Cassazione Penale, Sez. 4, 04 agosto 2023, n. 34348 - Dermatite dell'allieva parrucchiera



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SERRAO Eugenia - Presidente -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - rel. Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIAROSARIA BRUNO.

 

Fatto


1. Con sentenza emessa in data 13/9/2022, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale del medesimo capoluogo con cui A.A., ritenuta responsabile del delitto di lesioni colpose commesse con violazione delle norme antinfortunstiche, è stata condannata alla pena di Euro 200,00 di multa.

All'imputata, legale rappresentante della scuola professionale "Accademia per parrucchieri A.A.", era contestato di avere cagionato a B.B., allieva parrucchiera presso il suddetto istituto, lesioni personali gravi segnatamente dermatite allergica da contatto (D.A.C.) alle mani con caratteristiche di eczema ed accertata sensibilizzazione a parafenilendiamina, - in conseguenza delle quali l'allieva riportava un'incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per la durata di quattro mesi..

I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, individuavano in capo a A.A. profili di colpa generica e specifica, addebitando a costei oltre a negligenza e imprudenza, l'avere omesso di prendere adeguatamente in considerazione il rischio di esposizione a sostanze chimiche irritanti nell'applicazione delle tinture per capelli, di adottare misure operative idonee a fronteggiare tale rischio, di somministrare adeguate informazioni agli allevi sui rischi collegati alla manipolazione di miscele contenenti sostanze chimiche irritanti e di sottoporre gli allievi parrucchieri alla sorveglianza sanitaria (art. 2087 c.c., D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1 lett. g), artt. 28, 29, 36 e 37).

2. Avverso la pronuncia di condanna ha proposto ricorso per Cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, affidando le proprie doglianze ad un motivo unico di ricorso.

La difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p., comma 1; art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e); inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 40 c.p., comma 1 e art. 110 c.p.; mancanza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame.

La Corte di merito, lamenta la difesa, non avrebbe correttamente valutato il contenuto delle dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa B.B., dalla teste D.D. (escussa all'udienza del 18/3/2021), dalla Dott.ssa E.E. e dal funzionario ASL di Torino, Dott. F.F. (entrambi esaminati all'udienza dell'8/10/2019).

Avrebbe fatto malgoverno delle prove acquisite in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità fra la condotta addebitata all'imputata e le lesioni accertate sulla persona offesa.

Non avrebbe correttamente interpretato gli esiti della consulenza medica effettuata sulla persona offesa.

Avrebbe offerto una motivazione inadeguata e insufficiente in risposta alle deduzioni difensive.

La sentenza di condanna, si legge nel ricorso, è imperniata esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa, le quali risultano evidentemente contraddette dalla testimonianza resa dall'allieva D.D.. Costei, all'udienza del 18 marzo 2021, ha dichiarato che gli allievi adoperavano esclusivamente miscele prive di additivi chimici, ed ha espressamente puntualizzato di non avere mai adoperato miscele addizionate da componenti chimici, che i professionisti usano per i loro clienti. Ha quindi specificato che le miscele impiegate dagli allievi, senza ingredienti chimici, venivano preparate dalla titolare, la quale proibiva a tutti di entrare nella stanza dove c'erano le tinture, sebbene gli allievi sapessero esattamente dove fossero custoditi i diversi prodotti.

La Corte di appello ha equivocato il contenuto della testimonianza resa dalla teste D.D., affermando, in modo del tutto apodittico, che la deposizione della persona offesa sarebbe coerente con quanto dichiarato dalla teste D.D.. Si attribuisce a quest'ultima un'affermazione non rinvenibile nella sua deposizione: la D.D., invero, non ha affermato di aver applicato, senza i guanti previsti, le tinture con prodotti chimici sui capelli dei clienti del negozio.

Il giudice di secondo grado ha omesso di prendere posizione anche su un ulteriore aspetto evidenziato nell'atto di appello. La persona offesa, prima di iniziare il corso presso l'Accademia A.A., aveva seguito altro similare corso di formazione ed aveva effettuato un test allergenico specifico per la parafenilendiamina. Il suddetto test, come hanno precisato due diversi esperti (la Dott.ssa G.G. ed il CT nominato dalla Procura, Dott.ssa E.E.), può, da solo, rappresentare un fattore scatenante dell'allergia alla parafenilendiamina. Stante il rischio per la salute, si procede alla effettuazione del test solo in presenza di una motivazione seria come la pregressa accertata sensibilità a tale componente chimico o la pregressa ricorrenza di sintomi correlati al contatto con tale sostanza.

Al fine dell'accertamento della responsabilità penale della imputata, i giudici di merito avrebbero dovuto meglio indagare sugli aspetti riguardanti il fatto che ha determinato l'evento.

L'accertamento del nesso causale inevitabilmente fallisce laddove, come in questo caso, il compendio probatorio non sia idoneo a fornire indicazioni adeguate e attendibili sulla causa dell'evento.

2.1 La difesa dell'imputato ha depositato memoria conclusiva nella quale, riportandosi ai motivi di ricorso, ha insistito nel richiedere il loro accoglimento con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

 

Diritto


1. I motivi di doglianza proposti dalla imputata sono manifestamente infondati, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. La ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto che attengono alla interpretazione delle emergenze probatorie, in particolare delle prove dichiarative, ha sostanzialmente riproposto le medesime argomentazioni che aveva dedotto innanzi alla Corte di appello e che sono state disattese da questa con congrua motivazione.

Si ritiene, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, che il Giudice della sentenza impugnata abbia risposto adeguatamente alle censure sollevate dalla difesa, pervenendo ad una ricostruzione del fatto del tutto logica ed aderente alle risultanze processuali rappresentate in sentenza, traendone conclusioni adeguate in punto di qualificazione giuridica del fatto e riconducibilità di esso a responsabilità della imputata.

Le doglianze difensive sono incentrate su due aspetti principali: l'uno attinente alla ricostruzione del fatto, con particolare riferimento alla causa scatenante la patologia riscontrata sulla persona offesa; l'altro riferito alla mancanza della dimostrazione del nesso causale tra la condotta colposa addebitata alla imputata e l'evento. Entrambi i motivi di doglianza sono destituiti di fondamento.

3. Prendendo le mosse dalle censure contenute nella prima parte del ricorso, si osserva come esse riguardino aspetti valutativi delle prove raccolte che, attingendo la sfera dell'apprezzamento del giudice, possono essere censurate in questa sede soltanto ove si individuino nel corpo motivazionale manifestazioni di un ragionamento evidentemente illogico e contraddittorio oltrechè carente o soltanto apparente.

In primis, occorre rilevare, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, come la individuazione della causa della insorgenza della reazione allergica nella persona offesa non sia stata desunta esclusivamente dalle dichiarazioni rese da quest'ultima, ma da tutto il complesso del materiale probatorio raccolto nel corso della istruttoria di primo grado, richiamato nelle pagine 3 e 4 della sentenza.

Nel ripercorrere le dichiarazioni della persona offesa, la Corte di appello ha evidenziato come l'allieva, prima di partecipare allo stage presso l'istituto della ricorrente, avesse frequentato altra scuola professionale, sottoponendosi a test allergologici che avevano dato risultato negativo rispetto alla parafenilendiamina.

L'insorgenza della reazione allergica, si legge in motivazione, si verificò durante la frequentazione del corso presso l'Accademia per parrucchieri A.A., dove, oltre ad una formazione teorica, era previsto anche un periodo di pratica, durante il quale gli allievi si dedicavano all'applicazione delle tinture sui clienti.

E' stata poi richiamata la testimonianza del funzionario dell'ASL, Dott. F.F., il quale ha chiarito come l'unica misura di sicurezza adottata dall'istituto per prevenire i rischi dovuti al contatto con prodotti suscettibili di provocare reazioni dermatologiche fosse rappresentata dalla dotazione di guanti monouso, inidonei per dimensione a scongiurare il pericolo di contatto poichè lasciavano scoperto il braccio e l'avanbraccio. Sempre il funzionario dell'ASL, alla stregua di quanto evidenziato in motivazione, ha rinvenuto nella sede dell'istituto i prodotti indicati dalla persona offesa, utilizzati per l'applicazione delle tinture.

Nella disamina delle prove, la Corte di appello, conformemente al primo giudice, ha evidenziato come il consulente tecnico del P.M., Dott.ssa G.G., sulla base dei dati anamnestici raccolti, avesse ricondotto la insorgenza della patologia al periodo di formazione espletato da B.B. presso l'Accademia.

E' evidente come il collegamento della malattia con l'attività svolta dalla persona offesa presso l'Accademia sia stato logicamente desunto dalla precedente negatività accertata dagli esami allergologi5' dalla presenza nella scuola di prodotti contenenti la sostanza che aveva provocato la reazione e dagli esiti della consulenza medica disposta dalla Procura, che riconducono l'insorgenza della patologia al periodo di stage effettuato dalla persona offesa presso l'Accademia.

La lamentata discordanza delle dichiarazioni rese dalla persona offesa rispetto a quelle rese dalla teste D.D. non è suscettibile di disarticolare il discorso giustificativo offerto dalla sentenza impugnata.

La Corte di merito, a pagina 8 della motivazione, ha evidenziato come la teste D.D., esaminata all'udienza 18/3/21, avesse dichiarato che l'attività formativa praticata presso l'istituto comprendesse anche l'applicazione delle tinte.

4. In punto di diritto, deve ricordarsi come, in tema di giudizio di cassazione, siano precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601, così massimata: "In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito").

La violazione dei criteri interpretativi dettati dall'art. 192 c.p.p., lamentata dalla difesa nel ricorso, è tale solo in apparenza, perchè si introduce attraverso tale tematica un'alternativa ricostruzione dei fatti, la quale non può formare oggetto di delibazione in questa sede al cospetto di una motivazione logica e coerente.

La Corte di merito, nel riportarsi alla motivazione del primo giudice, il quale ha deciso in modo conforme, ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, evidenziando che la insorgenza della patologia si è manifestata durante la frequentazione dello stage effettuato dalla persona offesa presso la scuola professionale di cui è legale rappresentante la imputata; la persona offesa in precedenza era risultata negativa al test allergologico; presso la scuola professionale erano adoperate dagli allievi le tinture; anche il consulente medico ha confermato la riconducibilità della patologia all'attività prestata presso la scuola professionale; i DPI messi a disposizione della scuola per prevenire il rischio da contatto con sostanze irritanti fossero del tutto inadeguati.

5. La questione riguardante il contrasto evidenziato tra le due testimonianze - quella della persona offesa e quelle della teste D.D. sottintende un vizio di travisamento della prova posto in termini non ortodossi.

Il breve riferimento al passaggio nel quale la teste D.D. afferma che nell'ambito della formazione si adoperavano "miscele per allievi" senza prodotti chimici, estrapolato dal contesto della intera dichiarazione, non consente di saggiare realmente la prospettata contraddizione (cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023: "In forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l'effettivo apprezzamento del vizio dedotto"; Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016, dep. 27/04/2017, Rv. 269801, così massimata: "Il ricorso per cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, al fine di verificare la corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione").

6. La censura secondo la quale la patologia sarebbe stata indotta dallo stesso test allergologico introduce un argomento già valutato e adeguatamente disatteso dal primo giudice (cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado, in cui si legge: "L'assunto per cui la persona offesa avrebbe contratto la malattia in epoca antecedente la frequentazione del corso presso l'Accademia, in ragione del presupposto della sua maggiore sensibilità alla parafenilendiamina causata da pregressa dermatite atopica, non trova alcun riscontro probatorio. La stessa consulente tecnica ammette la possibilità che il test allergologico causi il manifestarsi della malattia, ma tale prospettazione viene considerata soltanto a livello ipotetico. E' verosimile ritenere che la persona offesa, laddove avesse manifestato le medesime lesioni in un periodo precedente a quello in contestazione, si sarebbe comunque attivata quanto meno per sottoporsi a visita medica. Non risulta da alcun atto che la B.B. abbia mai manifestato la medesima sintomatologia in epoca precedente a quella riferibile alla frequentazione del corso semestrale"). La Corte di merito ha ribadito l'argomentazione, evidenziando, in modo logico e coerente con le risultanze in atti, che gli esiti della consulenza tecnica disposta dal P.M. - condotta con metodo scientifico corretto, fondato su precisi dati anamnestici - avevano individuato con precisione il momento d'insorgenza della patologia, coincidente con lo stage presso l'istituto professionale gestito dalla ricorrente.

Accertata la causa della patologia contratta dalla persona offesa, risultano del tutto adeguate le considerazioni svolte dai giudici di merito in ordine alla posizione di garanzia rivestita dalla imputata ed al nesso causale tra la condotta omissiva alla stessa addebitata e la malattia contratta dall'allieva.

Le lesioni si sarebbero evitate con l'adozione delle regole cautelari la cui violazione riguarda principalmente la mancata individuazione dei rischi a cui era esposta la persona offesa e la mancata adozione di adeguate misure di protezione.

Entrambi i profili omissivi, che la difesa tende ad annullare del tutto sulla base della prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti, hanno determinato, come ben evidenziato dai giudici di merito, la concretizzazione del rischio che dette regole miravano a prevenire. Essendo indubbio che le misure omesse da parte della ricorrente, titolare della posizione di garanzia nei confronti dell'allieva, avrebbero potuto impedire l'evento, deve escludersi che l'evento stesso possa definirsi estraneo all'area del rischio cautelato.

7. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, a norma dell'art. 616 c.p.p., al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023