Cassazione Penale, Sez. 4, 16 ottobre 2023, n. 41842 - Caduta dalla finestra e successiva morte dell'anziano nella RSA


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 26/04/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALDO ESPOSITO;

lette le conclusioni del PG Dr. TAMPIERI LUCA, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

 

Fatto


1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Mantova dell'11 aprile 2018, con cui A.A. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 113, 40 e 589 c.p., perchè, in qualità di legale rappresentante della Sereni Orizzonti Spa in concorso con B.B. e C.C. (originari coimputati non ricorrenti), cagionava per colpa la morte di D.D., ospite della (Omissis) a far data dal (Omissis); per colpa generica consistita specificatamente nell'omessa adozione di tutte le misure necessarie, atte ad assicurare un maggiore e più efficace controllo del D.D. all'interno della struttura, senza essersi rifiutato di accettare una permanenza dell'ospite in quella struttura rivelatasi non idonea e non sufficientemente contenitiva, nonostante le condizioni psicofisiche del soggetto derivanti dalla sua patologia, la sua intolleranza alla struttura, episodi di vagabondaggio all'interno e tre tentativi di fuga.

1.1. In ordine alla ricostruzione dei fatti, il Tribunale ha esposto che la mattina del (Omissis), l'anziano degente D.D., ricoverato presso la Residenza Sanitaria per Anziani (di seguito RSA) denominata "(Omissis)" in condizioni di conclamata compromissione psichica, era stato rinvenuto a terra sui gradini di una scala, dopo essere caduto dalla finestra della propria camera, posta a circa m. 3,80 di altezza dalla quale aveva tentato di calarsi. L'uomo era trasportato in ambulanza al Pronto Soccorso dell'Ospedale, dal quale era poi dimesso con diagnosi di frattura del femore destro e controindicazione al trattamento chirurgico. Nei giorni successivi, a seguito del peggioramento delle condizioni respiratorie, decedeva per arresto cardiaco secondario a insufficienza respiratoria acuta.

Il D.D. era caduto nel tentativo di calarsi giù dall'unica finestra della stanza di degenza, priva di balconi o altre aperture limitrofe. La finestra in questione non era assistita da sbarre o griglie, era liberamente apribile ed era dotata di un parapetto posto all'altezza di circa cm. 130 dal pavimento, in prossimità del quale erano collocati una sedia e un tavolo.

L'istruttoria dibattimentale aveva confermato la condizione di fragilità, sul piano fisio-psichico, del D.D., incapace di attendere con raziocinio alle normali operazioni di vita quotidiana e necessitante di continuativa assistenza, a scanso di concreti pericoli per la sua incolumità. La moglie e la figlia della vittima confermavano l'avanzato deterioramento delle condizioni psichiche; proprio per i continui allontanamenti dall'abitazione del D.D., inizialmente collocato in altra struttura rivelatasi inadeguata, optavano per il ricovero nella RSA di (Omissis), previ contatti con la Dott.ssa B.B., che le aveva rassicurate circa l'idoneità della struttura ad accogliere un anziano con tali patologie. Durante il ricovero il D.D. incorreva in plurimi episodi di disorientamento spazio-temporale, di intolleranza verso la struttura e vagabondaggio all'interno della stessa, in vari tentativi di fuga e in plurimi episodi di fuga accertata; manifestava più volte l'intento di lanciarsi dalla finestra e tentava la fuga il giorno prima della caduta dalla finestra, tanto da essere spostato dal terzo al primo piano.

In siffatto contesto, erano delineabili plurime e concorrenti posizioni di garanzia in capo ai responsabili della gestione della RSA di (Omissis), chiamati a verificare e controllare le fonti di pericolo per l'incolumità degli anziani, avendo il cd. contratto di spedalità, stipulato dal paziente con la struttura, che impegna l'ente accettante a fornire una prestazione complessa, non circoscritta alle cure mediche ma estesa a varie altre prestazioni, quali, nel caso di specie, la messa a disposizione di locali adeguatamente protetti e la sorveglianza assidua.

Il D.D., affetto da grave patologia mentale, che ne escludeva la capacità di autodeterminarsi in maniera razionale, mosso da improvvisa pulsione ad uscire dalla struttura e non in grado di percepire i propri limiti fisici, trovandosi solo all'interno della propria camera di degenza, spalancava la finestra, non assistita da sistemi di chiusura nè preclusa da ostacoli fissi, superava il davanzale grazie all'impiego della sedia e del tavolo collocati sotto la finestra e si buttava, cadendo sulla sottostante scala in cemento e riportando la frattura del femore, evento dotato di ruolo centrale nel determinismo del decesso.

Ai responsabili della gestione della casa di riposo erano rimproverabili il mancato adeguamento delle strutture della RSA alla specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni fisio-psichiche di D.D., l'omessa adozione di misure atte a prevenire condotte incongrue dell'ospite e, a monte, l'accettazione o la mancata dimissione dell'anziano, di cui conoscevano la storia clinica e la problematica gestibilità.

Il D.D. era ultra ottantacinquenne, affetto da demenza associata a episodi di agitazione psicomotoria, con diagnosticata tendenza al wandering (vagabondaggio), richiedente l'impiego di misure prevenzionali quali la contenzione fisica e farmacologica e l'adozione di sistemi di allarme o di assicurazione della chiusura delle porte e delle finestre o l'implementazione del personale destinato al costante controllo dell'ospite.

Le condizioni del paziente erano state rappresentate dai parenti, per cui la struttura avrebbe dovuto valutare con cautela la congruità del suo apparato ricettivo, quanto alle dotazioni strutturali, alla sufficiente presenza di personale infermieristico o di OSS, onde assicurare una ricettività sicura e un adeguato contrasto delle eventuali condotte incongrue e pericolose che il paziente avrebbe potuto prevedibilmente porre in essere. La RSA avrebbe dovuto possedere una dotazione strutturale e umana adeguata ad attendere alle sopra esposte necessità di prevenzione dei potenziali e prevedibili comportamenti incongrui e irrazionali di tali utenti ovvero locali idonei a ricevere l'anziano debilitato, senza necessità di ricorrere alla contenzione fisica o farmacologica, con aperture verso l'esterno (sia porte che finestre) praticabili solo dagli operatori (condizione facilmente ottenibile mediante l'applicazione di maniglie a inserto a disposizione del solo personale o con apertura a vasistas) o, in alternativa, dotate d'inferriate o serrature e prive di elementi arredo in posizione tale da facilitare lo scavalcamento delle finestre.

Un secondo addebito di colpa era rappresentato dalla mancata predisposizione di un più costante, continuo e penetrante monitoraggio medico e comportamentale e di una capacità di immediata risposta farmacologica o di più generico contrasto contenitivo al manifestarsi di fasi acute della patologia o di sintomi di aggravamento della stessa, tali da richiedere l'adeguamento dei presidi in essere. Sotto tale profilo rilevavano tre diversi piani di valutazioni, finalizzate ad attendere alle sopra indicate esigenze: 1) l'attento esame e lo screening medico e psicologico del paziente al momento della sua accettazione in struttura, al fine di valutare la compatibilità delle condizioni dello stesso coi servizi erogati dalla RSA; 2) la costante verifica dell'evoluzione in negativo delle condizioni del paziente, che richiedevano prontezza ed efficacia di diagnosi e di intervento; 3) la tempestiva adozione degli opportuni rimedi (contrasto farmacologico, accentuata sorveglianza e/o allocazione in contesti maggiormente cautelati quali stanze con finestre non apribili in maniera completa dall'utente, installazione di cicalini o altri presidi di allarme, etc.), fino a giungere, nei casi estremi, alla dimissione del paziente.

All'imputato era addebitato l'aver omesso di imporre, nell'accettazione degli ospiti, l'adozione di severe e rigide valutazioni di compatibilità tra le condizioni di questi ultimi e le disponibilità d'idonei presidi strutturali e di risorse umane della singola casa di riposo e di garantire l'adeguatezza della RSA di (Omissis) per accettare pazienti portatori di problematiche di natura psichiatrica assimilabili a quelle del D.D..

1.2. La Corte di appello ha sostanzialmente condiviso l'impianto argomentativo della sentenza di primo grado.

La circostanza che la RSA di (Omissis) fosse stata debitamente autorizzata dall'A.S.L. di Mantova all'assistenza residenziale degli anziani non autosufficienti non esimeva i suoi responsabili, B.B. e A.A., dal verificare, al momento dell'accettazione e in corso di ricovero, l'idoneità dei presidi esistenti e dall'adottare speciali misure di tutela. Il A.A. non aveva adeguato i presidi alla specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni fisio-psichiche del D.D., non aveva adottato misure atte a prevenire condotte incongrue dell'ospite, non aveva analizzato le condizioni del paziente descrittì compiutamente dai familiari in sede di accettazione e non aveva predisposto un più costante, continuo e penetrante monitoraggio medico e comportamentale.

La Sereni Orizzonti gestiva una pluralità di RSA, che difficilmente il A.A. poteva controllare direttamente. Pertanto, avrebbe dovuto allestire un sistema in grado di garantire il massimo della sicurezza, anche per ospiti affetti da gravi patologie, o, almeno, un'attenta valutazione della compatibilità tra le specifiche esigenze di tutela dei potenziali ospiti e i presidi strutturali e di risorse umane della singola casa di riposo e un adeguamento delle misure di tutela di fronte al peggioramento delle patologie del singolo ospite e di monitorare l'operato di colei alla quale aveva, di fatto, delegato ogni incombente in materia di selezione, organizzazione e gestione degli ospiti e del personale e attuazione degli impegni contrattualmente assunti con l'A.S.L. e il Comune e con i familiari dei ricoverati.

2. Il A.A., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo sette motivi di impugnazione.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 521 e 522 c.p.p..

Si deduce dall'esame del teste E.E. e della e-mail interna della Sereni Orizzonti che i vertici aziendali avevano appreso dell'esistenza e della condizione del D.D. solamente nei giorni successivi alla caduta. Pertanto, il A.A. non poteva attivarsi per l'adeguamento dei presidi della RSA di (Omissis) alla "specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni fisio-psichiche del D.D.". La Corte di appello ha affermato che l'ignoranza del A.A. della situazione derivava dal suo disinteresse per l'organizzazione e per le problematiche della struttura di (Omissis), per cui il deficit di organizzazione e controllo costituiva uno degli addebiti di colpa a suo carico. In realtà, l'imputazione non conteneva traccia di tale contestazione, ma concerneva solo l'omissione di controllo dell'ospite. La Corte territoriale, pertanto, ha violato, il principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p..

2.2. Vizio di motivazione in relazione alle testimonianze.

Si osserva che l'affermazione in sentenza del deficit di organizzazione e dell'omesso controllo e monitoraggio dell'operato dei suoi sottoposti contrastava con le risultanze processuali.

Infatti, il teste E.E., referente della società per gli appalti, in ordine alle gare e all'organizzazione del lavoro dalla sede centrale, riferiva di rispondere direttamente al Consiglio di amministrazione, per cui anche al A.A.; chiariva di sentire spesso la direttrice della struttura per la gestione ordinaria e il direttore sanitario; dava atto dei monitoraggi della società sul rispetto dei minutaggi di assistenza agli ospiti previsti dalla normativa e delle verifiche da parte degli organismi regionali di controllo. Lo E.E. si dedicava alle problematiche relative alla gestione delle strutturi assistenziali gestite in appalto, riferiva al C.d.A. e svolgeva altre funzioni inerenti alla verifica del quantum di assistenza fornito ed all'adeguamento della gestione alle prescrizioni impartite dagli organismi di vigilanza.

2.3. Violazione dell'art. 40 c.p. e art. 43 c.p., comma 3.

Si rileva, nella prospettiva delle fattispecie c.d. causalmente orientate come l'omicidio colposo, che l'imputazione dell'evento non è possibile senza la violazione delle regole cautelari, rappresentanti il cardine della responsabilità colposa. L'opera di interpretazione del precetto colposo è stata erroneamente compiuta in un'ottica ex post, dando vita a convincimenti soggettivi e puramente arbitrari nonchè ad una regola di diligenza assolutamente vaga se non addirittura creata ad hoc. Nella sentenza impugnata sono state individuate specifiche condotte in contrasto con la diligente necessità di assicurare un efficace controllo dell'ospite, le quali tuttavia erano ascrivibili alla direttrice della struttura ed al direttore sanitario, sia per la presenza in loco sia per le rispettive competenze professionali, e non al legale rappresentante della società. A carico di quest'ultimo si ipotizzava la violazione di una regola di diligenza organizzativa vaga e priva di reale contenuto prescrittivo.

2.4. Violazione degli art. 40 c.p., art. 43 c.p., comma 3 e art. 589 c.p..

Si deduce, con riferimento alla mancata conoscenza in capo al A.A. dell'esistenza e delle problematiche legate alla permanenza del D.D. presso la R.SA. di (Omissis), che non poteva essergli addebitato l'omesso adeguamento dei presidi della RSA alla specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni del D.D. in quanto ne era del tutto ignaro.

2.5. Violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., artt. 40 e 43 c.p..

Si osserva che l'imputazione individuava un obbligo di diligenza e di adozione della misura preventiva di "assegnare una stanza con sbarre alle finestre o con finestre apribili solo mediante particolari chiavi o dal personale". L'addebito consisteva nel non avere assegnato una simile stanza - che non esisteva - e non nel non averne creata una apposta per il D.D.. Ciò era impossibile per la società, in quanto l'immobile era di proprietà del Comune e a questo competevano gli interventi di manutenzione straordinaria come la modifica degli infissi. Per il primo profilo v'era dunque violazione del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, contenuto nell'art. 521 c.p.p. e sanzionato con la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p.. Per il secondo profilo, l'inosservanza e l'erronea applicazione della norma incriminatrice in relazione ai principi del reato colposo.

2.6. Violazione dell'art. 62 bis c.p..

Si osserva che erroneamente non sono state concesse le circostanze attenuanti generiche all'imputato, essendo stato valutato negativamente il presunto e non riscontrato disinteresse per la gestione della struttura ed essendo stati ignorati l'assenza di precedenti penali ed il dato dello svolgimento da parte del A.A. del ruolo di amministratore di una delle società leader del settore, con oltre tremila dipendenti, offerente un servizio apprezzato in oltre ottanta strutture italiane.

2.7. Violazione dell'art. 133 c.p..

Si rileva che la pena irrogata appariva eccessiva rispetto all'entità del fatto contestato. Non emergevano condotte rimproverabili al A.A. e non v'era equivalenza tra le condotte ed il grado di colpa degli altri imputati, essendo più gravi le responsabilità degli operatori della struttura.

2.8. Con memoria del 25 maggio 2023, la difesa del A.A. insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Si osserva che la RSA di (Omissis) era organizzata e gestita nel rispetto delle normative di settore, in quanto il personale disponeva delle prescritte qualifiche sociosanitarie e prestava assistenza in quantità superiore a quella richiesta dalle specifiche delibere regionali relative alle strutture accreditate.

I soggetti apicali della RSA, garanti dell'incolumità degli ospiti, per andare esenti da colpa avrebbero dovuto adeguare le misure cautelari e preventive alla specifica situazione di rischio rappresentata dalle condizioni fisio-psichiche del D.D., situazione di rischio tuttavia ignorata dal A.A.. La B.B. e il direttore sanitario C.C. avrebbero dovuto segnalare il peggioramento della patologia psichica del D.D.x al A.A. e sollecitare l'adozione di presidi, avvisando la famiglia dell'impossibilità di continuare a gestirlo e tutelarlo adeguatamente all'interno della struttura, invitando il personale medico a valutare un cambio delle terapie, a riorganizzare i turni del personale in modo da assicurare all'ospite una più assidua vigilanza e ad eliminare le fonti di pericolo interne della camera.

Peraltro, nelle aziende di grandi dimensioni, quale la Sereni Orizzonti, caratterizzata da plurime unità produttive autonome e da elevata specializzazione delle attività svolte di carattere sanitario e sociosanitario, i compiti e le responsabilità devono essere suddivisi tra i diversi soggetti in base alle rispettive capacità, competenze e qualifiche al fine di rendere più efficienti e sicure le attività produttive. Era inesigibile in concreto dal A.A., legale rappresentante della società, un controllo ulteriore rispetto a quello esistente e caratterizzato dalla destinazione di referenti aziendali (per la RSA di (Omissis) lo E.E.), specificamente destinati a ricevere e a gestire le segnalazioni e le problematiche delle singole strutture.

In favore del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche doveva segnalarsi l'avvenuto integrale risarcimento dei familiari per la morte del D.D..

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Con riferimento al primo motivo di ricorso, deve escludersi innanzitutto la sussistenza di un difetto di correlazione tra fatto contestato e sentenza.

Dalla lettura del capo di imputazione è agevole rilevare che erano stati descritti plurimi profili di colpa a carico di A.A. e, tra gli altri:

a) l'omessa adozione di tutte le misure necessarie ad assicurare un maggior controllo nei confronti di D.D., affetto da demenza senile e particolarmente irrequieto, come manifestato dagli episodi di, vagabondaggio, di tentativi di fuga dalla struttura, ecc.;

b) la mancata previsione di sistemi di sorveglianza maggiormente adeguata da parte del personale mediante turnazioni più appropriate con particolare riferimento al turno notturno, in cui non era prevista la presenza di infermieri, bensì di soli due OSS nonostante i ricoverati fossero dislocati su tre piani;

c) l'omessa assegnazione del D.D. ad una stanza con sbarre alle finestre;

d) il rifiuto di accettazione della permanenza di tale ospite, sebbene la struttura si fosse rivelata inidonea e non sufficientemente contenitiva;

e) l'omessa adeguata predisposizione di meccanismi di sicurezza alle porte e, in generale, all'intera struttura.

Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, tali carenze riguardano in primis proprio profili di carattere organizzativo, attinenti alla mancata iniziale verifica dell'idoneità della struttura all'accoglimento di un soggetto particolarmente problematico che, alla luce delle carenze strutturali e di personale e delle segnalazioni dei familiari del paziente sulla sua pericolosità, non doveva essere ospitato. E' contestato proprio il tema dell'omessa ponderata valutazione tra l'accettazione dell'anziano o il rifiuto di accoglierlo.

Il deficit organizzativo è anche alla base delle ulteriori contestazioni sopra riportate, attinenti alle criticità circa l'insufficiente controllo dei degenti da parte del personale nonchè alle lacune strutturali della stanza prescelta e dei meccanismi di sorveglianza. Tali omissioni e mancati interventi, peraltro, dettagliatamente riportati nel capo di imputazione, corrispondevano a comportamenti del paziente ripetuti nel tempo e protrattisi durante la degenza, che confermavano la già significativa patologia della vittima ed erano indicativi di un ulteriore aggravio, ed erano: a) diversi episodi di cadute; b) diagnosi di soggetto incline al vagabondaggio; c) comparsa di intenzionalità autolesiva ed episodi di disorientamento; d) manifestazioni di intolleranza alla struttura; e) tentativi di fuga.

Ne consegue che deve escludersi la difformità sostanziale - prospettata dalla difesa dell'imputato - tra fatto contestato e fatto per cui vi è stata condanna.

In ogni caso, l'argomento del deficit organizzativo era stato adeguatamente trattato ed approfondito già nel corso del giudizio di primo grado, laddove si evidenziavano assenza di verifica dell'idoneità della struttura, di controlli, di prescrizioni di sicurezza, di interventi alle strutture, ecc., per cui il ricorrente aveva avuto ampia possibilità di difendersi e di formulare i propri rilievi all'impianto probatorio illustrato dall'organo giudicante.

3. In ordine al secondo e al quarto motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione logica, la Corte territoriale ha correttamente escluso che il A.A. potesse essere esonerato da responsabilità solo perchès, aveva appreso della gravità della situazione del D.D. solo a seguito delle segnalazioni del C.C. e della B.B. al referente E.E..

La Corte di merito, infatti, ha illustrato chiaramente la natura artigianale dell'organizzazione, in quanto sarebbe stato necessario a monte prevedere un accurato meccanismo di controllo al momento dell'accettazione, per stabilire se le condizioni della struttura e del personale potevano consentire di accogliere il ricoverando - che versava già in condizioni di salute molto gravi - ed evitare rischi per la salute del medesimo.

Analogamente, si è specificato che sarebbe stato necessario predisporre un sistema di monitoraggio delle condizioni dei pazienti e delle loro necessità, al fine di garantire assistenza e sicurezza per gli stessi e adeguare l'organizzazione dei turni del personale e la struttura ricettiva alle mutate condizioni di salute del degente oppure a stabilire che non dovesse più ospitato.

Nella sentenza impugnata si è logicamente evidenziato che il A.A. aveva lasciato "carta bianca" ai propri sottoposti in ordine all'espletamento delle più svariate attività, anche di carattere non strettamente organizzativo, in assenza di qualsivoglia forma di monitoraggio e controllo; la mancata conoscenza, in capo al predetto, delle problematiche che affliggevano il D.D. dimostrava il totale disinteresse del ricorrente verso le problematiche della RSA. Peraltro, si è sottolineato che lo E.E., la B.B. e/o altri non erano mai stati delegati per la sicurezza degli ospiti e per la gestione del contratto di spedalità. I due originari coimputati non erano stati onerati di specifici obblighi di informazione, per cui le predette incombenze inevitabilmente permanevano in capo al A.A., in qualità di legale rappresentante della Sereni Orizzonti.

Lo svolgimento delle limitate funzioni che lo E.E. dichiarava di svolgere per conto della società non erano servite a risolvere le problematiche organizzative più volte esposte e ad impedire l'evento letale.

Al riguardo, va ricordato il principio giurisprudenziale, secondo cui, affinchè si configuri la responsabilità del procuratore e delegato di una RSA per violazione degli obblighi di garanzia nei confronti degli anziani, non è sufficiente l'esistenza di una procura generale in materia antinfortunistica, essendo necessaria l'attribuzione e l'effettivo esercizio di poteri relativi alla specifica area di rischio della gestione e della protezione dei pazienti (Sez. 4, n. 32244 del 01/06/2022, Mazzoleni, Rv. 283458).

Nel caso in esame, non risulta provata una delega della posizione di garanzia da parte del legale rappresentante, in materia di verifica dell'idoneità ad accettare il ricovero degli ospiti, di sicurezza della struttura e controllo dei pazienti, a soggetto professionalmente idoneo, avente potere di spesa. Anzi, l'unica delega esistente in materia era stata conferita allo stesso A.A., l'unico amministratore, al quale competeva l'espletamento di tali funzioni. Infatti, con verbale del Consiglio di Amministrazione del 21 maggio 2014, il A.A. era stato investito delle intere residue attribuzioni del Consiglio medesimo, salvi i limiti di legge, sottratte alla competenza del consiglio di amministrazione inteso nella sua collegialità; la delega al A.A. era conferita in forma piena ed esclusiva con pieni poteri di spesa e possibilità di subdelega, mentre all'unico altro membro del Consiglio era riservata la sola competenza in materia di gestione finanziaria e amministrativa.

Le doglianze prospettate dal ricorrente sono meramente avversative nonchè rei-terative di quelle formulate coi motivi di appello.

4. Quanto al terzo motivo di ricorso, va richiamato quanto esposto al paragrafo precedente sulla natura assolutamente rudimentale dell'aspetto organizzativo, per cui non potevano ascriversi alla responsabilità esclusiva del direttore sanitario o della direttrice della struttura problematiche di fondo, che in una RSA del livello di quella rappresentata dal A.A., avrebbero dovuto formare oggetto di una specifica e dettagliata regolamentazione, che invece era del tutto inesistente.

A conferma dell'assenza totale di pianificazione, la Corte distrettuale ha evidenziato il contenuto della lettera raccomandata del direttore sanitario C.C. del 22 febbraio 2015, indirizzata alla direttrice B.B. e al A.A., Presidente della Sereni Orizzonti Spa con cui segnalava la necessità di prevedere la consultazione del direttore sanitario, prima di permettere l'accoglimento dell'ospite nella struttura, al fine di verificare lo stato di salute del candidato e di esprimere un giudizio sulla possibilità di seguirlo adeguatamente, anche alla luce della mancanza di sicurezze alle finestre dell'orario notturno e della mancanza dell'assistenza OSS su tutti i tre piani.

Erano evincibili, pertanto, la mancanza di regole scritte e precise e l'impossibilità per gli altri soggetti della struttura di rimediare autonomamente ai deficit di carattere organico. Tutte le carenze segnalate dal A.A. avrebbero dovuto precludere la possibilità di ricovero della vittima.

La suindicata missiva è stata logicamente ritenuta indicativa dalla Corte bresciana del totale disinteresse del A.A. per le problematiche strutturali, esistenti sin dalla fase dell'accesso del paziente, e per la predisposizione di efficaci meccanismi di controllo e di sicurezza. Il A.A., pertanto, avrebbe dovuto valutare la compatibilità fra le esigenze di tutela dei potenziali ospiti e i presidi strutturali della casa di riposo (carenza ancor più grave in quanto la Sereni Orizzonti gestiva molteplici RSA, per cui avrebbe dovuto programmare un apparato organizzativo ben più articolato di quello sommariamente allestito). Il coordinamento si era dimostrato di fatto scarsamente penetrante e, in ogni caso, inidoneo ad ovviare alle criticità connesse all'espletamento di simili attività, perchè queste non avevano mai formato oggetto di discussione da parte dello E.E. e/o di altri e, a maggior ragione, di decisioni aziendali per porvi rimedio.

La Corte di appello, pertanto, si è allineata alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di aderire, secondo cui sussiste la responsabilità del titolare di una casa di cura e di riposo, qualora non ponga rimedio all'evidente insufficienza e inadeguatezza delle strutture assistenziali (Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Hmaidan, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 49276 del 28/10/2015, Giliberto, non massimata; Sez. 4, n. 45431 del 20/11/2001, Statello, Rv. 220726, relativa a fattispecie in tema di reato di cui all'art. 591 c.p.).

5. In relazione al quinto motivo di ricorso, la Corte territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha affermato che la mancata imposizione da parte della normativa regionale dell'utilizzo di serramenti apribili unicamente dal personale o con apertura a vasistas non esentava i responsabili della struttura dall'installazione di tali presidi, laddove evidentemente necessari per l'assistenza di uno o più ospiti, nè, tantomeno, dall'adottare misure di tipo organizzativo per un più assiduo controllo degli stessi o cautele, come l'eliminazione del tavolo e della sedia usati dal D.D. per arrampicarsi sulla finestra o la chiusura del portone e del cancello, da cui solo un giorno prima della tragica caduta l'anziano era uscito indisturbato.

Si è esaurientemente spiegato che l'omessa predisposizione di presidi di sicurezza avrebbe imposto il rifiuto del ricovero, trattandosi di meccanismi cautelativi doverosi in presenza di un soggetto che già aveva manifestato plurimi sintomi della propria irrequietezza, adeguatamente segnalati dai propri familiari e di intensità tale da imporre l'abbandono di una pregressa struttura rivelatasi insufficiente sotto il profilo della sicurezza.

Si è parimenti specificato che, in caso di immobile appartenente al Comune, ciò non avrebbe in alcun modo potuto considerarsi fattore ostativo all'espletamento di attività di controllo e vigilanza da parte del ricorrente, che, invero, avrebbe potuto compulsare gli enti all'uopo preposti, affinchè si adoperassero per la rimozione delle situazioni di pericolo per l'incolumità dei pazienti (anche in considerazione dello stato di salute fisica e mentale in capo ai suddetti).

Quanto al dedotto difetto di correlazione tra imputazione e sentenza vanno richiamate le argomentazioni già esposte supra nell'ambito della trattazione del primo motivo di ricorso.

6. Con riferimento al sesto motivo di ricorso, va osservato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell'11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).

Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).

Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce del disinteresse manifestato dall'imputato (non preoccupatosi nemmeno d'individuare un formale referente della struttura o di pretendere una relazione periodica delle condizioni di operatività della stessa, che avrebbe rivelato anticipatamente i problemi di gestione del D.D. e la situazione di conflittualità tra la B.B. e il C.C.) per le esigenze di sicurezza degli ospiti e in assenza di qualsivoglia elemento di segno opposto, positivamente valorizzabile.

Il ricorrente si limita ad indicare alcuni elementi a sè favorevoli, legittimamente pretermessi dalla Corte territoriale, che invece, ha svolto una valutazione complessiva ed esauriente della vicenda criminosa, descrivendone i connotati di particolare gravità e la mancanza di elementi significativi a favore dell'imputato.

7. Relativamente al settimo motivo di ricorso, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l'enunciazione, anche sintetica, dell'eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 c.p. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).

La pena applicata non eccede la media edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un'argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).

Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.

Al contrario, nella fattispecie, l'entità della pena irrogata è stata correttamente giustificata in riferimento alla grave inadeguatezza dei presidi di tutela degli ospiti e del modello organizzativo della RSA e l'omessa valutazione della condizione di particolare fragilità della vittima.

La difesa sottolinea la minore gravità della posizione del Bortolossi rispetto a quella dei coimputati (non ricorrenti), condannati alla medesima pena. La Corte distrettuale, però, ha ampiamente illustrato le ragioni della ritenuta pari gravità delle condotte imprudenti, attinenti alle vistose lacune nell'organizzazione e nella predisposizione di strumenti di controllo e di sicurezza.

8. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
 


P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2023