Cassazione Penale, Sez. 4, 16 ottobre 2023, n. 41846 - Crollo di materiale dal costone roccioso e morte dello chef. Quale responsabilità per i titolari del ristorante?


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -

Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

dalle parti civili:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

nel procedimento a carico di:

D.D., nato a (Omissis);

E.E., nato a (Omissis);

F.F., nato a (Omissis);

inoltre:

G.G.;

H.H.;

avverso la sentenza del 04/03/2022 della CORTE APPELLO di SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALDO ESPOSITO;

udito il PG Dr. PASSAFIUME SABRINA, che ha chiesto iI' rigetto del ricorso.

udito l'avv. GARGIULO LUIGI, in difesa di E.E. e di F.F., che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi e, in subordine, si è riportato alle conclusioni del PG;

udito l'avv. RICCI ALBERGOTTI GIAN FRANCO, in difesa di D.D., che si è associato alle richieste del PG e ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi; udito l'avv. GIOVINE CARMINE, in difesa di D.D., che si è associato alle richieste del codifensore.

 

Fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno del 22 febbraio 2019, ha assolto D.D., E.E. e F.F. in relazione ai seguenti reati:

D.D. e E.E.:

A) Art. 40 c.p., art. 41 c.p., comma 1, artt. 426 e 449 c.p., poichè, in concorso con altri, ciascuno nelle rispettive qualità di seguito indicate e con condotte indipendenti provocavano per colpa il crollo di circa 8 metri cubi di materiale roccioso che, distaccatosi dal versante incombente sul C.d. reliquato della Strada Statale n. (Omissis), interessava il tratto compreso tra il km. 30+443 e il km. 30+452, sul quale insistevano sia il pubblico transito pedonale, che l'esercizio dell'attività di ristorazione, svolta, a seguito di concessione demaniale di occupazione del suolo pubblico, dalla Società denominata "Cantina del Nostromo s.n.c." di F.F. & C, con sede in (Omissis).

Pur avendo tutti pregressa conoscenza della grave instabilità del costone, essendosi già verificati, negli anni 2006-2007, vari fenomeni di distacco di materiale lapideo e essendo state già eseguite, nel maggio 2008, su commissione della Provincia di Salerno, opere di mitigazione del rischio da frana su un tratto di costone immediatamente adiacente a quello interessato dal crollo:

- D.D., in qualità di proprietario del tratto di costone roccioso individuato al foglio 7 del Comune di Amalfi, particella n. 1125, incombente sul predetto reliquato della Strada (Omissis), tenuto, o a norma dell'art. 832 c.c., e ss. E artt. 30 e 31 C.d.S., a mantenere il costone roccioso di sua proprietà in condizioni tali da non compromettere l'incolumità pubblica e privata, così da non recar danno ai sottoposto tratto stradale ed alle sue pertinenze, ometteva di eseguire idonea manutenzione e vigilanza sul sito, e/o comunque, anche la mera attività di pulizia e eradicamento della vegetazione spontanea; inoltre, essendo obbligato ad impedire e/o prevenire franamenti o cedimenti del costone, o, comunque, la caduta di massi ed altri materiali sulla strada, ometteva di realizzare idonee opere di monitoraggio, rilevazione geostrutturale, nonchè di eseguire lavori di contenimento del versante, e/o altre opere di mitigazione del rischio, tutte attività finalizzate a preservare l'incolumità pubblica e privata;

TUTTI:

B) Art. 40 c.p., comma 2, art. 41 c.p., comma 1, art. 589 c.p., commi 1 e 2, perchè, il primo nelle qualità e con le condotte colpose indicate al capo A), F.F. e E.E., in veste di legali rappresentanti ed amministratori a firma disgiunta della società denominata la "Cantina del Nostromo s.n.c." di F.F. & C. - esercente attività di ristorazione - e, dunque, nella loro qualità di datori di lavoro, ed, inoltre, in relazione a E.E. anche di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori della società sopra specificata, tenuto, in tale veste, in base alle previsione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, art. 29, comma 5 e art. 34, comma 1 nonchè secondo quanto previsto dai punti 1.8 e 1.8.7 dell'allegato IV della medesima normativa, ad adottare ogni misura tesa a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, e/o, comunque, entrambi obbligati ad adottare misure adeguate per l'eliminazione e/o la mitigazione del rischio di tutela dei lavoratori contro la caduta di materiali dall'alto, cosi mancando, nello specifico, di eseguire, fare eseguire e/o di sollecitare l'esecuzione di idonee opere di messa in sicurezza del versante roccioso incombente sull'area esterna di lavoro, pur avendo gli stessi pregressa conoscenza della grave instabilità del costone, essendosi già verificati, negli anni 2006-2007, fenomeni di distacco di materiale lapideo in zona immediatamente adiacente a quella in cui si svolgeva l'attività di ristorazione ed essendo stati già realizzati, nel maggio 2008 su Commissione della Provincia di Salerno, lavori di mitigazione del rischio su un tratto di costone immediatamente adiacente a quello interessato dal crollo del 2 gennaio 2010, cagionavano per colpa la morte di B.B., lavoratore dipendente della "Cantina del Nostromo s.n.c.", il quale, trovandosi nella veranda posta all'ingresso dei locali in grotta, era travolto dalla caduta di circa 8 metri cubi di materiale lapideo, distaccatosi dalla parete rocciosa posta a monte dell'area esterna, decedendo sul colpo per il grave trauma cranico riportato.

1.1. In ordine alla ricostruzione dei fatti, in data 2 gennaio 2010, si verificava nel territorio di Amalfi (in un punto posto al confine con quello di (Omissis)) una frana, con distacco di materiale roccioso, da un costone incombente sul ristorante "(Omissis)", di proprietà di E.E. e F.F.. Le rocce precipitate dal costone di proprietà di D.D. attingevano lo chef del ristorante B.B., determinandone il decesso.

Le indagini coinvolgevano, oltre agli odierni imputati, anche tecnici, ingegneri e geologi, aventi incarichi a vario titolo nel settore del rischio frane del bacino "destra Sele" nonchè un tecnico con responsabilità dirigenziali nel settore della manutenzione delle strade dell'ANAS. Il Tribunale proscioglieva i tecnici del settore rischio frane del bacino destra Sele ed un dirigente ANAS, ma, contestualmente, trasmetteva gli atti alla locale Procura per la valutazione delle posizioni dei dirigenti dell'area tecnica ANAS con responsabilità nel settore della manutenzione strade.

2. Le parti civili A.A., G.G., B.B. e C.C., a mezzo del comune difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 40 e 41 c.p., art. 832 c.c., artt. 30 e 31 C.d.S. e art. 1 Prot. i CEDU in relazione all'obbligo di motivazione rinforzata.

Si deduce che la Corte di merito ha travisato la sentenza delle Sezioni Unite civili n. 735 del 2015 da essa evocata, la quale aveva definitivamente "abrogato" l'istituto della occupazione acquisitiva di elaborazione giurisprudenziale, per il plateale contrasto dello stesso con la normativa costituzionale (art. 41 Cost.) e comunitaria (art. 1 Prot. 1 CEDU), precisando che, nell'esecuzione di opere pubbliche, gli atti di trasferimento proprietario di aree impongono l'attivazione del modulo espropriativo.

Diversamente, il soggetto inciso dai lavori resta proprietario dell'area e, al più, può chiedere alla pubblica amministrazione il risarcimento dei danni derivanti dalla costruzione dell'opera pubblica. La Corte distrettuale ha riconosciuto che il D.D. era il proprietario del costone franato - recte della particella n. 342 - da lui frazionata nel 2006 e della quale aveva ceduto una porzione al Comune di Amalfi, per realizzare il parcheggio (Omissis), per cui era possibile trarre due considerazioni:

A) Nella sentenza di primo grado erano stati ricostruiti correttamente i fatti oggetto di accertamento penale ed era ravvisata la responsabilità del D.D., nella qualità di titolare dell'area franata, per non aver manutenuto il fondo di proprietà.

B) Il tentativo della Corte salernitana di accreditare che l'esecuzione della galleria avrebbe reso la restante proprietà del D.D. priva di qualsiasi utilità era travisato e fuorviante; essa stessa ha riconosciuto che una porzione era stata ceduta nel 2006, per la realizzazione di un parcheggio pubblico, alla pubblica amministrazione.

Il trasferimento della proprietà esige la forma scritta ad substantiam ovvero l'attivazione di una procedura espropriativa, esclusa da tutti i consulenti escussi nel corso del giudizio. Il D.D., titolare del fondo, doveva essere ritenuto responsabile della frana, poichè negli anni non aveva mai manutenuto l'area di sua proprietà.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 40 e 41 c.p., art. 832 c.c., artt. 30 e 31 C.d.S. e art. 1 Protocollo 1 CEDU, D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17, 28 e 34.

Si rileva che in relazione alla posizione dei coimputati E.E. e F.F., in quanto la sentenza impugnata ha travisato la normativa antinfortunistica contestata ai datori di lavoro al capo 5) nonchè i principi della cd. causalità additiva o cumulativa e dell'equivalenza causale, che governano l'accertamento della responsabilità penale in presenza di più azioni e/o omissioni che hanno generato un infortunio sul lavoro.

In virtù della causalità additiva/cumulativa, il nesso causale tra condotta omissiva del titolare di posizione di garanzia ed evento non viene meno per effetto del mancato intervento da parte di altro soggetto parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento. Non è postulabile una recisione del nesso causale in presenza di condotte poste in essere da più soggetti titolari di posizioni di garanzia cumulative o concorrenti. Era irrilevante che la condotta commissiva contestata all'ANAS e al proprietario del fondo, dal quale si era verificato il distacco di 8 mc. di roccia, fuoriuscisse dalla concorrente posizione di garanzia del titolare l'esercizio di ristorazione ovvero da fonti esterne sulle quali non potrebbe incidere.

L'affermazione di responsabilità dei datori di lavoro era stata correttamente ancorata dal Tribunale all'omessa pianificazione del rischio e alla mancata adozione di misure adeguate, a tutela dei lavoratori contro la caduta dall'alto di materiale, sull'ambiente di lavoro sottostante. La Corte di appello non ha contestato i presupposti stabiliti dal Tribunale, per affermare la responsabilità dei datori di lavoro. Il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28 effettivamente esige che i datori di lavoro siano tenuti a mantenere indenni i loro dipendenti da tutti i rischi connessi all'attività lavorativa. Quel giorno il sinistro aveva avuto luogo in ambito lavorativo e i datori di lavoro non avevano mai pianificato e/o attuato misure dirette a mantenere indenne il lavoratore contro la caduta di oggetti dall'alto. I datori di lavoro avrebbero dovuto verificare il costone sovrastante al ristorante.

L'iter argomentativo ha travisato il principio di equivalenza che governa il concorso di cause che generano un evento. Nel ritenere le condotte dei datori di lavoro irrilevanti ai fini della causazione dell'incidente, la Corte distrettuale non ha potuto asserire e/o documentare che la causa antecedente o concorrente (e, cioè, l'inerzia di chi era tenuto a manutenere e a consolidare il costone) integrasse un evento eccezionale o non prevedibile dai titolari l'esercizio commerciale. La Corte salernitana non ha potuto asserire e/o documentare che le condotte commissive ascritte ai terzi (proprietari del fondo ed ANAS) ponessero l'omicidio colposo controverso al di fuori di ogni prevedibile linea di sviluppo dell'azione e/o omissione, ascritta ai concorrenti.

E' altresì errato il tentativo di assumere che il nesso causale tra condotte commissive ascritte ai datori di lavoro e l'evento morte non sarebbe configurabile. Il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28 obbliga il datore di lavoro a mantenere il lavoratore indenne da tutti i rischi connessi all'attività lavorativa. Tra tali rischi il legislatore ricomprende anche quello afferente alla caduta di cose dall'alto. La normativa tecnica contestata estende l'azione di prevenzione anche ai luoghi di lavoro.

Il costone franato era instabile e, negli anni, il proprietario si era astenuto dal manutenerlo e i datori di lavoro dal chiedere ai soggetti legittimati l'esecuzione degli interventi necessari per garantire la sicurezza di lavoratori ed avventori dell'esercizio di ristorazione. Non è necessario che il titolare della posizione di garanzia sia direttamente dotato dei poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, essendo sufficiente che egli disponga dei mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire l'evento dannoso.

La Corte distrettuale, peraltro, ha violato l'obbligo di motivazione rafforzata, caratterizzante le decisioni di riforma, non illustrando le ragioni della ritenuta erroneità della motivazione della sentenza di primo grado e non indicando i diversi elementi di prova o i parametri tecnici indicativi dell'eccezionalità della frana ovvero dell'impossibilità di poter ravvisare nell'evento omicidiario, la conseguenza naturale delle condotte commissive ascritte, rispettivamente, al proprietario del fondo sovrastante l'esercizio commerciale, all'ANAS ed ai titolari dell'azienda di ristorazione.

3. Con memoria del 14 dicembre 2022, la difesa di D.D. chiede dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi o, in subordine, il rigetto degli stessi.

Si evidenzia che, all'epoca dei fatti, la particella sovrastante alla S.S. (Omissis), dalla quale era avvenuto il distacco lapideo, non apparteneva più al D.D., essendo intervenuta nell'anno 1951 l'occupazione acquisitiva di tale particella da parte della Provincia di Salerno, che negli anni 1945/1950 aveva costruito in detta particella la galleria per il transito di autoveicoli nel tratto (Omissis)-(Omissis), terminata nel 1951. L'occupazione non avveniva mediante esproprio, ma mediante occupazione acquisitiva d'urgenza del fondo.

L'occupazione acquisitiva, detta anche accessione invertita è un istituto sorto dalla prassi, riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in base al quale la pubblica amministrazione occupa senza titolo (cioè senza un decreto di esproprio) una o più particelle di proprietà privata per la realizzazione sulle stesse di un'opera pubblica. In tal caso, la pubblica amministrazione diventa proprietaria del terreno occupato, competendo al privato il solo diritto al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2043 c.c..

L'istituto si chiama anche "accessione invertita", perchè comporta conseguenze diametralmente opposte a quelle della normale accessione fra privati prevista dall'art. 934 c.c., a tenore del quale superficies solo cedit: e cioè la costruzione effettuata sul suolo altrui diventa di proprietà del proprietario del suolo. Nel caso che il costruttore sia invece la pubblica amministrazione e la costruzione sia un opera pubblica, gli effetti sono opposti: il proprietario del suolo perde la proprietà del terreno su cui grava l'opera, il quale passa in titolarità della pubblica amministrazione (salvo il solo diritto al risarcimento del danno da parte del privato). Il fondamento dell'istituto va ravvisato in esigenze di ordine pubblico, che favoriscono la pubblica amministrazione allorchè per motivi particolari (ad es. l'urgenza), abbia dovuto costruire un'opera di pubblica utilità, senza potere aspettare l'emanazione del decreto di esproprio.

L'occupazione del terreno di proprietà D.D. consolidatasi nel 1951 da parte della Provincia di Salerno per la costruzione dell'opera pubblica galleria (Omissis) - (Omissis), aveva fatto irrevocabilmente perdere alla famiglia D.D. la proprietà del terreno su cui insiste la galleria; rectius la part. n. (Omissis) non era mai stata di proprietà del D.D., ma era diventata nel suo complesso di proprietà dell'ente pubblico occupante, cioè della Provincia di Salerno, almeno dall'anno 1885, ancorchè le competenze in materia fossero poi passate all'A.N.A.S.. Alla data del fatto, il D.D. non era più proprietario della particella su cui insisteva la galleria de quo. Poichè, com'è noto, la proprietà della particella si estende ad sidera et ad astra, il D.D. non poteva essere più ritenuto proprietario nè della parte sovrastante nè di quella del lato destro della galleria, dalla quale era avvenuto il distacco lapideo, in quanto appartenenti alla particella occupata dalla pubblica amministrazione.

Il costone dal quale si verificava il distacco costituiva una porzione della particella 342 intestata al D.D. e, precisamente, la parte esterna a sud (verso (Omissis)) di tale particella. Nel 2006, tale particella era stata frazionata in due sotto particelle la n. (Omissis) e la n. 1126, per la necessità di vendere una porzione di essa e precisamente la porzione Nord verso (Omissis), al Comune di (Omissis) per la costruzione del Garage "(Omissis)". Questo era il motivo del frazionamento e la particella trasferita al Comune di (Omissis) era appunto la n. 1126 posta dal lato di (Omissis), quella sulla quale era stato costruito ed insisteva a tutt'oggi il garage "(Omissis)". Il distacco lapideo invece si verificava dalla particella (Omissis).

L'affermazione di cui alla sentenza impugnata secondo cui la sentenza delle Sezioni Unite n. 735 del 2015 avrebbe abrogato l'istituto dell'occupazione abusiva è infondata; essa aveva solo spiegato la piena compatibilità dell'istituto con l'art. 21 Cost. e andava letta unitamente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 30/04/2015.

La decisione delle S.U. n. 735 del 19/01/2015 non aveva abrogato l'istituto, ma lo aveva esaminato in relazione della giurisprudenza della CEDU, che aveva censurato le forme di "espropriazione indiretta" da parte dalla pubblica amministrazione, cioè in sostanza le occupazioni abusive senza titolo, considerandole una forma di violazione del diritto di proprietà e perciò un illecito comportante il risarcimento dei danni a favore del proprietario del terreno. Tale decisione individuava il modo di sanatoria dell'illecito e rendeva l'istituto dell'occupazione acquisitiva conforme alla giurisprudenza della CEDU e all'art. 42 Cost.. Le Sezioni Unite precisavano che, pur partendo dal presupposto che l'occupazione acquisitiva dovesse configurarsi come un illecito, l'illecito veniva "a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della congiunta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero dalla rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita richiesta di risarcimento dei danni per equivalente". Cioè, si affermava che, ove non vi fosse stata la "restituzione del bene" o un "accordo transattivo" o la "rinuncia del proprietario al proprio diritto", la natura illecita dell'occupazione acquisitiva può cessare anche con l'intervenuta usucapione da parte dell'occupante. La citata decisione delle Sezioni Unite dava atto dell'esistenza di un ulteriore modo di cessazione del carattere illecito dell'occupazione acquisitiva della pubblica amministrazione, previsto dall'art. 42 bis inserito dalla riforma del 2011 del T.U. sull'espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. n. 327 del 2001), che è quello per cui l'illecito della pubblica amministrazione può essere fatto cessare anche con un successivo provvedimento di acquisizione emesso dopo l'occupazione, col quale la pubblica amministrazione dà atto delle ragioni che l'hanno indotta ad effettuare l'occupazione abusiva e ne legittima gli effetti.

A tenore della sentenza n. 735 cit., il provvedimento postumo di acquisizione è un ulteriore modo di consolidare gli effetti dell'occupazione senza titolo, che non sostituisce gli altri quattro descritti (restituzione del bene al proprietario, accordo transattivo, rinuncia del proprietario al proprio diritto, usucapione), ma si aggiunge ai predetti.

Nel caso in esame, non v'erano stati provvedimenti postumi di acquisizione ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2011, art. 42 bis e comunque è intervenuta usucapione ventennale da parte della pubblica amministrazione che al 1971 ha comunque privato il D.D. della proprietà del costone (1951-1971: venti anni).

In conclusione la sentenza delle S.U. n. 735 cit. ha innovato rispetto alla precedente decisione di S.U. n. 8597 del 1998, nel senso che mentre quest'ultima affermava che l'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione determinava l'immediato passaggio di proprietà alla stessa del fondo occupato senza titolo, la successiva decisione di S.U. n. 735 del 2015, ha affermato che il passaggio di proprietà del terreno occupato dalla pubblica amministrazione (e quindi la perdita del diritto di proprietà da parte del privato) si compie con l'usucapione ventennale.

Nel caso de quo, essendosi concretizzata l'occupazione acquisitiva nel 1951 (epoca della fine della costruzione della galleria) la provincia di Salerno (e per essa l'ANAS) era divenuta proprietaria del terreno, dal quale si era verificato il distacco lapideo fin dal 1971. Ne consegue che al 2010 (epoca dei fatti di causa, il D.D. non era più proprietario della porzione di particella da cui era avvenuto il distacco).

Infondato è anche il secondo rilievo dei ricorrenti per cui, a seguito dell'occupazione acquisitiva, il proprietario del terreno resterebbe tale, salvo il suo diritto al risarcimento del danno. La sentenza delle S.U. n. 735 cit. ha solo spostato il momento dell'acquisto della proprietà dell'area occupata dalla pubblica amministrazione dal momento dell'occupazione a quello dell'intervenuta usucapione, compiuta nel caso in esame nel 1971. Da tale data dunque il D.D. non era più proprietario del bene.

Le parti civili pretendono di dimostrare l'appartenenza al D.D. della particella dalla quale era avvenuto il distacco lapideo, affermando che nel 2006 egli avrebbe venduto parte di essa al Comune di (Omissis). In realtà, la particella originaria era la particella 342, che nel 2006 era stata frazionata in due particelle, la n. (Omissis) e la n. (Omissis). La n. (Omissis), a nord del terreno verso (Omissis) (e quindi dalla parte opposta a quella del distacco lapideo che è a sud del terreno, verso (Omissis)), che non era mai stata oggetto di occupazione acquisitiva, per cui era restata in proprietà di D.D., era stata venduta da costui al Comune di (Omissis). La n. (Omissis), dalla quale si era verificato il distacco lapideo, rimaneva invece fuori della vendita, in quanto già ritenuta di proprietà dell'ANAS, in quanto essa era stata colpita dall'occupazione acquisitiva. Lo scorporo del 2006 non significava che tutta l'originaria particella n. (Omissis) appartenesse al D.D., ma era stato disposto esclusivamente per individuare la particella oggetto di vendita e rimasta di proprietà del D.D. in quanto non colpita dall'occupazione acquisitiva.

Il principio secondo cui in Italia il trasferimento di proprietà richiederebbe la forma scritta ad substantiam vale per i soli acquisti a titolo derivativo (es. compravendita), ma non per gli acquisti a titolo originario, come l'usucapione, nei quali il trasferimento del diritto di proprietà ha luogo per il solo fatto materiale che determina il sorgere del diritto altrui. Infatti, la sentenza che accerta l'intervenuta usucapione ha efficacia ex tunc, in quanto riconosce l'esistenza del diritto di proprietà dell'usucapiente fin dal momento in cui l'usucapione si è maturata.

L'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione determina l'acquisto del bene a favore di quest'ultima a titolo originario, come specificato dalla sentenza delle S.U. n. 8597 del 1998, secondo cui l'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione comporta l'estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all'ente costruttore.

Le parti civili, al fine di dimostrare che la particella n. (Omissis), dalla quale si era verificato il distacco lapideo sarebbe stata di proprietà del D.D. al momento dell'incidente, affermano che essa risulterebbe catastalmente intestata a suo nome. In realtà, trattandosi di occupazione senza titolo da parte della pubblica amministrazione, non potevano essere state effettuate trascrizione alla Conservatoria e variazioni catastali. In caso di regolare procedura di esproprio, a questa avrebbero fatto luogo le consuete successive trascrizioni (del decreto di esproprio) e le conseguenti variazioni catastali. Nel caso dell'occupazione d'urgenza, però, la trascrizione non c'è e non può esservi, perchè l'occupazione d'urgenza non è un atto giuridico, ma un fatto giuridico che determina l'acquisto della proprietà del terreno da parte della pubblica amministrazione per effetto dell'accessione (secondo Cass. S.U. n. 8597 del 1998) o dell'usucapione (secondo S.U. n. 735 del 2015), che sono entrambe forme di acquisto a titolo originario, che appunto in quanto tale non prevede e non può prevedere la trascrizione e le conseguenti volture catastali. L'acquisto della proprietà da parte della Provincia, pertanto, non era trascrivibile (e di conseguenza non potevano aver luogo variazioni catastali).

Le iscrizioni catastali non costituiscono un nesso di prova della proprietà, ma hanno solo un valore fiscale, per cui le carte catastali possono permanere immutate, quand'anche la proprietà sia passata ad altri. L'indicazione catastale rimane a nome del vecchio proprietario, finchè costui non provveda a richiedere una rettifica che modifichi l'indicazione delle carte, ragguagliandola a quella della situazione reale.

Inoltre, il ricorrente non dimostra che la galleria sia autoportante nè v'è nel ricorso cita atti o documenti del processo, da cui risulti tale presunto carattere della galleria. Sul punto, pertanto, il ricorso non è autosufficiente. Già sotto tale profilo, il richiamo ad un presunto carattere autoportante della galleria non può essere considerato. Anche ammesso tale natura della galleria, ciò non esclude che la porzione della particella in cui essa era stata costruita fosse stata pur sempre oggetto dell'occupazione acquisitiva da parte della Provincia di Salerno, per cui il risultato non cambia. La galleria era stata costruita, occupando l'intera porzione della particella (oggi) n. (Omissis). Rileva non il modo di realizzazione della galleria (posterius rispetto all'occupazione del terreno), quanto il fatto dell'occupazione dei luoghi per la costruzione della galleria, fatto antecedente che coinvolge l'intera porzione di particella usque ad sidera et ad astra, compreso il suo lato esterno (si ricordi la figura del "parallelepipedo") sulla quale è stata costruita la galleria. Quindi il modo in di costruzione della galleria non incide sull'occupazione della porzione della particella già avvenuta, che ne determinava la definitiva sottrazione alla proprietà del D.D..

 

Diritto


1. I ricorsi sono fondati.

2. Col primo motivo di ricorso si deduce che il D.D., in qualità di proprietario del fondo, avrebbe dovuto manutenere il costone dal quale avveniva il distacco lapideo che causava l'evento letale, e che non si era verificata l'occupazione acquisitiva del fondo medesimo da parte della pubblica amministrazione.

2.1. Il Tribunale affermava la responsabilità del D.D., avendolo riconosciuto proprietario del costone in questione, in quanto tale dato risultava dai documenti catastali e dalla circostanza che si era sempre comportato uti dominus (come comprovato dagli atti mortis causa ed inter vivos, l'ultimo dei quali intervenuto nell'anno 2006).

Non era accolta la prospettazione difensiva che negava la qualità di proprietario del D.D. sull'assunto di due vicende intervenute nel tempo: la più recente, negli anni 1950-51, allorquando l'Ente Provincia aveva costruito la galleria che in pratica aveva deviato il percorso viario, relegando a reliquato stradale il vecchio tratto prospiciente il mare, in tal modo in sostanza acquisendo, per una sorta di espropriazione "acquisitiva", ovvero non dichiarata, la proprietà del D.D.; la più antica, risalente all'epoca in cui l'allora Regno delle due Sicilie realizzò la strada della costiera annaffi-tana e in cui, parimenti, già si era verificata in concreto una fattispecie espropriativa della proprietà in danno del dante causa dell'allora famiglia proprietaria, di tal modo che, per il principio "nemo transferre potest plus quam ipse habet", il D.D. non era mai divenuto proprietario del costone per la semplice ragione che nessun privato poteva legalmente venderglielo.

Secondo il Tribunale, peraltro, da un punto di vista geologico e statico, la galleria realizzata nel secondo dopoguerra era "autoportante", ovvero non necessitava del costone per essere stabile, sicchè non occorreva l'espletamento di una procedura espropriativa per realizzare la galleria.

Per queste ragioni, pertanto, il D.D. era proprietario dell'area e cedeva a suo carico la responsabilità dello stato dei luoghi, per cui incombeva, quantomeno anche su di lui, l'onere della manutenzione.

2.2. La Corte di appello ha ribaltato l'impostazione seguita dal giudice di primo grado.

Nella sentenza impugnata, si è osservato che la realizzazione, ad opera della provincia di Salerno nell'anno 1951, della galleria "nella particella" (intestata formalmente alla famiglia D.D.) costituiva un dato pacifico e che occorreva, quindi, stabilire gli effetti dell'esecuzione di tale opera sulla situazione della titolarità della particella e, conseguentemente del costone dal quale era avvenuto il distacco lapideo.

La Corte territoriale ha richiamato in proposito l'istituto dell'occupazione acquisitiva, la cd. accessione invertita, in base al quale la pubblica amministrazione che occupa senza titolo (nel senso di: senza un previo decreto di esproprio, ma in base ad un chiaro e riconosciuto fine di interesse collettivo o pubblico) una o più particelle di terreno realizzandovi sopra un'opera pubblica, diventa la proprietaria del bene, competendo al privato il solo diritto al risarcimento del danno.

La Corte di merito ha evidenziato che siffatta prospettazione era stata ribadita dalle Sezioni Unite civili (n. 735 del 2015), laddove era considerata, ai fini dell'acquisizione, la compiuta usucapione in capo all'occupante pubblica amministrazione, nel momento della trasformazione del bene.

Ebbene, secondo la Corte distrettuale, la formale intestazione della particella in capo al D.D. non risultava decisiva, in quanto, trattandosi di un'acquisizione a titolo originario della proprietà, avvenuta per effetto della ricordata "accessione invertita", e dunque senza un formale decreto di esproprio, non doveva meravigliare che da una visura catastale la particella risultasse ancora formalmente intestata all'imputato, senza che questi potesse esserne validamente considerato il proprietario. Inoltre, non rilevava il frazionamento dell'anno 2006 da parte del D.D. dell'originaria particella n. (Omissis), laddove cedette alla società costruttrice dei garage "(Omissis)" una parte di essa, in quanto il D.D. all'epoca (2006) aveva già perso la titolarità del bene a seguito dell'accessione invertita di cui sopra.

La Corte salernitana ha poi confutato la tesi - sostenuta dai consulenti della Procura e dal Tribunale - in base alla quale, per effetto della natura "autoportante" della galleria e, cioè, la non necessità della galleria del costone per essere stabile, per cui non vi sarebbe un motivo di pubblica utilità per rendere indefettibile l'esproprio della particella. Dall'esame delle foto del luogo, infatti, si comprendeva che la galleria aveva "traforato" la roccia, lasciando sul lato sud, ovvero quello prospiciente al mare, solo uno strato roccioso (il famoso costone) estremamente sottile.

Secondo la sentenza impugnata, pertanto, l'occupazione del bene da parte della pubblica amministrazione (l'ente Provincia attraverso la realizzazione della galleria, le cui competenze gestionali oggi sono transitate dalla Provincia all'ANAS) aveva di fatto privato di qualsiasi contenuto un eventuale diritto di proprietà sul costone, laddove, oggettivamente, su di esso non poteva (tuttalpiù) che crescere una (rada) vegetazione (spontanea) di arbusti ed erba.

Si è ritenuto che la vendita da parte del D.D. dell'area attigua (costituente parte dell'originaria particella frazionata) alla società (Omissis) aveva riguardato non solo la "sfoglia esterna" del costone, ma anche tutta la relativa porzione di roccia. In conclusione, ad avviso della Corte territoriale, al momento della frana, il D.D. non era proprietario del costone roccioso da cui si era distaccato il materiale lapideo, per cui non poteva essere ritenuto responsabile.

2.3. Alla luce della totale divergenza tra le due decisioni di merito, occorre ripercorrere il quadro della giurisprudenza civile di questa Corte in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Con la fondamentale sentenza Sez. U, n. 735 del 19/01/2015, Rv. 634017 - 01, le Sezioni Unite civili hanno affermato che la necessità di interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, secondo cui l'espropriazione deve sempre avvenire "in buona e debita forma", comporta che l'illecito spossessamento del privato da parte della pubblica amministrazione e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'amministrazione, sicchè il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente; tuttavia la stessa sentenza, pur escludendo che vi possa essere acquisto della proprietà pubblica per effetto della trasformazione del bene privato illecitamente acquisito, poco importa se in difetto di dichiarazione di pubblica utilità o dopo la sua decadenza, non ha affatto rifiutato diritto di cittadinanza in subiecta materia all'istituto dell'usucapione.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno affermato che, alla luce della costante giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, quando il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, l'occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell'amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all'amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni.

In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell'occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell'illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, ne è stata affermata la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, o di un accordo transattivo, o della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente (Sez. 1 civ., Ord. n. 22929 del 29/09/2017, Rv. 645525 - 02).

Va precisato che una cosa è che l'occupazione e la trasformazione del fondo occupato producano di per sè l'acquisto del diritto di proprietà (o altro diritto reale) in capo alla Pubblica Amministrazione, evenienza sicuramente esclusa dalla giurisprudenza della Corte EDU e delle Sezioni Unite; altra, e ben diversa, è escludere che il prolungato possesso del bene, pur illecitamente acquisito, goduto uti dominus nell'inerzia del proprietario per un ventennio, possa produrre l'acquisto della proprietà ex art. 1158 c.c., ricorrendone tutte le condizioni e i presupposti.

Questa Corte, occupandosi specificamente dell'argomento, ha ribadito che in tema di occupazione illegittima, la condotta illecita della Pubblica Amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare, quale che ne sia la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto) l'acquisizione del fondo; ha tuttavia aggiunto che nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla pubblica amministrazione come detenzione in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità, decreto di occupazione d'urgenza, ecc.), occorre l'allegazione e la prova da parte della pubblica amministrazione della trasformazione della detenzione in possesso utile ad usucapionem, ex art. 1141 c.c., comma 2, cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore (Sez. 1 civ., Ord. n. 10289 del 27/04/2018, Rv. 649106 - 01).

Non sono infatti sufficienti a tal fine nè il prolungarsi della detenzione, nè il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso, che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.

In particolare, la sentenza citata ha affrontato il quesito se la pubblica amministrazione, responsabile di un'occupazione illegittima, possa efficacemente eccepire l'usucapione ventennale allo scopo sia di fare cessare l'illecito permanente, sia di acquisire senza oneri la proprietà del bene, avvalendosi della retroattività reale propria dell'usucapione che estinguerebbe ogni pretesa risarcitoria e indennitaria.

E' stato così condivisibilmente affermato che nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla pubblica amministrazione come detenzione, in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità, decreto di occupazione d'urgenza, ecc.), occorre l'allegazione e la prova da parte della pubblica amministrazione della trasformazione della detenzione in possesso utile ad usucapionem, ex art. 1141 c.c., comma 2, cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti il prolungarsi della detenzione nè il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.

Se poi invece il possesso della pubblica amministrazione consegue ad un atto illecito usurpativo, compiuto in modo violento o clandestino, ai sensi dell'art. 1163 c.c. il decorso del tempo produce effetti solo da quando la violenza o la clandestinità sono cessate.

Nella sentenza impugnata tale tematica non appare adeguatamente approfondita, non essendosi precisate le ragioni della ritenuta realizzazione dell'usucapione del bene. Non sono state indicate se e quali effettive "idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore" fossero state compiute dalla pubblica amministrazione. La Corte territoriale appare aver configurato l'acquisto a titolo originario in capo alla pubblica amministrazione sulla base della mera trasformazione del bene, seguendo così una concezione dell'istituto dell'occupazione acquisitiva ormai superata ed abbandonata proprio dalla stessa sentenza delle Sezioni Unite civili da essa stessa citata nella sentenza impugnata.

Emergono altresì i seguenti ulteriori aspetti critici della decisione gravata:

A) Non si è analizzato compiutamente il dato dell'intervenuta cessione nel 2006 di una porzione della particella n. (Omissis) da parte del D.D. al Comune di (Omissis) ai fini della realizzazione di un parcheggio.

Tale vendita avveniva in epoca successiva a quella del presunto acquisto in capo alla pubblica amministrazione per intervenuta usucapione e non è agevole comprendere perchè quest'ultima non avrebbe fatto valere il proprio acquisto a titolo originario per evitare di corrispondere il prezzo.

In proposito è mancata un'analisi dettagliata circa l'appartenenza delle varie particelle al privato o alla pubblica amministrazione (aspetto da approfondire compiutamente anche alla luce di quanto illustrato dalla difesa dell'imputato nella memoria difensiva).

B) Non è stata verificata l'esatta estensione del costone rimasto di proprietà del D.D. dopo la vendita di una porzione della particella n. (Omissis).

La Corte distrettuale, in modo eccessivamente semplicistico, ha affermato che la porzione di costone rimasta di proprietà del D.D. consisterebbe in una "striscia", per cui il ridotto spessore non consentirebbe di espletare la manutenzione da parte del proprietario.

Pur in presenza di plurimi accertamenti peritali effettuati nel corso del giudizio di primo grado, tale considerazione è stata svolta senza citare dati tecnici, idonei a stabilire le dimensioni e soprattutto la larghezza della striscia. Nè si è chiarito perchè una striscia sottile non potrebbe formare oggetto di manutenzione da parte del proprietario.

C) La natura non "autoportante" della galleria è stata basata dalla Corte di merito sulla mera visione delle fotografie, in contrasto con la tesi dei consulenti della Procura. La relativa motivazione, pertanto, è del tutto carente sul punto.

2.4. Occorre ora richiamare l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve comunque offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).

La sentenza di appello di riforma totale del giudizio di condanna non appare supportata da una motivazione "rafforzata", nel senso di confutare specificamente le ragioni poste dal Tribunale e non ha dato ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata a elementi di prova diversi o diversamente valutati.

3. Con il secondo motivo di ricorso, le parti civili rilevano che la Corte di merito ha erroneamente escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta dei coimputati E.E. e F.F., datori di lavoro della vittima, per avere i medesimi quali titolari della posizione di garanzia non aver adottato le misure adeguate a tutela dei dipendenti contro l'eventualità di caduta dall'alto di materiale sull'ambiente di lavoro sottostante.

3.1. Il Tribunale riteneva responsabili il E.E. e la F.F., titolari del ristorante ove lavorava l'B.B., in quanto la normativa di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 impone al datore di lavoro di garantire la salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro.

Si osservava che la particolare conformazione dei luoghi, caratterizzati da un costone con elevata pendenza aggettante sul ristorante, avrebbe imposto di considerare, nella valutazione dei rischi, la possibile caduta di materiale dall'alto.

Il Tribunale disattendeva la censura difensiva imperniata in ordine alla circostanza dell'impiego dell'B.B. quale addetto alla cucina e quindi di un lavoro svolto generalmente al chiuso, avendo osservato che la vittima svolgeva le proprie mansioni in "tutto il ristorante".

Inoltre, la situazione di pericolo derivava dalla circostanza che, accanto al ristorante, si erano verificati alcuni distacchi di roccia, tanto che l'ente provincia aveva fatto eseguire dei lavori di messa in sicurezza protrattisi per oltre un mese, e, nonostante ciò, i predetti erano rimasti inerti senza assumere decisioni o comportamenti conseguenti. I due imputati non potevano ignorare la presenza del loro manufatto in un'area caratterizzata da un medio-alto livello di pericolosità.

3.2. La Corte di appello ha radicalmente riformato la pronunzia di primo grado anche in relazione alla posizione dei due ristoratori.

Si è osservato che la frana, partendo dal costone, aveva travolto la struttura leggera (una sorta di veranda) sotto la quale si trovava l'B.B., ma la veranda e l'area di "sedime", sulla quale insisteva l'esercizio commerciale adibito alla ristorazione, non avevano subito un cedimento strutturale, circostanze fattuali (specie la prima) che avrebbero potuto orientare effettivamente verso un profilo di responsabilità di entrambi.

Le autorità non avevano segnalato situazioni di allerta agli imputati e la classificazione come P2/R2 del versante interessato al crollo non lasciava propendere per la prevedibilità dell'evento; anzi, l'ente provincia recentemente aveva disposto l'apposizione di reti di protezione su un costone viciniore, ma non sulla porzione che di lì a non molto sarebbe franata.

Del resto, nella stessa sentenza di primo grado si era dato atto che: dalla "carta inventario dei fenomeni franosi" non erano emerse frane precedenti nell'area dalla quale si era staccato il materiale che aveva ucciso l'B.B.; il flusso delle acque poteva essere stata la causa "occasionale" di innesco dell'evento franoso; la relazione dei consulenti tecnici del P.M. L.L. - M.M. aveva concluso nel senso dell'assenza di "segnalazioni di sorta sull'area in questione".

Secondo la Corte territoriale, il Tribunale aveva inserito, in maniera non motivata, la condotta degli imputati nella serie causale etiologicamente legata all'evento, senza effettuare una pregnante valutazione comparativa, in ordine alle relative responsabilità, tra quelle spettanti ai funzionari amministrativi/tecnici degli enti pubblici statali o locali preposti istituzionalmente alla messa in sicurezza del costone roccioso, e quelle in ipotesi attribuibili ai due contitolari del ristorante, riversando ingiustamente la responsabilità di quanto accaduto solo su questi ultimi, oltre che sull'apparente privato proprietario del terreno corrispondente alle particelle catastali interessate dalla frana.

La condotta ascrivibile a terzi interrompe il nesso causale che rende, in astratto, imputabile il datore di lavoro quale soggetto preposto in via generale alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. I coniugi E.E. e F.F. erano stati erroneamente condannati con riferimento ad un rischio eccedente completamente quello lavorativo, non intrinseco alla prestazione lavorativa stessa.

Ad avviso della Corte distrettuale, appariva semmai opportuna la delibazione della responsabilità dell'ente gestore della strada amalfitana per l'adeguata tenuta del costone, vicenda per la quale il Tribunale aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura per l'individuazione dei funzionari e dei tecnici preposti ad assumere le dovute iniziative di competenza.

3.3. Anche in relazione alla posizione del E.E. e della F.F. la Corte di appello non ha adeguatamente affrontato e confutato i plurimi argomenti trattati dal Tribunale per poi pervenire ad un giudizio di colpevolezza dei medesimi.

La Corte di merito ha fornito una propria interpretazione sull'inesistenza di un pericolo di crollo, senza però esaminare in dettaglio i dati di segno opposto prospettati dal Tribunale.

Il Tribunale, infatti, aveva qualificato l'area come caratterizzata da un medio-alto livello di pericolosità ed aveva sottolineato l'esistenza di distacchi di roccia in quella zona, di natura tale da comportare l'esecuzione di lavori di contenimento protrattisi per oltre un mese. Lo svolgimento di lavori di messa in sicurezza è stata del tutto ignorata nella sentenza impugnata e non si è precisato con chiarezza se essi effettivamente avessero riguardato l'area dove poi avveniva l'incidente, zone limitrofe o situate in luogo distante.

Quanto al soggetto deputato alla verifica della sicurezza del costone, effettivamente non può che essere identificato nel proprietario del costone stesso e non nei soggetti proprietari e/o gestori del ristorante sottostante. Questi ultimi non potevano eseguire opere di contenimento delle frane su proprietà altrui.

Ciò, tuttavia, non consente di per sè di esonerare da responsabilità i proprietari del ristorante. Il punto è stabilire se essi avessero avuto contezza effettiva dei rischi derivanti dall'instabilità dei costone per effetto di cadute di pietre verificatesi nel luogo di ristoro oppure in prossimità dello stesso (nello stesso capo di imputazione è contenuto il riferimento a pregresse cadute di masse in parti adiacenti del costone). In tal caso, infatti, essi avrebbero dovuto obbligatoriamente attivarsi per informare dell'accaduto i soggetti competenti (privati e/o pubblica amministrazione), segnalando la necessità di un immediato intervento, e così dimostrare di non aver contribuito con la propria inerzia a cagionare l'evento letale.

Al riguardo, infatti, appare opportuno richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini dell'operatività della clausola di equivalenza di cui all'art. 40 c.p., comma 2, non è necessario che il titolare della posizione di garanzia sia direttamente dotato di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, essendo sufficiente che disponga dei mezzi necessari a sollecitare gli interventi strumentali all'impedimento dell'evento dannoso (Sez. 4, n. 9463 del 09/02/2023, Guida, Rv. 284157, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la corresponsabilità per il delitto di omicidio colposo dell'amministratore di una società proprietaria di un rimorchio, parcheggiato da un dipendente in sosta vietata e contro il quale aveva impattato un veicolo per l'imprudente condotta di guida del suo conducente, sul rilievo che il primo non avesse ordinato la rimozione del mezzo, benchè consapevole della doverosità di tale condotta; Sez. 4, n. 47794 del 05/10/2018, Sacchetto, Rv. 274357, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva affermato - in relazione alla morte di cinque persone dovuta all'esplosione di una bombola posizionata nei pressi della zona cottura degli alimenti da somministrare nel corso di una sagra - la responsabilità di un agente di polizia municipale a titolo di omicidio colposo, in ragione dell'omessa segnalazione dell'impiego di bombole in evidente stato di deterioramento al soggetto titolare del potere deliberativo relativo al rilascio di licenza temporanea; Sez. 4, n. 14550 del 16/02/2018, B., Rv. 272516, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva affermato - in relazione alla morte di due studentesse, travolte da un masso distaccatosi da una parete rocciosa - la responsabilità di due sindaci di un Comune a titolo di omicidio colposo, in ragione dell'omessa comunicazione, all'Autorità di bacino regionale, di un precedente evento franoso verificatosi nella stessa zona).

Va ricordato, infine, il consolidato principio secondo cui in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia - che può essere generata da investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante - deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere - dovere di protezione dello specifico bene giuridico che necessita di protezione, e di gestione della specifica fonte di pericolo di lesione di tale bene, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (Sez. 4, n. 38624 del 19/06/2019, B., Rv. 277190, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che, in relazione al decesso di un bambino folgorato da una scossa elettrica cagionata dal vizio di montaggio di un faretto, incassato nel suolo, dell'impianto di illuminazione pubblica, aveva ravvisato la posizione di garanzia, a tutela della pubblica incolumità, in capo al dirigente dell'ufficio tecnico comunale che aveva affidato ad una ditta il compito di sostituire tale faretto, e che, anche nella sua veste di direttore dei lavori, aveva erroneamente attestato la regolare esecuzione degli stessi; Sez. 4, n. 57937 del 09/10/2018, Ferrari, Rv. 274774, che, in applicazione di tale principio, in tema di infortunio di lavoratori deceduti in conseguenza del malfunzionamento di una macchina priva dei necessari dispositivi di sicurezza, ha annullato con rinvio la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità di un consulente esterno all'azienda, incaricato dal datore di lavoro di collaborare alla valutazione dei rischi, in mancanza di prova degli esatti compiti contrattualmente attribuitigli).

4. Ne consegue che, in presenza delle evidenziate lacune motivazionali, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per un nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, da condursi in piena libertà, ma alla luce dei principi di diritto e dei rilievi sopra enunciati in ordine alle carenze argomentative suddette.

Al giudice del rinvio va altresì demandata la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
 


P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2023