Cassazione Penale, Sez. 4, 05 ottobre 2023, n. 40463 - Infortunio mortale durante il sezionamento di una porzione rocciosa. Responsabilità del Direttore della cava



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - rel. Consigliere -

Dott. SESSA Gennaro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 19/04/2022 della CORTE APPELLO di GENOVA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARINELLI FELICETTA;

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.

udito il difensore.

In difesa del ricorrente A.A. è presente l'avvocato MARZADURI ENRICO del foro di LUCCA il quale, dopo aver sintetizzato i motivi di ricorso, insiste nell'accoglimento.

 

Fatto


1. Con sentenza del 28/10/2019, il Tribunale di Massa ha dichiarato B.B., C.C. e A.A. responsabili dei reati di omicidio e lesioni colpose in danno di D.D. e E.E. commessi con violazione delle norme antinfortunistiche (capo A della rubrica).

Con sentenza del 19 aprile 2022, la Corte di appello di Genova ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, assolvendo B.B. dai reati a lei ascritti. Ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A. e C.C. per il reato di lesioni colpose, essendosi il reato estinto per intervenuta prescrizione; ha rideterminato la pena inflitta a A.A. e C.C..

All'odierno imputato, unico ricorrente, A.A., per quanto di interesse in questa sede, era contestato di avere, nella qualità di Direttore responsabile della cava numero (Omissis), sita in località (Omissis), e di responsabile del servizio di protezione e prevenzione, cagionato la morte del lavoratore D.D., dipendente della "F.B. Cave Srl ".

Si imputava al predetto di non avere fatto osservare le disposizioni normative e regolamentari a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, di non avere provveduto ad un'azione di controllo e verifica della procedura lavorativa adottata dagli operai impiegati nella cava (D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, art. 6), di non avere, in qualità di RSPP, individuato i fattori di rischio a cui era esposto il lavoratore ed elaborato misure preventive e protettive idonee a tutela di questi, in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 33, comma 1, lett. a), b), c) con ciò cagionando la morte dell'operaio cavatore D.D.. L'infortunio mortale si verificò nella cava di estrazione della località (Omissis), in una zona di confine tra la numero (Omissis) e la numero (Omissis) in data 7 settembre 2012.

L'operaio, intento ad eseguire le operazioni funzionali al sezionamento di una porzione rocciosa, veniva investito e schiacciato da un masso del peso di tre tonnellate che rovinava sulla sua persona e ne determinava l'immediato decesso. Il collega di lavoro, E.E., presente ai fatti, fu colto da malattia guarita in giorni 61, essendo stato assalito da grave stress psicofisico.

Il Tribunale aveva ritenuto integrati tutti i profili di colpa indicati nella contestazione elevata dall'Accusa.

La Corte di appello ha ritenuto che le carenze presenti nel Documento di sicurezza e salute (DSS) non avessero svolto alcun ruolo causale rispetto all'evento. Ha ritenuto responsabile l'imputato del reato a lui ascritto ritenendo che il ricorrente, ingegnere minerario e direttore responsabile della cava, pur conoscendo la situazione del sito in cui doveva operare il lavoratore non ha rivolto al sorvegliante alcuna specifica indicazione sulla tecnica estrattiva da attuare per evitare i rischi esistenti e conosciuti.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per Cassazione A.A. articolando i seguenti motivi di ricorso.

Con il primo motivo la difesa deduce inosservanza delle norme processuali stabilite a pena d'inutilizzabilità con particolare riferimento al disposto di cui all'art. 228 c.p.p., comma 2; mancanza di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato nonchè da altri atti del processo.

La difesa muove censure in relazione al capo della sentenza con cui è stato confermato il giudizio di responsabilità nei confronti dell'imputato sulla base della prova della perizia effettuata dalla Corte d'appello, da ritenersi inutilizzabile perchè sviluppata in violazione del disposto di cui all'art. 228 c.p.p., comma 2.

Come è noto, rammenta la difesa, la disposizione richiamata prevede che il perito possa servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali che non implichino apprezzamenti e valutazioni. In caso d'inosservanza di tale precetto è configurabile un'ipotesi d'inutilizzabilità della perizia, stante la sussistenza di un divieto legislativo, sia pure implicito, volto ad impedire al perito di servirsi di ausiliari al di fuori dei casi previsti.

Nel caso che occupa, come già eccepito dalla difesa dell'imputato all'udienza del 20/1/2022, l'ausiliario dottor F.F., esperto di coltivazioni minerarie e delle procedure burocratiche autorizzative, non ha curato adempimenti di natura meramente materiale, ma ha affiancato il perito, esprimendo valutazioni in ordine al tema processuale centrale per l'imputato riguardante l'adeguatezza del DSS e dei successivi ordini di servizio.

E' stato lo stesso perito a non fare mistero del ruolo svolto dal suo assistente nell'assolvimento dell'incarico affidato dalla Corte di appello, come si evince dalla testimonianza resa in dibattimento.

I giudici di secondo grado hanno superato il divieto, non concedendo la parola all'ausiliario, sebbene il contributo di questi, per stessa ammissione del perito, avesse influito sulla relazione peritale. Anche laddove si volesse superare questa obiezione sulla base della circostanza che il perito, in sede di esame, ha risposto direttamente ai quesiti sottoposti, non è possibile comprendere quale parte del contributo scientifico offerto sia espressione della sua valutazione e quale sia invece frutto dell'operato dell'ausiliario. In sintesi, ci si trova di fronte ad una chiara violazione dei precetti di cui all'art. 228 c.p.p., comma 2, con conseguente inutilizzabilità nella perizia stilata. Ciò determina il venir meno di un decisivo tassello dell'impianto motivazionale posto a sostegno del giudizio di responsabilità espresso a carico del prevenuto, sia in punto di individuazione delle misure precauzionali che avrebbero impedito l'infortunio, sia con riferimento all'adeguatezza e regolarità del DSS e degli ordini di servizio allegati.

Secondo motivo: mancanza, contraddittorietà della motivazione, travisamento della prova risultante dal testo del provvedimento impugnato, nonchè da altri atti del processo specificamente indicati.

La decisione impugnata, nella ricostruzione operata del relativo iter processuale, non fa il minimo accenno ai motivi di impugnazione presentati dalla difesa dell'imputato, limitandosi a richiamare esclusivamente quelli proposti nell'interesse di B.B. e C.C.. Questa carenza rende evidente l'incoerenza e la contraddittorietà del ragionamento seguito dai giudici di appello nell'affermazione di responsabilità del ricorrente. Il collegio ha omesso di dare compiuta risposta agli interrogativi posti nell'impugnazione riguardo alla dinamica della vicenda così come proposta dal primo giudice di merito. Riguardo alla regolarità o meno della presenza del Coppè nel punto della frana, la Corte di merito dimostra di non aver tenuto conto in alcun modo degli elementi istruttori emersi.

Di fronte ad una situazione ben delineata, che spingeva a sostenere come l'avvicinamento della vittima alla bancata fosse stato del tutto arbitrario ed in contrasto con le indicazioni ricevute dal capo cava, viene offerta una soluzione completamente sganciata dalle risultanze probatorie acquisite. L'assunto secondo il quale la presenza del letto dei detriti non impediva l'esecuzione dei primi tagli e, di conseguenza, nemmeno l'eventuale quarto taglio, si pone in evidente contrasto con la ricostruzione della vicenda offerta proprio dal teste E.E., secondo cui i detriti erano stati comunque posizionati, a fini cautelativi, dopo che i blocchi erano già stati tagliati, in prossimità della linea di frattura della bancata (pag. 53 e seguenti del verbale di trascrizione dell'udienza del 22/2/2016).

Quanto rappresentato trova conferma nella relazione tecnica dei consulenti della difesa a firma dell'ingegnere G.G. e dell'ingegnere H.H., i quali hanno posto in evidenza come l'accorgimento fosse stato realizzato nella zona ritenuta pericolosa. Tale circostanza risulta evidente anche dalle immagini riprodotte nella fotografia n. 8 della perizia effettuata dalla prof. I.I..

L'operaio deceduto, hanno evidenziato i consulenti della difesa, si era venuto a trovare in un'area chiaramente interdetta a tutti i lavoratori perchè in soggiacenza del fronte in via di abbattimento e coperta da un letto di detriti disposto cautelativamente alla base del fronte in abbattimento in caso di eventuale movimento del fronte stesso.

La Corte di merito sarebbe dunque incorsa in un chiaro travisamento della prova così come emergente dalle stesse riproduzioni fotografiche, dimostrando di avere fondato il proprio convincimento sulla base di una errata ponderazione delle emergenze istruttorie che l'hanno condotta a respingere le doglianze difensive un ordine all'inverosimiglianza della prosecuzione dei lavori mediante il quarto taglio verticale.

Quanto poi all'ulteriore argomentazione che riguarda il rigetto del tema introdotto dalla difesa circa le disposizioni concernenti le modalità di ribaltamento della terza colonna da parte del sorvegliante C.C., anche in questo caso il collegio genovese non si confronta fedelmente con i dati fattuali evidenziati dalla difesa.

Proprio dall'attenta osservazione della dinamica degli accadimenti e della scena dell'incidente doveva giungersi alla conclusione che la progressione lavorativa raggiunta in data 7 settembre 2012 doveva escludere la possibilità di procedere ad un quarto taglio della bancata e con essa alla necessità di avvicinamento del cavatore al fronte per compiere eventuali adempimenti preliminari, quali quello della pulizia con l'acqua. Si tratta di un profilo totalmente trascurato dai giudici. E' del tutto irragionevole ritenere che l'operaio si stesse dedicando alla pulizia dell'area, poichè la melma generata dall'attività di sezionamento a schiena ancora in esercizio avrebbe vanificato ogni tentativo di pulizia.

In relazione a questo aspetto, viene in evidenza un ulteriore travisamento della prova posto in essere dalla Corte genovese: l'istruttoria processuale ha portato ad escludere che sul luogo dell'incidente vi fosse la presenza di un tubo dell'acqua come invece sostenuto dai giudici di merito. Nell'atto di impugnazione si poneva in risalto l'inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal teste E.E. riguardo all'utilizzo da parte del D.D. del tubo di gomma, circostanza smentita dalle immagini fotografiche di cui si chiedeva l'acquisizione in sede di rinnovazione dell'istruttoria.

La relazione dell'ingegnere H.H. è netta nell'evidenziare che le illustrazioni fotografiche testimoniano che il tubo giallo steso sul piazzale di lavorazione in prossimità del corpo del D.D., erroneamente indicato dai funzionari come tubo dell'acqua, fosse in realtà un tubo dell'aria compressa. A questo proposito i due operai erano impossibilitati ad utilizzare tale tubo poichè la matassa e il suo collegamento alla stazione di distribuzione dell'area compressa erano posti a notevole distanza da entrambe. Ciò esclude anche che il signor D.D. fosse in procinto di utilizzare il tubo dell'aria compressa al momento dell'infortunio.

Una disamina attenta della situazione come appariva al momento della verificazione del sinistro avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a ritenere verosimile, al di là del poco attendibile resoconto offerto da E.E., che il progetto lavorativo indicato da C.C. non prevedesse la possibilità di procedere al quarto taglio della bancata, bensì al ribaltamento della terza colonna - quella pericolosa - a seguito della predisposizione del letto di detriti e del posizionamento di cuscini per favorire l'opera di un mezzo meccanico.

La povera vittima non aveva alcuna ragione ricollegabile alle sue mansioni per sostare al di sotto della bancata come già esposto nei motivi d'appello (non poteva lavare o pulire l'area perchè non aveva il tubo dell'acqua, non poteva passare il filo diamantato, non poteva rimuovere macchinari ed attrezzi dal cantiere senza l'aiuto di una pala gommata).

Per tali ragioni l'assunto della Corte risulta fallace e contraddittorio laddove ritiene che la presenza della vittima, operaio specializzato di grande esperienza, non fosse eccentrica o anomala rispetto alle sue mansioni.

Lo stesso perito nominato dalla Corte, in sede di controesame della difesa, ammetteva, nel momento in cui gli veniva chiesto di indicare quale fosse il compito che doveva essere svolto dal D.D. che "su questo punto non ci sono certezze". Anche volendo assecondare la prospettiva accusatoria del quarto taglio troviamo sempre nelle considerazioni illustrate dal perito argomenti che spingono ad avvalorare la ricostruzione circa l'ingiustificata presenza della vittima nel punto dove avvenne la frana.

Terzo motivo: mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, nonchè da altri atti del processo.

Ulteriori censure vengono mosse alla sentenza di secondo grado nella parte in cui giunge ad individuare soluzioni che avrebbero consentito, a detta dei giudici di appello, di evitare il crollo della terza colonna in modo incontrollato, desumendo un giudizio di inadeguatezza delle tecniche di lavorazione adottate nel caso di specie. Nel fare ciò vengono seguite pedissequamente le indicazioni del perito, sebbene queste siano state oggetto delle più ferme critiche da parte dei consulenti delle difese.

Tali critiche non sono state in alcun modo esaminate e superate nella decisione impugnata.

Quarto motivo: mancanza e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del processo.

Sebbene il collegio di appello sia giunto alla conclusione che le ritenute carenze del DSS e degli ordini di servizio allegati non abbiano causalmente agito sulla produzione del sinistro, il redattore della sentenza inserisce comunque profili di critica sugli aspetti organizzativi dell'attività lavorativa, che rivelano una disamina solo parziale ed approssimativa del materiale istruttorio a disposizione. Si allude alla riflessione riguardante l'incompletezza e la genericità del Documento salute e sicurezza e degli ordini di servizio in punto di prescrizioni inerenti alla stabilità dei fronti di scavo. Nella decisione oggi impugnata non viene fatto il minimo accenno alle considerazioni svolte sullo specifico punto dai consulenti delle difese, tra cui l'ingegnere L.L., il quale procedeva ad analizzare nel suo elaborato il contenuto del DSS e degli ordini di servizio. Confrontandosi con i rilievi mossi dal perito perveniva ad una valutazione di congruità e validità del DSS. Osservava in proposito come gli ordini di servizio prevedessero e specificassero nel dettaglio tutte le operazioni da compiersi nelle fasi di ribaltamento e sezionamento di blocchi e bancate.

Quinto motivo: mancanza e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato con riferimento al trattamento sanzionatorio.

Nell'atto di appello si chiedeva una riconsiderazione del trattamento sanzionatorio irrogato, dovendosi reputare particolarmente severa la pena inflitta, improntata ad un rigore ingiustificato. La Corte di merito ha trascurato di considerare gli elementi di positiva valutazione prospettati dalla difesa - quali l'intervenuto risarcimento del danno - che avrebbero imposto un più equo bilanciamento ai sensi dell'art. 69 c.p..
 

Diritto


1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo, riguardante l'inutilizzabilità della perizia in ragione dei compiti non meramente esecutivi affidati dal perito all'ausiliario, in violazione dell'art. 228 c.p.p., comma 2, è genericamente posto.

La difesa non chiarisce in cosa sia consistita l'attività valutativa che avrebbe svolto l'ausiliario e come tale attività abbia inciso sulle conclusioni rassegnate dal perito nominato.

Ciò rende incerta e generica l'eccezione formulata in questa sede, risolvendosi in una doglianza che attiene solo ad un aspetto formale.

Peraltro, la prospettata attività di natura valutativa espletata dall'ausiliario, secondo quanto sostenuto dalla difesa nel ricorso, si sarebbe svolta in relazione all'adeguatezza e regolarità del DSS e degli ordini di servizio, i quali, in base alla ricostruzione offerta dalla Corte di merito, nessuna incidenza hanno avuto sull'accadimento in esame dal punto di vista causale.

3. Il secondo ed anche il terzo motivo di ricorso, oltre ad essere prevalentemente versati in fatto, sono volti ad avvalorare la tesi del comportamento eccentrico ed abnorme dell'operaio, il quale, secondo la difesa, non aveva alcuna plausibile ragione di stazionare sotto il fronte poi crollato.

La tesi prospettata del comportamento abnorme del lavoratore è priva di fondamento. L'operaio, ha posto in evidenza la Corte territoriale, si trovava sul posto di lavoro ed aveva appena terminato di effettuare un'operazione di taglio: le ragioni del suo stazionamento sotto il fronte, successivamente crollato, potevano essere riconducibili a diverse ragioni, tutte collegate, comunque, all'attività lavorativa ed alle mansioni affidategli (cfr. pag. 12 della motivazione: "la presenza di D.D. sul posto che era il suo luogo di lavoro per quel giorno e dove aveva appena terminato altre operazioni di taglio, non è eccentrica o anomala rispetto alle sue mansioni, e vi è pur sempre la possibilità che egli avesse frainteso le istruzioni di C.C., o che intendesse compiere qualche attività conclusiva o accessoria del lavoro già svolto, o preparatorio di quello successivo").

Tali circostanze, rappresentate con chiarezza nella motivazione della sentenza impugnata, escludono che possa configurarsi un comportamento eccentrico del lavoratore alla luce degli insegnamenti di questa Corte.

3.1 La prevalente giurisprudenza di legittimità ha da tempo stabilito che le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione propria di evitare che si verifichino eventi lesivi in danno della salute dei lavoratori anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali condotte imprudenti o negligenti degli stessi lavoratori, la cui incolumità deve essere sempre garantita mediante l'attuazione delle necessarie cautele (cfr. ex multis Sez. 4, n. 4917 del 01/12/2009, dep. 04/02/2010, Filiasi, Rv. 246643: "Non sono riconducibili a caso fortuito gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore, poichè le prescrizioni poste a tutela dei lavoratori mirano a garantire l'incolumità degli stessi anche nell'ipotesi in cui, per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, essi si siano venuti a trovare in situazione di particolare pericolo"). Partendo da tale assunto, si è affermato che soltanto ove il lavoratore ponga in essere una condotta inopinabile, imprevedibile o esorbitante dal procedimento di lavoro sia configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro o di chi rivesta una posizione di garanzia (Sez. 4, n. 2614 del 26/10/2006, dep. 25/01/2007, Palmieri, Rv. 236009:"Il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo è interrotto, ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2, solo nei caso in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato causa all'evento, dovendosi considerare "abnorme" il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro)").

La definizione di abnormità, tradizionalmente collegata all'imprevedibilità del comportamento del lavoratore, è stata superata da più recente orientamento, che affida alla nozione di eccentricità del rischio il discrimine che consente di individuare la condotta abnorme del lavoratore (ex multis Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Rv. 280914: "In tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, deceduto per essere rimasto intrappolato nella bobina di una macchina per la lavorazione di tessuti, priva di dispositivi di protezione atti a eliminare il rischio di trascinamento e intrappolamento, ritenendo priva di rilievo nell'eziologia dell'evento l'assunzione da parte del lavoratore di farmaci a base di benzodiazepine, idonei a produrre depressione del sistema nervoso centrale).; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 27/03/2017, Gerosa, Rv. 269603). L'approdo risponde all'esigenza di conferire al concetto di abnormità maggiore aderenza alla complessità dell'organizzazione del lavoro, valutandone la portata nella prospettiva di colui che rivesta una posizione di garanzia, la quale "designa l'ambito in cui si esplica l'obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l'obbligo del garante" (così in motivazione, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261106).

In base a tale più recente e accreditata nozione, l'eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento ove l'attività che abbia generato l'infortunio rimanga collocata nell'area di rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Pertanto, ove la causa dell'infortunio sia dipesa anche da imprudenza e negligenza del lavoratore, il titolare della posizione di garanzia non è esonerato da responsabilità se la condotta del lavoratore sia rimasta confinata nell'area di rischio che egli è tenuto a governare.

3.2 La difesa, pur sostenendo la tesi del comportamento abnorme del lavoratore, non riesce a definire, nelle argomentazioni illustrate nel ricorso, in cosa sia consistita la supposta condotta eccentrica.

Come già detto in precedenza, pur in presenza di comportamenti imprudenti dell'operaio, la esistenza di criticità nell'organizzazione del lavoro, secondo orientamento consolidato di questa Corte, non costituisce causa di esonero da responsabilità del titolare della posizione di garanzia della sicurezza del lavoratore.

Gli aspetti critici della organizzazione del lavoro che hanno generato l'infortunio mortale sono stati puntualmente evidenziati dalla Corte di merito, che ha rimarcato come il dipendente non fosse stato istruito circa l'adozione delle tecniche più sicure da attuare per il taglio della parete in presenza di evidenti fratturazioni nella roccia.

Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito, fondata su un'attenta disamina delle emergenze probatorie, l'operaio stava procedendo ad effettuare il quarto taglio, pur in presenza di fratture nella roccia che avrebbero imposto l'abbattimento della terza colonna e l'impiego di altre tecniche estrattive.

La difesa propone un'alternativa ricostruzione dei fatti, attraverso una non consentita diversa interpretazione delle emergenze processuali e delle prove dichiarative.

I rilievi devono essere ritenuti inammissibili, non potendo la Corte di Cassazione, al cospetto di una motivazione logica e coerente, rivalutare gli aspetti ricostruttivi della vicenda e rivisitare le emergenze probatorie in atti (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601:"In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito").

La Corte di appello ha offerto una ricostruzione puntuale dei fatti, esprimendo una giustificazione logica dell'accaduto; ha spiegato che l'estrazione dei blocchi di marmo dalla montagna avviene eseguendo per primo il cosiddetto taglio orizzontale con la macchina segatrice, ossia il taglio ai piedi del blocco, per tutta la lunghezza, che serve a separarlo dal fondo del monte. Il primo taglio consente il passaggio all'interno del filo diamantato, necessario per eseguire i cosiddetti tagli a schiena e i tagli verticali. Nella parte posteriore del blocco si praticano dei fori in cui si cala il filo diamantato che viene poi recuperato tramite un gancio inserito nel varco creato dal taglio orizzontale. I tagli a schiena separano dal monte il dorso del blocco da estrarre. Tramite i tagli verticali si estrae definitivamente il blocco, separando i lati dal monte dopo l'esecuzione del taglio orizzontale e dei tagli a schiena. Prima dell'esecuzione dei tagli, il sorvegliante della cava verifica la presenza di fratture, esamina tutta la bancata e decide a che distanza posizionare le macchine del filo diamantato, segnando i tagli da eseguire.

Secondo la ricostruzione offerta in sentenza, avvalorata da cospicui riferimenti alle risultanze probatorie, al momento del crollo erano già state estratte tre colonne. A questo proposito la Corte di appello segnala che dalla fotografia n. 24 si individua la terza colonna estratta e franata. Al momento dell'incidente, l'ultimo taglio verticale dato da D.D. alla terza colonna era concluso, le macchine erano ferme e i due cavatori avevano smontato le protezioni. D.D. stava cominciando a pulire, attraverso la fessura del taglio orizzontale, la melma prodottasi con i predetti tagli per fare passare il filo diamantato allo scopo di selezionare la quarta colonna. E.E. aveva aperto il rubinetto dell'acqua, si era affacciato per vedere se l'acqua uscisse dal tubo ed aveva assistito al fatale crollo della bancata.

Sulla base delle emergenze processuali, precisa la Corte di appello, si è accertato come il blocco presentasse delle fratture ben visibili. Con riferimento a tale aspetto, in motivazione, si è dato rilievo alla deposizione del teste, ingegnere M.M., in servizio presso l'A.U.S.L. di Massa. Il funzionario riferiva della esistenza di una frattura nella roccia (denominata "JF") molto significativa, segnalata in tutte le relazioni tecniche delle imprese che operavano in quella cava. Si trattava di una frattura pericolosa per l'incolumità degli operatori, perchè suscettibile di determinare uno scivolamento in avanti del fronte roccioso. Il teste segnalava la presenza anche di altre fessurazioni (denominate D1 e D2), visibili nella parte anteriore della bancata ripulita, che si intersecavano. Secondo il teste, in presenza di tali fratture, era stato un grave errore tagliare tre colonne senza rimuoverle e accingersi al taglio della quarta colonna (cfr. pag. 5 e 6 della motivazione).

3.3 Alla stregua degli elementi raccolti, il Tribunale aveva osservato che il ricorrente, il quale si era recato il giorno prima sul luogo dei fatti, non aveva svolto una doverosa azione di controllo e verifica delle procedure lavorative da attuarsi in presenza della particolarità della bancata (le fratture erano ben note a lui stesso e, peraltro, ben visibili: egli, pertanto, avrebbe dovuto impartire specifiche direttive a C.C., sorvegliante della cava).

Le considerazioni svolte dal primo giudice in relazione agli obblighi correlati alla qualifica di RSPP rivestita dal ricorrente non sono stati coltivati dalla Corte di appello, che ha invece ritenuto di collegare i profili di responsabilità ascritti all'imputato principalmente alla sua qualifica di Direttore responsabile della cava (D.P.R. n. 128 del 1959 e successive modifiche, art. 6).

Il discorso giustificativo posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, collegata alla posizione di Direttore della cava rivestita dall'imputato, è stato validamente espresso.

Il ricorrente, si legge nella sentenza di appello, era perfettamente a conoscenza delle fratturazioni esistenti nella bancata. La discontinuità D1, riferibile alla parte di bancata poi crollata, era già stata indicata con rubricazione K2 e K4 dal A.A. in una sua relazione tecnica precedente al sinistro, essa era peraltro visibile prima del crollo, stando alle dichiarazioni del teste E.E. ed alle fotografie scattate sul posto dalla Polizia giudiziaria dopo l'infortunio.

La Corte di merito ha ritenuto di individuare profili di colpa nel fatto che egli non avesse esercitato il dovuto controllo sulle attività lavorative poste in essere dagli operai, impartendo specifiche disposizioni sulle modalità di estrazione da attuarsi con riferimento al caso specifico.

Occorre evidenziare come al ricorrente sia stata contestata la violazione dell'art. 6 della legge che disciplina le attività minerarie, oggetto di particolare regolamentazione nell'ambito del D.P.R. n. 128 del 1959. L'art. 6 citato è stato modificato dal D.Lgs. n. 624 del 1996, art. 20 che ha riprodotto il contenuto della previgente norma.

Tali articoli stabiliscono che il titolare della cava debba nominare un direttore responsabile in possesso delle capacità e delle competenze necessarie all'esercizio di tale incarico, trattandosi di attività nelle quali il rischio di esposizione a pericolo è elevato. Spetta al direttore responsabile l'obbligo di osservare e far osservare le disposizioni normative e regolamentari in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Il direttore ha dunque un precipuo compito di sorveglianza per prevenire criticità che possono essere scongiurate mediante l'adozione di particolari tecniche.

Nel caso che occupa, come ha posto in rilievo la Corte di merito, il ricorrente ha abdicato ai compiti che gli competevano, omettendo di informare il sorvegliante dei rischi esistenti e di fornire specifiche indicazioni in merito alle tecniche estrattive più idonee ed alle precauzioni da adottare in relazione alla situazione esistente (cfr. pag. 12 della motivazione).

4. Gli ulteriori motivi di doglianza, anche riferiti al trattamento sanzionatorio, devono essere rigettati.

I riferimenti contenuti in motivazione alla incompletezza del DSS non hanno incidenza sulla decisione, imperniata tutta sugli obblighi gravanti sul ricorrente in qualità di Direttore della cava.

In ordine al trattamento sanzionatorio, occorre rammentare come la dosimetria della pena sia questione rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito: in base al principio normativamente codificato all'art. 132 c.p., il quantum della pena da infliggersi, nei limiti della legge, è compito affidato esclusivamente alla valutazione discrezionale del giudice, che deve compiere tale scelta in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p., indicando i motivi che giustificano la sua decisione sul punto.

Sul piano motivazionale, ove, come nel caso in esame, la misura della pena inflitta non superi la media edittale, si ritiene sufficiente il richiamo ai criteri dell'equità e della congruità.

La Corte di merito ha espresso una giustificazione non meritevole di essere censurato in questa sede, avendo reputato congrua la pena concretamente irrogata alla luce dell'elevato grado di colpa individuato nella condotta serbata dal ricorrente. E' sufficiente rammentare come il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale per la determinazione della pena, non sia tenuto a prendere in considerazione tutte le circostanze o le deduzioni prospettate dall'imputato, essendo invece sufficiente che egli dia atto delle plausibili ragioni della sua determinazione in relazione agli aspetti ritenuti maggiormente rilevanti (cfr. Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Rv. 244880 - 01: "Il giudice d'appello può trascurare le deduzioni contenute nei motivi dell'impugnazione in ordine alla determinazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche quando abbia individuato, tra i criteri di cui all'art. 133 c.p., quelli che nel caso concreto possano assumere una rilevanza decisiva per connotare negativamente la personalità dell'imputato").

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2023