminamento sulla struttura e dalle notevoli dimensioni dello stesso; gli operatori al momento dell'accaduto non stavano utilizzando alcun dispositivo di protezione individuale: casco, cinture di sicurezza (il cui utilizzo quasi certamente avrebbe limitato i danni riportati a seguito della caduta); l'utilizzo del cestello (PLE), adoperato per raggiungere la sommità della struttura, era un utilizzo improprio in quanto gli operatori, per portarsi sulla struttura, dovevano scavalcare il parapetto del cestello, operazione quest'ultima espressamente vietata dalla norma; ed infine la norma prescrive anche che i lavoratori a bordo del cestello, durante il lavoro, indossino dispositivi di protezione quali caschi e cinture di sicurezza, quest'ultime opportunamente agganciate ai punti di attacco predisposti nella cesta, situazione inesistente al momento di accadimento del fatto.
La mancanza di un sistema sicuro di camminamento, la mancanza di misure di protezione collettiva per i lavori in quota (rete di sicurezza) ed altresì la mancanza, in subordine al punto precedente, dell'uso dei sistemi di protezione personali (cinture di sicurezza, casco), si ponevano come antecedenti causali necessari al duplice incidente mortale in quanto all'improvviso una raffica di vento sollevava un pannello dal pacco aperto che colpiva lo B.B. ed il C.C., facendoli precipitare nel vuoto. Lo B.B. decedeva sul colpo rimanendo infilzato dai ferri di attesa mentre il C.C., trasportato in eliambulanza presso l'Ospedale (Omissis), decedeva poco dopo".
In Forenza in data (Omissis);
Il giudice di primo grado condannava:
- A.A., ritenuti i reati ascrittigli in continuazione e riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 2 di reclusione nonchè al pagamento delle spese processuali; con il beneficio della sospensione condizionale della pena;
- B.B., ritenuti i reati ascrittigli in continuazione e riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 3 di reclusione nonchè al pagamento delle spese processuali; e veniva condannato altresì alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5.
Tutti gli imputati venivano condannati in solido al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili, da liquidare in separata sede, con assegnazione di una provvisionale pari a Euro 20.000,00 in favore di H.H., in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale su L.L. e I.I., e di Euro 20.000,00 in favore di C.C. e D.D..
Gli imputati venivano anche condannati alla refusione delle spese legali in favore delle costituite parti civili, liquidate nella somma di Euro 2.000,00 ciascuna.
2. La Corte di Appello di Potenza, pronunciando sul gravame nel merito proposto da tutti gli imputati, con sentenza del 23/11/2022, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto LA dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli altri imputati in ordine ai reati contravvenzionali loro rispettivamente ascritti, per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione e ha rideterminato la pena per A.A., B.B. e R.R in mesi sei di reclusione ciascuno, con le già concesse circostanze attenuanti generiche dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante. Ha poi confermato nel resto la sentenza di primo grado. E ha condannato in solido A.A., B.B. e R.R alla rifusione delle spese del grado di appello in favore delle parti civili costituite, F.F., G.G., E.E., C.C., e D.D., H.H., I.I. e L.L.;
3. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo di rispettivi difensori di fiducia, con due separati atti, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, disp. att. c.p.p., comma 1. - A.A., (Avv. Brunetti Emanuele);
Con un unico motivo il ricorrente lamenta vizio di travisamento della prova per falsificazione ed omissione.
Si riporta la motivazione del provvedimento impugnato al fine di evidenziare il travisamento delle prove sia documentali che dichiarative.
In primo luogo, si rileva che, essendosi verificato l'evento alle ore 11, diverse ore dopo l'inizio dell'attività lavorativa, l'affermazione della presenza sui luoghi dello A.A., sarebbe evidentemente frutto di una mera supposizione.
Lo A.A., infatti, dopo aver verificato che i lavoratori fossero muniti dei DPI al momento in cui iniziavano il lavoro, si allontanava, non avendo ragione di sospettare che non venissero utilizzati. La circostanza risulterebbe dalle dichiarazioni del teste T.T. e dalla comunicazione della Provincia di (Omissis), di trasmissione dell'Autorizzazione Unica Ambientale, nella quale viene dato atto che il (Omissis) funzionari della Provincia eseguivano un sopralluogo all'interno dell'Azienda A.A..
Lo A.A., pertanto, al momento del sinistro era altrove e, in ogni caso, impegnato in altro.
Si aggiunge, inoltre, che non può configurarsi un obbligo di vigilare il cantiere per l'intera giornata lavorativa.
Si ritiene travisata l'affermazione per cui il ricorrente doveva avere la consapevolezza che i lavori venivano eseguiti in assenza dei più elementari presidi di sicurezza in quanto i dispositivi di protezione presenti non vennero indossati dai lavoratori volontariamente.
I testi hanno affermato senza ombra di dubbio la presenza dei presidi in cantiere e il loro mancato utilizzo da parte degli addetti, nella piena consapevolezza dei rischi.
Peraltro, entrambe le vittime erano esperte e dotate di autonomia decisionale senza vincoli di dipendenza, essendo lo B.B., contitolare e responsabile per la sicurezza della Ditta TCM e il C.C., lavoratore autonomo, già alle dipendenze della TCM e da questa formato.
Si rileva, inoltre, che trattandosi di committente non professionale, va applicato il principio stabilito da questa Corte, con sentenza n. 46833 del 2021, che esclude un obbligo di conoscenza della normativa prevenzionale, ponendo a carico del committente privato l'obbligo di scegliere adeguatamente l'impresa, verificando che sia regolarmente iscritta alla c.c.I.A e sia dotata del documento di valutazione dei rischi oltre a non essere destinataria di provvedirnenti di sospensione o interdittivi, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 14, ed esonerandolo da ulteriori controlli ed ingerenze nei lavori.
Nel caso che ci occupa la Ditta Bertasi, affidataria dell'appalto "chiavi in mano", possedeva sia la capacità che la preparazione adeguata per il lavoro, mentre il ricorrente è inesperto, semplice titolare di un'azienda agricola, e una sua ingerenza nei lavori l'avrebbe esposto al rischio di incorrere in responsabilità per ingerenza.
Si insiste più volte nella circostanza che lo A.A., nel giorno dell'incidente, dopo aver verificato la presenza dei DPI, si era allontanato per impegni con funzionari della Provincia di Potenza.
Lo A.A., tra l'altro, non venne mai informato dalla ditta appaltatrice dell'esistenza di subappaltatori.
Si ritiene la motivazione dell'impugnato provvedimento affetta da vizio di travisamento in quanto il committente inesperto e non presente sul luogo del sinistro non poteva certamente verificare il mancato utilizzo dei presidi di sicurezza.
Viene richiamata Sez. 4 n. 5477/2018 che esclude la violazione, da parte del committente, degli obblighi di informazione sui rischi specifici esistenti negli ambienti di lavoro, in quanto lo stesso non era stato informato del subappalto.
Si ricorda, inoltre, che la sentenza Sez. 4 n. 40033/2016 esclude la responsabilità del committente se lo stesso conferisce l'incarico per la realizzazione dei lavori ad un'altra impresa, assicurando la sua totale estraneità al compimento dell'opera e se nomina un tecnico come coordinatore per la sicurezza.
Il caso oggetto della richiamata sentenza coinciderebbe pienamente con la questione oggi in esame, essendo emerso senza ombra di dubbio sia il conferimento dell'incarico all'impresa appaltatrice R.R , coi regolare contratto di appalto c.d. "chiavi in mano" sia la nomina a coordinatore della sicurezza dell'ing. N.N..
Il ricorrente evidenzia, poi, l'abnormità della condotta tenuta dai lavoratori deceduti, i quali avrebbero scientemente e consapevolmente deciso di non utilizzare i dispositivi in loro possesso.
Tale condotta appare idonea, secondo la tesi proposta in ricorso, ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo.
Si esclude, poi, la sussistenza di qualsiasi culpa in vigilando, non essendo stata raggiunta la certezza della conoscenza di prassi incaute dalle quali sia scaturito l'evento. Sul punto si richiamano le sentenze di questa Corte n. 20833 del 15/05/2019, n. 32507 del 16/04/2019 e n. 36788 del 21/12/2020.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con o senza rinvio.
- B.B., (Avv. De Fuoco Nicola);
Con unico motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008 artt. 81, 41, 589 c.p., art. 111, comma 1, lett. a) e vizio di motivazione per travisamento di prova, illogicità e contraddittorietà Ci si duole che la motivazione, raccolta in sole due pagine, attribuisca un'erronea qualifica allo B.B. ritenendolo amministratore e legale rappresentante dell'impresa esecutrice. Si obietta in proposito che, come emerso in dibattimento, lo B.B. era socio al 50% con il fratello P.P., oltre che legale rappresentante sella società al pari del fratello, con una netta ripartizione di compiti.
Tale circostanza -prosegue il ricorrente- è stata acclarata anche nella sentenza di primo grado, ma minimizzata dai giudici di appello che l'hanno ritenuta irrilevante in mancanza di delega validamente conferita.
Il ricorrente ritiene non condivisibile l'argomentazione dell'impugnata sentenza richiamando diversi precedenti di legittimità sulla posizione di garanzia riconducibile ai poteri di concreto esercitati (Sez. 4, nn. 34975/2016 e 18090/2017).
La Corte di appello non avrebbe correttamente valorizzato l'estraneità dello B.B. al fatto-reato, alla luce della netta separazione dei ruoli e competenze, all'interno della T.C.M. Srl , tra lui e il fratello.
Si critica l'affermazione dei giudici di merito sull'implicita conoscenza del contratto di subappalto derivante dall'espressa all'acquisizione della commessa dalla Bertasi, evidenziandone l'illogicità.
Secondo il ricorrente tutti i riscontri probatori appaiono di segno opposto e ci si chiede come possa individuarsi in capo allo B.B. una posizione di garanzia, nelle misura in cui: a. egli non era d'accordo sull'accettazione dei lavori di cui al contratto di subappalto, che non sottoscriveva, così come il PUS; b. non si recava mai in cantiere, occupandosi solo dell'attività di ufficio e dell'officina, lasciando di fatto la gestione dello stesso al fratello Lorenzo unico assuntore della commessa e, in quanto tale, tenuto a rispettare le procedure di sicurezza previste nei piani di sicurezza; il fratello P.P., si comportava incautamente, assumendo autonomamente iniziative in dispregio delle norme sulla sicurezza.
Ci si duole che nessuna risposta sia stata fornita a tali rilievi difensivi dall'im-pugnata sentenza, che si sarebbe limitata a prenderne atto, formulando deduzioni assolutamente disancorate da qualsivoglia riscontro probatorio.
L'impostazione metodologica utilizzata non supererebbe il vaglio della coerenza logica della motivazione, fornendo una decisione contrastante con gli elementi probatori emersi.
Si critica la ritenuta irrilevanza della contrarietà all'acquisizione della commessa e al rifiuto di sottoscriverne il contratto, evidenziando che dalla consulenza di parte è emersa senza ombra di dubbio la non riferibilità delle sottoscrizioni al ricorrente.
Il ricorrente evidenzia le erronee deduzioni della sentenza e il travisamento delle fonti dichiarative laddove si afferma che l'imputato non poteva non essere a conoscenza delle modalità lavorative del fratello e che il giorno dell'incidente lo accompagnò su sua richiesta sul cantiere. Mentre, in realtà, il teste V.V., ha dichiarato di aver accompagnato il ricorrente al cantiere, in occasione dell'incidente, su sua richiesta proprio perchè non sapeva dove si trovasse.
In relazione, poi, alla posizione dell'altra vittima, Q.Q., si evidenza che, a differenza di quanto affermato in sentenza, lo stesso non era un lavoratore irregolarmente assunto ma un lavoratore autonomo, come riconosciuto nel provvedimento di primo grado, e che pertanto aveva l'obbligo di rispettare le norme sulla sicurezza e nessun onere è ipotizzabile a carico del ricorrente.
Chiede, pertanto, annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto o con rinvio per nuovo esame.
Le parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati.
Le censure dei ricorrenti, invero, si sostanziano, per lo più, nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Ne deriva che i proposti ricorsi vanno rigettati.
2. In premessa non va trascurato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della introdotta L. n. 46 del 2006 c.p.p., art. 606 comma 1, lett. e), è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).
Nel caso di specie, al contrario, la Corte potentina ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità degli imputati che, in concreto, si limitano a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura delle risultanze probatore acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.
3. Passando ad analizzare la posizione dello A.A., va rilevato che, come ricorda la sentenza impugnata, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89, A.A. era il committente dei lavori, ovvero colui per conto del quale l'intera opera si stava realizzando.
Corretto è il rilievo che, fra gli obblighi gravanti sul committente, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 7, vi è fra l'altro quello di comunicare alle imprese affidatarie, a quelle esecutrici e ai lavoratori autonomi, il nominativo del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori e, ai sensi del comma 9, quello di verificare l'idoneità tecnico - professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi. E che nel caso di designazione del coordinatore per la sicurezza, il committente non è comunque esonerato dalle responsabilità connesse alla verifica degli adempimenti degli ooblighi di cui all'art. 91 comma 1 e art. 92 comma 1 lett. a), b), c), d) ed e) (art. 93). In particolare, l'art. 92 comma 1, lett. a), impone la verifica dell'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento di cui all'art. 100 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro.
Punto nodale della doppia conforme affermazione di responsabilità dello A.A. è che non corrisponde al vero che lo stesso non fosse presente al momento dell'incidente, tanto è vero che è stato lui a chiamare i soccorsi, come già riportato a pagina 5 della sentenza di primo grado e dichiarato dal teste U.U.i. E la Corte di appello ha, fondatamente, evidenziato la irrilevanza della circostanza che egli non fosse stato continuativamente presente nel corso dei lavori o che si trovasse in altro punto dell'azienda posto che, attesa la mancanza, evidente e macroscopica, di misure di precauzione che, in quanto tale, non poteva non essere immediatamente percepibile dal ricorrente, lo stesso avrebbe dovuto intervenire immediatamente impedendo la prosecuzione di lavori in condizioni di estremo pericolo per i lavoratori in considerazione dei doveri di vigilanza sullo stesso gravanti Logico corollario di tale fondamentale circostanza è che egli dovette, per forza di cose, rendersi conto che i lavori furono (o stavano per essere) eseguiti in assenza dei più elementari presidi di sicurezza e ciò in patente violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, comma 1, lett. a), che impone al committente di verificare che il coordinatore della sicurezza assicuri il rispetto delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza.
In altri termini, come logicamente ricordano i giudici di merito, quand'anche agli occhi dello Omissis le due vittime avessero indossato caschi e cinture di sicurezza (ma sul punto viene evidenziato in sentenza come mancassero del tutto i punti stabili d'ancoraggio), egli avrebbe dovuto rendersi immediatamente conto che per la pericolosità del lavoro che si stava effettuando - essi da soli non erano assolutamente idonei ad assicurarne lo svolgimento in condizioni di sicurezza, sorgendo così in capo a lui - quale committente e responsabile dei lavori - l'obbligo immediato di impedirli o quanto meno di imporne la sospensione fino a quando il coordinatore della sicurezza, opportunamente convocato, non si fosse recato sul luogo per verificare la corretta applicazione delle disposizioni relative alla sicurezza.
Correttamente, dunque, come si opina nella sentenza impugnata, il giudice di prime cure ha rimarcato come, per ciò solo, egli violò in maniera evidente "i suoi oneri quali responsabile dei lavori e quale committente, mancando di evidenziare una patente violazione delle più elementari norme antinfortunistiche".
La sentenza impugnata opera un corretto governo del richiamato dictum di Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018 Rv, 272221 - che va qui ribadito- secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (in applicazione di tale principio, la Corte - con riferimento a una fattispecie in cui i lavori appaltati erano stati oggetto di una catena di subappalti - ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di lesioni colpose del primo appaltatore, per avere omesso di vigilare sull'adozione, da parte dell'ultimo subappaltatore della catena, di presidi anticaduta nel vano ascensore in cui si era verificato l'infortunio, la cui mancanza era stata rilevata tre giorni prima dell'incidente dal coordinatore della sicurezza nominato dal primo committente; conf. Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012 dep. 2013, Bracci, Rv. 255282, in un caso di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio).
In altri termini, rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (così la condivisibile Sez. 3, n. 12228 del 25/2/2015, Cicuto, Rv. 262757 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio). Il che non era nel caso che ci occupa vale anche l'ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice (c.d. cantiere "sotto - soglia"), è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 8, - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (così Sez. 4, n. 23171 del 9/2/2016, Russo ed altro, Rv. 266963, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entità e tipologia dell'opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell'impresa e delle evidenti irregolarità del cantiere).
La Corte del merito si è confrontata motivatamente con il dictum di Sez. 4, n. 5477 del 14/12/2017, dep. 2018, Rv. 271940 che ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, in caso di cantieri temporanei o mobili, il committente, qualora non assuma su di sè le funzioni di coordinatore per la progettazione o per l'esecuzione dei lavori, in quanto privo dei requisiti professionali previsti dalla legge, è tenuto esclusivamente a controllare l'adempimento degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 9 aprile 2008 n. 81, artt. 91 e 92, da parte del soggetto nominato e non alla sua integrale sostituzione.
Il richiamo, tuttavia, è stato ritenuto non pertinente in quanto nel caso in esame il committente era immediatamente in grado - essendo presente sui luoghi dell'incidente - di controllare il mancato adempimento del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 91 e 92 o quanto meno che al momento del fatto non erano utilizzati in concreto i presidi di sicurezza imposti (così come erano stati indicati nel PSC).
E i giudici del gravame del merito - va ribadito- hanno logicamente ritenuto irrilevante la considerazione, che viene riproposta in questa sede, che lo omissis non fosse stato presente tutto il giorno sul luogo dell'incidente. Ciò sul corretto rilievo che, alla luce delle enormi violazioni per la sicurezza dei lavoratori, a nulla rileva la circostanza che egli non sia stato continuativamente presente nel corso dei lavori, avendo egli dovuto, non appena si avvide che i lavori venivano eseguiti in quelle condizioni, impedirne la realizzazione o quanto meno chiedere l'intervento immediato del responsabile della sicurezza in fase di esecuzione.
Del tutto superflua è ritenuta dai giudici di appello l'osservazione, poi, che i dispositivi di sicurezza, pur nella disponibilità dei lavoratori, non furono utilizzati. Ciò sul rilievo dell'evidenza, all'occhio di qualsiasi persona di normale diligenza, che l'effettuazione di quel tipo di lavori in quota non poteva, per scongiurare eventi nefasti, essere fatta semplicemente indossando caschi di protezione e essendo assicurati da cinture di sicurezza, peraltro in mancanza dei necessari punti di ancoraggio.
La Corte, peraltro, ha evidenziato che, non solo i lavoratori avevano operato senza utilizzare i dispositivi di sicurezza individuali, ma si era accertata anche la mancanza dei necessari presidi collettivi di sicurezza conseguendone anche la infondatezza della deduzione relativa alla abnormità della condotta dei lavoratori.
Come già chiarito da questa Corte, infatti, in tema di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota, il datore di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 111, è tenuto ad adottare misure di protezione collettiva in via prioritaria rispetto a misure di protezione individuale, in quanto le prime sono atte ad operare anche in caso di omesso utilizzo da parte del lavoratore del dispositivo individuale.
L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura (Sez. 4, n. 24908 del 25 del 25/5/2021, Rv. 281680).
La Corte territoriale, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, confuta poi la deduzione difensiva -pure questa riproposta acriticamente in questa sede- relativa alla carenza di una posizione di garanzia in capo allo lasi, avendo egli individuato nel La Gala il responsabile della sicurezza, facendo corretta applicazione del principio affermato dalla richiamata Sez. 4, n. 14012 del 12/2/2015 Rv. 263014 secondo cui tema di infortuni sul lavoro, al committente ed al responsabile dei lavori è attribuita dalla legge una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicchè ai medesimi spetta pure accertate che i coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione dell'opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia (Fattispecie in cui la Corte ha affermato la responsabilità per le lesioni gravissime occorse al lavoratore in capo all'amministratore unico della società appaltante per non aver verificato l'adeguatezza sia del Piano generale di sicurezza e coordinamento sia del Piano operativo di sicurezza).
Correttamente, poi, è stato ritenuto che nessuna rilevanza potesse avere la non dimostrata tesi, anch'essa oggi riproposta, con riferimento alla posizione di Q.Q. che, nella circostanza, avrebbe rivestito il ruolo di lavoratore autonomo.
Come si ricorda nella sentenza impugnata, nei cantieri temporanei e mobili è lavoratore autonomo la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell'opera, senza vincolo di subordinazione (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89). E ai sensi dell'art. 90, il committente è tenuto a comunicare anche al lavoratore autonomo il nominatore del coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori (comma 7), a verificarne l'idoneità tecnico - professionale in relazione ai lavori da affidare (comma 9).
In ogni caso committente è tenuto a verificare l'applicazione, sia da parte delle imprese esecutrici che dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 100 e la corretta procedura delle relative procedure di lavoro (si sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, comma 1, lett. a).
Ciò perchè la designazione del coordinatore per la progettazione e l'esecuzione degli obblighi non esonera il committente dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'art. 91 comma 1 e art. 92, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) (art. 93 comma 2).
Ai sensi dell'art. 94, i lavoratori autonomi si adeguano alle indicazioni fornite dal coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai fini della sicurezza.
Alla stregua di tali considerazioni, pertanto, corretto appare il rilievo che lo lasi aveva nei confronti del lavoratore autonomo gli stessi obblighi che gli incombevano nei confronti dell'impresa esecutrice.
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica data appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa, sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Sez. 4, n. 5893 del 8/01/2019, Rv. 275121) e sia al committente che al responsabile dei lavori è attribuita dalla legge una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicchè ai medesimi spetta pure accertate che i coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione dell'opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia (così Sez, 4, n. 14012 del 12/02/2015, Rv. 263014 che ha affermato la responsabilità per le lesioni gravissime occorse al lavoratore in capo all'amministratore unico della società appaltante per non aver verificato l'adeguatezza sia del Piano generale di sicurezza e coordinamento sia del Piano operativo di sicurezza).
Nè può assumere rilievo, alla luce di tali fatti, secondo la logica considerazione dei giudici di appello, la circostanza che lo Omissis non fosse stato informato dell'esistenza di un contratto di subappalto.
Per quanto esposto, i motivi, lungi dall'individuare travisamenti, precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio probatorio posto a fondamento della decisione di merito, consistono per lo più in valutazioni di merito precluse in sede di legittimità.
4. Irrilevante appare anche la circostanza che le vittime avessero volontariamente decisero di non indossare caschi e imbracature.
Si è già evidenziato come, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, è emerso senza ombra di dubbio che i presidi forniti ai lavoratori fossero del tutto inadeguati per il tipo di lavorazioni da svolgere che avrebbero richiesto la predisposizione di punti di aggancio e la possibilità di operare in sicurezza o dall'interno del cestello oppure attraverso un camminamento protetto sulla struttura e non in condizioni di precario equilibrio senza alcun aggancio.
In relazione alla condotta dei lavoratori, i giudici di merito, pur sottolineandola ai fini del risarcimento del danno, non hanno ritenuto sussistere alcuna abnormità tale da interrompere il nesso di causalità. La sentenza, pertanto, ben si colloca nel solco della costante giurisprudenza di legittimità, che ha da tempo chiarito che il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Il principio è stato chiarito nel senso che il titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicchè la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma 3, c.p. dell'imputato, legale rappresentante di una Sas per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro o comunque del garante il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
Va ricordato che Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. 2019, Musso, Rv. 275017 ha con divisibilmente affermato che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anzichè utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato). E ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (si trattava di un caso di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel POS e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).
5. Anche i motivi proposti da B.B., amministratore al 50% con il fratello, rimasto vittima dell'incidente, della società che effettuava le lavorazioni appaiono infondati essendo lo stesso e non essendovi alcuna delega per la sicurezza al di là di una divisione di fatto dei lavori da effettuare per il primo in officina e per il secondo nei cantieri.
Entrambe le sentenze di merito hanno dato atto che il teste V.V., ha dichiarato di non essere a conoscenza di alcun dissidio tra i fratelli sui lavori da effettuarsi e di non aver redatto il POS per il cantiere come talvolta gli capitava di fare.
Come ricordano i giudici del gravame del merito, sullo B.B., quale amministratore e legale rappresentate dell'impresa esecutrice, gravavano ai sensi dell'art. 96 gli stessi obblighi dell'impresa affidataria e, in particolare, quello di accettare il PSC e di redigere il POS. Coerentemente è stato ritenuto che nessun rilievo possano assumere le circostanze che l'imputato fosse, al pari del fratello rimasto ucciso dell'incidente, coamministratore della TCM Srl e che fra i due si fosse addivenuti a una netta ripartizione di compiti.
Sul punto la sentenza impugnata opera un buon governo del principio secondo cui nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (così Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, Rv. 269133 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato).
Conseguentemente, è stato ritenuto del pari irrilevante che la vittima avesse grande esperienza e fosse preposto al cantiere, in mancanza di delega validamente conferita.
I giudici di appello si sono motivatamente confrontati anche con il rilievo difensivo, riproposto in questa sede, secondo cui l'imputato era contrario all'acquisizione della commessa da parte della Bertasi.
In tal modo -si fa notare in sentenza- implicitamente però si ammette che egli ne fosse a conoscenza. Il che rende del tutto irrilevante che l'imputato non avesse sottoscritto il contratto di subappalto (altra questione riproposta in questa sede), tanto più che prima dell'inizio dei lavori ci furono diverse interlocuzioni fra la TCM e la Bertasi proprio sulla questione del POS. Secondo la logica motivazione della Corte lucana, è ragionevole ritenere, difatti, che proprio per la ripartizione dei lavori che si assume esistesse all'interno della società, se l'imputato era colui che si occupava della gestione del lavoro in officina (mentre il fratello si dedicava ai lavori all'esterno), primo destinatario di tali comunicazioni sia stato proprio l'imputato, anche quale amministratore della società, il quale pertanto doveva essere del tutto a conoscenza delle deficienze del proprio POS. E quindi, di fronte a tanto, era ragionevole pretendere da parte dello stesso una condotta attiva tesa a impedire l'evento, almeno dissociandosi esplicitamente dalle iniziative del fratello e non mediante un mero atteggiamento passivo.
Tanto più -prosegue la sentenza impugnata- alla luce di due circostanze.
In primis, essendo è emerso, nel corso del dibattimento, che P.P., era solito essere piuttosto superficiale sul rispetto delle misure di sicurezza (sul punto viene ricordato che C.C. ha affermato di aver "lavorato così parecchie volte", evidentemente riferendosi alle stesse condizioni di lavoro adottate il giorno in cui si verificò l'incidente.
E logico appare il rilievo che, date le modestissime dimensioni dell'impresa, tale prassi doveva essere sicuramente a conoscenza dell'imputato, non potendosi ragionevolmente assumere che egli non conoscesse quali fossero le modalità operative del fratello e che si fosse mai recato su nessun cantiere per constatanò.
Inoltre, i giudici di appello sottolineano come sia emerso dalla testimonianza di V.V. - escusso all'udienza del 21 novembre 2017 - che egli accompagnò l'imputato sul cantiere, a sua richiesta, il giorno dell'incidente (il richiamo è a pag. 9 della sentenza di primo grado), di talchè egli - al pari dello A.A. ebbe immediata percezione che la realizzazione dei lavori avveniva in assenza di minimi dispositivi di sicurezza.
Quanto alla posizione dell'imputato nei confronti di Q.Q., i giudici lucani ricordano come sia emerso nel corso del dibattimento che il Q.Q. fosse un prestatore d'opera della TCM, assunto peraltro irregolarmente, per cui la posizione dello B.B., nei suoi confronti comportava responsabilità analoghe a quello dello A.A..
Conferente, in proposito, appare il richiamo che i giudici di merito operano al dictum di legittimità secondo in tema prevenzione degli infortuni sul lavoro, l'imprenditore che si avvalga di maestranze in regime di subappalto ovvero di lavoratori anche autonomi che provveda ad inserire nell'organizzazione aziendale, si identifica - in assenza di specifiche deleghe al titolare della ditta operante in subappalto - nel soggetto responsabile della sicurezza del cantiere (il richiamo è a Sez. 3, n. 28902 del 24/1/2013, Rv. 255834 relativa ad una fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità dell'imprenditore che, avvalendosi di una ditta in regime di subappalto, aveva consentito l'occupazione di lavoratori extracomunitari pagati "in nero" e privi del permesso di soggiorno).
Dunque, le sentenze di merito hanno concordemente accertato che, alla luce delle emergenze processuali, dovesse ritenersi che l'imputato era a conoscenza dei lavori svolti in subappalto dalla società e non vi erano dubbi in merito al ruolo datoriale ricoperto e all'assenza di alcuna specifica delega di funzioni nei confronti di altri soggetti. Egli, pertanto, era titolare di tutti i poteri di controllo, di gestione e di spesa tipici del datore di lavoro sicchè, correttamente, è stata affermata la sua responsabilità per l'infortunio occorso ponendosi la pronuncia in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, per cui il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299, vale ad elevare a garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, mentre non può essere invocato in funzione restrittiva degli obblighi che la normativa prevenzionistica assegna ai soggetti regolarmente investiti di tali poteri (Sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, dep. 2022, Rv. 282568).
6. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e alla rifusione delle spese di assistenza e di rappresentanza sostenute dalle parti civile nel grado liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ai pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di assistenza e di rappresentanza sostenute per questo giudizio di legittimità dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro seimilaseicento per C.C., D.D., E.E., F.F. e G.G. ed in complessivi Euro quattromilaottocento per H.H., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui minori I.I. e L.L., oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2023