Cassazione Penale, Sez. 4, 25 settembre 2023, n. 38913 - Mano del lavoratore incastrata nella macchina spiralatrice. Responsabilità nelle organizzazioni complesse e delega di funzione


 

 

Nota a cura di Del Forno Elena, Rovero Roberto, in Rivista penale, 2/2024, pp. 180-183 "Infortuni sul lavoro: delega di funzioni e obbligo di vigilanza"


 

In tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni - ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 T.U. sulla sicurezza - non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Rv. 267319).



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. MICCICHE’ Loredana - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 25/11/2022 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo l'inammissibilità ed in subordine il rigetto del ricorso.

E' presente l'avvocato PAGANI MATTEO ALESSANDRO del foro di MILANO in difesa di A.A. che chiede l'accoglimento del ricorso.

E' presente insieme all'avv PAGANI, l'avv CONCU SARA foro MILANO.

 

Fatto


1. Con sentenza in data 25.11.2022 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Como in data 6 novembre 2019 aveva ritenuto A.A., nella sua qualità di responsabile per la sicurezza per la sede di Tavernerio della società "(Omissis)" Srl ., colpevole del reato di cui all'art. 590 comma 2 c.p. con riferimento all'art. 583 comma 1 nn. 1 e 2 e comma 3 c.p. condannandolo alla pena di Euro 300,00 di multa, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate.

2. La vicenda processuale trae origine dall'infortunio occorso in data (Omissis) a W.W., dipendente della medesima società e responsabile della produzione della sua area di lavoro, il quale, mentre lavorava su una macchina spiralatrice nel tentativo di liberare grumi di colla, si era trovato con la mano destra incastrata tra la cinghia ed il mandrino a causa di un grosso grumo di colla riuscendo a liberarsi solo piegando le ginocchia ed effettuando un notevole sforzo fisico.

L'incidente provocava all'infortunato lesioni personali consistite in "trauma da schiacciamento mano destra frattura stiloide ulnare" da cui è derivata un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per giorni 130 (dal (Omissis) al (Omissis)), con indebolimento permanente di un organo individuabile in "deficit estensorio del polso destro di circa 1/4".

La responsabilità dell'odierno imputato si fondava, in entrambe le pronunce di merito, sul fatto che lo stesso aveva messo a disposizione una macchina non conforme ai requisiti di cui all'art. 70, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2008 ed inidonea in quanto carente di dispositivi atti a garantire che il contatto tra il lavoratore e gli elementi mobili potesse avvenire solo a macchina ferma e non aveva provveduto in violazione dell'art. 64 lett. c), D.Lgs. n. 81 del 2008 ad assicurare regolare e sufficiente manutenzione agli impianti.

3. Avverso la sentenza d'appello l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

Con il primo deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge o del precetto penale ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) c.p.p. relativamente agli artt. 70 e 64 D.Lgs. n. 81 del 2008.

Si assume che la sentenza impugnata erroneamente ha attribuito al A.A. la qualifica di datore di lavoro per la sicurezza e pertanto non è possibile stabilire a carico dello stesso una responsabilità penale determinata dalla violazione degli obblighi di cui agli artt. 70 e 64 del D.Lgs. n. 81 del 2008.

Con il secondo motivo deduce la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame ex art. 606 comma 1, lett. e) c.p.p..

Si assume che la sentenza impugnata non ha considerato adeguatamente le doglianze difensive omettendo di fornire argomentazioni in merito all'estraneità della (Ndr: testo originale non comprensibile) al A.A. degli obblighi ritenuti violati, non considerando che lo stesso è dirigente per la sicurezza e non già datore di lavoro.

Con il terzo motivo deduce l'inosservanza delle norme processuali ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. c) c.p.p. in relazione alla sentenza impugnata.

Si assume che il giudice di appello ha riprodotto la sentenza di primo grado, senza considerare ogni singola censura difensiva e senza svolgere autonome valutazioni.

 

Diritto


1. I primi due motivi di ricorso, da valutarsi congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione, sono inammissibili.

In primo luogo, l'esame della impugnata sentenza consente di constatare come le censure in questa sede articolate ripropongano le medesime doglianze dedotte nel giudizio di appello, cui la Corte territoriale ha fornito una risposta logica ed esauriente.

A riguardo non può che ribadirsi quanto già più volte chiarito da parte di questa Corte di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduca e reiteri gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).

Ed invero, nella specie il giudice di appello rispondendo ad analoga doglianza, una volta ravvisate le violazioni delle norme cautelari di cui agli artt. 70, comma 2, e 64 lett. c) D.Lgs. n. 81 del 2008, ha ritenuto che detti obblighi rientrassero nelle competenze dell'imputato in quanto tenuto all'adempimento delle prescrizioni normative in tema di sicurezza.

1.1. I profili attinti dal ricorso involgono la complessità della struttura delle aziende e la conseguente attribuzione della responsabilità penale ai soggetti che vi operano. Si tratta di un argomento centrale in quanto le fattispecie astratte di reato prevedono come possibili soggetti agenti l'imprenditore, il datore di lavoro, il delegato, il dirigente, figure delle quali la sussistenza e responsabilità vanno accertate in concreto.

E' evidente che la complessità degli adempimenti in materia di sicurezza del lavoro e la loro corretta gestione, inducono i soggetti in posizione di vertice ad avvalersi, per lo svolgimento delle connesse attività, di articolazioni più complesse.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Rv. 267319).

Da questo assetto deriva la necessità di verificare se, in quale misura e a quali condizioni tale distribuzione organizzativa di compiti possa incidere sull'individuazione del soggetto cui ascrivere, nell'ambito delle organizzazioni complesse, la responsabilità penale.

Il problema consiste, in particolare, nel verificare se l'assegnazione ad altri di compiti fisiologicamente gravanti sul soggetto che riveste la posizione di garanzia all'interno della struttura possa sortire effetto sul meccanismo di individuazione delle responsabilità, comportandone la corretta e non patologica traslazione in capo al delegato.

La delega di funzioni è lo strumento con il quale il datore di lavoro - unico soggetto a ciò titolato ex lege, mentre non sono legittimati a esercitare la delega il dirigente e il preposto - trasferisce i poteri e responsabilità per legge connessi al proprio ruolo ad altro soggetto.

Quest'ultimo diventa garante a titolo derivativo, con conseguente riduzione e mutazione dei doveri facenti capo al soggetto delegante. Il primo riconoscimento della legittimità della delega di funzioni da parte del legislatore si rinviene nel D.Lgs. n. 626 del 1994 che, peraltro, si limita ad elencare le attività non delegabili, ammettendo così implicitamente la facoltà del datore di lavoro di utilizzare tale strumento in tutti gli altri casi non espressamente interdetti.

La disciplina legale dell'istituto è stata introdotta, invece, per la prima volta dal D.Lgs. n. 81 del 2008 che all'art. 16 ne ha dettato i requisiti, peraltro con ampio recepimento della elaborazione giurisprudenziale formatasi in precedenza.

In ossequio al principio per cui, al fine di assicurare un efficace sistema di tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la traslazione dei poteri deve essere presidiata con la previsione di regole formali e sostanziali, il legislatore ha previsto una serie di limiti e condizioni.

La norma richiede che la delega risulti da atto scritto recante data certa, che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, che attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, che attribuisca al delegato l'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate, infine, che sia accettata dal delegato per iscritto.

La delega per essere operativa deve essere resa conoscibile mediante adeguata e tempestiva pubblicità (sia nell'ambito dell'organizzazione attraverso attività di informazione, circolari, esposizione in bacheca, ecc., che presso i terzi a mezzo di pubblicazione sui pubblici registri).

Permane in capo al datore di lavoro delegante l'obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e tale obbligo si intende assolto in caso di adozione ed attuazione efficace del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30 D.Lgs. n. 81 del 2008.

Infine, non sono delegabili alcuni obblighi che ineriscono l'essenza della figura del datore di lavoro e della sua posizione di garante all'interno del contesto produttivo, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo ovvero la valutazione dei rischi, la redazione del relativo documento e la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

La delega determina quindi la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità.

Il trasferimento può avere ad oggetto un ambito definito e non l'intera gestione aziendale, ma in tale circoscritto territorio il ruolo del soggetto delegato deve essere caratterizzato da pienezza di poteri, in primo luogo di quelli di spesa.

Il trasferimento dei poteri, inoltre, deve essere effettivo e non meramente cartolare.

Si sostiene invero che il mero rilascio di una delega di funzioni non è sufficiente per escludere la responsabilità del delegante in mancanza di elementi che depongano per l'effettiva competenza tecnica del delegato, per il positivo esercizio dei poteri conferiti, per l'autonomia di intervento e per l'adozione di modelli organizzativi e gestionali idonei (In applicazione del principio, la Corte ha riconosciuto la responsabilità del legale rappresentante di una società operante nella ristorazione, avente 18 centri di cottura e 390 impianti, pur in presenza di una delega, trattandosi di deficit strutturali e non occasionali del processo produttivo in materia di sicurezza alimentare (Sez. 3, n. 27587 del 16/06/2020, Rv. 280159).

Infine, in caso di delega di funzione, permane comunque in capo al datore di lavoro delegante un preciso dovere di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite (culpa in vigilando) e prima ancora un preciso dovere di individuare quale destinatario dei poteri e delle attribuzioni un soggetto dotato delle professionalità e delle competenze necessarie (culpa in eligendo) 1.2. Così delineati i temi rilevanti nel presente giudizio, la sentenza impugnata definisce i passaggi logici che conducono all'affermazione di responsabilità del A.A.. chiarendo che lo stesso era soggetto delegato dal datore di lavoro, A.H., amministratore delegato e legale rappresentante della società, a compiere diverse attività in materia di sicurezza sul lavoro a seguito di di una delega di funzioni ex art. 16 D.Lgs. n. 81 del 2008 conferita con procura datata 8.7.2014.

Una volta accertata la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali che condizionano l'efficacia legale della delega in quanto atto negoziale (di cui la sentenza fa specifica menzione), la Corte territoriale ha puntualmente analizzato i requisiti formali e sostanziali che condizionano l'efficacia legale dell'atto negoziale precisando altresì, quanto all'oggetto, che il riferimento all'art. 18 D.Lgs. n. 81 del 2008 determina un ambito ben definito della delega escludendo una responsabilità del delegato per l'intera gestione dell'azienda permanendo in capo al datore di lavoro la titolarità degli obblighi indelegabili previsti dall'art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008.

Inoltre si dà conto del fatto che l'accettazione e lo svolgimento di dette attività risulta compatibile con il tempo impiegato dall'imputato in azienda e con il fatto che lo stesso facesse parte di un team specializzato alla prevenzione con il compito di analizzare direttamente gli infortuni verificatisi all'interno dell'azienda. Inoltre la delega attribuiva al A.A. un'autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate nei limiti delle procedure di approvazione stabilite all'interno della società e quindi anche per l'apprestamento di mezzi antinfortunistici.

In tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni - ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 T.U. sulla sicurezza - non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Rv. 267319).

3. Il terzo motivo di ricorso è, inammissibile in quanto del tutto generico e aspecifico non indicando neppure quali siano le statuizioni della sentenza impugnata oggetto di censura.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2023