Cassazione Penale, Sez. 4, 24 luglio 2023, n. 31812 - Asbestosi dell'operaio del cantiere navale: manca la prova



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - rel. Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI PALERMO;

A.A., nato a (Omissis), in proprio ed in veste di esercente la potestà genitoriale - parte civile;

B.B. - parte civile;

nel procedimento a carico di:

C.C., nato a (Omissis), imputato come in atti;

inoltre:

altre PARTI CIVILI, non ricorrenti;

INAIL, non ricorrente;

CAMERA DEL LAVORO, non ricorrente;

avverso la sentenza del 17/11/2021 della CORTE APPELLO dl PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. CENCI DANIELE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ORSI LUIGI, il quale all'esito della discussione ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi.

uditi i Difensori:

è presente, in sostituzione dell'Avv. LANFRANCA Gaetano Fabio, del Foro di PALERMO, Difensore delle parti civili costituite D.D., E.E., F.F., G.G., H.H., I.I., L.L., M.M., N.N., O.O., Federazione Impiegati e Operai Metallurgici di (Omissis) - Fiom (Omissis), il sostituto processuale Avv. AMATO Fausto Maria del Foro di Palermo, come da nomina ex art. 102 c.p.p. depositata in udienza, che insiste nell'accoglimento dei ricorsi chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata e deposita nota spese.

E' presente, per la parte civile INAIL, l'Avv. CRIPPA Letizia, del Foro di ROMA, la quale insiste nell'accoglimento del ricorso come da conclusioni e nota spese depositate in udienza.

E' presente, in sostituzione dell'Avv. MARTORANA Alessandro, del Foro di PALERMO, Difensore delle parti civili ricorrenti A.A., in proprio e in qualità di madre esercente la potestà sulla figlia minore P.P., e B.B., il sostituto processuale, Avv. AMATO Fausto Maria, del Foro di Palermo, come da nomina ex art. 102 c.p.p. depositata in udienza, che chiede di accogliere il ricorso annullando la sentenza impugnata, come da conclusioni e nota spese depositate in udienza.

L'Avvocato AMATO Fausto Maria, inoltre, in qualità di Difensore di fiducia della parte civile CAMERA DEL LAVORO, insiste nel chiedere l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, come da conclusioni e nota spese depositate in udienza.

Per l'imputato SCRIMA Giuseppe è presente il Difensore di fiducia, Avv. DE LISI Tommaso, del Foro di PALERMO il quale, associandosi alle conclusioni del Procuratore Generale, all'esito della discussione chiede dichiararsi inammissibili i ricorsi.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Palermo il 17 novembre 2021 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dal Procuratore Generale e dalle parti civili, con la quale il G.u.p. del Tribunale di Palermo il 5 giugno 2017, all'esito del giudizio abbreviato, ha assolto C.C. dall'accusa di omicidio colposo, per insussistenza del fatto.

2. A C.C. è stato addebitato, in particolare, di avere cagionato, per colpa, la morte di Q.Q..

Premesso che Q.Q., nato il (Omissis) e deceduto il (Omissis), ha sempre lavorato presso i Cantieri navali di (Omissis), in una prima fase, dal 1965 al 1974, come operaio alle dipendenze di un'impresa appaltatrice di lavori navali (Cooperativa "Pontisti carenanti riuniti" Srl ) e in una seconda fase, cioè dal 1974 al 1993, con la qualifica di operaio carenante in qualità di socio lavoratore della cooperativa "Rinascita Picchettini", C.C., in qualità di legale rappresentante della società cooperativa "Rinascita Picchettini", appaltatrice di lavori, appunto, presso i Cantieri navali, è stato accusato di avere consentito che i soci lavoratori prestassero la propria attività in ambienti pieni di polvere di amianto e in mancanza di idonei dispositivi di protezione (mascherine, cuffie, aspiratori) e, comunque, in assenza di qualsiasi organizzazione del lavoro idonea ad evitare o, quantomeno, a ridurre la massiccia inalazione di polveri e di fibre di amianto, e ciò per quanto riguardava sia i lavori sulle navi sia quelli a terra, così cagionando, per quanto in questa sede rileva, la morte di Q.Q..

E' opportuno anche puntualizzare, per meglio comprendere il contenuto dei ricorsi: che Q.Q. è stato esposto alle polveri di amianto all'interno dei Cantieri navali di (Omissis) sin dall'anno 1965 o, addirittura, già a partire dal 1963; che dal 1974 al 1993, anno del pensionamento, è stato socio lavoratore, con mansioni di operaio carenante della cooperativa "Rinascita Picchettini"; che dal 1983 al 1993 lo stesso, in base alle sue stesse dichiarazioni, è stato adibito a mansioni meno pesanti; che Q.Q. è morto il (Omissis); che la "posizione di garanzia" dell'imputato C.C. - in veste, appunto, di legale rappresentante della cooperativa Picchiettini - è da collocarsi temporalmente tra il 1989 ed il 1995 (p. 38 della sentenza di primo grado), sicchè l'arco temporale di possibile rilevanza, per quanto specificamente riguarda Q.Q., è il quadriennio compreso tra il 1989 ed il 1993, anno del pensionamento del lavoratore.

3. Ciò posto, il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, in estrema sintesi, hanno ritenuto insussistente il nesso di causa tra la asbestosi polmonare da inalazione di amianto, malattia professionale, peraltro riconosciuta dall'Inail, da cui era affetto Q.Q., conclamata almeno dal 1998 e pacificamente cagionata dal protratto contatto con l'amianto, e il decesso dello stesso, avvenuto per collasso cardiocircolatorio all'età di quasi settantotto anni, quando era in pensione da più di venti anni e non più esposto alle inalazioni di amianto da trenta. I Giudici di merito hanno, infatti, ritenuto, in base al contenuto della perizia collegiale (affidata ad uno pneumologo, a un cardiologo e a un internista) disposta in primo grado, disattendendo la difforme opinione espressa al riguardo dal consulente della parte civile (secondo cui il decesso sarebbe stato causato da insufficienza respiratoria cronica progressiva secondaria ad asbestosi polmonare), che la - pur presente - asbestosi non abbia avuto un ruolo causale nè concausale nella morte, tenuto conto delle condizioni personali di Q.Q., caratterizzate da molteplici fattori di rischio ossia: severa cardiopatia ischemica, insufficienza respiratoria cronica da bronchite cronica ostruttiva - non restrittiva - causata dal perdurante tabagismo (con deficit respiratorio dall'anno 1992), diabete mellito di tipo 2 in fase di insulino-dipendenza, severa insufficienza renale ed ipertensione arteriosa, tanto che già in una relazione dell'Inail del 1983 era descritto come soggetto "cardiopatico cronico, bypassato ed epatopatico cronico", che gli erano già stati installati chirurgicamente tre bypass coronarici nel 2003 e che aveva subito un intervento sulla vena safena nel 2013. Il complesso di tali ragioni è stato ritenuto tale da giustificare la morte, intervenuta, secondo la valutazione del collegio peritale, recepita dei decidenti, per "arresto cardiaco irreversibile conseguente a severa cardiopatia ischemica in paziente con multipli fattori di rischio cardiovascolare", con esclusione di effetto causale o anche soltanto concausale della - pur esistente - patologia asbestosica polmonare da cui Q.Q. era affetto.

4. Ciò premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza il Procuratore Generale della Corte di appello di Palermo e, tramite Difensore, le parti civili A.A., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale su P.P., ed B.B..

5. Il ricorso del Procuratore Generale si affida ad un unico, complessivo, motivo con il quale lamenta difetto di motivazione in ordine alla valutazione del nesso di causalità tra la morte di Q.Q. e la patologia - asbestosi da cui risultava affetto lo stesso, con particolare riferimento alla parte della sentenza con cui si esclude che l'asbestosi sia causa ovvero concausa della patologia cardiaca che ha condotto la persona offesa al decesso.

La sentenza che si impugna sarebbe da censurare nella parte in cui ha escluso che la cardiopatia che ha cagionato il decesso di Q.Q. sia direttamente ovvero indirettamente - riconducibile alle gravi difficoltà respiratorie conseguenti alla asbestosi contratta durante l'attività lavorativa presso i Cantieri navali di (Omissis) e nella parte in cui ha ritenuto che il tabagismo della vittima sia causa sopravvenuta idonea, da sola, ad innescare il meccanismo che ha condotto alla morte.

La decisione impugnata sarebbe in contrasto, ad avviso del Requirente, con i criteri ispiratori della giurisprudenza di legittimità in tema di decessi per inalazione di fibre di amianto, poichè è stato affermato dalla S.C. che l'asbestosi è una patologia mono-causale, per così dire "firmata" dall'amianto, cui è dose-correlata, sicchè non si pongono problemi per l'accertamento del nesso causale (con richiamo a Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini e altri, non mass. sul punto).

Inoltre, la sentenza della Corte di merito, alla p. 6 della motivazione, ove sottolinea che le altre vittime già impegnate in attività lavorative presso i Cantieri navali di (Omissis) sono decedute o per tumori o per mesotelioma, dubiterebbe - ma, si stima, erroneamente - che l'asbestosi da cui era affetto Q.Q. fosse direttamente collegabile all'inalazione di fibre di amianto. Posto che già il primo Giudice, alla p. 11 della propria decisione, aveva inquadrato la potenzialità letale dell'asbestosi, affermando, tra l'altro, che si tratta di "malattia respiratoria progressiva, incurabile e potenzialmente letale", la Corte di appello avrebbe omesso qualsiasi valutazione sulle caratteristiche patologiche dell'asbestosi, accogliendo acriticamente le conclusioni dei periti che hanno escluso che nel caso di specie la patologia polmonare asbestosica possa essere causa ovvero concausa dell'evento cardiovascolare che ha condotto a morte Q.Q.. Infatti, la Corte di appello avrebbe trascurato le gravissime difficoltà respiratorie causate dall'asbestosi, con effetti sull'intero sistema cardiovascolare.

Inoltre la Corte territoriale, ad avviso del P.G., non avrebbe colto le plurime e macroscopiche contraddizioni contenute nella relazione del collegio peritale, ossia:

la mancata attribuzione di rilevanza all'avere la persona offesa manifestato sin dal 1992 deficit respiratorio di tipo sia restrittivo (che caratterizza l'asbestosi) sia ostruttivo (che caratterizza il tabagismo) ed essere comunque affetta da asbestosi conclamata sin dal 1998, segni importanti ed evidenziati nel processo n. 3370/98 del Tribunale di Palermo, concluso con pronunzia di prescrizione, da parte del prof. R.R e della prof.ssa S.S , ma - si stima, illogicamente - liquidati come causati dalla infiammazione derivante dal deposito delle fibre di amianto e con incidenza definita non elevata; inoltre, sarebbe "assolutamente immotivata, errata e del tutto dogmatica (...) l'affermazione secondo cui (pag. 8 della sentenza impugnata) "il giudizio di tale specialista (n.d.r. il perito prof. R.R ) non riveste efficacia vincolante nel presente giudizio... laddove il collegio peritale ha avuto la possibilità di condurre un vaglio temporalmente ben più ampio della "storia clinica" della persona offesa"" (così il ricorso del P.G., alla p. 5);

la sottovalutazione dell'esito della TAC al torace effettuata il giorno prima del decesso, esame che evidenzia sottile versamento pleurico e diffusi addensamenti parenchimali nei polmoni, in quanto esito frettolosamente relegato ad un quadro sopravvenuto in un contesto di ormai irreversibile compromissione dell'intero organismo dell'anziano paziente, peraltro senza tenere conto che ma, si stima, contraddittoriamente - alla p. 48 della sentenza di primo grado si era ritenuto assente il versamento pleurico;

la minimizzazione da parte dei periti (che - si sottolinea nel ricorso - hanno lavorato post-mortem mentre i proff. R.R e S.S hanno redatto la propria relazione mentre Q.Q. era ancora in vita) della gravità della patologia asbestosica, affermando che erano coinvolti soltanto i foglietti pleurici ma non apprezzabilmente coinvolti il parenchima polmonare e la sua funzione (non senza trascurare che il Dott. T.T., esaminato in primo grado, ma non in appello, ha ammesso di non avere visionato la TAC);

ed anche l'affermazione che l'uomo soffrisse di insufficienza respiratoria cronica derivante da bronchite cronica ostruttiva da ricondursi al tabagismo, tanto da essere considerato un "accanito fumatore", anzichè solo un "fumatore";

avere trascurato che sin dal 1992 il deficit respiratorio era stato valutato sia di tipo ostruttivo, connesso con il tabagismo, che di tipo restrittivo, connesso con l'asbestosi.

Gravemente erroneo sarebbe il passaggio motivazionale in cui la Corte di appello, nella parte finale della motivazione, prospetta la possibilità che il tabagismo di Q.Q. sia una sopravvenuta causa alternativa idonea da sola ad innescare il meccanismo che ha condotto al decesso.

Ad avviso del ricorrente, dunque, se è indiscutibile che la causa del decesso è stata individuata in un arresto cardiaco, cionondimeno sarebbe innegabile che il decesso sia dovuto ad un concorso di cause e, in particolare, ad un severo deficit respiratorio che ha compromesso irrimediabilmente il sistema cardiovascolare di Q.Q.; ed in tale multifattorialità non potrebbe non tenersi conto della asbestosi, provocata dalla inalazione delle fibre di amianto, la cui esclusione da parte dei Giudici di merito sarebbe da censure, siccome basata su lacune argomentative rispetto ai temi probatori introdotti nel processo e a quelli veicolati dalla sentenza della Corte territoriale, nella quale era stato - sì - richiesto di accertare se la legge di copertura sulla valenza concausale degli agenti nocivi sinergici asbesto e fumo, con la conseguente patologia cardiovascolare, avesse carattere universale o probabilistico, ma con la precisazione di effettuare, comunque, ove risulti che l'effetto sinergico della compromissione respiratoria (dovuta all'asbestosi ed al tabagismo) e della compromissione cardiovascolare si realizzi solo in una certa percentuale, che la malattia descritta rientri in quella percentuale.

Il ricorrente richiama il precedente di legittimità di Sez. 3, n. 10209 del 07/10/2020, dep. 2021, PG in proc. Ceriani, Rv. 281710 (c.d. processo "Montefibre-2"), ove si è puntualizzato che "Ai fini del riconoscimento giudiziale del nesso di causalità tra condotta ed evento, non rilevano solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico prossimo alla "certezza", ma anche i coefficienti medio - bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico legale - oltre che sulla base del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192 c.p.p., comma 2, e della regola generale in tema di valutazione della prova di cui al comma 1 della medesima disposizione - circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, di modo che, secondo un giudizio di alta probabilità logica, la condotta omissiva dell'imputato risulti condizione "necessaria" dell'evento".

Invoca anche il principio di diritto fissato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite, ric. Franzese (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Rv. 222138) in tema di giudizio controfattuale, che deve essere basato su un giudizio di alta probabilità logica, non già meramente statistica, per concludere che anche coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentista, ove corroborati da un positivo riscontro probatorio secondo la scienza medico-legale, possano condurre a un giudizio circa l'esistenza del necessario nesso di causalità tra condotta ed evento, per essere risultata la condotta omissiva dell'imputato condizione necessaria dell'evento.

Non sarebbe stata effettuata dai decidenti un'approfondita analisi circa la sussistenza nel caso di specie di un ragionevole dubbio di tipo reale cioè fondato su specifici elementi di fatto che lo avvalorino.

Si sottolinea, poi, una ulteriore palese contraddizione in cui sarebbero incorsi i periti, avendo gli stessi affermato che non esistono dati statistici che diano contezza di un apprezzabile aumento di rischio per un paziente con asbestosi di sviluppare una cardiopatia ischemica, evenienza stimata possibile dal perito U.U. ma quantificata nella limitata misura dell'1,1%, trascurando che le domande della parte civile (si fa riferimento al contenuto della p. 30 dell'atto di appello dell'Avv. Martorana) hanno disvelato l'esistenza di una indagine scientifica dell'anno 2005, risultata sconosciuta ai periti, indagine secondo la quale la percentuale di rischio sarebbe molto più alta ossia del 39%.

Infine, l'avere escluso la natura di concausa del decesso dell'asbestosi di cui soffriva Q.Q., secondo il P.G., sarebbe affermazione in netto contrasto con il dato di comune esperienza che croniche difficoltà respiratorie (nel caso di specie conseguenti alla patologia di asbestosi polmonare) abbiano conseguenze dirette ed immediate sul muscolo cardiaco, affaticandolo e così venendo a pregiudicare progressivamente le sue funzioni vitali.

Sarebbe, quindi, ad avviso del ricorrente, incondivisibile e addirittura "stupefacente" (così alla p. 8 dell'impugnazione) l'affermazione secondo la quale non vi sarebbero studi scientifici che affermano che la coronopatia può essere indotta dall'asbestosi polmonare, essendo tale affermazione smentita dal combinato disposto del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145 (recante il "Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"), come modificato dalla L. 27 dicembre 1975, n. 780, art. 4 (recante "Norme concernenti la silicosi e l'asbestosi nonchè la rivalutazione degli assegni continuativi mensili agli invalidi liquidati in capitale"), e della circolare Inail n. 72 del 23 ottobre 1976 (con oggetto "L. 27 dicembre 1975, n. 780. Norme concernenti la silicosi e l'asbestosi nonchè la rivalutazione degli assegni continuativi mensili agli invalidi liquidati in capitale. Artt. 1, 2, 3, 4 e 5"), laddove si prevede che le prestazioni assicurative sono previste anche per le patologie cardiache associate all'asbestosi, con ciò assumendo - si sottolinea - che le patologie cardiache sono ricomprese tra le complicanze dell'asbestosi.

Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

6. Il ricorso delle parti civili (A.A., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale su P.P., ed B.B.) è affidato a dieci motivi con i quali, ripercorsi sinteticamente gli antefatti (pp. 2-4 del ricorso), si denunzia la sentenza di appello per vizio di motivazione e per violazione di legge.

6.1. Con il primo motivo (pp. 4-13 dell'impugnazione), in particolare, si lamenta mancanza e/o manifesta illogicità dell'apparato giustificativo per omessa valutazione circa la ritenuta inattendibilità delle valutazioni espresse dai periti del Giudice di merito.

6.1.1. Si rammenta che nell'atto di appello (pp. 9 e ss.) si era sottolineata criticamente sia la circostanza che due dei tre periti nominati dal Tribunale (cioè i dottori V.V., cardiologo, e U.U., pneumologo) erano in servizio presso lo stesso reparto ospedaliero di cardiologia in cui Q.Q. è stato ricoverato prima del decesso ed in cui il problema del paziente è stato inquadrato come di natura esclusivamente cardio-circolatoria, e non di natura anche polmonare, come invece ritenuto dal consulente della parte civile, addirittura uno dei medici con il ruolo di primario (Dott. V.V.), circostanza che minerebbe l'attendibilità della perizia, sia l'assenza di un medico legale nel collegio dei periti. Infatti - sottolineano i ricorrenti - a domanda della Difesa in primo grado, il perito Dott. T.T. (internista) aveva risposto di non conoscere il contenuto del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145 ("Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali") e, dunque, di non sapere che il legislatore ha associato le patologie cardiorespiratorie e quelle cardiocircolatorie all'asbestosi. Infatti, la norma richiamata recita:

"Le prestazioni assicurative sono dovute:

a) in tutti i casi di silicosi o di asbestosi con le loro conseguenze dirette - da cui sia derivata la morte ovvero una inabilità permanente al lavoro superiore al 20 per cento;

b) in tutti i casi di silicosi o di asbestosi associate ad altre forme morbose dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio. In tali casi si procederà alla valutazione globale del danno.

Le prestazioni di cui alla lett. b) del comma precedente si intendono dovute anche nei casi di morte derivata da silicosi o da asbestosi, associate ad altre forme morbose dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio".

Del resto - sottolineano i ricorrenti - la Corte di legittimità ha già, e da tempo, ritenuto che l'asbestosi, malattia conosciuta sin dai primi del ‘900 ed inserita dalla L. 12 aprile 1943, n. 455, tra le malattie professionali, è ritenuta conseguenza diretta, potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di una significativa abbreviazione della vita se non altro per le patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad essa correlate, come si legge nella motivazione di Sez. 4, n. 37432 del 09/05/201)3, Monti, non mass. sul punto (nei "motivi della decisione" si legge che "La sentenza di appello (pag. 34) ricorda che già dall'inizio del secolo, o almeno dai primi decenni del ‘900, sono stati ipotizzati e studiati gli effetti oncogeni nelle due forme più strettamente correlate all'esposizione, rappresentate dal mesotelioma maligno e dal tumore al polmone. Il rilievo è esatto, in quanto l'inalazione da amianto è ritenuta da ben oltre i tempi citati di grande lesività alla salute (se ne fa cenno nel R.D. 14 giugno 1909, n. 442 in tema di lavori ritenuti insalubri per donne e fanciulli) e la malattia da inalazione da amianto, l'asbestosi (conosciuta fin dai primi del ‘900 ed inserita nelle malattie professionali dalla L. 12 aprile 1943, n. 455), è ritenuta conseguenza diretta, potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di una significativa abbreviazione della vita se non altro per le patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad esse correlate").

Richiamate poi ulteriori pronunzie di legittimità, risalenti agli anni 1984-1997, in tema di concausalità della silicosi o asbestosi nell'evento-morte, si cita, siccome stimata pertinente, la massima ufficiale tratta dalla sentenza di Cass. civ., Sez. lavoro, n. 607 del 01/02/1989, Vagaggini vs: Inail, Rv. 461684, secondo cui "Con riguardo alla L. 27 dicembre 1975, n. 780, art. 4 - che, nel dettare il nuovo testo del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, comma 2, lett. b), ha stabilito il diritto alle prestazioni assicurative a favore del lavoratore o dei superstiti, nel caso di inabilità o di morte causata da silicosi od asbestosi, anche se di minima gravità, associata a qualsiasi altra forma morbosa dell'apparato respiratorio o cardiocircolatorio" ampliando in tal modo l'ambito di tale tutela - ricorre il nesso di derivazione causale (o concausale) dell'inabilità o della morte da una di tali malattie, e quindi sussiste il diritto alla prestazione assicurativa dei superstiti, anche nell'ipotesi in cui la silicosi (o la asbestosi) o comunque una sua conseguenza diretta abbiano avuto, nel determinismo della morte dell'assicurato, il ruolo di mera concausa (pur se minimo) del decesso, anche solo accelerando il decorso della malattia verso l'esito letale, atteso che questo ultimo deve ritenersi derivato dalla tecnopatia, non soltanto quando questa sia la causa della malattia che ha determinato la morte, ma anche quando la malattia diversa sopravvenuta (nella specie: tumore gastrico) pur non essendo ricollegabile eziopatogeneticamente alla tecnopatia (nella specie: silicosi polmonare), sia stata da questa comunque influenzata nel suo finale esito letale. (V 8002/87, mass n. 455704; V 7679/87, mass n. 455560)".

In altre parole, sia il legislatore che la interpretazione giurisprudenziale del massimo Consesso avrebbero preso atto che tra le patologie asbesto-correlate vi sono anche quella cardiocircolatorie e che va riconosciuto il ruolo di concausa anche ove l'asbestosi abbia avuto un'influenza, anche se minima, nel determinismo della morte del lavoratore.

Di ciò, però, i tre periti, non esperti di medicina legale, non hanno tenuto conto e, atteso tale deficit di competenza professionale, pur avendo ammesso la possibilità di una incidenza, seppure minima, non sono stati in grado di quantificare la stessa.

Si richiamano ulteriori precedenti della Sezione 4^ civile della Corte di cassazione (c.d. Sezione-lavoro) secondo cui, ai sensi dell'art. 41 c.p., va attribuito un ruolo di concausa anche ove si determini una minima accelerazione di una pregressa malattia, a meno che non vi sia l'intervento di una sopravvenuta patologia del tutto indipendente dalla prima (Sez. L, n. 18254 del 29/08/2007, Giuliani vs Inail, non mass., pp. 4-5, in tema di efficienza causale di ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, dovendosi attribuire ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia; Sez. L, n. 1196 del 05/02/1998), evenienza quest'ultima che, però, nel caso di specie sarebbe da escludersi.

6.1.2. Ebbene, la risposta fornita dalla Corte territoriale alla p. 6 della sentenza, incentrata sulla esclusione della incompatibilità degli esperti a svolgere il ruolo di periti, non darebbe conto del segnalato problema della attendibilità, nella duplice prospettiva della sottolineata appartenenza di alcuni di essi alla stessa unità operativa che ha avuto in cura il paziente e della emersa mancanza in tutti e tre i professionisti delle necessarie competenze medico-legali.

Ne discenderebbe, ad avviso dei ricorrenti, vizio della sentenza, che non si sarebbe attenuta al principio secondo il quale "Per valutare l'attendibilità di una teoria occorre esaminare gli studi che la sorreggono. Le basi fattuali sui quali essi sono condotti. L'ampiezza, la rigorosità, l'oggettività della ricerca. Il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi. La discussione critica che ha accompagnato l'elaborazione dello studio, focalizzata sia sui fatti che mettono in discussione l'ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della discussione si sono formate. L'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica. Ancora, rileva il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica. Infine, dal punto di vista del giudice, che risolve casi ed esamina conflitti aspri, è di preminente rilievo l'identità, l'autorità indiscussa, l'indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove. Si è aggiunto che "il primo e più indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilità delle informazioni scientifiche che vengono utilizzate nel processo è costituto dall'apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all'indipendenza di giudizio dell'esperto"" (così, testualmente, nella motivazione, sub n. 3.3. del considerato in diritto", p. 24, di Sez. 4, n. 45935 del 13/06/2019, P.G. App Lecce ed altri, non mass. sul punto - c.d. proc. "Ilva" di Taranto" - con richiamo espresso, sempre a p. 24, ai principi notoriamente puntualizzati da Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, P.C. in proc. Bordogna e altri, Rv. 270384, e, prima ancora, da Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943).

6.2. Con il secondo motivo (pp. 13-16), logicamente collegato al primo, le parti civili ricorrenti censurano vizio di motivazione con riferimento al rigetto dell'istanza di rinnovazione dibattimentale.

Avendo nelle impugnazioni di merito sia il P.G. (p. 4) che le parti civili (pp. 9-12) chiesto una nuova perizia, si censura la decisione reiettiva resa al riguardo dalla Corte territoriale (pp. 6 e ss.).

Infatti, avendo due periti su tre, come si è detto, lavorato presso il reparto ove era stato ricoverato il paziente prima del decesso, avendo i periti dimostrato, secondo i ricorrenti, di non conoscere il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145, essendo a digiuno di nozioni di medicina legale, non avendo gli stessi esaminato le tac e le radiografie di cui la Difesa di parte civile aveva chiesto l'esame, avendo trascurato persino l'esistenza di alcuni studi, tra cui uno risalente al 2012, ove si mette in correlazione l'asbestosi con patologie respiratorie e cardiocircolatorie, la risposta reiettiva sarebbe viziata, siccome non rispettosa di quanto già stabilito dalla S.C.: "(...) qualora sussistano, in relazione a pluralità di indagini svolte da periti e consulenti, tesi contrapposte sulla causalità materiale dell'evento, il giudice, previa valutazione dell'affidabilità metodologica e dell'integrità delle intenzioni degli esperti, che dovranno delineare gli scenari degli studi e fornire adeguati elementi di giudizio, deve accertare, all'esito di una esaustiva indagine delle singole ipotesi formulate dagli esperti, la sussistenza di una soluzione sufficientemente affidabile, costituita da una metateoria frutto di una ponderata valutazione delle differenti rappresentazioni scientifiche del problema, in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Altrimenti potendo concludere per l'impossibilità di addivenire ad una conclusione in termini di certezza processuale. Laddove, però, il confronto tra i tecnici, come avvenuto nel caso che ci occupa, non consenta di addivenire a conclusioni tecnico-scientifiche tra loro compatibili, ci si trova dinanzi ad uno scenario che è di tutta evidenza superabile solo attraverso una perizia, eventualmente collegiale, da disporsi in dibattimento" (così nella motivazione, sub n. 4 del "considerato in diritto", p. 29, di Sez. 4, n. 3932 del 12/01/2021, Ancarani ed altri, non mass., con ulteriore richiamo alla parte motiva della fondamentale pronunzia di Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, cit.).

6.3. Con il terzo motivo (pp. 16-21) ci si duole promiscuamente di violazione di legge (artt. 40 e 41 c.p.) e di vizio di motivazione in relazione all'assoluzione dell'imputato C.C. per essere la stessa - si afferma - fondata sulla asserita insussistenza del nesso di causalità tra il periodo di esposizione all'amianto subita da Q.Q. presso i Cantieri navali di (Omissis) e la patologia riportata, avendo i Giudici di merito ignorato la incidenza della continuatività della esposizione all'amianto sullo sviluppo dei processo infettivo.

Si richiama al riguardo la motivazione che si rinviene alle pp. 4-5 della sentenza impugnata, a proposito della durata della esposizione all'amianto di Q.Q. e del ruolo di C.C. rispetto al fenomeno della successione nel tempo delle posizioni di garanzia nel caso di specie. Tale motivazione viene stimata dai ricorrenti poco chiara e quindi interpretabile in due sensi, ossia:

o nel senso che la Corte di merito sembra affermare, sia pure "incidenter tantum" (così alla p. 17 del ricorso), che, essendo l'esposizione all'amianto di Q.Q. iniziata (nel 1965 o addirittura nel 1963) ben prima che lo stesso iniziasse a lavorare per la cooperativa "Rinascita Picchettini" (nel 1974), quindi quando prese servizio presso tale cooperativa la esposizione era già iniziata e protratta da tempo;

ovvero, in alternativa, nel senso che "il Giudice di merito ha inteso sostenere, invero sempre e solo incidentalmente, che (,) poichè il Q.Q. aveva iniziato a lavorare (e ad esser esposto all'amianto) già nel 1963/1965 (,) la successiva esposizione a far data dall'anno 1974, sino al 1983 presso la impresa Rinascita Picchettini dello C.C. solo nel 1974, sarebbe stata irrilevante" (così alle pp. 19-20 del ricorso);

nel primo caso, però, sarebbe stato logicamente necessario accogliere la richiesta di audizione del prof. R.R , già perito del processo del 2010, che aveva analizzato l'inizio della esposizione, le mansioni ricoperte presso le varie aziende, la rilevanza causale tra il periodo di esposizione presso la "Rinascita Picchettini" e la patologia insorta e la c.d. "lungolatenza" della patologia, richiesta che, invece, è stata disattesa, mentre sarebbe stato necessario, ad avviso dei ricorrenti, accertare quale sia stato nel caso di specie il periodo di induzione, quale la correlazione tra durata della esposizione e latenza e la eventuale riferibilità o meno della insorgenza o dell'aggravarsi della patologia rispetto al periodo di tempo in cui il lavoratore era stato alle dipendenze della "Rinascita Picchettini" (come affermato anche nella motivazione della già richiamata sentenza di legittimità di Sez. 4, n. 45935 del 13/06/2019, P.G. App Lecce ed altri, non mass. sul punto - c.d. proc. "Ilva" di Taranto"), tenendo conto della estensione temporale della posizione di garanzia di C.C.;

invece, ove l'opzione interpretativa preferibile fosse l'altra, il Giudice di merito non avrebbe considerato la c.d. teoria multistadio o della dose cumulativa, che si afferma essere stata condivisa in alcune occasioni dalla S.C., per cui sarebbero causalmente rilevanti tutte le esposizioni subite dal lavoratore durante la sua vita lavorativa, sino al compimento dell'induzione: ebbene, "se così ha ragionato, il decidente avrebbe omesso di considerare che il processo patologico inizia con lo stato infiammatorio dell'ambiente respiratorio indotto dalla fibre di asbesto introdottesi nell'organismo e questo stato si cronicizza a causa del ripetersi degli ulteriori insulti infiammatori dando luogo ad una condizione patologica (placche pleuriche o ispessimenti pleurici) con la conseguenza per cui tutte le esposizioni successive al momento in cui la patologia è insorta sono (giuridicamente) concausa dell'evento perchè abbreviano la latenza" (così alla p. 20 del ricorso). Dunque, ragionando così, durante il periodo di induzione della malattia, prima della latenza in senso stretto (o momento detto dell'"innesco irreversibile" o del "punto di non ritorno"), non vi sarebbero periodi di esposizione alla fibra di amianto privi di effetti.

Si sottolinea che, in ogni caso, contrariamente a quanto sembrano avere affermato i decidenti di merito, non sarebbe irrilevante la continuatività della esposizione sullo sviluppo del processo infettivo.

6.4. Tramite il quarto motivo (pp. 21-24) i ricorrenti denunziano travisamento della prova quanto alla causa del decesso, ritenuta - erroneamente - di natura cardiovascolare quando, invece, si sarebbe trattato di causa polmonare e, quindi, legata alla sussistente asbestosi.

I Giudici hanno aderito alla lettura offerta dai periti del Tribunale, i quali hanno individuato la causa della morte in ambito cardiovascolare, così escludendo la sussistenza di un nesso causale tra l'asbestosi ed il decesso, mentre, in realtà, il decesso sarebbe avvenuto per causa di natura polmonare e, quindi, legata alla - pacificamente presente - asbestosi, come i Difensori delle parti civili hanno tentato - ma, si assume, inascoltati - di far emergere, anche svolgendo apposito motivo di appello (pp. 16 e ss. dell'impugnazione di merito), alla stregua delle osservazioni, che si ripropongono, del proprio consulente di parte, prof. Z.Z..

Si ritiene essere emerso dall'esame dei periti svolto nel dibattimento di primo grado che gli stessi non hanno tenuto in considerazione il contenuto della consulenza del prof. Z.Z. nè documenti ufficiali dallo stesso richiamati, tra i quali la prima diagnosi di morte, cioè l'insufficienza respiratoria acuta: ed il recepimento acritico da parte dei Giudici di merito delle valutazioni dei periti, inadeguate per le ragioni esposte, sulla causa della morte, causa ricondotta a patologia cardiovascolare piuttosto che polmonare, integrerebbe, ad avviso dei ricorrenti, una carenza grafica di motivazione ed un travisamento della prova presente in entrambe le sentenze di merito - quanto alla portata del citato referto di morte ove si indicava quale causa l'insufficienza respiratoria acuta.

Si richiama al riguardo il precedente di legittimità di Sez. 3, n. 38076 del 23/06/2021, G.G., non mass., nella cui motivazione (sub n. 6 del "considerato in diritto", alla p. 6), che si riferisce per stralcio, si rammenta che, in caso di doppia conforme, si ha travisamento "giustiziabile" non solo allorquando il dato asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella sentenza di secondo grado, secondo la tradizionale nozione, ma anche ove entrambi i Giudici di merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze istruttorie in forma macroscopica o di manifesta evidenza.

6.5. Con il quinto motivo (pp. 24-36) le parti civili lamentano promiscuamente violazione di legge (artt. 238-bis e 192 c.p.p.) e vizio di motivazione, sotto il profilo di plurimo travisamento delle risultanze istruttorie e di illogicità ed insufficienza della giustificazione.

Infatti, i Giudici di merito in entrambi i gradi non avrebbero tenuto conto del valore probatorio dei fatti accertati in due sentenze irrevocabili (primo e secondo grado) emesse nello stesso proc. n. 2611/2006 R.G. Trib. e nella motivazione della sentenza - irrevocabile - del Tribunale di Palermo del 26 aprile 2010, acquisite in atti; inoltre, ritenendo attendibile la diagnosi di "sindrome ostruttiva lieve", nonostante gli accertamenti svolti dal Dott. R.R e nonostante le lacune, anche per la omessa adozione dei protocolli medico-legali successivamente introdotti dalla scienza per accertare l'asbestosi, che hanno caratterizzato l'accertamento della "sindrome ostruttiva lieve", avrebbero travisato il fatto e violato l'art. 192 c.p.p.; ulteriore travisamento consisterebbe nell'avere i decidenti ritenuto irrilevante la circostanza che l'insufficienza respiratoria già nell'anno 2008 fosse stata riqualificata dall'Inail, in occasione della revisione della rendita, da "discreta" in "severa", così motivando in maniera insufficiente e, comunque, illogica circa le ragioni per cui ritenere l'una diagnosi fondata e l'altra invece no.

In particolare, sia il G.u.p. (alla p. 48) sia la Corte di merito (alle pp. 8-9), facendo proprie le valutazioni del Collegio peritale, hanno escluso la presenza dei sintomi più caratteristici della grave compromissione della funzione polmonare di tipo "restrittivo", collegabile all'asbesto, ossia sintomi quali stato cachettico, dimagrimento, versamento pleurico, emorragie, cianosi, mentre hanno valorizzato la presenza di disfunzione polmonare, ritenuta di tipo grave, ricollegabile al fumo di sigarette da parte di Q.Q., per concludere la non riconducibilità dell'evento morte alla malattia professionale.

Si è così trascurato il difforme contributo conoscitivo e valutativo, nel senso della compresenza di deficit respiratorio restrittivo e di deficit: di tipo ostruttivo, quest'ultimo causato dal tabagismo, offerto dal qualificato esperto medico legale prof. R.R nel citato processo n. 2611/2006 R.G. Trib., concluso con sentenza, irrevocabile, di prescrizione (si richiama, in particolare, il contenuto della p. 177 della sentenza di primo grado e della p. 261 di quella di appello, entrambe già allegate all'impugnazione di merito sub nn. 8 e 9).

Posto che l'opinione del prof. R.R è stata disattesa dalla Corte di appello sulla base di un duplice rilievo (che si legge alla p. 8):

a) la difformità della analisi del prof. R.R rispetto a quella del sanitario che a suo tempo aveva eseguito l'esame e che aveva scritto sul referto "sindrome ostruttiva lieve", quasi come "interpretazione autentica";

b) e la non vincolatività di tale emergenza istruttoria ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p. nel presente processo.

Ebbene, entrambi tali passaggi motivazionali vengono censurati dai ricorrenti:

a) quanto al primo, perchè il prof. R.R , medico-legale, a differenza dei periti del Tribunale, aveva valutato la TAC e le radiografie in base ai nuovi protocolli sopravvenuti, non presi in considerazione dai periti, tanto che si era avanzata richiesta, disattesa, di acquisizione delle lastre che si assume non essere state esaminate, di un nuovo accertamento peritale e/o eventualmente della convocazione dello stesso R.R affinchè chiarisse come, a suo avviso, "la pregressa diagnosi "sindrome ostruttiva lieve" era stata superata dalla diversa valutazione di grave compromissione della funzione polmonare "di tipo restrittivo"" (così alla p. 31 del ricorso);

b) quanto al secondo, poichè, ad avviso dei ricorrenti, dal processo concluso con sentenza in giudicato non si intenderebbero "travasare" nel presente valutazioni giuridiche o giudizi ma "fatti" accertati, appunto, con valore di giudicato, cioè la patologia che era stata accertata dal prof. R.R .

In conseguenza di quanto esposto, dovrebbero trovare applicazione nel presente processo i seguenti principi di diritto, anche per evitare l'evenienza di inconciliabilità di giudicati e per prevenire una - ingiusta - revisione ex art. 630 c.p.p. e persino, in ipotesi, il travolgimento delle statuizioni civili emesse nel processo concluso con declaratoria di prescrizione, conseguenze tutte - si assume - che sarebbero assolutamente da scongiurare: "Le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p. che riguardano una pre-condizione del giudizio in corso (nella specie l'esistenza di una associazione per delinquere) non consentono al giudice di giungere a conclusioni inconciliabili con la sentenza irrevocabile, semprechè l'inconciliabilità verta sui fatti posti a fondamento delle decisioni contrastanti e non sulle valutazioni giuridiche di essi" (Sez. 5, n. 23226 del 12/02/2018, Iandolo e altri, Rv. 273207) e "In tema di revisione, il fatto dell'esistenza dell'associazione per delinquere di stampo mafioso posto a fondamento della sentenza di condanna, o di applicazione della pena, nei confronti di un associato, non può conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, "perchè il fatto non sussiste", tutti gli altri imputati della stessa associazione. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che l'esclusione della presenza del numero minimo di partecipanti all'associazione richiesto dalla legge implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione)" (Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014, Cavallari, Rv. 260702).

In definitiva, non avere ritenuto corretta la diagnosi di sindrome disventilatoria di tipo restrittivo, in luogo della "sindrome ostruttiva lieve", avrebbe comportato violazione degli artt. 238-bis e 192 c.p.p. e, nel contempo, travisamento del fatto, per avere il Giudice di merito ritenuto irrilevante anche la circostanza che l'insufficienza respiratoria fosse stata dall'Inail nel 2008, in sede di revisione della rendita già riconosciuta al Q.Q., riqualificata da "discreta" in "severa", valutazione dell'Inail che viene disattesa dalla Corte di appello una con motivazione (pp. 8-9), incentrata sulla diversità di approccio e di finalità dei periti del Tribunale, che si stima illogica ed in contrasto con le valutazioni del prof. R.R , dei Giudici del processo concluso con sentenza irrevocabile, del medico dell'Inail e persino del proprio consulente di parte, aspetto quest'ultimo che viene affrontato nel motivo successivo.

6.6. Oggetto del sesto motivo di impugnazione (pp. 36-46) è il travisamento del fatto e la omessa risposta alle diverse conclusioni di cui alla consulenza di parte civile ed alle osservazioni della Difesa della stessa.

Richiamate le valutazioni svolte dal Tribunale e dalla Corte di appello circa il ritenuto limitato coinvolgimento da parte dell'asbestosi dei foglietti pleurici ma non in maniera significativa del parenchima polmonare, peraltro non essendosi manifestata la forma "ad alveare" del polmone, che è caratteristica delle forme più evidenti di compromissione da asbestosi, in assenza di versamenti pleurici, se non al limite sottili, o di ipossia, mentre i "diffusi addensamenti" emergenti dalla TAC del 18 gennaio 2014, giorno prima del decesso, sono stati valutati come riconducibili ad un quadro ormai irreversibilmente compromesso dell'anziano paziente, diverse ed inconciliabili sarebbero le effettive emergenze istruttorie in primo grado, come emerge da plurime risposte date dai periti U.U., V.V. e T.T. alle domande poste dal Difensore della parti civili nel corso dell'esame il cui svolgimento, già evidenziato nell'atto di appello, si ripropone nel ricorso, apparendo, ad avviso dei ricorrenti, che i periti non abbiano visionato la TC del 18 gennaio 2014 e che non siano a conoscenza delle più moderne tecniche di radiologia e screening delle malattie asbesto-collegate, come emerge, tra l'altro, da un "consensus report" del 2000 che si cita.

6.7. Con il settimo motivo (pp. 46-53) i ricorrenti censurano violazione di legge e, nel contempo, vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto - in maniera che si assume essere inspiegabile - nella parte finale del ragionamento (pp. 10-11) che l'abitudine al fumo da parte di Q.Q. si sia posta, "in un certo senso "sopravvenuta"", quale causa unica ed autonoma del decesso, senza che ciò risulti dalla documentazione e potendo essere il tabagismo, al più, mera concausa dell'evento; ed anche il G.u.p, alla pp. 44-45, 48 e 50, ha accennato, con affermazione in qualche misura stigmatizzante, alla circostanza che la vittima, malgrado l'insufficienza respiratoria, fumava.

I Giudici di merito, insomma, avrebbero nel complessivo tessuto motivazionale considerato Q.Q. un "accanito" fumatore (p. 44 della sentenza di primo grado) e non già solo un "semplice" fumatore, nonostante non vi siano emergenze in tal senso, avendo peraltro i periti solo consultato le cartelle cliniche.

In ogni caso - si afferma - poichè, "- come noto ai medici legali - il fumo di sigaretta e l'inalazione di fibre d'amianto hanno effetto sinergico (...), dunque, l'asbesto doveva considerarsi concausa. In altri termini, comunque, pur dando per pacifica la circostanza per cui il Q.Q. era stato effettivamente un fumatore fatto che risultava già nella sentenza del 26.4.2010, tale stato era già stato analizzato sia dai Consulenti medici che dal Giudice ne processo "madre" (e) che, in quella sede, avevano escluso che la di lui abitudine al fumo avesse influito sul sorgere della patologia" (così alla p. 51 del ricorso).

Risulterebbe, insomma, violato da parte dei decidenti l'art. 41 c.p. che pone il principio della equivalenza delle cause, in quanto non è emerso che l'abitudine al fumo sia fattore causale esclusivo, potendo, al più, essere fattore concorrente con l'esposizione alle polveri di asbesto.

6.8. Tramite l'ottavo motivo (pp. 53-81) si deduce vizio di motivazione e violazione di legge sotto il profilo di omissione di pronuncia: la Corte di appello, infatti, non avrebbe spiegato, nonostante il contenuto dell'impugnazione di merito, per quali ragioni le osservazioni svolte dal consulente delle parti civili in tema di correlazione scientificamente dimostrata tra la patologia del Q.Q. e l'evento-morte non avevano inficiato le valutazioni dei periti di ufficio.

La individuazione della causa di morte nell'arresto cardiaco irreversibile conseguente a severa cardiopatia ischemica in paziente con multipli fattori di rischio cardiovascolare" sarebbe, ad avviso dei ricorrenti, un assioma acriticamente recepito dalla valutazione dei periti, senza offrire risposta alle questioni poste dalla Difesa delle parti civili tramite l'appello (pp. 26 e ss.) e le domande poste nell'esame (che si riportano per stralcio), incentrate:

sia sull'espresso riconoscimento da parte del legislatore, con il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 145 (il cui testo si richiama), di un collegamento tra asbestosi e complicanze cardiocircolatorie, collegamento la cui esistenza nel caso di specie viene negato dalla Corte di appello con stringata motivazione (che si rinviene alla p. 10 della sentenza: "il richiamo fatto (...) a disposizioni normative e/o regolamentari che menzionano siffatta associazione risulta generico e privo di reale capacità dimostrativa nella vicenda in esame") che si stima insufficiente ed inadeguata;

sia sulla esistenza o meno di affidabili studi scientifici in tema di correlazione tra asbesto e problemi cardiocircolatori;

sia in tema di percentuale di eventuale incidenza di un rischio supplementare di cardiopatie per i soggetti affetta da asbestosi, indicato nell'1% circa dai decidenti, aderendo alla risposta dei periti, sulla base degli studi consultati, ed invece stimato nella ben diversa ed assai più alta percentuale del 39%, in soggetti fumatori e non, da parte dei Difensori delle parti civili in base ad altri studi esibiti nel corso dell'esame.

Inoltre, poichè, ad avviso dei ricorrenti, gli stessi studi adoperati dai periti dimostrerebbero una relazione tra esposizione ad asbesto e mortalità per cardiopatia, si era avanzata sollecitazione (pp. 14 e ss. dell'appello) - disattesa (pp. 6 e ss. della sentenza) - a rinnovare l'istruttoria onde approfondire: se fosse corretta la prima causa di morte indicata nel referto, ossia insufficienza respiratoria acuta, piuttosto che quella ritenuta dai periti, cioè "arresto cardiaco irreversibile conseguente a severa cardiopatia ischemica in paziente con multipli fattori di rischio cardiovascolare"; se la problematica polmonare fosse restrittiva ovvero ostruttiva; quale l'eventuale significato, anche alla luce delle nuove tecniche di esame, della TC torace effettuata dal paziente il 18 gennaio 2014, essendo emersi diffusi addensamenti parenchimali; se l'eventuale tabagismo del paziente potesse rappresentare causa autonoma ed indipendente ovvero causa concorrente; in definitiva, se sussista o meno un nesso causale tra l'asbestosi e la morte.

Si segnala anche che la Corte di appello, non avendo fatto cenno ai numerosi contributi scientifici di segno opposto, veicolati nel processo tramite il consulente prof. Z.Z., i cui scritti sono stati acquisiti (p. 2 della sentenza impugnata), avrebbe omesso quella argomentata analisi critica della letteratura scientifica che la Corte di legittimità pretende affinchè possa individuarsi una affidabile legge scientifica di copertura, richiamandosi al riguardo gli insegnamenti a suo tempo affermati dalla nota sentenza di sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943, e ribaditi da altre successive pronunzie.

Infine, la incertezza, affermata alle pp. 9 e ss. della sentenza impugnata, circa la sussistenza del nesso di causalità nel caso di specie avrebbe dovuto spingere la Corte di merito ad approfondire il tema della attendibilità della tesi proposta dal consulente di parte, ciò che, però, non è avvenuto. Al riguardo si richiama l'affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza di Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, P.C. in proc. Bordogna ed altri, non mass. sul punto (cd. processo "Montefibre-bis"), secondo cui l'incertezza di tipo scientifico non può essere risolta mediante applicazione del canone processuale compendiato nella regola di giudizio espressa tramite il brocardo del favor rei, poichè una tesi scientifica è vera oppure non lo è, irrilevante essendo se sia favorevole o meno all'imputato.

6.9. Con il nono motivo (pp. 82-94) si denunzia violazione degli artt. 40 e 41 c.p. quanto al tema del nesso di causalità, anche per assenza grafica del requisito della motivazione al riguardo.

6.9.1. Sottolineano i ricorrenti avere i periti del Giudice espressamente ammesso un minimo contributo nel caso di specie della patologia professionale asbestosi, tuttavia senza averlo potuto quantificare (in ragione - si ritiene - del difetto di competenze in ambito medico-legale), ciò che comunque sarebbe bastato ai fini dell'accoglimento, quanto all'an, della domanda di risarcimento delle parti civili, "quantomeno ai fini civili" e, comunque, "aldilà della responsabilità penale" (così, testualmente, alle pp. 83 e 89 del ricorso).

Si richiamano ulteriormente, a corredo del nono motivo di impugnazione, gli stessi precedenti di legittimità, sia in materia penale che in materia giuslavoristica, già espressamente invocati nel primo motivo di ricorso, in tema di efficienza causale di ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, e si sottolinea che, nel contesto, emerso, "si sarebbe potuto (...) escludere l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge - secondo la giurisprudenza (...) citata - solamente se si fosse potuto affermare con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, fumo o diabete o fattori cardiovascolari, che fosse stato di per sè sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni" (così alla p. 89 del ricorso).

Nel caso in esame si sarebbe, invece, in presenza di più cause (tra le quali anche asbestosi e tabagismo), senza poter effettuare un giudizio di prevalenza, sicchè si sarebbe dovuto necessariamente applicare il principio di equivalenza delle concause codificato all'art. 41 c.p., potendo rilevare l'intensità dell'effetto dell'asbestosi solo sotto il profilo del quantum risarcitorio, da stabilirsi in sede civile attraverso un calcolo proporzionale, aspetto questo del tutto ignorato dai periti e, in conseguenza, dalla Corte territoriale.

6.9.2. I ricorrenti a questo punto, nella parte finale del nono motivo, passano a riassumere i motivi di doglianza nel merito (il decimo motivo attiene, come si vedrà, a doglianze in tema di spese processuali), riassumendo nei seguenti termini gli errori che sarebbero stati commessi dai Giudici di merito:

avere ritenuto, sia pure con affermazione incidenter tantum, che l'avere Q.Q. iniziato a lavorare e ad essere esposto all'amianto sin dagli anni 1963-1965, cioè molto tempo prima di essere esposto ad amianto lavorando per la "Rinascita Picchettini", sia rilevante onde escludere il nesso di causalità con il decesso, trascurando in tal modo l'incidenza della continuatività della esposizione, essendo anche tutte le esposizioni successive all'insorgenza della patologia concausa dell'evento, venendo le stesse ad abbreviare la latenza;

avere ritenuto causa della morte di Q.Q. "arresto cardiaco irreversibile conseguente a severa cardiopatia ischemica in paziente con multipli fattori di rischio cardiovascolare", anzichè patologia d'i tipo polmonare, disattendendo la circostanza che la prima diagnosi subito dopo il decesso era stata "insufficienza respiratoria acuta";

avere ritenuto essere stato Q.Q. affetto da patologia respiratoria di tipo ostruttivo, derivante da fumo di sigarette, mentre l'asbestosi ha natura restrittiva, senza considerare che, invece" nella sentenza irrevocabile del Tribunale di Palermo del 26 aprile 2010 nel proc. n. 2611/2006 r.g., dichiarativa della prescrizione del reato di lesioni, era emerso che Q.Q. era affetto non soltanto da deficit ostruttivo ma anche da deficit restrittivo e inoltre che presentava ispessimento della pleura, presenza di macchie pleuriche ed accentuazione del disegno bronco-vascolare;

avere ritenuto che l'asbestosi non avrebbe nel caso di specie comportato apprezzabili coinvolgimenti del parenchima polmonare, mentre la Difesa delle parti civili aveva evidenziato la presenza di diffusi addensamenti parenchimali posti in luce dalla TC torace del 18 gennaio 2014;

avere sostanzialmente ritenuto la vittima un "accanito fumatore", circostanza di cui non vi sarebbe prova, al più essendo stato Q.Q. un fumatore (non accanito), ed avere inoltre erroneamente introdotto il tema del tabagismo quale "causa in un certo senso "sopravvenuta" idonea, da sola, a innescare il meccanismo che ha comportato il decesso", come si legge alla p. 11 della sentenza impugnata;

avere motivato solo apparentemente - ergo: non avere motivato - circa la asserita insussistenza della correlazione tra asbesto e patologie cardiache che sarebbe, invece, normativamente, scientificamente e giurisprudenzialmente dimostrata, facendo esclusivo riferimento al parere dei periti del Giudice senza tuttavia tenere conto del contributo degli altri esperti intervenuti nel processo;

non avere in nessun modo considerato che gli stessi periti del Giudice avevano riconosciuto la possibilità che (l'asbestosi avesse apportato un contributo, minimo ma da stimarsi comunque rilevante ai sensi dell'art. 41 c.p., al quadro clinico che aveva determinato il decesso del Q.Q. "e che, quindi, già ciò sarebbe bastato ai fini della affermazione della responsabilità (e, comunque, anche solo ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, aldilà della condanna in sede penale" (così alla p. 94 del ricorso).

6.10. Infine, oggetto dell'ultimo motivo (pp. 94-100) è violazione degli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost., art. 12 preleggi e art. 592 c.p.p. e mancanza di motivazione quanto al tema delle spese, al cui pagamento è stata condannata la parte civile pur in assenza di qualsiasi giustificazione al riguardo.

Rammentato che nel caso di specie, concorrendo impugnazioni della parte pubblica e delle parti civili, solo quella del P.G. è stata definita dalla Corte di merito "al limite dell'inammissibilità" (così alla p. 5) e che la richiesta di rinnovazione istruttoria mediante esame del prof. R.R è stata disattesa, mentre è stata accolta la richiesta di integrazione documentale avanzata dalle parti civili, essendo state acquisite sia le "controdeduzioni" del prof. Z.Z. sia la documentazione richiamata dalle parti civili nel corso dell'istruttoria in primo grado (v. ordinanza di cui al verbale di udienza del 25 marzo 2019), si richiamano varie interpretazioni dell'art. 592 c.p.p.:

secondo una lettura, "Nel caso di mancato accoglimento delle impugnazioni proposte avverso sentenza di assoluzione tanto dal PM quanto dalla parte civile, non può darsi luogo alla condanna di quest'ultima al pagamento delle spese, come previsto in via generale dall'art. 592 c.p.p., comma 1, non potendosi far gravare sulla parte civile anche gli oneri derivanti dall'attività del rappresentante della pubblica accusa e non essendo possibile discernere tra le spese derivate dall'impugnazione dell'una o dell'altra parte" (Sez. 4, n. 14406 del 13/03/2002, PC in proc. La Torre ed altri, Rv. 221841);

secondo altra interpretazione, "In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M." (Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005, P.G. e P.C. in proc. Misiano, Rv. 232165);

nondimeno, essendo stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 67, comma 2, lett. b), il vincolo di solidarietà tra coimputati sino a quel momento imposto dall'art. 535 c.p.p., comma 2, si è affermata una tesi, per così dire, "intermedia", secondo cui "In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, limitatamente a quelle cui essa ha dato causa, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M. (In motivazione, la Corte ha osservato che l'abrogazione, per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 67, del vincolo di solidarietà fra coimputati nell'obbligo di pagamento delle spese processuali, ha determinato, specularmente" il venir meno della ragione di mantenere l'obbligo di pagamento integrale delle spese a carico della parte civile nel caso di contemporanea soccombenza da parte del P.M., dell'impugnazione)" (così Sez. 1, n. 2750 del 12/07/2016, dep. 2017, P.C. in proc. D'Urso e altri, Rv. 269409, la cui motivazione in ampia parte si richiama nell'impugnazione).

Si invoca, in definitiva, una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 592 c.p.p., comma 1, nel senso cioè di ritenere le parti civili esonerate dalla condanna alle spese, in adesione al primo orientamento riferito, ovvero, in subordine, di condannarle alle sole spese cui hanno dato causa, in adesione all'orientamento "intermedio", in ogni caso fornendo al riguardo i decidenti adeguata motivazione; o che, in alternativa la questione, che si presenta controversa, venga rimessa alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Si chiede, dunque, per tutte le ragioni esposte, l'annullamento della sentenza impugnata.

7. La Difesa dell'imputato ha depositato due articolate memorie, entrambe in data 18 novembre 2022, con cui ha interloquito in relazione alle plurime questioni poste nei ricorsi sia del Procuratore Generale che delle parti civili e ha domandato dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi l'impugnazione della parte pubblica e rigettarsi quella delle parti civili.

7.1. In estrema sintesi, il ricorso del P.G. sarebbe manifestamente infondato in quanto si sostanzierebbe solo, in presenza di una doppia conforme di assoluzione, nella denunzia di vizio di motivazione, in contrasto con il chiaro tenore dell'art. 608 c.p.p., comma 1-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 69, (in vigore dal 3 agosto 2017).

In ogni caso, il ricorso della Parte pubblica sarebbe strutturato in maniera aspecifica, non individuando precisamente se oggetto dello stesso sia motivazione mancante ovvero contraddittoria ovvero manifestamente illogica (in contrasto con il principio affermato da Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-02, secondo cui "Il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione").

Sotto altro, concorrente, profilo, l'impugnazione si risolverebbe nella mera lettura e valutazione alternativa, pur in presenza di doppia conforme, delle emergenze processuali, a partire dal tema della causa della morte, rivalutazione che non è consentita nel giudizio di legittimità.

Il ricorrente, inoltre, incorrerebbe nel vizio di aspecificità, non avendo materialmente allegato all'impugnazione le relazioni dei professori R.R e S.S , cui fa riferimento, nè la documentazione clinica il cui significato sarebbe stato travisato o male interpretato.

Errata in diritto sarebbe, poi, l'affermazione circa la pretesa vincolatività della pronunzia con cui è stato definito il distinto processo, anzi, ponendo diversa regola l'art. 238-bis c.p.p., come costantemente interpretato a partire dalle Sezioni unite n. 2110 del 23/11/1995, dep. 1996, P.G. in proc. Fachini ed altri, e conformemente dalle successive Sezioni semplici.

Si sottolinea inoltre da parte della Difesa dell'imputato come l'incertezza scientifica in ordine al nesso eziologico tra asbestosi e cardiopatia ischemica, nonchè l'incertezza sulla percentuale di incidenza della prima sulle seconde quand'anche si volesse ipotizzare in astratto, una correlazione tra le due - non può porsi a fondamento della responsabilità penale dell'odierno imputato, richiamandosi al riguardo il principio di diritto fissato dalla nota pronunzia a Sezioni Unite, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139, che nell'occasione ha puntualizzato, tra l'altro, che "In tema di reato colposo omissivo improprio, l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio".

Si chiede, pertanto, dichiararsi inammissibile ovvero, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.G., richiamando più precedenti di legittimità stimati pertinenti:

Sez. 4, n. 55005 del 10/11/2017, P.G., P.C. in proc. Pesenti e altri, Rv. 271718: "In tema di prova scientifica del nesso causale, mentre ai fini dell'assoluzione dell'imputato è sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sul rapporto di causalità tra la condotta e l'evento, la condanna deve, invece, fondarsi su un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi, richiedendosi che la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio". (In applicazione del principio la Corte richiamando espressamente i limiti del sindacato di legittimità rispetto al sapere scientifico - ha ritenuto immune da censure la sentenza di assoluzione degli amministratori delegati e dei presidenti del consiglio d'amministrazione di una società dal reato di omicidio colposo ai danni di lavoratori esposti ad amianto, che aveva argomentato la mancanza di prova del nesso causale sulla duplice considerazione che gli imputati avevano assunto la carica a distanza di molti anni dalla cosiddetta "iniziazione" della malattia tumorale, e che costituiva ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica la sussistenza di un effetto acceleratore sul mesotelioma dell'esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell'"iniziazione")";

Sez. 4, n. 46392 del 15/05/2018, Medicina democratica vs Beduschi, Rv. 274272: "In tema di prova scientifica del nesso causale, mentre ai fini dell'assoluzione dell'imputato è sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sul rapporto di causalità tra la condotta e l'evento, la condanna deve, invece, fondarsi su un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi, richiedendosi che la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio". (In applicazione del principio la Corte richiamando espressamente i limiti del sindacato di legittimità rispetto al sapere scientifico - ha ritenuto immune da censure la sentenza di assoluzione dal reato di omicidio colposo ai danni di lavoratori esposti ad amianto, che aveva argomentato la mancanza di prova del nesso causale sulla duplice considerazione che gli imputati avevano assunto la posizione di garanzia a distanza di molti anni dalla cosiddetta "iniziazione" della malattia tumorale, e che costituiva ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica la sussistenza di un effetto acceleratore sul mesotelioma dell'esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell'"iniziazione")";

e Sez. 3, n. 32860 del 07/04/2021, Paglia e altri, non mass. sul punto, nella cui parte motiva si ribadisce il principio che il solo dubbio, in seno alla comunità scientifica, attinente un meccanismo causale rispetto all'evento è motivo più che sufficiente per assolvere l'imputato.

7.2. Ulteriori rilievi critici ha mosso la Difesa dell'imputato al contenuto del ricorso delle parti civili, (solo) in parte coincidenti con quelli mossi all'impugnazione del P.G. Si tratta dei seguenti.

7.2.1. In particolare, alle pp. 6 e ss. della memoria difensiva si assume essere il primo motivo di doglianza delle parti civili manifestamente infondato o, in subordine, comunque infondato, per i seguenti motivi:

non individuando precisamente se oggetto dello stesso sia motivazione mancante ovvero contraddittoria ovvero manifestamente illogica, quindi entrando in contrasto con il principio affermato dalla già richiamata sentenza di Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-02;

essendo intempestive le doglianze circa il ruolo ricoperto da due dei tre medici nominati periti nel reparto in cui era stato ricoverato il paziente poi deceduto e circa la mancanza, tra i professionisti, di un medico legale, non essendo state le stesse sollevate, come sarebbe stato doveroso, al momento del conferimento dell'incarico, peraltro non essendo stati ricusati gli esperti, e, comunque, non essendosi i professionisti mai occupati della cura del paziente Q.Q.: e si tratta di risposta - si evidenzia - già sviluppata alla p. 6 della sentenze impugnata, rispetto alla quale il ricorso si presenta come meramente ripropositivo di tema già affrontato e risolto;

quanto specificamente alla mancanza di un medico legale nel collegio peritale, si assume da parte della Difesa dell'imputato non essere stata spiegata adeguatamente la concreta rilevanza, poichè allo scopo di dimostrare la ipotetica mancanza di competenze medico legali non sarebbe sufficiente riportare per stralcio alcuni passaggi dell'esame dibattimentale, in quanto tale metodo non è rispettoso del principio di autosufficienza, dovendosi invece allegare o trascrivere integralmente il contenuto dell'atto, come precisato nella motivazione (sub n. 2 del "considerato in diritto", alla p. 7 di Sez. 4, n. 26618 del 18/09/2020, Ambrogio, non mass., secondo cui un "intervento, estrapolato dal contesto della intera dichiarazione, non consente di saggiare realmente la prospettata contraddizione (cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, (Buzi,) Rv, 241023 - 01: "In forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio-dedotto")").

7.2.2 Nella memoria difensiva, inoltre, alle pp. 9 e ss., interloquendo sul secondo motivo di ricorso, si rammenta che (come si legge nei verbali di udienza del 31 gennaio 2019, del 25 marzo 2019 e del 14 ottobre 2019) sono state ammesse solo alcune tra le prove richieste dagli appellanti, e cioè l'acquisizione sia delle controdeduzioni del consulente tecnico della parte civile Dott. Z.Z., che erano state chieste con i motivi di appello dal Difensore della parte civili, sia delle pubblicazioni scientifiche in lingua inglese e dei provvedimenti giurisdizionali su richiesta del P.M., la cui stanza volta ad escutere il prof. R.R , che era stato perito nel processo c.d. "madre", cioè quello instaurato - anche - nei confronti di C.C. per lesioni in danno di Q.Q., è stata invece rigettata, ritenendo il relativo contributo non necessario, che l'esame richiesto era volto ad approfondire temi che non erano stati oggetto di incarico nel primo processo (in quello le lesioni, in questo la morte) e non essendo il prof. R.R perito nominato nel processo penale in corso.

Ciò posto, si rammenta che la parte civile, in realtà, nel proprio atto di appello non ha richiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale finalizzata all'espletamento di una nuova perizia ma ha contestato la mancata assunzione da parte del Giudice di primo grado di una prova decisiva, cioè di una ulteriore perizia affidata - anche - ad un medico legale, e che non ha mai avanzato, nemmeno in appello, richiesta ex art. 603 c.p.p., comma 3-bis: in conseguenza, sarebbe inammissibile la censura avente ad oggetto la mancata ammissione di nuova perizia, appunto perchè non chiesta in precedenza.

Inoltre, ad avviso della Difesa dell'imputato, non sarebbero state evidenziate dalle parti civili evidenti illogicità o manifeste contraddizioni o lacune su punti di decisiva importanza, tali da consentire il sindacato di legittimità circa la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, e non si sarebbe puntualmente spiegato perchè sarebbe necessario rinnovare la perizia, come precisato da più precedenti di legittimità, che si richiamano, tra i quali Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, P.G. in proc. Giampà e altri, Rv. 271163 ("Nei casi in cui si proceda con giudizio abbreviato, la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello per assumere d'ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603 c.p.p., comma 3, soltanto qualora sussistano, nell'apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza").

Sarebbero, inoltre, meramente assertive le considerazioni critiche dei ricorrenti circa l'assenza da parte degli esperti di cognizioni medico-legali, la non conoscenza della nozione di concausa ex art. 41 c.p., l'omessa valutazione di alcuni esami e la non conoscenza di alcuni studi scientifici.

Ancora, si sottolinea la correttezza del metodo seguito dal Giudice di prime cure, che, a fronte di due opposte consulenze tecniche (quella delle parti civili e quella della Difesa dell'imputato), ha disposto perizia collegiale, a proposito del cui esito si rammenta che "In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato, l'apprezzamento - positivo o negativo - dell'elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale, ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l'obbligo di motivare sulle ragioni del dissenso" (Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, Fierro, Rv. 271924,; nello stesso senso, v. già Sez. 4, n. 7591 del 20/04/1989, Pregotto, Rv. 181382) e che "In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purchè la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti" (Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907).

Nel merito, comunque, ad avviso dell'imputato, la decisione impugnata sarebbe esente da vizi, avendo adeguatamente giustificato (alle pp. 9 e ss.) la esclusione della possibile incidenza della patologia polmonare da esposizione ad amianto nella insorgenza della cardiopatia.

7.2.3. Nella memoria in difesa dell'imputato, alle pp. 12 e ss., in relazione al terzo motivo di ricorso si osserva che il tema della durata della esposizione, anche rispetto alla "posizione di garanzia" di C.C., e della rilevanza della continuatività nell'esposizione, con riferimento alle teorie multistadio o della dose cumulativa, a ben vedere, sarebbe stato "risolto" a monte, siccome "assorbito" dalle emergenze processuali, avendo i Giudici di merito aderito alle conclusioni dei periti, secondo i quali Q.Q. è morto per arresto cardiaco irreversibile conseguente a severa cardiopatia ischemica in paziente che presentava multipli fattori di rischio cardiovascolare e non già in conseguenza della asbestosi polmonare da cui pure era affetto. Si sottolinea che la tesi c.d. della dose-correlata avrebbe potuto essere invocata soltanto ove si fosse ritenuta causa ovvero concausa la asbestosi, ciò che, però, nel caso di specie non è, e che la tesi della dose-correlata non è accolta all'unanimità, contrapponendosi ad essa la tesi della dose-indipendente (detta anche dose-killer), secondo cui la patologia dell'asbestosi, una volta innescata, si sviluppa in maniera indifferente rispetto ai successivi contatti tra pleura ed amianto, tesi quest'ultima che sembrerebbe essere stata accolta dalla S.C. in un'occasione (Sez. 4, n. 12151 del 30/01/2020, dep. 2021, ric. Magliola ed altro, non mass.) in cui ha posto in luce come non esista una legge scientifica di copertura condivisa che affermi il c.d. effetto-accelleratore, con la conseguenza che, ove non vi sia sovrapposizione temporale integrale o quasi integrale tra durata dell'attività della singola vittima e durata della posizione di garanzia dell'imputato nei confronti della stessa, ci si dovrebbe "accontentare" di condannare in base alla mera probabilità dell'effetto-accelleratore ma che ciò non è presupposto sufficiente ai fini dell'accertamento del nesso causale.

Si segnala anche che, nonostante una doppia conforme, i ricorrenti mirerebbero ad un'inammissibile rivalutazione nel merito.

7.2.4. Nella memoria, alle pp. 16 e ss., si confuta il quarto motivo del ricorso avanzato dalle parti civili segnalando che i ricorrenti, nel denunziare il travisamento delle risultanze istruttorie, omettono di allegare i documenti il cui contenuto sarebbe stato travisato, ossia le osservazioni del prof. Z.Z. ed il primo referto di morte di Q.Q., così incappando nel difetto di autosufficienza del ricorso (richiamandosi sul punto il precedente di Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 290419, secondo cui "In tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7, comma 1, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato"). Sottolineano anche che non sarebbero sufficienti allo scopo la trascrizione testuale di meri stralci delle dichiarazioni dei periti.

Evidenziano, poi, come l'impugnazione miri ad una rivalutazione alternativa delle risultanze probatorie, che, invece, sarebbero state congruamente esposte e valutate dei Giudici di merito nella doppia conforme assolutoria.

7.2.5. A proposito del quinto motivo di impugnazione, si osserva (pp. 18 e ss. della memoria) che la Corte di appello (alla p. 8) ha fatto corretta e lineare applicazione del principio di diritto posto dall'art. 238-bis c.p.p., secondo cui "le sentenze in giudicato (...) sono valutate a norma dell'art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3", ossia tenendo conto degli altri elementi acquisti ed in piena autonomia di giudizio, tanto che il Giudice potrà addivenire a risultati discordanti, come più volte affermato dalla Corte di legittimità, anche a Sezioni Unite (si richiamano al riguardo: Sez. U, n. 210 del 23/11/1995, dep. 1996, P.G. in proc. Fachini, Fachini e altri, Rv. 203765, secondo cui: "E' legittimo assumere, come elemento di giudizio autonomo, circostanze di fatto raccolte nel corso di altri procedimenti penali, pur quando questi si sono conclusi con sentenze irrevocabili di assoluzione, perchè la preclusione del giudizio impedisce soltanto l'esercizio dell'azione penale per il fatto-reato che di quel giudicato ha formato oggetto, ma nulla ha a che vedere con la possibilità di una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite nei processi ormai conclusisi, una volta stabilito che quelle risultanze probatorie possono essere rilevanti per l'accertamento di reati diversi da quelli già giudicati. Ed invero l'inammissibilità di un secondo giudizio per lo stesso reato non vieta di prendere in considerazione lo stesso fatto storico, o particolari suoi aspetti, per valutarli liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso da quello giudicato, in quanto ciò che diviene irretrattabile è la verità legale del fatto-reato, non quella reale del fatto storico"; e successive Sezioni semplici conformi ossia Sez. 1, n. 36596 del 20/05/2016, e Sez. 3, n. 4729 del 11/06/2021).

I supposti travisamenti non sarebbero tali ma, invece, il frutto di differenti riletture - perciò inammissibili in sede di legittimità - degli elementi di fatto posti a fondamento della doppia conforme, elementi che sono stati già adeguatamente valutati nella sentenza impugnata (pp. 8 e passim della sentenza impugnata).

Inoltre, si sottolinea criticamente come le ricorrenti parti civili, alla p. 31 del ricorso, lamentano la mancata acquisizione delle lastre delle radiografie effettuata da Q.Q., mentre, in realtà, tale richiesta non era mai stata avanzata, come si desume dalla lettura dell'atto di appello delle stesse e dei verbali di udienza del 31 gennaio 2019 e ciel 25 marzo 2019.

7.2.6. Con riferimento al sesto motivo di ricorso, si assume (alle pp. 21 e ss. della memoria) che con lo stesso si lamenterebbe - ma inammissibilmente un travisamento insussistente e che il motivo sarebbe strutturato in maniera non autosufficiente e non specifica, non indicando precisamente nè allegando le prove cui fa riferimento e non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata, che alle pp. 9 e ss. avrebbe invece analizzato adeguatamente la tesi delle accuse, pubblica e privata, disattendendola.

Inoltre, lo stralcio delle dichiarazioni dei periti, le cui risposte farebbero emergere gli errori in cui sono incorsi, sarebbe insufficiente e fuorviante, poichè in altra parte delle registrazioni dell'esame, che si riportano nella memoria dell'imputato (p. 34 trascrizione della fonoregistrazione del 27 marzo 2017), emerge che, contrariamente a quanto assunto nell'atto di impugnazione, i periti hanno letto i referti, circostanza di cui, del resto, si dà atto espressamente alle pp. 7-8 della sentenza impugnata, che si riferiscono, ove si dà atto degli esaustivi accertamenti svolti.

7.2.7. Quanto al settimo motivo, alle pp. 23 e ss. della memoria si assume la violazione del principio di autosufficienza ed essere il ricorso, in realtà, proteso ad una inammissibile - rivalutazione del risultato probatorio in una prospettiva più favorevole alle parti civili.

Inoltre, l'affermazione dei ricorrenti secondo cui fumo ed asbesto avrebbero avuto efficacia concausale nel determinismo della morte è stata smentita dagli accertamenti peritali e dagli studi di cui si dà atto alla p. 9 della sentenza impugnata.

Ad avviso della Difesa dell'imputato, si domanderebbe quindi - ma inammissibilmente - alla Corte di cassazione di stabilire se la tesi accolta dai decidenti sia esatta o meno, mentre alla Corte di legittimità, ove ritualmente adita, compete soltanto di stabilire se il metodo di approccio sia corretto, se le informazioni acquisite siano affidabili o meno e se la spiegazione fornita sia razionale e logica, non già altro, richiamandosi plurimi precedenti di legittimità in tal senso.

Si rammenta, inoltre, che alle p. 9-10 della sentenza impugnata, che si riferiscono testualmente nella memoria, la Corte territoriale dà conto di essersi effettivamente confrontata con gli studi citati dal P.M. e delle parti civili, così facendo buon governo delle regole in tema di accertamento del nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento, anche quanto al passaggio dalla causalità generale a quella individuale, e si sottolinea il doppio profilo di incertezza che impedisce la condanna penale: 1) in primis, a causa della incertezza sul nesso eziologico tra asbestosi e cardiopatia ischemica; 2) inoltre, anche ove si voglia ipotizzare una correlazione, per la incertezza sulla eventuale incidenza percentuale della asbestosi sulla cardiopatia.

La sentenza impugnata, quindi, ad avviso dell'imputato, farebbe corretta applicazione del principio di diritto fissato dalla nota pronunzia a Sezioni Unite, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139, secondo cui "In tema di reato colposo omissivo improprio, l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano l'esito assolutorio del giudizio".

Si richiamano, inoltre, siccome ritenuti pertinenti, gli stessi precedenti di legittimità già evocati nella memoria in replica al ricorso del P.G. (sono indicati sub n. 7.1 del "ritenuto in fatto").

7.2.8. Con riferimento all'ottavo motivo del ricorso delle parti civili, si assume (pp. 28 e ss. della memoria) trattarsi di motivo meramente ripetitivo di doglianze già svolte con i precedenti motivi di ricorso e di cui si è già ampiamente detto, incentrandosi sulla mancata adesione da parte dei Giudici ad una tesi alternativa e ad una differente lettura e valutazione degli elementi emersi dall'istruttoria.

Si rammenta, in particolare, il consolidato principio di diritto, già richiamato, secondo il quale non spetta alla Corte di cassazione stabilire se la tesi accolta dai decidenti sia esatta o meno, ma se il metodo di approccio sia corretto o meno, se le informazioni acquisite siano affidabili o meno e se la spiegazione fornita sia razionale e logica: in conseguenza, ad avviso della Difesa dell'imputato, risultando la sentenza immune da vizi logici, essa non sarebbe sindacabile in sede di legittimità.

7.2.9. Quanto al nono motivo di ricorso, si sottolinea (pp. 30-31 della memoria) essersi ulteriormente in presenza di una mera ripetizione di doglianze già svolte con i precedenti motivi di ricorso e di cui si è già detto, incentrandosi la doglianza anche in questo caso sulla omessa adesione da parte dei Giudici ad una tesi alternativa e ad una differente lettura e valutazione degli elementi emersi dall'istruttoria; inoltre, si sottolinea come debbano stimarsi "inefficaci (...) i riferimenti giurisprudenziali civilistici evocati dalla difesa del ricorrente, quale, a titolo esemplificativo, Cass. civile, sez. lavoro, 29/08/2007 n. 18254, atteso che differenti sono i criteri per l'accertamento della causalità civile rispetto a quella penale, l'una ispirata alla regola del più probabile che non e, l'altra, permeata dalla necessità di superare il ragionevole dubbio" (così alla p. 30 della memoria).

7.2.10. Da ultimo, la Difesa dell'imputato chiede (pp. 31 e ss. della memoria) rigettarsi il motivo di ricorso in tema di spese, siccome infondato, valorizzando il principio di diritto fissato nella pronunzia delle Sezioni Unite, n. 41476 del 25/10/2005, P.G. e P.C. in proc. Misiano, ripreso da plurime, recenti, decisioni di Sez. 4, nel senso della doverosità della condanna alle spese della parte privata risultata soccombente.

Si chiede dichiararsi inammissibili o, in subordine, rigettarsi i ricorsi.

8. E' stata tempestivamente chiesta la trattazione orale del processo.

9. E' pervenuta il 31 gennaio 2023 memoria con cui l'Inail ha chiesto accogliersi il ricorso del P.G. ed annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.

10. All'udienza le parti civili ricorrenti hanno depositato comparsa conclusionale e nota spese; nota spese è stata depositata anche nell'interesse di altre parti civili non ricorrenti ma costituite nel gradi di merito.
 

Diritto


1.Premesso che la prescrizione maturerà il 26 luglio 2031 (infatti, decesso avvenuto il (Omissis) + 15 anni + periodi di sospensione analiticamente annotati nella scheda ex art. 165-bis disp. att. c.p.p. in atti = prescrizione il 26 luglio 2031), l'impugnazione del P.G. è inammissibile, mentre i ricorsi delle parti civili sono infondati e vanno rigettati, per le seguenti ragioni.

2. Il Procuratore Generale lamenta vizio di motivazione, pur in presenza di doppia assoluzione.

Tuttavia, come correttamente segnalato nella memoria nell'interesse dell'imputato (pp. 6 e ss.), l'art. 608 c.p.p., comma 1-bis, (introdotto dalla L. n. 103 del 2017, art. 1, comma 69, in vigore dal 3 agosto 2017), sotto la rubrica "Ricorso del pubblico ministero", recita: "Se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b) e c)".

La esclusione del potere della Parte pubblica di ricorrere per cassazione nei casi di doppia assoluzione per vizio di motivazione, introdotta, appunto, con la L. n. 103 del 2017, è stata - condivisibilmente - ritenuta legittima scelta discrezionale del legislatore (cfr. Sez. 4, n. 53349 del 15/11/2018, P.G. in proc. Schuster Helmuth Walter, Rv. 274573: "E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 608 c.p.p., comma 1-bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, in relazione agli artt. 3, 24, 101, 111 e 112 Cost., in quanto la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilità per cassazione della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento da parte del pubblico ministero trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore, nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimità"; cfr. la relativa motivazione sub nn. 2, 2.1 e 2.2 del "considerato in diritto", pp. 4-7; nello stesso senso v., più recentemente, Sez. 6, n. 5621 del 11/11/2020, dep. 2021, P.G. in proc. Mannino Calogero, Rv. 280631, massima uff. ed ampia motivazione, sub nn. 2 e 3 del "considerato in diritto", pp. 25-33).

La norma richiamata è applicabile nel caso di specie, essendo il ricorso successivo all'entrata in vigore della stessa (cfr. Sez. 5, n. 4398 del 02/10/2017, dep. 2018, Ercoli e altri, Rv. 272440, secondo cui "Ai fini dell'applicabilità dell'art. 608 c.p.p., comma 1-bis, - inserito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 69 ed in base al quale il pubblico ministero, nel caso di c. d. "doppia conforme assolutoria", può proporre ricorso per cassazione solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606 c.p.p., comma 1 - deve farsi riferimento, in assenza di una disciplina transitoria, alla data di presentazione del ricorso, che costituisce il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilità dell'impugnazione, sicchè la nuova disciplina è inapplicabile ai ricorsi presentati prima della sua entrata in vigore"; in termini, Sez. 3, n. 54693 del 04/10/2018, P.G. in proc. AC, Rv. 274132).

Donde la declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale.

3. Prima di passare ad esaminare i ricorsi delle parti civili, si impongono alcune preliminari osservazioni di carattere generale.

3.1. Anzitutto, essendosi in presenza di doppia conforme, secondo regola generale, vanno lette e valutate congiuntamente le due sentenze di merito (la prima è assai più ampia della seconda), le cui motivazioni si saldano.

3.2. Inoltre, nel caso, appunto, di doppia conforme, è principio pacifico quello secondo il quale il vizio di travisamento della prova (nella pacifica accezione di utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o di omessa valutazione di una prova decisiva) può essere dedotto con il ricorso per cassazione soltanto ove il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (tra le numerose altre, cfr. Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777; in termini, v. già Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina e altro, Rv. 269217; nello stesso senso, Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; nè tale vizio può essere dedotto per la prima volta nel ricorso di legittimità: ex plurimis, Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665) ovvero, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di impugnazione, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (ex plurimis, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M, cit.; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina e altro, cit.; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438).

Ed appare opportuno precisare, quanto alla delimitazione del vizio di travisamento denunziabile, che "In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova - desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purchè specificamente indicati dal ricorrente - è ravvisabile quando l'errore sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetto "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio:" (ex plurimis, Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207) ed anche che "In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova" (così Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2002, Dos Santos Silva Welton, Rv. 283370).

Occorre, dunque, verificare, a fronte delle doglianze dei ricorrenti, se sussista o meno nelle sentenze di merito un vizio per travisamento, pur in presenza di doppia conforme, vizio che dovrebbe essere di portata macroscopica o manifestamente evidente (come sostenuto dalle parti civili nel quarto motivo di ricorso, che si è riassunto nel "ritenuto in fatto", sub n. 6.4, mediante richiamo del precedente di legittimità, non massimato, di Sez. 3, n. 38076 del 23/06/2021, G.G., che peraltro a sua volta, alla p. 6, fa espresso rinvio al precedente, massimato, di Sez. 4, n. 35963 del 03712/2020, Tassoni, Rv. 280155, secondo cui "Il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti. (Fattispecie in materia di furto di gas in cui la Corte ha ritenuto sussistente il vizio in un caso in cui entrambi i giudici di merito, con valutazione conforme, avevano ritenuto che la sigillatura del contatore fosse intervenuta in una data diversa da quella dichiarata dal teste escusso sul punto)"; in termini, v. già Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L ed altro, Rv. 272018; e, prima ancora, Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837).

4. I primi nove motivi di ricorso nell'interesse delle parti civili, complessivamente considerati, contestano la legittimità/ingiustizia della decisione assolutoria, sotto vari profili, che appare opportuno, per chiarezza espositiva, qui richiamare, sia pure in estrema sintesi; con il decimo ed ultimo motivo, invece, si contesta la erroneità della sentenza di appello quanto alla regolamentazione delle spese.

4.1. Con il primo motivo, come si è visto (amplius, sub n. 6.1 del "ritenuto in fatto"), si lamenta mancanza e/o manifesta illogicità dell'apparato giustificativo per omessa valutazione circa la inattendibilità delle valutazioni espresse dai periti del Giudice di merito.

4.2. Con il secondo motivo (amplius, sub n. 6.2 del "ritenuto in fatto") si censura vizio di motivazione con riferimento al rigetto dell'istanza di rinnovazione dibattimentale in appello.

4.3. Con il terzo motivo (amplius, sub n. 6.3 del "ritenuto in fatto") si denuncia violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e, nel contempo, vizio di motivazione in relazione all'assoluzione dell'imputato C.C. per essere la stessa - si afferma, implicitamente - fondata sulla asserita insussistenza del nesso di causalità tra il periodo di esposizione all'amianto subita dall'operaio Q.Q. presso i Cantieri navali di (Omissis) e la patologia riportata cioè l'asbestosi, ignorando la continuatività della esposizione all'amianto.

4.4. Con l'ulteriore motivo (amplius, sub n. 6.4 del "ritenuto in fatto") la Difesa delle parti civili si duole di travisamento della prova quanto alla causa del decesso, ritenuta - erroneamente, secondo i ricorrenti - di natura cardiovascolare, mentre, in realtà, si sarebbe trattato di causa polmonare e, quindi, legata alla sussistente asbestosi.

4.5. Con il quinto motivo (amplius, sub n. 6.5 del "ritenuto in fatto") si denuncia la violazione degli artt. 238-bis e 192 c.p.p. e più supposti travisamenti: a) per non avere attribuito valore probatorio ai fatti accertati nel proc. n. 2611/2010 del Tribunale di Palermo, concluso con la sentenza del 26 aprile 2010; b) per avere ritenuto il paziente affetto da "sindrome ostruttiva lieve", nonostante la diversa opinione espressa dal prof. R.R nell'altro processo e nonostante il mancato rispetto de: protocolli successivamente fissati; c) e per avere ritenuto irrilevante la circostanza che nel 2008 la insufficienza respiratoria già presente fosse stata qualificata "severa" e, dunque, aggravata poichè in precedenza era stata valutata soltanto come "discreta".

4.6. Con il sesto motivo (amplius, sub n. 6.6 del "ritenuto in fatto") si lamenta travisamento del fatto ed omessa risposta alle diverse conclusioni di cui alla consulenza di parte civile ed alle osservazioni della Difesa di parte civile.

4.7. Con il settimo motivo (amplius, sub n. 6.7 del "ritenuto in fatto") si censura promiscuamente violazione di legge e, nel contempo, vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto - si assume, inspiegabilmente - che l'abitudine al fumo da parte di Q.Q. si sia posta quale causa unica ed autonoma del decesso, senza che ciò risulti dalla documentazione e potendo essere il tabagismo del lavoratore, al più, una concausa dell'evento.

4.8. Oggetto dell'ottavo motivo (amplius, sub n. 6.8 del "ritenuto in fatto") è omissione di pronuncia, per non avere la Corte di appello spiegato, nonostante il contenuto dell'impugnazione di merito, perchè le osservazioni del consulente delle parti civili in tema di correlazione scientificamente dimostrata tra la patologia del Q.Q. e l'evento-morte non avevano inficiato le valutazioni dei periti di ufficio.

4.9. Con il nono motivo (amplius, sub n. 6.9 del "ritenuto in fatto") si deduce violazione degli artt. 40 e 41 c.p. quanto al tema del nesso di causalità ed assenza grafica del requisito della motivazione sul punto.

5. Ebbene, il "cuore" dei ricorsi sta, come si è visto, nella contestazione della causa di morte, morte che sarebbe riconducibile, ad avviso dei ricorrenti, all'esposizione all'amianto ovvero anche alla esposizione all'amianto, che acquisterebbe efficacia, rispettivamente, causale o concausale.

Invece, entrambi i Giudici di merito hanno fatto propria, con pertinenti e non illogiche argomentazioni, la ricostruzione offerta dal collegio di periti, che, all'esito di un determinato ragionamento, immune da vizi, ha individuato quale causa del decesso un problema di tipo cardiaco, non già di tipo polmonare, in particolare un "arresto cardiaco irreversibile conseguente a severa cardiopatia ischemica in paziente con multipli fattori di rischio cardiovascolare", con esclusione di effetto causale o anche soltanto concausale della - pur esistente patologia asbestosica polmonare dalla quale Q.Q. era affetto (v. pp. 5 e ss. della sentenza impugnata e pp. 39 e ss. di quella di primo grado).

A fronte, dunque, della negazione, che risulta essere argomentata dalla Corte di appello e dal Tribunale in maniera congrua, della esistenza di un nesso di causalità tra la, pur presente, asbestosi polmonare ed il decesso di Q.Q., i ricorrenti hanno strutturato un atto di impugnazione che non aggredisce adeguatamente il percorso ricostruttivo e valutativo seguito nelle sentenze di merito.

5.1. Anzitutto, occorre sgombrare il campo dall'aspetto del reiterato richiamo da parte dei ricorrenti a precedenti giurisprudenziali che risultano del tutto inconferenti.

Infatti, i riferimenti delle parti civili alla giurisprudenza della Sezione lavoro della Corte di legittimità non sono rilevanti in ragione sia delle diverse finalità dei due sistemi (penale: l'accertamento dei fatti di reato; civile-lavoro: l'attribuzione di un indennizzo, ricorrendone le condizioni) sia delle differenti regole di valutazione da applicarsi nei processi (penale: "al di là di ogni ragionevole dubbio"; civile: "più probabile che non"), come peraltro posto in luce dalla Difesa dell'imputato nella memoria di replica alle parti civili (alla p. 3).

Del resto, la Corte di appello ha chiarito (alla p. 8) la non decisività dell'avvenuto riconoscimento dell'insufficienza respiratoria, nel 2008, da parte dell'Inail, attesa la diversità di approccio e di finalità (attribuzione di un indennizzo) rispetto all'accertamento penale (verifica della responsabilità in ordine a reati).

Nè risulta determinante il richiamo al D.P.R. n. 1124 del 1965, poichè il fatto - pacifico - che Q.Q. abbia lavorato a contatto con l'amianto e che abbia, quindi, contratto l'asbestosi non prova che sia morto a causa, appunto, dell'asbestosi. Ciò che costituisce l'in sè del processo e che è stato sviluppato in maniera logica e coerente dai Giudici di merito nella doppia conforme.

Gli insistiti richiami ad altre discipline si spiegano, a ben vedere, con la radicale mancanza, nei ragionamenti dei ricorrenti, della posizione e dello sviluppo del tema della causalità individuale (di cui si dirà amplius sub n. 5.4), tema che, invece, è, sia pur sinteticamente, affrontato alla p. 10 della sentenza impugnata e con il quale i ricorsi non si confrontano in alcun modo. Anzi, i ricorsi nemmeno propongono ricostruzioni basate su di una teoria scientifica diversa rispetto a quella cui hanno aderito i periti e, in ipotesi, stimata preferibile ma, a ben vedere, si limitano solo a sostenere opinioni diverse da quelle espresse dai periti e che sono state - motivatamente - fatte proprie dai Giudici di merito.

5.2.1 ricorrenti, in particolare, hanno sostenuto la inadeguata competenza professionale dei periti del Tribunale e, dunque, la inattendibilità dei risultati dagli stessi raggiunti, sottolineando vari profili: a) la mancanza nel Collegio peritale di un esperto in medicina legale; b) l'essere i componenti dello stesso non disinteressati (avendo avuto, due dei tre, cioè i dottori V.V. e U.U., ricoverato il paziente, poi deceduto, nel "loro" reparto, di cui era Primario il Dott. V.V.; c) ed essere, comunque, la diagnosi della causa di morte erronea poichè in contrasto con il primo referto che fu redatto al riguardo.

5.2.1. In relazione al primo aspetto (asserita mancanza di competenze medico-legali), i ricorrenti, per dimostrare la - ritenuta - inadeguatezza professionale dei periti, con particolare, anche se non esclusivo riferimento, alla dedotta mancanza di nozioni di medicina legale, richiamano più stralci dell'esame dibattimentale degli stessi.

Al riguardo, appare opportuno evidenziare che, come già condivisibilmente sottolineato dalla Corte di legittimità (sub n. 2 del "considerato in diritto", p. 7, di Sez. 4, n. 26618 del 18/09/2020, Ambrogio, non mass.), un "intervento, estrapolato dal contesto della intera dichiarazione, non consente di saggiare realmente la prospettata contraddizione (cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, (Buzi,) Rv, 241023 - 01: "In forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto)" (nello stesso senso v. anche Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, Savasta e altri, Rv. 263601, secondo cui "In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte").

Quindi, in applicazione del richiamato principio, si deve ritenere che il mero richiamo di "stralci" di un complesso esame dibattimentale non è sufficiente ad attribuire specificità al motivo di ricorso in tal modo argomentato.

5.2.2. Quanto al secondo profilo (ipotizzato non disinteresse dei periti), si rinviene alla p. 6 della sentenza impugnata risposta complessivamente logica e congrua, con la sola precisazione - che può essere effettuata dalla Corte di legittimità - che le perplessità sulla composizione, personale e professionale, del Collegio non possono trovare sbocco oggi in cassazione non già per un problema di tempestività delle eccezioni rispetto allo svolgimento dell'incarico (come si legge, appunto, alla p. 6) ma in ragione della mancata, previa attivazione del meccanismo della ricusazione di cui all'art. 223 c.p.p., nei termini ivi prescritti ed il cui provvedimento decisorio è eventualmente ricorribile (Sez. 4, n. 18799 del 12/04/2016, P.C., Zanarini, Rv. 266809; Sez. 4, n. 7287 del 18/11/2008, dep. 2009, Franzini e altri, Rv. 242859; Sez. 4, n. 26431 del 29/04/2003, Folco, Rv. 225859).

5.2.3. Si osserva, inoltre, che il vizio specialmente denunziato dai ricorrenti è il travisamento per omissione di quella che si ritiene essere la reale causa del decesso di Q.Q., con particolare riferimento al tema (già posto alla p. 17 dell'appello) del primo referto, che, secondo le parti civili, avrebbe individuato la causa della morte in un problema polmonare, anzichè cardiaco: al riguardo, deve osservarsi che il ricorso è non solo avversativo ma anche decisamente aspecifico, non allegando il documento in questione nè riferendone il contenuto e nemmeno consentendone, mediante una puntuale indicazione, l'agevole reperimento nell'incarto processuale da parte del Collegio.

Nè si trascuri la differente valenza persuasiva che, secondo criteri di normalità e di logica, è stata attribuita dai Giudici di merito ad una perizia collegiale interdisciplinare, peraltro acquisita nel pieno contraddittorio processuale, rispetto al referto unilateralmente redatto da un singolo professionista.

5.2.4. In ogni caso, la attendibilità dei periti del Tribunale è stata adeguatamente scrutinata nella sentenza impugnata, alle pp. 6 e ss., ove si rinviene anche sufficiente e non illogica valutazione circa la non necessità di rinnovazione dell'istruttoria (p. 6). E le critiche mosse alla omessa rinnovazione non colgono nel segno perchè, come osservato nella memoria nell'interesse dell'imputato, la parte civile nell'appello non aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale finalizzata all'espletamento di una nuova perizia ma aveva contestato la mancata assunzione da parte del Giudice di primo grado di una prova decisiva, cioè di una ulteriore perizia affidata - anche - ad un medico legale.

A ciò si aggiunga che, essendosi celebrato in primo grado giudizio abbreviato, occorre fare applicazione del - condivisibile - principio di diritto più volte espresso nei seguenti termini:

"Nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado" (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, Granato, Rv. 282585);

"Nel giudizio abbreviato di appello le parti non hanno un diritto all'assunzione di prove nuove, ma hanno solo il potere di sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 603 c.p.p., comma 3, essendo rimessa al giudice la valutazione dell'assoluta necessità dell'integrazione probatoria richiesta" (Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2018, PG in proc. Graziano Santo, Rv. 278061);

e "In tema di giudizio abbreviato di appello, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri officiosi di integrazione probatoria, sollecitati a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 3, dall'imputato che abbia optato per il giudizio abbreviato non condizionato, non può mai integrare il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), non essendo configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria" (Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, Picone e altri, Rv. 272197).

5.3. Si prende atto, inoltre, della radicale mancanza nel ragionamento svolto dai ricorrenti del riferimento ad una legge scientifica universale di copertura che possa ricollegare la morte di Q.Q. alla asbestosi avente origine nella accertata e protratta esposizione all'amianto.

Nè il richiamo a percentuali statistiche, in ipotesi, assai più significative (il 39%) di possibile incidenza del rischio di cardiopatia per effetto dell'asbestosi rispetto a quelle concordemente ritenuto invece dai Giudici di merito sulla base di quanto affermato dal perito Dott. U.U. (11%) risulta essere determinante, nei concreti termini in cui effettuato, poichè affidato ad affermazioni meramente avversative rispetto alla ricostruzione operata nelle sentenze.

In ogni caso, è da dire che il solo ricorso alla causalità generale, anche attraverso dati statistici, in ipotesi astratta significativi, non sarebbe sufficiente, difettando nelle impugnazioni qualsiasi riferimento alla causalità individuale.

Sfugge, infatti, ai ricorrenti il - fondamentale - insegnamento, contenuto nella nota decisione della Sez. 4 della S.C., n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, cit., ove si è messo in luce come, al fine di poter fornire una risposta corretta all'interrogativo circa il ruolo causale dell'esposizione all'amianto avvenuta mentre un imputato rivestiva una carica che lo rendeva garante di quel rischio, sia necessario formulare un duplice giudizio:

prima, individuare una condivisa legge scientifica di copertura che affermi la idoneità di una determina esposizione a produrre un effetto concausale;

e, poi, corroborare tale ipotesi alla luce delle circostanze del caso concreto.

Cioè: una volta che sia stata accertata, in ipotesi, la causalità di tipo generale, si impone, trattandosi di processo penale, una necessaria verifica successiva, che consiste nella esclusione dell'intervento di decorsi causali alternativi, i quali potrebbero consistere:

1) o in fattori di rischio diversi dall'amianto, che potrebbero avere rilievo ove la patologia sia multifattoriale;

2) o in esposizioni all'amianto che siano avvenute in periodi diversi da quelli in cui l'imputato aveva la carica, cioè la posizione di garanzia, ad esempio nel caso di plurime esposizioni presso diversi stabilimenti o svolgendo diverse attività lavorative, ovvero anche nel caso che la vittima, pur nel medesimo contesto lavorativo (ovvero abitativo), abbia subito una protratta esposizione ad amianto ma in quell'arco temporale si siano succeduti molteplici soggetti garanti, poichè, in tal caso, non può affermarsi che l'imputato abbia avuto il governo del rischio per tutta la durata della esposizione al rischio, essendosi succedute nel tempo più posizioni di garanzia rispetto alla stessa fonte di rischio;

3) ovvero in differenti, autonomi, interventi causali.

Di tutto ciò non vi è traccia nei ricorsi, che non solo hanno omesso qualsiasi considerazione circa il problema dell'accertamento della causalità di tipo individuale (cfr. al riguardo il ragionamento svolto nella parte motiva di Sez. 4, n. 25532 del 16/01/2019, P.G. in proc. Abbona Mario ed altri, Rv. 276339-02, sub nn. 10.5 e 10.6 del "considerato in diritto", pp. 131 e ss.) ma soprattutto, e a monte, si sono limitati a sviluppare argomenti in termini non già di vera e propria causalità in senso giuridico ma soltanto di causalità statistico-epidemiologica, peraltro alla stregua di dati statistici che non risultano essere pacifici.

5.4. Ancora: diversamente da quanto a più riprese sostenuto dai ricorrenti, la sentenza di prescrizione del processo tenutosi presso il Tribunale di Palermo nel 2010 (peraltro richiamata in rilevante parte alla p. 5 della sentenza di appello) non è idonea a "fare stato" sulle valutazioni in tali occasioni svolte, poichè il giudicato si crea solo sui fatti veri e propri, fatti che, comunque, siccome accertati in diversa sede, devono essere valutati, ai sensi del combinato disposto dell'art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3, espressamente richiamati dall'art. 238-bis c.p.p., "unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità" (cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 24383 del 27/02/2015, P.G. e altri in proc. Di Silvio, Rv. 253955), in tal senso dovendosi rettificare la puntualizzazione che si rinviene alla p. 8 della sentenza impugnata.

E, come si è già detto in relazione al tema del primo referto (sub n. 5.2.3. del "considerato in diritto"), si è - logicamente - attribuita da parte dei decidenti minore valenza dimostrativa alla valutazione del singolo esperto (Dott. R.R ), peraltro svolta in differente processo e comunque necessitante di "riscontri", rispetto a quella di un collegio peritale le cui conclusioni sono state assunte nel pieno contraddittorio delle parti proprio nel processo in questione.

5.5. In definitiva, la Corte di appello risulta avere motivato su tutte le questioni prospettate delle parti civili, con argomentazioni che risultano non manifestamente illogiche ed immuni da vizi sindacabili in sede di legittimità.

Pertanto, nonostante la segnalata improprietà, che si rinviene all'ultima pagina dalla sentenza impugnata, del passaggio motivazionale circa il riconosciuto tabagismo quale "causa in un certo senso "sopravvenuta" idonea, da sola, a innescare il meccanismo che ha condotto al decesso", passaggio peraltro svolto solo ad colorandum e senza rilevanza quanto alla effettiva "tenuta" motivazionale, la decisione resiste a tutte le censure, che, per le ragioni esposte, non aggrediscono adeguatamente la convinzione, maturata e adeguatamente spiegata, dei decidenti circa la mancanza di un nesso di causa tra avvenuta esposizione all'amianto di Q.Q. e decesso dello stesso.

Dunque, la conclusione raggiunta circa la mancanza di prova nel caso di specie di un nesso di causa tra asbestosi e decesso risulta assorbente rispetto ad ogni ulteriore profilo, logicamente e cronologicamente successivo, tra quelli che in genere vengono in luce nei processi per esposizione ad amianto (quali, ad esempio, la durata della posizione di garanzia dell'imputato, i poteri/doveri ad essa connessi, la esigibilità o meno della condotta la cui mancata adozione si rimprovera all'imputato, il livello di conoscenza della pericolosità dell'amianto rispetto al divieto assoluto di impiego - notoriamente - imposto con la L. 27 marzo 1992, n. 257, recante "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto", anche se già in precedenza, sin dall'entrata in vigore del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21, recante "Norme generali per l'igiene del lavoro", il datore di lavoro era obbligato ad evitare o ridurre tutte le polveri, compresa dunque quella di amianto, siccome ritenute pericolose per la salute).

6. Con riferimento al decimo ed ultimo motivo, con il quale si denunzia la illegittimità della condanna delle parti civili appellanti alle spese, osserva il Collegio come, in effetti, esistono i tre orientamenti riferiti dai ricorrenti.

6.1. Una prima, più rigorosa, lettura si ricollega ad una pronunzia delle Sezioni Unite del 2005 ("In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M.": Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005, P.G. e P.C. in proc. Misiano, Rv. 232165) ed è stata recentemente ripresa da più sentenze di Sez. 4, ossia;

"In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento di tutte le spese del processo, e non solo di quelle cui essa abbia dato causa, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del pubblico ministero, non rilevando dalla richiesta di quale parte impugnante le spese in questione siano derivate" (Sez. 4, n. 27239 del 16/09/2020, Lala Calogera vs Villani Pietro ed altro, Rv. 279535);

"In tema di spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile, la cui impugnazione avverso la sentenza di assoluzione non sia stata accolta, al pagamento di tutte le spese del processo, e non solo di quelle cui essa abbia dato causa, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del pubblico ministero. (In motivazione la Corte ha osservato che l'abrogazione - per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 67 - del vincolo di solidarietà fra coimputati nell'obbligo di pagamento delle spese processuali non può influire sul principio di mantenimento dell'obbligo di pagamento integrale delle spese a carico della parte civile nel caso di contemporanea soccombenza del pubblico ministero)" (Sez. 4, n. 6501 del 26/01/2021, P.M. in proc. Todaro Ezio Ignazio, Rv. 281049);

e "In tema di spese nei giudizi di impugnazione, il giudice è tenuto a condannare la parte civile, la cui impugnazione avverso la sentenza di assoluzione non sia stata accolta, al pagamento di tutte le spese del processo, e non solo di quelle cui la stessa abbia dato causa, quand'anche sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del pubblico ministero, non contemplando, sul punto, alcuna eccezione la previsione generale di cui all'art. 592 c.p.p., comma 1" (Sez. 4, n. 15494 del 05/04/2022, Andora, Rv. 283024).

6.2. Un secondo orientamento, più favorevole alla parte ricorrente, è stato fatto proprio da Sez. 4 nel 2002, cioè prima della richiamata pronunzia delle Sezioni unite del 2005, e poi recentemente "ripreso" da Sez. 3 nel 2018.

Si era, infatti, detto che "Nel caso di mancato accoglimento delle impugnazioni proposte avverso sentenza di assoluzione tanto dal PM quanto dalla parte civile, non può darsi luogo alla condanna di quest'ultima al pagamento delle spese, come previsto in via generale dall'art. 592 c.p.p., comma 1, non potendosi far gravare sulla parte civile anche gli oneri derivanti dall'attività del rappresentante della pubblica accusa e non essendo possibile discernere tra le spese derivate dall'impugnazione dell'una o dell'altra parte" (Sez. 4, n. 14406 del 13/03/2002, PC in proc. La Torre ed altri, Rv. 221841).

Più recentemente si è affermato che "Nel caso di mancato accoglimento delle impugnazioni proposte avverso sentenza di assoluzione tanto dal pubblico ministero, quanto dalla parte civile, non può darsi luogo alla condanna di quest'ultima al pagamento delle spese, come previsto in via generale dall'art. 592 c.p.p., comma 1, non potendosi far gravare sulla parte civile anche gli oneri derivanti dall'attività del rappresentante della pubblica accusa e non essendo possibile discernere le spese derivate dall'impugnazione di una parte da quelle provocate dal gravame dell'altra" (Sez. 3, n. 11451 del 06/11/2018, dep. 2019, P.G. in proc. Chianura Francesco, Rv. 275174-02).

6.3. Si registra, infine, un terzo orientamento, per così dire, "intermedio" tra gli altri due, espresso da Sez. 5 nel 2011 e ribadito da Sez. 1 nel 2016, ossia:

"In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, è legittima la condanna dell'imputato alle spese processuali, nel caso di rigetto o inammissibilità dell'impugnazione, anche quando, oltre alla parte privata, abbia proposto impugnazione il pubblico ministero, in quanto la disposizione di cui all'art. 592 c.p.p. - per la quale con il provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile l'impugnazione, la parte privata che l'ha proposta è condannata alle spese del procedimento - non prevede al riguardo alcuna eccezione; d'altro canto, la L. n. 69 del 2009, art. 67 - abrogando il vincolo di solidarietà tra coimputati precedentemente imposto nel caso di condanna dall'art. 535 c.p.p., comma 2, - ha reso obbligatoria la ripartizione delle spese" (Sez. 5, n. 5934 del 06/10/2011, dep. 2012, Franco, Rv. 252155);

e "In tema di condanna alle spese nei giudizi di impugnazione, il giudice ha l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, limitatamente a quelle cui essa ha dato causa, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del P.M. (In motivazione, la Corte ha osservato che l'abrogazione, per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 67, del vincolo di solidarietà fra coimputati nell'obbligo di pagamento delle spese processuali, ha determinato, specularmente, il venir meno della ragione di mantenere l'obbligo di pagamento integrale delle spese a carico della parte civile nel caso di contemporanea soccombenza da parte del P.M. nell'impugnazione)" (Sez. 1, n. 2750 del 12/07/2016, dep. 2017, P.C. in proc. D'Urso e altri, Rv. 269409".

6.4. Occorre dare continuità, con convinzione, alla prima delle riferite interpretazioni.

Essa, infatti, non soltanto è stata fatta propria dalla più recente giurisprudenza e si collega alla richiamata pronunzia delle Sezioni unite, ma - e soprattutto - è preferibile in quanto è in linea con il dato letterale dell'art. 592 c.p.p., che prevede la condanna delle spese processuali del giudizio di impugnazione soltanto della parte privata, e mai di quella pubblica, soccombente, senza eccezioni, ed è altresì coerente con l'assetto derivante dall'essere venuto meno, per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 67, il vincolo della solidarietà fra coimputati nell'obbligo di pagamento delle spese processuali, in quanto ciò non può influire sul principio di mantenere l'obbligo di pagamento integrale delle spese a carico della parte civile nel caso di contemporanea soccombenza da parte del P.M. nell'impugnazione (cfr. Sez. 4, n. 27239 del 16/09/2020, Lala Calogera vs Villani Pietro, cit., sub n. 8 del "considerato in diritto", pp. 17-18; Sez. 4, n. 15494 del 05/04/2022, Andora, cit., sub n. 4 del "considerato in diritto", pp. 5-6; Sez. 4, n. 6501 del 26/01/2021, P.M. in proc. Todaro Ezio Ignazio, cit., sub n. 7 del "considerato in diritto", pp. 20-21). Del resto - e conclusivamente - i difformi orientamenti trascurano il rilievo che non vi è mai stato vincolo di solidarietà tra Procura della Repubblica e parte civile.

7. Discende, pertanto, la statuizione in dispositivo: inammissibilità del ricorso del P.G., senza spese, attesa la natura di Parte pubblica, e rigetto degli ulteriori ricorsi, con condanna delle parti private, per legge (art. 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.

Rigetti i ricorsi delle parti civili che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2023