Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 settembre 2023, n. 26644 - Azione di regresso



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto - Presidente -

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere -

Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere -

Dott. CALAFIORE Daniela - rel. Consigliere -

Dott. CAVALLARO Luigi - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
 


sul ricorso 297-2017 proposto da:

SA.RO COSTRUZIONI DI A.A. e CO Snc , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 157, presso lo studio dell'avvocato GIULIO MURANO, rappresentata e difesa dall'avvocato NICOLA GULFO;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati ANDREA ROSSI, LETIZIA CRIPPA che lo rappresentano e difendono;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 150/2016 della CORTE D'APPELLO di POTENZA, depositata il 25/08/2016 R.G.N. 73/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2023 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto


con sentenza n. 150 del 2016, la Corte d'appello di Potenza ha rigettato l'impugnazione proposta da SA.RO Costruzioni s.n.c. di A.A. e C., nei confronti dell'INAIL, avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta dall'Istituto al fine di ottenere in regresso, ex D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 ed 11, il rimborso dell'indennità erogata in favore di un lavoratore dipendente della stessa società, rimasto vittima di un infortunio in data 25 giugno 2002;

ad avviso della Corte territoriale, l'azione di regresso era fondata anche se la responsabilità della datrice di lavoro era stata accertata nelle forme del decreto penale di condanna di cui all'art. 460 c.p.p. (così Cass. n. 11436 del 20 dicembre 1996), alla luce del principio di autonomia dell'azione di regresso in oggetto rispetto al giudizio penale; peraltro, la società appellante non aveva provato che la liquidazione dell'indennizzo al danneggiato fosse avvenuta prima dell'avvio dell'azione penale, introdotta mediante richiesta di emissione di decreto penale di condanna, in modo da poter costituire il dies a quo del termine prescrizionale dell'azione di regresso, come eccepito dall'appellante che aveva l'onere di provare il fatto costitutivo di tale eccezione;

dunque, trovava applicazione il principio secondo cui il decorso del termine prescrizionale triennale va individuato nel giorno in cui la sentenza penale di condanna ovvero il decreto penale siano divenuti irrevocabili (Cass. SS.UU. n. 5160 del 16 marzo 2015);

nel caso di specie, il decreto penale di condanna era divenuto irrevocabile il 6 aprile 2004 e l'azione civile di regresso era stata tempestivamente esercitata il 25 settembre 2006;

nel merito, poi, le prove raccolte in primo grado consentivano di accertare la responsabilità del datore di lavoro, posto che era stato confermato che il lavoratore, che era stato incaricato di eseguire un lavoro a circa 4 metri di altezza utilizzando una semplice scala a mano in tubolari in ferro, per una improvvisa perdita di equilibrio, era precipitato su di un parapetto del solaio sottostante la costruzione che si stava realizzando;

avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione la società sulla base di cinque motivi;

resiste l'INAIL con controricorso e successiva memoria;

il Collegio ha riservato il deposito della motivazione nel termine di gg. 60 (art. 380 bis 1 c.p.c.).

 

Diritto

 

con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10, 11 e 112 e dell'art. 2934 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 651 e 652 c.p.p., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in ragione del fatto che non era stata dichiarata la prescrizione dell'azione proposta dall'INAIL, in violazione del principio di autonomia delle azioni civile e di quella penale;

con il secondo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 460, comma 6, c.p.p., 650 e 651 c.p.p. e dell'art. 116 c.p.c. in relazione al principio secondo cui il decreto penale di condanna non esplica effetti nel giudizio civile; con il terzo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087, 2059, 2043, 1218, 1362 e 2698 c.c., del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 e del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16, del D.Lgs. n. 696 del 1994, art. 38 bis, degli artt. 460 c.p.p., 650 e 651 c.p.p., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè motivazione insussistente e meramente apparente;

con il quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., dell'art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 1124 del 1965 art. 11 con riferimento al quantum liquidato, che non avrebbe potuto eccedere i limiti della somma liquidata in sede civile a titolo di risarcimento previo accertamento dell'esistenza e della entità di tali danni;

con il quinto motivo, si deduce la violazione degli artt. 61 e 62 c.p.c. e l'omessa motivazione sulla mancata ammissione delle istanze istruttorie e soprattutto della consulenza tecnica d'ufficio;

il primo ed il secondo motivo, connessi e da trattare congiuntamente, sono infondati;

come ritenuto dalla sentenza impugnata, questa Corte di legittimità (Cass. n. 11436 del 1996) ha da tempo esplicitamente affermato che, a norma del D.P.R. n. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 10, comma 5, l'azione di regresso dinanzi al giudice civile può essere proposta dall'I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro anche nell'ipotesi in cui quest'ultimo abbia riportato una condanna nella forma del decreto penale in relazione alla violazione di norme antinfortunistiche, fermo restando che comunque il giudice adito con l'azione di regresso deve accertare la responsabilità del datore di lavoro in relazione all'infortunio occorso al suo dipendente ed in particolare il nesso causale tra la violazione punita con il decreto penale e l'infortunio stesso oltre che l'entità dei postumi delle lesioni da esso derivate, nonchè l'eventuale concorso di colpa del prestatore di lavoro;

più di recente, Cass. n. 29755 del 12/10/2022 ha riaffermato il principio secondo cui, in tema di infortunio sul lavoro per il quale sia stata esercitata l'azione penale, il termine di prescrizione triennale dell'azione di regresso, da parte dell'ente assicuratore, decorre da quello d'irrevocabilità della sentenza penale, che nel caso di ricorso per cassazione, coincide con la pronuncia dell'ordinanza o della sentenza che definisce il giudizio di legittimità ai sensi dell'art. 648 c.p.p. (in precedenza Cass. nn. 20853 del 2015, 4225 del 2016);

nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata senza contestazioni, il decreto penale di condanna è divenuto irrevocabile il 6 aprile 2004 e l'azione di regresso è stata esperita con ricorso depositato il 25 settembre 2006 e notificato il 18 ottobre 2006, nel rispetto del termine di prescrizione triennale;

proprio in applicazione del principio di separazione tra azione di regresso in sede civile ed azione penale, la sentenza impugnata, a sua volta confermando - con giudizio in fatto pienamente coincidente - la decisione di primo grado, ha pienamente accertato la dinamica del sinistro e la responsabilità del datore di lavoro (pag. 6 e ss.), per cui i motivi sono palesemente infondati;

il terzo motivo è inammissibile perchè tende ad una rivalutazione del giudizio di merito effettuato dalla Corte territoriale;

lamentando la violazione di un numero considerevole di disposizioni di legge, anche con riferimento alla disciplina generale della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla sicurezza dell'ambiente di lavoro, unitamente alle disposizioni processuali relative all'apprezzamento delle prove, si tende a scardinare il giudizio di merito sulla ricostruzione dell'infortunio che non può essere dedotto in questa sede di legittimità;

va, infatti, riaffermato il principio (Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; Cass. n. 5987 del 2021) secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito;

il quarto ed il quinto motivo, sul punto della concreta incidenza della inabilità scaturita dall'infortunio sul lavoro specifico svolto dal lavoratore e sulla determinazione del grado di menomazione accertato dall'Inail in sede di riconoscimento della rendita, vanno esaminati congiuntamente;

questa Corte di legittimità (Cass. n. 17960 del 2006; 5385 del 2018) ha chiarito che in tema di azione di regresso, il datore di lavoro è estraneo al rapporto tra l'infortunato e l'istituto assicuratore pubblico e non può contestarne il fondamento anche se, nei confronti dell'INAIL, è obbligato nei limiti dei principi che informano la responsabilità civile per il danno civilistico subito dal lavoratore. Conseguentemente, il giudice del merito deve calcolare il danno civilistico (artt. 1221 e 2056 c.c.) in relazione alla percentuale riconosciuta dal consulente tecnico d'ufficio, che costituisce il limite massimo del diritto di regresso dell'INAIL, senza entrare nel merito della valutazione effettuata dall'istituto a mezzo dei suoi sanitari ai fini del danno infortunistico, stabilendo, quindi, se l'importo richiesto dall'istituto rientra o meno nel già menzionato limite;

la questione sottesa ai motivi in esame è quella della natura che assume questo tipo di difesa della parte debitrice convenuta in regresso: in particolare, va stabilito e si tratta di una eccezione e non di una mera difesa, giacchè si tratta di una specifica circostanza, finalizzata a limitare la pretesa dell'INAIL, ovvero di una mera contestazione sul quantum;

ai sensi dell'art. 2697 c.c., spetta alla parte che solleva l'eccezione allegare e provare i relativi fatti costitutivi; nel caso di specie, la Corte d'appello ha rilevato la genericità di tali allegazioni e nel ricorso per cassazione tale affermazione non è stata adeguatamente censurata, continuandosi a porre la questione solo da un punto di vista generale;

se, invece si ritenga trattarsi di una mera difesa, perchè in fondo si limita a contestare solo il quantum, l'obbligato non avrebbe particolari oneri; a questo punto, il giudice dovrebbe comunque porsi d'ufficio il problema di verificare che l'importo dell'indennizzo non superi quanto dovuto a titolo di risarcimento;

il Collegio ritiene che la fattispecie in esame debba ricondursi alla prima ipotesi, in quanto le circostanze limitative sono a diretta conoscenza del debitore e direttamente rapportabili alla sua sfera di interessi e, nel caso di specie, non sono state neanche allegate ed introdotte negli atti di causa dal ricorrente;

invero, (Cass. n. 8525 del 06/05/2020) nel processo civile, le eccezioni in senso lato consistono nell'allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio ai sensi dell'art. 2697 c.c., con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall'attore e non risultanti dagli atti di causa. Esse si differenziano dalle mere difese, che si limitano a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria, sono rilevabili d'ufficio - non essendo riservate alla parte per espressa previsione di legge o perchè corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva - e sono sottratte al divieto stabilito dall'art. 345, comma 2, c.p.c., sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (Massime precedenti Vedi: N. 20317 del 2019 Rv. 654871 01, N. 25434 del 2019 Rv. 655426 - 01, N. 27998 del 2018. Rv 651039 01, N. 14515 del 2019 Rv. 654080);

peraltro, al di là della ricostruzione in astratto delle reciproche posizioni difensive, nella fattispecie la sentenza di primo grado e quella d'appello hanno comunque ritenuto corretta la determinazione dell'inabilità sottesa alla domanda di regresso e non eccedente il danno subito ed una generica lagnanza sul quantum non inficia di certo tale giudizio;

la parte si duole della mancata ammissione della consulenza tecnica d'ufficio finalizzata, in modo palesemente esplorativo, a sindacare la correttezza dell'operato dei sanitari dell'Inail ma tale attività, per quanto sopra chiarito, non rientra nell'ambito della cognizione del giudice del regresso, il quale, in presenza delle minime allegazioni necessarie, è chiamato solo a verificare che l'indennizzo erogato ed oggetto di regresso non superi il danno risarcibile da parte del datore di lavoro;

in definitiva, il ricorso deve essere rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2023