Cassazione Penale, Sez. 4, 16 ottobre 2023, n. 41861 - Sfruttamento di manodopera e violazione dei limiti dell'orario di lavoro e della normativa sulla sicurezza dei lavoratori



 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. RICCI Anna Luisa - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato il (Omissis);

B.B., nato il (Omissis);

avverso l'ordinanza del 23/02/2023 del TRIB. LIBERTA' di COSENZA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG Dr. FRANCESCA COSTANTINI con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

 

Fatto


1. Il Tribunale di Cosenza ha rigettato la richiesta di riesame proposta ex art. 324 c.p.p. avverso il decreto di sequestro preventivo della somma di 53.460,00 Euro disposto in data 24 gennaio 2023 dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Cosenza nei confronti di A.A. e B.B., indagati in ordine al reato di cui all'art. 603 bis c.p..

In particolare ai ricorrenti è stato contestato di avere, nella qualità di titolari (A.A. di fatto e B.B. di diritto) della impresa commerciale denominata (Omissis), impiegato manodopera in condizioni di sfruttamento, con violazioni dei limiti dell'orario di lavoro, violazioni alla normativa sulla sicurezza e alla salute dei lavoratori, sottoposizione a situazione alloggiativa degradante (capannone privo di destinazione a uso abitativo, senza riscaldamento e con inadeguate condizioni igieniche) e approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori.

Il sequestro ha ad oggetto la somma di denaro rinvenuta nelle casse, ritenuta prodotto del reato, in quanto provento delle giornate di apertura del centro commerciale, presso il quale i lavoratori sfruttati prestavano la loro attività.

2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del Riesame, gli indagati e mezzo del difensore, hanno proposto ricorso con atto unico, formulando due motivi.

2.1. Con il primo motivo, hanno dedotto la violazione di legge penale e processuale e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del fumus di reato. Il difensore richiama la giurisprudenza di legittimità in ordine alla nozione di gravi indizi di colpevolezza e osserva che, nel caso di specie, la motivazione dell'ordinanza impugnata sarebbe inesistente e comunque viziata dal travisamento delle prove documentali offerte dalla difesa. In particolare il Tribunale avrebbe omesso di valutare che solo a far data dall'1 gennaio 2023 gli indagati erano subentrati nell'attività commerciale, che i lavoratori erano stati retribuiti per 200 ore mensili ed erano stati sottoposti a visita medica e che il capannone presso cui erano alloggiati era dotato di abitabilità ed era, altresì, riscaldato tramite impianto termico.

2.2. Con il secondo motivo hanno dedotto il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della somma da sottoporre a sequestro e in ordine al periculum in mora. Il difensore osserva che nel provvedimento impugnato non sarebbero state indicate le ragioni in base alle quale si era ritenuto che il profitto del reato fosse pari o superiore alla somma in sequestro e non sarebbero state indicate le ragioni che rendevano necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto al giudizio.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Francesca Costantini, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

4. Il difensore dei ricorrenti in data 27 luglio 2023 ha depositato memoria con cui ha ribadito i motivi di ricorso, evidenziando, quanto all'aspetto del fumus, la omessa motivazione da parte del tribunale del riesame e la mancata considerazione della circostanza per cui gli indagati erano subentrati nell'attività commerciale solo dal 01.01.2023

 

Diritto


1. Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo, nella parte in cui contesta la assoluta assenza di motivazione in ordine al requisito del "periculum in mora".

2. Occorre premettere che, avverso il provvedimento impugnato, il ricorso per cassazione è esperibile nei ristretti limiti indicati dall'art. 325 c.p.p., a tenore del quale "Contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge". In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall'art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. b) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710).

Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, citato, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (ex multis: Sez. 6 n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).

3. In ragione di tale premessa si deve rilevare la inammissibilità del primo motivo di ricorso. Le doglianze dei ricorrenti censurano il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, quando invece in tema di misure cautelari reali viene in rilievo la diversa nozione di fumus del reato, sia pure inteso nella più recente giurisprudenza di legittimità quale sussistenza di elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano - tenendo conto della fase processuale - di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato, ovvero elementi concreti che facciano apparire verosimile che un reato sia stato commesso (Sez. 5 n. 3.722 del 11/12/2019 dep. 2020, Gheri, Rv. 278152; Sez 6 n. 33965 del 13/04/2021 non mass.).

Nel caso di specie il Tribunale ha dato conto degli elementi di fatto da cui erano stati desunti gli indici di sfruttamento. Era emerso hanno evidenziato i giudici- che A.A. nella sua veste di datore di lavoro di fatto e il coindagato B.B., titolare formale, avevano adibito numerosi lavoratori all'impresa commerciale denominata "(Omissis)" sottoponendoli a condizioni di lavoro gravemente mortificanti e in violazione della normativa a loro tutela: le indagini avevano documentato la sistematica violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (nei locali erano risultati presenti impalcature espositive e di altro genere traballanti; i lavoratori non erano stati sottoposti a visita medica, se non dopo l'assunzione), l'alloggiamento dei dipendenti in un capannone privo di destinazione a uso abitativo, senza riscaldamento e con condizioni igieniche inadeguate, orari di lavoro che superavano i limiti di legge, con assunzioni effettuate formalmente per sole 4 ore al giorno.

La denunciata carenza assoluta di motivazione appare, dunque, insussistente. Al contrario di quanto in maniera generica argomentato nel ricorso, i giudici si sono soffermati sugli elementi di fatto, emersi dalle indagini, tali da consentire di sussumere la condotta nella fattispecie tipica contestata, mentre le censure in ordine alla lettura e alla interpretazione delle circostanze evidenziate esula dal sindacato di legittimità.

4. Il secondo motivo è fondato, limitatamente alla ritenuta sussistenza del periculum in mora.

4.1.La doglianza relativa alla quantificazione della somma da sottoporre a sequestro è infondata.

Invero, secondo il ricorrente, il profitto del reato avrebbe dovuto in ogni caso essere limitato solo alla parte dell'incasso ottenuta attraverso le ore lavorate in eccedenza, mentre la parte dell'incasso ottenuta attraverso le ore rientranti nel regolare orario di lavoro per cui i dipendenti erano stati assunti, giammai avrebbe potuto essere considerato provento del delitto.

La censura non coglie nel segno, posto che il carattere di illiceità dello sfruttamento dei lavoratori, sia esso attuato solo attraverso la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, sia esso attuato anche attraverso ulteriori indici sintomatici, determina il carattere illecito di tutti i proventi dell'attività commerciale esercitata attraverso le prestazioni di detti lavoratori. Ne consegue che tutti i proventi dell'attività attuata attraverso lo sfruttamento penalmente rilevante della manodopera devono essere considerati profitto e prodotto del reato confiscabile (Sez. 4, n. 29397 del 08/06/2022, Torregrossa, Rv. 283388 secondo cui "in tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa"). Lo sfruttamento, peraltro, secondo la contestazione dell'accusa, nel caso di specie è stato attuato non solo attraverso la violazione delle normativa relativa all'orario di lavoro, ma anche attraverso la violazione della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro e la sottoposizione dei lavoratori a situazioni alloggiative degradanti. Il principio per cui il carattere illecito della condotta nel suo complesso non consente di scorporare dal profitto di tale condotta eventuali poste lecitamente acquisite, ma è già stato affermato da questa Corte di legittimità, sia pure con riguardo ad altra fattispecie, essendosi chiarito che "in tema di sequestro finalizzato alla confisca, non devono essere detratti dal profitto del reato i costi sostenuti dal reo per la realizzazione dell'attività criminosa, pur intrinsecamente leciti, in quanto, ai fini della determinazione del profitto, non sono utilizzabili parametri valutativi di tipo aziendalistico, come il criterio del profitto netto, che porrebbe a carico dello Stato il rischio di esito negativo del reato e sottrarrebbe, contemporaneamente, il reo a qualunque rischio di perdita economica" (Fattispecie relativa alla commercializzazione di prodotti agroalimentari non realizzati con metodo biologico, ma venduti come tali, nella quale la Corte ha ritenuto corretto quantificare il profitto nel differenziale tra il ricavato delle vendite e l'importo degli acquisti delle materie prime, senza tener conto dei costi sostenuti per commercializzare i prodotti) (Sez. 3, n. 4885 del 04/12/2018, dep 2019, Salamita Socoetà Coop ari, Rv. 274851).

4.2. Fondata è, invece, la censura relativa al difetto totale di motivazione in ordine al requisito del periclum in mora.

E' necessario tener conto del principio recentemente espresso dalla sentenza Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01, in cui il Supremo Collegio ha spiegato come il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 2, finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 c.p., debba contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili "ex lege" (Fattispecie relativa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in ordine al quale la Corte ha chiarito che l'onere di motivazione può ritenersi assolto allorchè il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato).

La motivazione deve prevedere l'esplicita specificazione delle ragioni per cui si ritiene che, nelle more del giudizio, la cosa, suscettibile di confisca, possa essere modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata, rendendone imprescindibile l'immediata apprensione, stante il rischio che la confisca possa successivamente divenire impraticabile. La ratio è, perciò, quella di preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l'esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo. Operando un parallelismo con l'istituto del sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p., l'indicata sentenza ha affermato che, in definitiva, "è il parametro della "esigenza anticipatoria" della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio".

Nel caso di specie il Tribunale, in ordine alle esigenze cautelari, ha ritenuto "sufficiente osservare come la natura sfuggente del denaro contante agevoli al massimo la possibilità di dispersione dell'utilità economica oggetto del vincolo che, si badi, è da qualificarsi non solo come profillo ma anche come prodotto del reato". Si tratta di una motivazione, all'evidenza, insufficiente ad esplicitare gli specifici motivi per cui è stato ritenuto che il bene possa, nelle more della celebrazione del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato. Il Tribunale del riesame ha, in altri termini, reso un'affermazione meramente apodittica e, dunque, una motivazione solo apparente, con un mero richiamo alla natura fungibile del denaro, senza dare atto dell'esistenza di concreti, inerenti la fattispecie in esame, da cui desumere un reale pericolo di dispersione, tale da legittimare una apprensione anticipata del bene, rispetto al giudizio e alla affermazione di responsabilità. (in senso analogo, da ultimo, Sez. 4, n. 29397 del 08/06/2022, Torregrossa, Rv. 283388).

5. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente all'esigenza cautelare con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Cosenza in diversa composizione. Nel resto il ricorso deve essere rigettato

 

P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente all'esigenza cautelare e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Cosenza, competente ai sensi dell'art. 324 c.p.p., comma 5.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2023