Cassazione Penale, Sez. 3, 22 agosto 2023, n. 35302 - Contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro. Impugnazione inammissibile



 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente -

Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere -

Dott. REYNAUD Gianni F. - rel. Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere -

Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 24/11/2022 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo;

lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI Ettore, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv., con modiff., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

 

FattoDiritto


1. Con sentenza del 24 novembre 2022, il Tribunale di Roma ha condannato A.A. alla pena di 4.500 Euro di ammenda per alcune contravvenzioni alla disciplina della sicurezza ed igiene sul lavoro.

2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, l'imputato ha proposto appello, chiedendone la riforma e lamentando, con stringatissime argomentazioni: l'erronea qualificazione dei capi d'imputazione; il mancato esame dell'imputato con conseguente impossibilità di richiedere un'integrazione probatoria ex art. 507 c.p.p.; la mancata assoluzione per particolare tenuità del fatto; il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena.

3. L'impugnazione è inammissibile perchè, trattandosi di sentenza che ha applicato la sola pena dell'ammenda, la stessa non è appellabile giusta la previsione di cui all'art. 593 c.p.p., comma 3, e l'impugnazione non contiene censure valutabili in sede di legittimità.

3.1. E' ben vero che, a norma dell'art. 568 c.p.p., comma 5, verificata l'oggettiva impugnabilità del provvedimento in sede di legittimità e l'esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, la Corte territoriale impropriamente adita ha correttamente trasmesso gli atti a questa Corte (cfr. Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221; Sez. 6, n. 38253 del 05/06/2018, Borile e a., Rv. 273738; Sez. 5, n. 7403/2014 del 26/09/2013, Bergantini, Rv. 259532). L'esame dell'impugnazione e dei motivi dedotti quali più sopra riassuntivamente riportati, tuttavia, non consente di ritenere che l'appello possa essere convertito in ricorso per cassazione e, in ogni caso, che la stessa sia come tale ammissibile.

3.2. Ed invero, in tema di conversione dell'impugnazione, l'appello erroneamente proposto avverso sentenza non impugnabile in sede di merito non si converte automaticamente in ricorso per cassazione, stante la necessità di avere riguardo - al di là dell'apparente "nomen juris" - alle reali intenzioni dell'impugnante ed all'effettivo contenuto dell'atto di gravame, con la conseguenza che, ove dall'esame di tale atto si tragga la conclusione che l'impugnante abbia effettivamente voluto il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, l'appello deve essere dichiarato inammissibile (Sez. 5, n. 55830 del 08/10/2018, Eliseo, Rv. 274624; Sez. 2, n. 41510 del 26/06/2018, Colorisi, Rv. 274246; Sez. 3, n. 21640 del 18/12/2017, dep. 2018, Lomagistro e aa., Rv. 273149). In particolare - reputa il Collegio - in casi come quello in esame deve ritenersi che l'impugnante abbia effettivamente voluto proporre l'appello quando le censure si limitino a contestazioni sul merito della decisione, chiedendone la riforma, e non siano specificamente riconducibili ai motivi deducibili invece con il ricorso per cassazione.

3.3. Nel caso di specie ricorre la descritta situazione e, comunque, il ricorso non soddisfa i requisiti di specificità richiesti dall'art. 581 c.p.p., comma 1, in relazione ai motivi deducibili nel giudizio di legittimità ex art. 606 c.p.p., comma 1.

Non viene infatti articolato in modo specifico alcun vizio di violazione di legge o di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ma il ricorrente si limita a proporre censure (in larga misura anche generiche) concernenti il merito della decisione sui punti più sopra indicati e ne richiede al giudice d'appello la riforma.

Anche rispetto al diniego della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto - con riguardo al quale il Procuratore generale ha richiesto l'annullamento della sentenza impugnata - rileva il Collegio che, in primo luogo, l'impugnante osserva che "l'imputato poteva altresì beneficiare di una pronuncia di non luogo a procedere ex art. 131 bis c.p. poichè ne ricorrevano tutti i presupposti...", così richiedendo al giudice dell'impugnazione una rivalutazione nel merito della questione. In secondo luogo, l'impugnante lamenta che il giudice abbia motivato "tale scelta con il fatto che l'imputato ha già beneficiato in passato di una pronuncia ex art. 131 bis c.p.. Tale assunto è gravissimo poichè il Giudice ha quindi qualificato l'imputato come delinquente abituale senza che questo sia mai stato appurato o dichiarato": si tratta, tuttavia, di una doglianza che, per un verso, non soddisfa l'onere di autosufficienza imposto per la redazione del ricorso per cassazione, posto che non trova riscontro nella sentenza impugnata (la quale richiama un precedente senza riferire che si sia trattato di una pronuncia di non punibilità per particolare tenuità del fatto ed in alcun modo qualifica l'imputato come delinquente abituale) e, d'altro lato, sembra postulare, in contrasto col chiaro tenore dell'art. 131 bis c.p., comma 1, - sul punto non modificato dalla recente "novella" approvata con D.Lgs. n. 152 del 2022 - che il diniego della fattispecie esiga l'accertamento o la declaratoria di delinquenza abituale. Nessuna diversa censura l'impugnante propone sul punto.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, tenuto conto della sentenza Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte l'abbia proposta senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile l'impugnazione e condanna l'impugnante al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Sentenza a motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2023.